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Partito Comunista Internazionale |
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TESI SUL COMPITO STORICO,
L´AZIONE E LA STRUTTURA DEL PARTITO COMUNISTA MONDIALE, SECONDO LE POSIZIONI CHE DA OLTRE MEZZO SECOLO FORMANO IL PATRIMONIO DELLA SINISTRA COMUNISTA ("di Napoli", 1965) |
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Appendice: Materiale documentario esposto ed illustrato a commento delle tesi generali della riunione di Napoli. |
1. - Le questioni che sono state
storicamente
enunciate come riferite alla ideologia e dottrina del partito, alla sua
azione nelle successive situazioni storiche e quindi al suo programma,
alla sua tattica, ed alla sua struttura organizzativa, vanno
considerate
come un insieme unico e nel corso della lotta della Sinistra sono state
più volte ordinate ed enunciate senza mai apportarvi mutamenti. Il
riprodurre
i testi potrà essere demandato alla stampa del partito; per ora basterà
ricordarne alcuni che formano capisaldi:
a) Tesi complete della Frazione
Comunista
Astensionista italiana del 1920;
b) Tesi di Roma, ossia del II
Congresso
del Partito Comunista d’Italia, marzo 1922;
c) Posizioni prese dalla
Sinistra
comunista nei Congressi internazionali del 1922 e 1924 ed Esecutivo
Allargato
del 1926;
d) Tesi della Sinistra alla conferenza illegale del Partito
Comunista
d’Italia nel maggio 1924;
e) Tesi presentate dalla Sinistra al III
Congresso
del Partito Comunista d’Italia, Lione 1926.
2. - In questi e in molti altri testi
che saranno utilizzati, e che tra l’altro troveranno successivamente
posto
nei volumi della Storia della Sinistra Comunista, in perfetta
continuità
di posizioni, sono rivendicati e riaffermati costantemente alcuni
risultati
precedenti ritenuti patrimonio del marxismo rivoluzionario, ed è fatto
tesoro dei suoi testi classici programmatici, come il Manifesto del
partito
comunista e gli Statuti della I Internazionale del 1864.
Sono non meno rivendicati i capisaldi
programmatici del I e del II Congresso della III Internazionale fondata
nel 1919, come pure le tesi fondamentali di Lenin sulla guerra
imperialista
e sulla rivoluzione russa ancora antecedenti.
Contemporaneamente una
chiara
presa di posizione rende patrimonio della Sinistra la soluzione storica
e programmatica derivata dallo scioglimento di grandi crisi affrontate
dal movimento proletario, e nelle quali si compendiano la teoria delle
controrivoluzioni e la dottrina della lotta contro il sempre risorgente
pericolo opportunista.
Tra questi capisaldi storici, legati
tanto alla sana visione teoretica quanto a grandiose battaglie delle
masse,
stanno ad esempio:
a) La liquidazione voluta da Marx delle
correnti piccolo borghesi ed anarchiche che mettevano in forse il
principio
base della centralizzazione e della disciplina verso il centro
dell’organizzazione,
e la condanna per sempre dei concetti deteriori di autonomia delle
sezioni
locali e di federalismo tra le parti del partito mondiale, nei quali
stessi
fu poi la causa della vergognosa rovina della II Internazionale fondata
nel 1889 e infrantasi nella guerra del 1914.
b) La valutazione della gloriosa
esperienza
della Comune di Parigi nei testi preparati da Marx a nome della
Internazionale,
che sancivano il superamento dei metodi parlamentaristici ed il plauso
al vigore insurrezionale e terrorista del grande movimento parigino.
c) La condanna da parte della vera
sinistra
marxista rivoluzionaria alla vigilia della prima grande guerra, non
solo
del riformismo revisionista ed evoluzionista, sorto in tutta
l’Internazionale,
e che tendeva a smontare la visione della catastrofe rivoluzionaria
propria
del marxismo, ma anche della reazione ad esso, apparentemente
proletaria
nel senso "operaista" (del tutto collimante con il laburismo
dell’estrema
destra), costituita dal sindacalismo rivoluzionario del Sorel e di
altri,
che sotto pretesto di ritornare alla violenza dell’azione diretta
condannava
la fondamentale posizione marxista sulla necessità di un partito
centralizzato
rivoluzionario e di uno Stato proletario dittatoriale e terrorista,
soli
strumenti capaci di portare l’insurrezione di classe alla vittoria, e
strozzare
i tentativi di riscossa e di corruzione della controffensiva borghese,
ponendo le premesse della società comunista senza classi e senza Stato
che coronerà la vittoria in tutto il campo internazionale.
d) La critica e la demolizione spietata
operata da Lenin e dalla sinistra di tutti i paesi dell’ignobile
tradimento
del 1914, la cui forma più letale e rovinosa non fu tanto il passare
sotto
le bandiere patriottiche delle nazionalità, quanto il ritorno alle
deviazioni
contemporanee alla stessa nascita del comunismo marxista, per cui il
programma
e l’azione della classe operaia devono trovare un inquadramento limite
nei canoni borghesi della libertà e della democrazia parlamentaristica,
vantate come conquiste eterne della prima borghesia.
3. - Per quanto riguarda il periodo
successivo
di vita della nuova Internazionale, forma patrimonio inobliabile della
Sinistra comunista la giusta diagnosi teorica e previsione storica di
nuovi
pericoli opportunistici che si delineavano nel processo di vita dei
primi
anni della nuova Internazionale. Tale punto va sviluppato, ad evitare
teoricismi
pesanti, con metodo storico. Le prime manifestazioni denunziate ed
opposte
dalla Sinistra si verificarono nella tattica a proposito dei rapporti
da
stabilire con i vecchi partiti socialisti della II Internazionale, da
cui
i comunisti si erano organizzativamente divisi con le scissioni; e
conseguentemente
anche in misure errate in materia di struttura organizzativa.
