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Il settantesimo anniversario di Livorno 1921 cade nel momento della confessione della natura borghese degli Stati pretesi socialisti dell’est Europa e del partito italiano che chiudendo il suo ciclo storico abbandona oggi qualsiasi richiamo alla tradizione comunista, assumendo anche formalmente i pieni connotati di un partito borghese.
Se ripercorriamo questo ciclo vediamo come la rottura con la tradizione comunista non è l’atto finale, ma il punto di partenza della storia di questo partito. Le sue origini stanno nella controrivoluzione che alla fine degli anni venti ha sopraffatto la grande ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra, affermandosi per via militare la reazione borghese e consolidandosi poi attraverso la degenerazione del Partito, fenomeno questo che ha inibito in seguito la possibilità della controffensiva proletaria.
La rottura fu quella operata dal movimento che per semplicità definimmo "stalinismo", dimostrandosi in tutta la sua virulenza ai vertici del primo Stato proletario e del più forte partito comunista del mondo, quello di Russia.
Facendo seguito ad una serie di sconfitte sul campo dell’esercito proletario in vari paesi di Europa e facendo leva sui vari sbandamenti tattici che l’Internazionale ebbe in quegli anni, lo Stalinismo si impose attraverso la soppressione fisica della vecchia guardia rivoluzionaria e l’utilizzo di un regime di terrore all’interno dei partiti comunisti. Si andarono via via instaurando programmi e metodi d’azione, norme tattiche e organizzative che contraddicevano ai fini della rivoluzione mondiale e spostavano l’asse dei partiti comunisti verso la difesa della politica dello Stato Russo come Stato capitalista nello scacchiere imperialistico mondiale.
Così ad esempio, in palese contrasto con l’indirizzo bolscevico del 1917, il partito cinese fu fuorviato, ad opera della Internazionale stalinista, dalla sua azione autonoma di classe e poi consegnato alla repressione del Kuomintang.
Il proletariato europeo fu chiamato a sostenere prima l’alleanza Mosca-Berlino, alla quale prima di tutto fu sacrificato il proletariato polacco; poi richiamato sui fronti della seconda guerra imperialistica mondiale a scannarsi per gli interessi delle borghesie del blocco alleato. Mai una voce si levò in questa occasione da parte dei rappresentanti della Internazionale in contrapposizione alla guerra per la rivoluzione.
I nuovi dirigenti del partito italiano che, educati a Mosca alla pratica del terrorismo nel partito avevano già operato secondo lo stile dello stalinismo contro la Sinistra, artefice di Livorno, per soffocare la linea rivoluzionaria, sbarcarono in Italia al seguito delle truppe alleate, offrendo appoggio politico alla campagna di guerra.
Fu in questa occasione che a Salerno Togliatti tracciò la linea del "Partito nuovo". Agli antipodi di Livorno il sorgente P.C.I., partito nazionale, considerava decaduta la prospettiva della rivoluzione comunista mondiale e della dittatura del proletariato e si poneva invece di fronte l’obbiettivo della repubblica democratica che avrebbe rappresentato il substrato per una "via nazionale al socialismo". Tale democrazia era da conquistare attraverso l’alleanza di classi e partiti contro l’unico nemico "reazionario": il fascismo e l’hitlerismo; una specie di "secondo risorgimento" italiano del quale i comunisti e il proletariato si sarebbero dovuti fare carico. La parola d’ordine fu per l’unità antifascista che significava adesione ai blocchi interclassisti del partigianesimo e alla guerra di fiancheggiamento delle operazioni degli alleati, piena collaborazione con l’esercito "liberatore" di occupazione, e rifiuto di rivolgere le armi contro i padroni e la borghesia divenuta democratica. Cioè rinuncia alla azione autonoma di classe e sottomissione al nuovo regime statale che andava costituendosi sotto la supervisione delle potenze alleate.
Chiunque avesse pensato di imbracciare le armi per gli obbiettivi tracciati a Livorno, vivi ancora nelle menti dei proletari, dovette presto fare i conti con la repressione dell’esercito alleato e dell’apparato del sedicente Stato democratico.
Tutta la storia del P.C.I. fino ad oggi è segnata in questi antecedenti brevemente descritti.