Il III Congresso aveva giustamente
constatato
che non era sufficiente (già nel 1921 si poteva prevedere che la grande
ondata rivoluzionaria seguita alla fine della guerra nel 1918 andava
raffreddandosi
e che il capitalismo avrebbe tentato controffensive sia nel campo
economico
sia in quello politico) avere formato partiti comunisti strettamente
impegnati
al programma dell’azione violenta, della dittatura proletaria e dello
Stato
comunista, se una larga parte delle masse proletarie restava
accessibile
alle influenze dei partiti opportunisti, da tutti noi allora
considerati
come i peggiori strumenti della controrivoluzione borghese e che
avevano
le mani lorde del sangue di Carlo e di Rosa.
Tuttavia la Sinistra
comunista
non accettò la formula che fosse condizione all’azione rivoluzionaria
(deprecabile come iniziativa blanquista di piccoli partiti) la
conquista
della “maggioranza” del proletariato (tra l’altro non si seppe mai se
si
trattasse del vero proletariato salariato o del “popolo”, includente
contadini
proprietari e microcapitalisti, artigiani e ogni altro piccolo
borghese).
Tale formula della maggioranza col suo sapore democratico destava un
primo
allarme, purtroppo verificato dalla storia, che l’opportunismo potesse
rinascere introdotto sotto la solita bandiera dell’omaggio ai concetti
mortiferi di democrazia e di conta elettorale.
Dal IV Congresso, fine del 1922, in
poi la previsione pessimista e la vigorosa lotta della Sinistra
seguitarono
a denunziare le tattiche pericolose (fronte unico tra partiti comunisti
e socialisti, parola del “governo operaio”) e gli errori organizzativi
(per i quali si volevano ingrandire i partiti non solo coll’accorrere
ad
essi di proletari che abbandonassero gli altri partiti a programma
azione
e struttura socialdemocratica, ma con fusioni che accettassero interi partiti e porzioni di partiti dietro patteggiamenti coi loro stati maggiori, ed anche coll’ammettere come sezioni nazionali del Comintern i pretesi partiti “simpatizzanti”, il che era un palese errore in senso federalistico).
In una terza direzione la Sinistra denunziò fin
da allora, e sempre più vigorosamente negli anni successivi, il
grandeggiare
del pericolo opportunista: questo terzo argomento era il metodo di lavoro
interno dell’Internazionale, per cui il centro rappresentato
dall’Esecutivo
di Mosca usava verso i partiti, e sia pure verso parti dei partiti che
siano
incorse in errori politici, metodi non solo di “terrore ideologico”, ma
soprattutto di pressione organizzativa, il che costituisce una errata
applicazione
e man mano una falsificazione totale dei giusti princìpi della
centralizzazione
e della disciplina senza eccezioni.
Tale metodo di lavoro andò
inasprendosi
dappertutto, ma particolarmente in Italia negli anni successivi al 1923
– in cui la Sinistra, seguìta da tutto il partito, dette prova di
disciplina
esemplare passando le consegne a compagni destri e centristi designati
da Mosca – poiché si abusò gravemente dello spettro del “frazionismo”
e della costante minaccia di buttare fuori dal partito una corrente
accusata
artificialmente di preparare una scissione, al solo fine di fare
prevalere
i pericolosi errori centristi nella politica del partito.
Questo terzo
punto vitale fu a fondo discusso nei Congressi internazionali e in
Italia,
ed è non meno importante della condanna alle tattiche opportunistiche
e alle formule organizzative di tipo federalista. In Italia ad esempio
la direzione centrista, mentre accusava la direzione di sinistra del
1921
e 1922 di dittatura sul partito, che dimostrò più volte di essere con
essa totalmente concorde, seguitò ad adoperare lo spettro degli ordini
di Mosca osando perfino di sfruttare la formula di “partito comunista
internazionale”,
come fece nel 1925 nella polemica pre-Lione Palmiro Togliatti, vero
campione
del liquidazionismo della Internazionale Comunista.
4. - È opportuno mostrare come la
dimostrazione
che queste critiche e diagnosi erano giuste va cercata nelle verifiche
storiche, anche se era facile opporre alla Sinistra, che denunziava i
prodromi
di una crisi mortale, che essa si fondava unicamente su preoccupazioni
dottrinarie.
Per la questione tattica basta ricordare
che il fronte unico nacque proposto come metodo per “rovinare” i
partiti
socialisti, e lasciare i loro capi e stati maggiori privi delle masse
che
li seguivano e dovevano passare con noi. La evoluzione di questa
tattica
ha confermato che essa conteneva il pericolo di condurre a un
tradimento
e a un abbandono delle basi classiste e rivoluzionarie del nostro
programma.
I figli storici del fronte unico del 1922 sono oggi a tutti
palesi:
i fronti popolari creati per appoggiare la seconda guerra del
capitalismo
democratico, i “fronti di liberazione” antifascisti che hanno condotto
alla più aperta collaborazione di classe, ossia estesa a partiti
dichiaratamente
borghesi; nel che si compendia la nascita mostruosa dell’ultima ondata
dell’opportunismo sul cadavere della III Internazionale.
Le manovre
organizzative
iniziali nelle fusioni del 1922 hanno posto le basi della completa
confusione
nell’attuale indirizzo parlamentare e democratico di tutti i partiti,
compreso
quello comunista, che ha così lacerate le tesi parlamentari di Lenin al
II Congresso. Fin dal XX Congresso del partito russo del 1956, nel fare
gettito della unità organizzativa mondiale per ammettere vari partiti
socialisti ed operai e perfino popolari in questo o quel paese, si è
fatto
ciò che la Sinistra previde, ossia anche gettito del programma
della
dittatura proletaria, riducendola ad un fenomeno soltanto russo, e
introducendo
le “vie nazionali” e democratiche al socialismo, che altro non
significano
che la ricaduta nello stesso infame opportunismo del 1914; anzi, per
essersi
operato in nome di Lenin, in uno assai più vile ed infame.
Infine la denunzia del metodo di lavoro
dell’Internazionale e delle sue deformi pressioni dall’alto, mentre
vide
nel 1926 la fallace offerta da parte dei centristi di “un po’ più di
democrazia
nel partito e nell’Internazionale” – che giustamente fu ributtata dalla
Sinistra, la quale conservò le sue posizioni di opposizione, pur non
minacciando
fino ad allora (1926) l’uscita dalla Internazionale o la scissione dei
partiti – trova conferma storica nel feroce terrore stalinista
applicato
per devastare dall’interno il partito usando forze di Stato, ossia per
infrangere con decine di migliaia di assassinii una resistenza che era
condotta nel nome del ritorno al marxismo rivoluzionario e alle grandi
tradizioni leniniste e bolsceviche della rivoluzione di Ottobre.
Si
trattò
in tutte quelle posizioni di una giusta previsione del decorso futuro
degli
avvenimenti, anche se purtroppo il rapporto delle forze fu tale che la
terza infame ondata opportunista riuscì a tutto travolgere. Tempestivamente la Sinistra indicò
le giuste vie nei rapporti fra i partiti e l’Internazionale, e tra il
partito
russo e lo Stato russo.
Storicamente il rovesciamento di queste
posizioni
si lega alla questione dei rapporti tra politica statale russa e
politica
proletaria negli altri paesi. Quando sotto Stalin, che nell’Esecutivo
dell’autunno
1926 scopriva tutte le sue carte, fu dichiarato che lo Stato russo
avrebbe
abbandonata l’idea di condizionare il suo futuro ad uno scontro
generale
di classe che potesse rovesciare il potere del capitale in tutti gli
altri
paesi, e nella economia sociale interna dichiarò di dedicarsi a
“costruire
il socialismo” – cosa che nel linguaggio di Lenin non significava altro
che costruire il capitalismo – era scontato il decorso ulteriore, che
fu sancito dal sanguinoso conflitto attraverso cui la opposizione,
sorta
in Russia troppo tardi, e tempestivamente schiacciata sotto la lurida
accusa
di lavoro frazionista, fu sterminata.
La questione si collega al delicato
problema che, imposto, in nome di un centralismo truffato e truccato, a
tutti
i partiti, nelle cui file militavano ardenti rivoluzionari, un apparato
soffocatore,
si giocò non tanto sulla suggestione di nomi giganti come il
bolscevismo,
Lenin, Ottobre, ma sul volgare fatto economico che lo Stato di Mosca
disponeva
dei mezzi con cui i funzionari dell’apparato venivano pagati. La
Sinistra
assistette a queste vergogne in un silenzio eroico, perché sapeva che
era un altro tremendo pericolo la deviazione piccolo-borghese ed
anarcoide
secondo la quale si sarebbe cianciato: vedete bene che la fine è sempre
quella, dove vi è Stato, dove vi è potere, dove vi è partito, ivi è
corruzione, e se il proletariato vuole emanciparsi deve farlo senza
partiti
e Stati autoritari. Noi sapevamo troppo bene che se la linea di Stalin
era fin dal 1926 la vittoria consegnata al nemico borghese, queste
aberrazioni
da intellettualoidi di classi medie sono, in tutti i tempi ed oramai
attraverso
tutto un secolo, la migliore delle garanzie perché l’esoso capitalismo
riesca a sopravvivere facendo cadere dalle mani dei suoi giustizieri
l’unica
arma che lo può trucidare.
A questa penosa influenza del danaro,
che sparirà nella società comunista, ma dopo una catena di eventi di
cui la affermazione della dittatura comunista non è che il primo, si
aggiungeva
il maneggio di un’arma di manovra che noi in termini aperti dichiarammo
degna dei parlamenti e delle diplomazie borghesi, o della borghesissima
Società delle Nazioni, ossia l’incoraggiamento o il conculcamento a
seconda
dei casi del carrierismo e delle ambizioni vanesie delle persone dei
capi
da sottogoverno, che pullulano nei ranghi, in modo che ciascuno di
costoro
fosse posto nell’alternativa inesorabile di scegliere tra una immediata
e comoda notorietà, susseguente alla prona accettazione delle tesi
della
onnipotente Centrale, ovvero una non risalibile oscurità e forse
miseria,
se avesse voluto difendere le giuste tesi rivoluzionarie da cui la
Centrale
aveva deviato.
È oggi pacifico, per la storica
evidenza,
che quelle Centrali internazionali e nazionali erano sulla via della
deviazione
e del tradimento; secondo la teoria di sempre della Sinistra, è questa
la condizione che deve togliere loro ogni diritto ad ottenere in nome
di
una disciplina ipocrita la cieca obbedienza della base.
5. - Il lavoro svolto per
ricostituire
ovunque il partito di classe dopo la fine della seconda guerra mondiale
ha trovato una situazione estremamente sfavorevole, dopo che le vicende
internazionali e sociali del tremendo periodo storico hanno favorito in
tutti i sensi il piano opportunista di obliterare tutte le linee del
conflitto
fra le classi, e portare in evidenza davanti agli occhi accecati del
proletariato
la necessità di assecondare il ripristino per tutta la terra dei
costituzionalismi
parlamentari-democratici.
In questa posizione spietata di
controcorrente,
aggravata dal tuffarsi di larghe masse proletarie nella pratica
pestifera
dell’elezionismo, apologizzata dai falsi rivoluzionari molto più
spudoratamente
di quanto non avessero fatto i revisionisti di oltre mezzo secolo
prima,
il nostro movimento non potette rispondere che facendo leva su tutto il
patrimonio che gli derivava dalla lunga e sfavorevole vicenda storica.