Divenuto grande partito di massa la sua funzione è sempre stata quella di inchiodare il proletariato al regime capitalistico e di tenerlo lontano dalla prospettiva rivoluzionaria come fu sul finire della guerra e nei duri anni della ricostruzione che seguirono. Ma i modi con cui questa funzione venne svolta si modificarono nel tempo. Fino ad un certo punto fu necessario fare credere agli operai che il Partito aspettava solo il momento opportuno per rilanciare la controffensiva contro la borghesia e il suo apparato. Poi, cessata l’emergenza della ricostruzione, si cominciò a parlare dell’alleanza coi ceti medi per deviare il proletariato dalle sue rivendicazioni autonome di classe e furono messe innanzi le riforme come un approccio progressivo alla società socialista.
Dopo la stagione della guerra fredda vennero le vittorie elettorali e il grande partito di massa che piano piano metteva le mani sulle amministrazioni locali e aumentava i suoi deputati in parlamento; si alimentava così l’illusione di un progressivo avvento al potere della classe lavoratrice.
A questo procedere del P.C.I. si è accompagnato anche il progressivo abbandono del richiamo alla tradizione rossa e alla prospettiva stessa del socialismo il che corrisponde anche allo sradicarsi di questa nel proletariato. Le generazioni si avvicendano e quelle odierne sentono molto meno di quelle passate il legame con un filo interrotto da molti decenni di pratica collaborazionista.
Tanto più che di fronte alla crisi economica, in cui l’azione del P.C.I. è rivolta al continuo martellamento per ottenere il sacrificio delle masse lavoratrici in nome dell’economia nazionale, non è più sufficiente agitare la bandiera rossa e mostrare la falce e il martello per commuovere i giovani proletari. Il PCI è visto nella sua vera luce, come qualsiasi altro partito borghese; tanto vale liberarsi anche del nome, troppo ingombrante per "fare politica" all’interno del sistema di potere borghese. Perché la parola "comunismo" pur che lo si voglia sconfitto e allontanato dalla storia, evoca sempre lo spettro terribile della rivoluzione e della dittatura proletaria.
Così a 70 anni di distanza non abbiamo più da rinfacciare Livorno
al partitaccio, perché esso per primo se ne dichiara allontanato per
sempre.
Come sempre abbiamo invece da riproporre il suo programma
particolarmente
alle nuove generazioni di proletari perché, al di là dei simboli, di
cui chiunque può appropriarsi, vi riconoscano il percorso di
emancipazione
della propria classe.
La mattina del 21 gennaio 1921 fu reso noto ufficialmente l’esito della votazione, tenutasi la sera precedente, quinto giorno del XVII Congresso Nazionale del P.S.I.
Su 172.487 votanti, 98.028 erano stati espressi a favore della Mozione di Firenze dei "comunisti unitari"; 58.783 alla Mozione di Imola dei "comunisti puri"; 14.695 ai destri della Mozione di Reggio, detti "concentrazionisti". Gli astenuti erano stati 981.
Immediatamente dopo la lettura dei risultati, Polano, a nome della Federazione Giovanile, prese la parola: «Compagni, da 13 anni la Federazione giovanile socialista italiana aderisce al Partito socialista. In questo momento in nome del Comitato centrale della Federazione io devo dichiarare che, interpretando il voto del nostro ultimo Consiglio nazionale, dietro le risultanze di questo congresso la Federazione giovanile socialista scioglie ogni impegno col Partito e delibera di seguire le deliberazioni che prenderà la frazione comunista».
La Frazione Comunista, infatti, con decisione unilaterale ed antidemocratica, dopo che la maggioranza del partito (detta dei "comunisti unitari") aveva respinto le condizioni dettate dal II Congresso dell’Internazionale Comunista, decideva il suo distacco dal P.S.I. per fondare il Partito Comunista d’Italia (Sezione dell’Internazionale Comunista).
Il rappresentante dei comunisti aveva, di fronte al congresso, annunciato: «La Frazione comunista dichiara che la maggioranza del Congresso col suo voto si è posta fuori dalla Terza Internazionale Comunista. I delegati che hanno votato la mozione della frazione comunista abbandonino la sala e sono convocati alle 11 al Teatro S. Marco per deliberare la costituzione del partito comunista, sezione italiana della Terza Internazionale».