Adottata la vecchia consegna che risponde alla frase “sul filo del
tempo”,
il nostro movimento si dette a riportare davanti agli occhi e alle
menti
del proletariato il valore dei risultati storici che si erano iscritti
nel lungo corso della dolorosa ritirata. Non si trattava di ridursi ad
una funzione di diffusione culturale o di propaganda di dottrinette, ma
di dimostrare che teoria ed azione sono campi dialetticamente
inseparabili
e che gli insegnamenti non sono libreschi o professorali ma derivano
(per
evitare la parola, oggi preda dei filistei, di esperienze) da
bilanci
dinamici di scontri avvenuti tra forze reali di notevole grandezza ed
estensione,
utilizzando anche i casi in cui il bilancio finale si è risolto in una
disfatta delle forze rivoluzionarie. È ciò che noi abbiamo chiamato con
vecchio criterio marxista classico “lezioni delle controrivoluzioni”.
6. - Varie altre difficoltà
all’inquadramento
sulle basi sue proprie del nostro movimento derivarono da prospettive
troppo
ottimistiche, secondo le quali, come la fine della prima guerra
mondiale
aveva portato a una grande ondata rivoluzionaria e alla condanna della
peste opportunista coll’azione dei bolscevichi, di Lenin, della
vittoria
di Russia, così la chiusura della seconda guerra nel 1945 avrebbe
suscitato
fenomeni storici paralleli, e resa rapida la costituzione di un partito
rivoluzionario secondo le grandi tradizioni. Questa prospettiva poteva
essere generosa, ma errava gravemente non tenendo conto della “fame di
democrazia” che era stata istillata nel proletariato, non tanto dalle
gesta
più o meno truculente dei fascismi italiani e tedeschi, ma dalla
ricaduta
rovinosa nella illusione che, riconquistata la democrazia, tutto
sarebbe
ritornato per via naturale sulle linee rivoluzionarie; mentre
patrimonio
centrale della Sinistra è la coscienza che il più grande pericolo sono
le illusioni popolaresche e socialdemocratiche, basi non di una nuova
rivoluzione
che faccia il passo Kerenski-Lenin, ma dell’opportunismo che è la più
potente forza controrivoluzionaria.
Per la Sinistra l’opportunismo non è
un fenomeno di natura morale e riducibile a corruzione di individui, ma
è di natura sociale e storica per cui l’avanguardia
proletaria,
invece di disporsi sullo schieramento che si pone contro il fronte
reazionario
della borghesia e degli strati piccolo-borghesi, più di essa ancora
conservatori,
dà l’avvio a una politica di saldatura fra il proletariato e le classi
medie. In questo il fenomeno sociale dell’opportunismo non diverge da
quello
del fascismo, perché si tratta sempre di un asservimento ai ceti
piccolo-borghesi
di cui fanno parte i cosiddetti intellettuali, la cosiddetta classe
politica
e la classe burocratico-amministrativa, che in realtà non sono classi
capaci di vitalità storica ma spregevoli ceti marginali e ruffiani, nei
quali non si ravvisano i disertori della borghesia di cui Marx descrive
il fatale passaggio nelle file della classe rivoluzionaria, ma i
servitori
migliori e le lance spezzate della conservazione capitalistica, che
campano
di stipendi tratti dalla estorsione del plusvalore ai proletari.
Il
nuovo
movimento accennò perfino a cadere nella illusione che vi fosse qualche
cosa da fare nei parlamenti borghesi, sia pure tentando di ridare vita
al piano delle famose tesi di Lenin, ma senza tener conto che un
bilancio
storico irrevocabile aveva dimostrato che quella tattica non poteva
concludere,
per nobili e grandiose che fossero state nel 1920, quando la storia
sembrava
oscillare su di un bilico, le prospettive di attacco rivoluzionario
dirette
a far saltare i parlamenti dall’interno; mentre invece tutto si ridusse
alla triviale rivincita contro il fascismo del grido di Modigliani:
“Viva
il parlamento!”.
7. - Trattandosi di un trapasso e di
una consegna storica da una generazione che aveva vissute le lotte
gloriose
del primo dopoguerra e della scissione di Livorno alla nuova
generazione
proletaria che si trattava di liberare dalla folle felicità della
caduta
del fascismo per ricondurla alla coscienza della azione autonoma del
partito
rivoluzionario contro tutti gli altri, e soprattutto contro il partito
socialdemocratico, per ricostituire forze consacrate alla prospettiva
della
dittatura e del terrore proletari contro la grande borghesia come
contro
tutti i suoi esosi strumenti, il nuovo movimento trovò per via organica
e spontanea una forma strutturale della sua attività che è stata
sottoposta
ad una prova quindecennale. Il partito attuò aspirazioni che erano
manifeste
nella Sinistra comunista fin dal tempo della II Internazionale, e
successivamente
durante la lotta storica contro le prime manifestazioni di pericoli
opportunistici
nella III. Questa aspirazione secolare è la lotta contro la democrazia
e ogni influenza di questo turpe mito borghese; essa pone le radici
nella
critica marxista, nei testi fondamentali e nei primi documenti delle
organizzazioni
proletarie, dal
Manifesto dei Comunisti, in poi.
Se la storia umana non si spiega con
la influenza di individui di eccezione che abbiano potuto eccellere per
forza e valore fisico o anche intellettuale e morale, se la lotta
politica
è vista in maniera falsa e diametralmente opposta alla nostra come una
scelta di tali personalità di eccezione (sia essa creduta opera della
divinità o demandata ad aristocrazie sociali, o – nella forma più
ostile
a noi di tutte – demandata al meccanismo della “conta” dei voti ai
quali
siano stati infine ammessi tutti gli elementi sociali); ed invece la
storia
è storia della lotta tra le classi e si legge e si applica alle
battaglie,
che sono non più critiche ma violente ed armate, solo svelando i
rapporti
economici che tra le classi si stabiliscono entro le forme di
produzione;
se questo fondamentale teorema era stato confermato dal sangue sparso
da
innumerevoli combattenti di cui la mistificazione democratica aveva
fatto
sì che fossero infranti gli sforzi generosi; e se il patrimonio della
Sinistra comunista si era eretto su questo bilancio di oppressione di
sfruttamento
e di tradimento, la via da percorrere era solo quella che nel processo
storico ci avesse sempre più liberati del letale meccanismo
democratico,
non solo nella società e nei vari corpi che si organizzano in seno a
questa,
ma nel seno della stessa classe rivoluzionaria e soprattutto in quello
del suo partito politico.
Questa aspirazione della Sinistra, che non si
può ricondurre ad una intuizione miracolosa o a un illuminismo
razionale
di pensatori, ma che si è contessuta negli effetti di una catena di
lotte
reali violente sanguinose e spietate anche quando si sono chiuse con la
sconfitta delle forze rivoluzionarie, ha le sue tracce storiche in
tutta
la serie delle manifestazioni della Sinistra, da quando lottava contro
i blocchi elettorali e le influenze delle ideologie massoniche, contro
le suggestioni belliche prima di guerre coloniali e poi della
gigantesca
prima guerra europea, la quale trionfò della aspirazione proletaria a
disertare dalle divise militari e a capovolgere le armi contro chi le
aveva
fatte impugnare, soprattutto agitando lo spettro lubrico di conquiste
di
libertà e di democrazia; da quando infine in tutti i paesi d’Europa e
sotto la guida del proletariato rivoluzionario russo essa si gettò
nella
lotta per abbattere il primo e diretto nemico e bersaglio che copriva
il
cuore della borghesia capitalistica, contro la destra socialdemocratica
e contro l’ancor più ignobile centro, il quale, diffamando noi come
diffamava
il bolscevismo, il leninismo e la dittatura sovietica russa, poggiò
tutte
le sue leve sul tentativo di gettare di nuovo il ponte-trabocchetto tra
l’avanzata proletaria e le criminose idealità democratiche.
Nello
stesso
tempo tale aspirazione a liberarsi di ogni influenza anche della stessa
parola di democrazia si trova consacrata in testi innumerevoli
della
Sinistra che all’inizio di queste tesi abbiamo rapidamente indicati.
8. - La struttura di lavoro del nuovo
movimento, convinto della grandezza della durezza e della lunghezza
storica
della propria opera, che non poteva incoraggiare elementi dubbi e
desiderosi
di rapida carriera perché non prometteva, anzi escludeva successi
storici
a distanza visibile, si basò su incontri frequenti di inviati di tutta
la periferia organizzata, nei quali non si pianificavano dibattiti,
contraddittori
e polemiche fra tesi in contrasto, o che comunque potessero
sporadicamente
affiorare dalle nostalgie del morbo antifascista, e nelle quali nulla
vi
era da votare e nulla de deliberare, ma vi era soltanto la
continuazione
organica del grave lavoro di consegna storica delle lezioni feconde del
passato alle generazioni presenti e future, alle nuove avanguardie che
si andranno delineando nelle file delle masse proletarie, dieci e cento
volte percosse ingannate e deluse, e che finalmente insorgeranno contro
il fenomeno doloroso della decomposizione purulenta della società
capitalistica,
e finalmente sentiranno nel vivo delle loro carni come la forma estrema
e più velenosa siano le schiere dell’opportunismo popolaresco, dei
burocrati
dei grandi sindacati e dei grandi partiti e di tutta la ridicola
pleiade
dei
pretesi cerebrali intellettuali ed artisti, “impegnati” o “ingaggiati”
a guadagnare qualche pagnotta alla loro deteriore attività, mettendosi
per il tramite dei partiti traditori al servizio da ruffiani recato
alle
classi ricche, e all’anima borghese e capitalistica nel senso peggiore
delle classi intermedie ed atteggiate a popolo.
Questa opera e questa dinamica si
ispirano
ad insegnamenti classici di Marx e di Lenin, che dettero la forma di
tesi
alla loro presentazione delle grandi verità storiche rivoluzionarie; e
queste tesi e relazioni, lige nella loro preparazione alle grandi
tradizioni
marxiste di oltre un secolo, venivano riverberate da tutti i presenti,
grazie anche alle comunicazioni della nostra stampa, in tutte le
riunioni
di periferia di gruppi locali e di convocazioni regionali, ove tale
materiale
storico veniva trasportato a contatto di tutto il partito. Non avrebbe
alcun senso la obiezione che si tratti di testi perfetti irrevocabili e
immodificabili, perché lungo tutti questi anni si è sempre dichiarato
nel nostro seno che si trattava di materiali in continua elaborazione e
destinati a pervenire ad una forma sempre migliore e più completa;
tanto
che da tutte le file del partito, ed anche da elementi giovanissimi, si
è sempre verificato con frequenza crescente l’apporto di contributi
ammirevoli
e perfettamente intonati alle linee classiche proprie della Sinistra.
È solo nello sviluppo in questa
direzione
del lavoro, che abbiamo tratteggiato, che noi attendiamo il dilatarsi
quantitativo
delle nostre file e delle spontanee adesioni che al partito pervengono
e che ne faranno un giorno una forza sociale più grande.
9. - Prima di lasciare l’argomento
della
formazione del partito dopo la seconda grande guerra, è bene
riaffermare
alcuni risultati che oggi valgono come punti caratteristici per il
partito,
in quanto sono risultati storici di fatto, malgrado la limitata
estensione
quantitativa del movimento, e non scoperte di inutili geni o solenni
risoluzioni
di congressi “sovrani”.