Non valsero i dozzinali metodi di contraffazione a mascherare l’opportunismo dei centristi, non fu sufficiente autodefinirsi "comunisti", come non fu sufficiente dichiarare, come fece Serrati, che il congresso aveva segnato uno spostamento del P.S.I. verso... sinistra. «Noi affermiamo – aveva dichiarato Serrati – che questo nostro congresso non è stato un passo a destra: è stato un passo a sinistra. Noi affermiamo che questa è la volontà, che non desisteremo assolutamente da quelli che sono i nostri principi, ma per necessità storica, la nostra volontà è di trascinare verso sinistra tutti quanti, perché verso sinistra non vanno le volontà degli uomini, ma le necessità dei fatti (...) con noi sono le masse, con noi sono i tempi, con noi la rivoluzione».
La frazione comunista sapeva bene di che panni si vestiva l’opportunismo e, quindi, non ebbe alcuna esitazione sulla scelta del campo. Aderendo in modo leale e totale alle 21 condizioni poste dal II Congresso di Mosca, respinse le manovre dei cosiddetti "comunisti unitari" che, in nome dell’unità della classe operaia, tentavano di coniugare la dottrina rivoluzionaria con la peggiore della pratiche riformiste.
Il primo conflitto imperialistico mondiale aveva aperto l’era della rivoluzione proletaria internazionale. Il proletariato di Russia, sotto la direzione del partito bolscevico, aveva preso il potere nell’Ottobre 1917. Nel gennaio 1919 a Berlino furono gli Spartachisti a tentare l’assalto al cielo; il 7 aprile, a Monaco, era stata proclamata la repubblica dei soviet. Il 21 marzo era stata la volta dell’Ungheria. Era su questo scenario internazionale, dove le armate del proletariato e quelle del capitalismo si fronteggiavano, che si dovevano inquadrare i reparti del proletariato italiano. Le due classi storicamente avverse facevano tesoro della propria e dell’altrui esperienza o per evitare la distruzione del proprio apparato economico e politico, o perché il programma rivoluzionario si compisse «come gloriosamente il bolscevismo russo, gli spartachisti, i comunisti bavaresi (avevano) tentato di fare, con diversa fortuna» (Dal discorso del rappresentante "astensionista" al Congresso di Bologna, 1919).
Ma se la esigenza irrinunciabile della costituzione del partito comunista epurato dall’opportunismo, palese o mascherato, in Italia fu enunciato soltanto negli anni successivi alla rivoluzione bolscevica dell’Ottobre ’17, ciò non toglie che già da molti anni, all’interno del movimento socialista, agisse una corrente di estrema sinistra, autenticamente marxista, ed è a questa corrente che dobbiamo riferirci per rintracciare le origini storiche del partito comunista di Livorno.
Il Partito Socialista si era costituito a Genova nel 1892 raggruppando le tendenze marxiste del movimento proletario che si separarono dai gruppi anarchici. Nato in un periodo di relativa tranquillità sociale non fu mai chiara l’impostazione del suo programma circa "la conquista dei pubblici poteri", suscettibile di doppia interpretazione: legalitaria o rivoluzionaria. In un primo periodo l’opposizione alla politica riformista dei Turati, Treves, ecc. fu portata avanti da una corrente sindacalista-rivoluzionaria d’ispirazione soreliana, ma, dopo che al Congresso di Firenze nel 1908 tale corrente venne allontanata dal Partito, si irrobustì all’interno del P.S.I. una tendenza marxista ortodossa e radicale che non risentiva né delle deviazioni riformiste, né di quelle soreliane.
«Tale corrente riuscì dopo alcuni anni ad avere la maggioranza nelle organizzazioni del Partito e si affermò fin dal Congresso di Modena del 1911. La frazione che si deminò rivoluzionaria e intransigente, aveva una precisa politica contraria alla collaborazione di classe ed ai blocchi elettorali; era avversa fieramente ad ogni partecipazione del Partito al Governo e ad ogni appoggio parlamentare a questo; si richiamava ai cardini della dottrina marxista nel senso del Manifesto dei comunisti, ma, per ragioni di natura storica, non possedeva una aperta elaborazione della teoria della conquista del potere. Nel 1912, al Congresso di Reggio Emilia, la sinistra con una prima vittoriosa battaglia liquidò il gruppo d’estrema destra: Bissolati, Cabrini e Bonomi per avere sostenuto la partecipazione ai governi del Re. Podrecca per avere aderito alla guerra imperialista di Tripoli. Nel 1914, il Partito, che aveva a capo ufficiale della tendenza rivoluzionaria Benito Mussolini, direttore dell’"Avanti!", nel Congresso d’Ancona ribadì alcune posizioni di sinistra ripudiando i compromessi elettorali anche nei ballottaggi e nelle elezioni amministrative, e stabilendo l’incompatibilità con la massoneria e le sue ideologie di anticlericalismo borghese e confusionistico» ("Prometeo", n. 1, luglio 1946).
Fu certamente merito di questa tradizione di sinistra intransigente se allo scoppio della guerra, il Partito Socialista Italiano poté evitare di cadere nella politica capitolarda di collaborazione nazionale come avevano fatto i grandi P.S. di Germania e Francia ed altri ancora. È vero, la politica adottata, secondo l’infelicissima formula di Lazzari: "Né aderire, né sabotare", era sintomo di un opportunismo malcelato, ma fu pur vero che il partito restò comunque avverso alla guerra e quando, nell’ottobre 1914, il rinnegato Mussolini passava all’interventismo, venne immediatamente espulso senza seguito alcuno.
Già durante la guerra si andò selezionando una corrente d’estrema sinistra, quella che poi prenderà il nome di astensionista, che in vari congressi, legali ed illegali (Bologna 1915, Firenze 1917, Roma 1918), sostenne la posizione del disfattismo rivoluzionario, ancor prima che ne avesse data la parola Lenin stesso. Questa corrente, fin dal novembre 1914 aveva parlato della necessità di «una nuova Internazionale con il programma massimo comunista», ponendo il problema della ricostruzione del partito e dell’Internazionale.
Al Congresso di Bologna del 1919, sospinto dagli avvenimenti rivoluzionari che sconvolgevano l’Europa e dai movimenti delle masse operaie, il P.S.I. aderì alla III Internazionale ed "accettò" il programma comunista, ma non per questo apportò alcun cambiamento alla sua struttura organizzativa ed ai suoi metodi di azione politica. La frazione astensionista che si era trovata al fianco di Lenin sia contro l’aperto tradimento della destra, sia contro la falsa sinistra rivoluzionaria, presentò al congresso una mozione in cui si chiedeva che il P.S.I. abbandonasse il vecchio nome per prendere quello di Partito Comunista d’Italia e che si espellessero dal partito tutti coloro che proclamavano possibile l’emancipazione proletaria all’interno del regime democratico e che rifiutavano il mezzo della lotta armata contro la classe borghese per l’instaurazione della dittatura proletaria.
La mozione chiedeva inoltre che il partito, pur sfruttando attivamente le campagne elettorali per propagandare la politica rivoluzionaria comunista, si astenesse dal partecipare alle elezioni. La partecipazione alle elezioni avrebbe solo illuso i lavoratori prospettando loro la possibilità di realizzare una qualche conquista politica per via legal-democratica, cosa che avrebbe distratto il proletariato dalla preparazione ideale e materiale alla lotta rivoluzionaria. La posizione dei comunisti astensionisti fu netta: le energie del partito non dovevano essere sprecate per guadagnare dei seggi parlamentari, pochi o molti che fossero, ma, al contrario, le forze del partito dovevano mobilitarsi per «a) precisare e diffondere nella classe operaia la consapevolezza storica della necessaria realizzazione integrale del programma comunista; b) allestire gli organi proletari e i mezzi pratici di azione e di lotta necessari al raggiungimento di tutti i suoi successivi capisaldi programmatici» (Mozione della Frazione comunista astensionista, Bologna 1919).