Il partito riconobbe ben presto che,
anche in una situazione estremamente sfavorevole e anche nei luoghi in
cui la sterilità di questa è massima, va scongiurato il pericolo di
concepire
il movimento come una mera attività di stampa propagandistica e di
proselitismo
politico. La vita del partito si deve integrare ovunque e sempre e
senza
eccezioni in uno sforzo incessante di inserirsi nella vita delle masse
e anche nelle sue manifestazioni influenzate dalle direttive
contrastanti
con le nostre. È antica tesi del marxismo di sinistra che si deve
accettare
di lavorare nei sindacati di destra ove gli operai sono presenti, e il
partito aborre dalle posizioni individualistiche di chi mostri di
sdegnare
di mettere piede in quegli ambienti giungendo perfino a teorizzare la
rottura
dei pochi e flebili scioperi a cui i sindacati odierni si spingono. In
molte regioni il partito ha ormai dietro di sé una attività notevole
in questo senso, sebbene debba sempre affrontare difficoltà gravi e
forze
contrarie, superiori almeno statisticamente.
È importante stabilire
che,
anche dove questo lavoro non ha ancora raggiunto un apprezzabile avvio,
va respinta la posizione per cui il piccolo partito si riduca a circoli
chiusi senza collegamento coll’esterno, o limitati a cercare adesioni
nel
solo mondo delle opinioni, che per il marxista è un mondo falso quando
non sia trattato come sovrastruttura del mondo dei conflitti economici.
Altrettanto erroneo sarebbe suddividere il partito o i suoi
aggruppamenti
locali in compartimenti stagni che siano attivi solo in uno dei campi
di
teoria, di studio, di ricerca storica, di propaganda, di proselitismo e
di attività sindacale, che nello spirito della nostra teoria e della
nostra
storia sono assolutamente inseparabili e in principio accessibili a
tutti
e a qualunque compagno.
Altro punto che il partito ha
conquistato
storicamente e da cui mai potrà decampare, è la netta ripulsa a tutte
le proposte di ingrandire i suoi effettivi e le sue basi attraverso
convocazioni
di congressi costituenti comuni ad infiniti altri circoli e gruppetti,
che pullulano ovunque dalla fine della guerra elaborando teorie
sconnesse
e deformi, o affermando come unico dato positivo la condanna dello
stalinismo
russo e di tutte le sue locali derivazioni.
10. - Ritornando alla storia dei
primi
anni della Internazionale Comunista, ricorderemo che i dirigenti russi
di questa, i quali avevano dietro di sé non solo una conoscenza
profonda
della dottrina e della storia marxista, ma anche il risultato grandioso
della vittoria rivoluzionaria di Ottobre, concepivano tesi come quelle
di Lenin come materiale che dovesse essere da tutti accettato, pure
riconoscendo
che nella vita del partito internazionale se ne sarebbe sviluppata una
elaborazione ulteriore. Essi richiesero che non si votasse mai, perché
tutto andava accettato con adesione unanime e spontaneamente confermata
da tutta la periferia dell’organizzazione, che in quegli anni gloriosi
viveva una atmosfera di entusiasmo e anche di trionfo.
La Sinistra non dissentiva da queste
generose aspirazioni, ma ritenne che, per pervenire agli sviluppi che
tutti
sognavamo, sarebbe stato necessario rendere più rigorose e rigide certe
misure di organizzazione e di costituzione del partito comunista unico,
e precisare nello stesso senso tutte le norme della sua tattica.
Allorché si delineò che una certa
rilassatezza in questi terreni vitali, da noi denunziata allo stesso
grande
Lenin, cominciava a dare effetti dannosi, fummo costretti a
contrapporre
relazioni a relazioni e tesi a tesi.
A differenza da altri gruppi di
opposizione,
da quelli stessi che si formavano in Russia e dalla stessa corrente
trotskista,
noi evitammo sempre con cura di dare al nostro lavoro interno
all’Internazionale
la forma di una rivendicazione di consultazioni democratiche ed
elettive
di tutta la base, o del reclamare elezioni generali dei comitati
direttivi.
La Sinistra sperò di salvare
l’Internazionale
e il suo tronco vitale e valido di grandi tradizioni senza organizzare
movimenti di scissione, e respinse sempre l’accusa di essersi
organizzata
o di volersi organizzare come una frazione, o come un partito nel
partito.
Nemmeno la Sinistra, anche quando le manifestazioni del nascente
opportunismo
andavano diventando sempre più innegabili, incoraggiò o approvò il
sistema delle dimissioni individuali dal partito o dalla
Internazionale.
Tuttavia i testi già indicati in cento
loro passi mostrano che la Sinistra nel suo pensiero fondamentale ha
sempre
visto il cammino verso la soppressione delle scelte elettorali e dei
voti
su nomi di compagni o su tesi generali come un cammino che andava verso
la abolizione di un altro ignobile bagaglio del democratismo
politicantesco,
ossia quello delle radiazioni, delle espulsioni e degli scioglimenti di
gruppi locali. Abbiamo molte volte enunciato in tutte lettere la tesi
che
questi procedimenti disciplinari dovevano andare diventando sempre più
eccezionali per avviarsi alla loro scomparsa.
Se il contrario avviene, e peggio se
queste questioni disciplinari servono a salvare non princìpi sani e
rivoluzionari
ma proprio le posizioni coscienti od incoscienti di un opportunismo
nascente,
come avvenne nel 1924, 1925, 1926, questo significa soltanto che la
funzione
del centro è stata condotta in un modo sbagliato e gli ha fatto perdere
ogni reale influenza di disciplina della base verso di lui, tanto più,
quanto più viene sguaiatamente decantato un fasullo rigore
disciplinare.
Nei primissimi anni la Sinistra sperò
che le concessioni organizzative e tattiche trovassero spiegazione
nella
fecondità del momento storico e avessero valore soltanto temporaneo, in
quanto la prospettiva di Lenin attendeva grandi rivoluzioni nell’Europa
centrale e forse occidentale, e dopo di queste la linea sarebbe
ritornata
quella integrale e luminosa consona ai principi vitali; ma man mano che
a questa speranza si sostituì sempre più la certezza che si sarebbe
andati
verso la rovina opportunista – che non poteva mancare di prendere le
forme sue classiche di una prospettazione magnificante e di una
esaltazione
dell’intrigo democratico ed elettorale – più che mai la Sinistra
condusse
la sua difesa storica senza intaccare la propria diffidenza contro il
meccanismo
democratico, anche quando vi fu tirata per i capelli da operazioni di
vera
pastetta
elettorale
nei partiti, che fu giusto plaudire quando le condusse il fascismo, a
cui
il proletariato doveva rispondere raccogliendo la provocazione alle
armi,
ma che si dovettero indicare in linea di fatto quando le perpetravano
sfrontatamente
proprio i padri del nuovo opportunismo che si accingeva a riconquistare
i partiti e l’Internazionale, anche se teoricamente poteva dare una
ironica
soddisfazione vederli dire: Siamo dieci e vogliamo piegare voi che
siete
mille; troppo essendo noi sicuri che avrebbero conclusa quella
ignominiosa
carriera nel truffare voti operai a milioni e a milioni.
11. - È stata però sempre ferma e
costante
posizione della Sinistra che, se le crisi disciplinari si moltiplicano
e diventano una regola, ciò significa che qualche cosa non va nella
conduzione
generale del partito, e il problema merita di essere studiato.
Naturalmente
non rinnegheremo noi stessi commettendo la fanciullaggine di ritornare
a cercare salvezza nella ricerca degli uomini migliori o nella scelta
di
capi e di semicapi, bagaglio tutto che riteniamo distintivo del
fenomeno
opportunista, antagonista storico del cammino del marxismo
rivoluzionario
di sinistra.
Su un’altra tesi fondamentale di Marx
e di Lenin la Sinistra è fermissima, ossia che un rimedio alle
alternative
e alle crisi storiche a cui il partito proletario non può non essere
soggetto,
non può trovarsi in una formula costituzionale o di organizzazione, che
abbia la virtù magica di salvarlo dalle degenerazioni. Questa illusione
si inscrive tra quelle piccolo-borghesi che risalgono a Proudhon, e
attraverso
una lunga catena sfociano nell’ordinovismo italiano, ossia che il
problema
sociale possa essere sciolto da una formula di organizzazione dei
produttori
economici.
Indubbiamente, nella evoluzione che i partiti seguono, può
contrapporsi il cammino dei partiti formali, che presenta
continue
inversioni ed alti e bassi, anche con precipizi rovinosi, al cammino
ascendente
del partito storico. Lo sforzo dei marxisti di sinistra è di
operare
sulla curva spezzata dei partiti contingenti per ricondurla alla curva
continua ed armonica del partito storico. Questa è una
posizione
di principio, ma è puerile volerla trasformare in ricette di
organizzazione.
Secondo la linea storica noi utilizziamo non solo la conoscenza del
passato
e del presente della umanità, della classe capitalistica e anche della
classe proletaria, ma altresì una conoscenza diretta e sicura del
futuro
della società e della umanità, come è tracciata nella certezza della
nostra dottrina che culmina nella società senza classi e senza Stato,
che forse in un certo senso sarà una società senza partito, a meno che
non si intenda come partito un organo che non lotta contro altri
partiti,
ma che svolge la difesa della specie umana contro i pericoli della
natura
fisica e dei suoi processi evolutivi e probabilmente anche
catastrofici.
La Sinistra comunista ha sempre
considerato
che la sua lunga battaglia contro le tristi vicende contingenti dei
partiti
formali del proletariato si sia svolta affermando posizioni che in modo
continuo ed armonico si concatenano sulla scia luminosa del partito
storico,
che va senza spezzarsi lungo gli anni e i secoli, dalle prime
affermazioni
della nascente dottrina proletaria alla società futura, che noi ben
conosciamo,
in quanto abbiamo bene individuato i tessuti e i gangli della esosa
società
presente che la rivoluzione dovrà travolgere.
La proposta di Engels di adottare la
vecchia buona parola tedesca Gemeinwesen (essere comune, ossia
comunità
sociale) al posto della parola Stato, si ricollegava al giudizio di
Marx
che la Comune non era già più uno Stato, proprio perché non era più
una corporazione democratica. La questione teorica dopo Lenin non ha
bisogno
di ulteriori chiarimenti, e non vi è contraddizione nella geniale
osservazione
che in apparenza
Marx sarebbe molto più statalista di Engels, in
quanto è Marx che ha meglio precisato come la dittatura rivoluzionaria
è un vero Stato munito di forze armate, di polizia repressiva e di una
giustizia in forme politiche e terroristiche che non si lega le mani
con
tranelli giuridici.
La questione si riferisce anche alla condanna
concorde
dei due maestri della idealizzazione revisionista dei socialisti
tedeschi
nella formula stolta del “libero Stato popolare”, che non solo tramanda
fetore di democratismo borghese ma inverte tutta la nozione del
conflitto
inesorabile tra le classi, con la distruzione dello Stato storico della
borghesia e la erezione sulle sue rovine del più spietato, se pure non
rivendicante costituzioni eterne, Stato eversore del proletariato.
Non si è trattato quindi di trovare
un “modello” dello Stato futuro in lineamenti costituzionali o
organizzativi,
cosa altrettanto sciocca come quella che cercava nel primo paese
conquistato
alla dittatura di costruire un modello e degli Stati e delle società
socialiste
in altri paesi.
Ma egualmente vana, e forse più di
tutte le altre, sarebbe l’idea di fabbricare un modello del partito
perfetto,
idea che risente delle debolezze decadenti della borghesia, che,
impotente
nella difesa del suo potere, nella conservazione del suo sistema
economico
che va in pezzi e nello stesso dominio del pensiero dottrinale, si
rifugia
in deformi tecnologismi da robot per ottenere in questi stupidi modelli
formali automatici una sua sopravvivenza, e sottrarsi alla certezza
scientifica,
per cui noi abbiamo scritto sulla sua epoca storica e la sua civiltà la
parola: Morte!
12. - Tra le elaborazioni dottrinali,
che per un momento potremmo chiamare filosofiche, che si inscrivono nel
compito della Sinistra comunista e del suo movimento internazionale, vi
è lo sviluppo di questa tesi a cui abbiamo già recato l’apporto di non
pochi contributi, svolgendo ricerche che la dimostrano coerente alle
posizioni
classiche di Marx, di Engels, di Lenin.
La prima verità che l’uomo potrà
conquistare
è la nozione della futura società comunista. Questo edifizio non chiede
nessun materiale alla infame società presente, capitalista, democratica
o cristianuccia, e non considera patrimonio umano su cui fondare la
pretesa
scienza positiva costruita dalla rivoluzione borghese, che per noi è
una
scienza di classe da distruggere e rimpiazzare pezzo per pezzo, non
diversamente
dalle religioni e dalle scolastiche delle precedenti forme di
produzione.
Nel campo della teoria delle trasformazioni economiche che dal
capitalismo,
la cui struttura ben conosciamo mentre è del tutto ignota agli
economisti
ufficiali, portano al comunismo, facciamo egualmente a meno degli
apporti
della scienza borghese, e la stessa disistima abbiamo della sua tecnica
o tecnologia che si decanta soprattutto dai rimbambiti traditori
opportunisti
come avviata a grandi conquiste. In modo totalmente rivoluzionario
abbiamo
edificata la scienza della vita della società e del suo sbocco futuro.
Quando questa opera della mente umana sarà perfetta, e non potrà
esserlo
se non dopo la uccisione del capitalismo, della sua civiltà, delle sue
scuole, della sua scienza, e della sua tecnologia da ladroni, l’uomo
potrà
per la prima volta scrivere anche la scienza e la storia della natura
fisica
e conoscere dei grandi problemi della vita dell’universo, da quella che
scienziati riconciliati col dogma seguitano a chiamare col nome di
creazione
ai suoi decorsi a tutte le scale infinite ed infinitesime,
nell’indecifrabile
finora avvenire futuro.
13. - Questi ed altri problemi sono
campo
di azione del partito che noi fisicamente teniamo in vita, non indegno
di inserirsi sulla linea stessa del grande partito storico. Ma questi
concetti
di alta teoria non sono espedienti per risolvere piccole beghe e
piccole
umane incertezze, che dureranno purtroppo quanto durerà nelle nostre
file
la presenza di individui circondati e dominati dall’ambiente barbaro
della
civiltà capitalistica. Quindi tali sviluppi non possono essere
adoperati
a spiegare come gradatamente si afferma il modo di vivere del partito
libero
dall’opportunismo, che è contenuto nel centralismo organico e non può
sorgere da una “rivelazione”.
Come patrimonio della Sinistra si potrà
ritrovare in tutte le polemiche condotte contro la degenerazione del
Centro
di Mosca questa evidente tesi marxista. Il partito è al tempo stesso un
fattore ed un prodotto dello svolgimento storico delle situazioni, e
non
potrà mai essere considerato come un elemento estraneo ed astratto che
possa dominare l’ambiente circostante, senza ricadere in un nuovo e più
flebile utopismo.
Che nel partito si possa tendere a dare
vita ad un ambiente ferocemente antiborghese, che anticipi largamente i
caratteri della società comunista, è una antica enunciazione, ad
esempio
dei giovani comunisti italiani fin dal 1912.
Ma questa degna aspirazione non potrà
essere ridotta a considerare il partito ideale come un falansterio
circondato
da invalicabili mura.
Nella concezione del centralismo
organico
la garanzia della selezione dei suoi componenti è quella che sempre
proclamammo
contro i centristi di Mosca. Il partito persevera nello scolpire i
lineamenti
della sua dottrina, della sua azione e della sua tattica con una
unicità
di metodo al di sopra dello spazio e del tempo. Tutti coloro che
dinanzi
a queste delineazioni si trovano a disagio hanno a loro disposizione la
ovvia via di abbandonare le file del partito. Nemmeno dopo avvenuta la
conquista del potere possiamo concepire la iscrizione forzata nelle
nostre
file; è perciò che restano fuori dalla giusta accezione del centralismo
organico le compressioni terroristiche nel campo disciplinare, che non
possono non copiare il loro stesso vocabolario da abusate forme
costituzionali
borghesi, come la facoltà del potere esecutivo di sciogliere e di
ricomporre
le formazioni elettive – tutte forme che da molto tempo si considerano
superate non diremo per lo stesso partito proletario, ma perfino per lo
Stato rivoluzionario e temporaneo del proletariato vittorioso.
Il
partito
non ha da presentare a chi vuole aderirvi piani costituzionali e
giuridici
della società futura, in quanto tali forme sono proprie solo delle
società
di classe.
Chi vedendo il partito proseguire per la sua chiara strada,
che si è tentato di riassumere in queste tesi da esporre alla riunione
generale di Napoli, luglio 1965, non si sente ancora a tale altezza
storica,
sa benissimo che può prendere qualunque altra direzione che dalla
nostra
diverga. Non abbiamo da adottare nella materia nessun altro
provvedimento.