Fu nelle elezioni del 1919 che, in Italia, si votava per la prima volta con il metodo proporzionale, metodo che avrebbe permesso ai partiti di massa di ottenere risultati mai sperati precedentemente. Cattolici, giolittiani e nittiani tentarono di fare presa sull’elettorato sbandierando la loro opposizione alla guerra, ma si sapeva che il grande vincitore del torneo elettorale sarebbe stato il partito socialista. E, la borghesia, nella sua maggioranza era ben felice che 156 deputati socialisti entrassero a cantare Bandiera Rossa nelle due camere del parlamento, mentre il reuccio sculettava di simpatia per la loro alla destra nella speranza di attrarla in una combinazione di gabinetto. Gli unici a temere la vittoria elettorale del P.S.I. erano i comunisti rivoluzionari.
Il "Soviet" già nel febbraio aveva messo in guardia sia il partito sia il proletariato della "illusione elezionista" secondo cui si sognava che una volta ottenuta la maggioranza, se ottenuta, «i deputati socialisti avrebbero poi con una brava legge tranquillamente spazzato via i poteri borghesi e con tutte le debite formalità legali si sarebbero, in nome del proletariato, impossessati del potere». Il "Soviet" commentava: «Povera rivoluzione proletaria in berretto da notte e pantofole, con un tantino di reumatismo e qualche dente caduto» (9 febbraio 1919).
Tutti i delegati al Congresso che aspiravano come minimo ad un posto di consigliere comunale fecero un blocco compatto contro gli astensionisti che pure si erano dichiarati pronti ad abbandonare la loro posizione anti-elettorale qualora la destra fosse stata espulsa dal partito: il blocco, da Turati, a Serrati, all’"Ordine Nuovo", era per la partecipazione alle elezioni, ma nello stesso tempo contro ogni scissione e, di conseguenza, contro la formazione di un autentico partito di classe.
Il P.S.I. come uscì dal congresso di Bologna non era per nulla dissimile dagli altri partiti socialdemocratici naufragati nel patriottismo. Il Congresso di Bologna, con il nuovo programma ma tollerando al suo interno i riformisti, aveva solo dato una verniciatura rivoluzionaria ad un organismo opportunista.
Nel messaggio al congresso di Bologna, l’Internazionale aveva dichiarato: «Ciò che è necessario è la chiarezza degli scopi e dei programmi. La dittatura del proletariato, nella forma dei soviet, la distruzione dei parlamenti borghesi-democratici, che sono le armi della dittatura borghese, la creazione dell’armata rossa, tali sono i compiti per i quali si unisce internazionalmente il proletariato rivoluzionario». In risposta alla richiesta di chiarezza dei principi, il Congresso di Bologna ribadiva l’unità organizzativa con quella ala destra che proclamava, senza mezzi termini, che la tattica comunista era o una puerilità oppure una pazzia.
La Frazione Comunista Astensionista, nel maggio 1920, tenne a Firenze una conferenza nazionale. Gli interventi a questo convegno di Gramsci per l’"Ordine Nuovo" e Gennari per la maggioranza massimalista non portarono, ancora una volta, ad alcuna possibilità di accordo. La frazione elaborò le sue tesi che sottolineavano nuovamente la necessità della nascita del partito comunista.
Il rappresentante dei comunisti astensionisti italiani fu invitato direttamente dall’Internazionale a partecipare al suo II Congresso. Qui, pur ribadendo le classiche posizioni astensioniste secondo cui, in applicazione dei principi marxisti, nei paesi dove il regime democratico si era da molto tempo sviluppato, l’agitazione per la dittatura proletaria fosse basata sul boicottaggio delle elezioni e degli organi democratici borghesi, il rappresentante della estrema sinistra italiana dichiarò che la frazione si sarebbe disciplinata alle risoluzioni del congresso. A conferma di ciò il "Soviet" del 31 ottobre 1920 in un articolo intitolato "La Disciplina nell’Internazionale" affermava la piena adesione al II Congresso del Comintern e dichiarava che gli astensionisti, una volta costituito il partito comunista, avrebbe partecipato, senza alcuna riserva, alle elezioni.
Il 1920 fu l’anno del travaglio interno del P.S.I. che vide collocarsi sulle linee di principio e di tattica dell’Internazionale Comunista, della quale unica portavoce in Italia era la Frazione Astensionista, anche gruppi e singoli compagni che a Bologna si erano accodati al blocco massimalista. Così, a Mosca, furono poste le basi per la costituzione di una frazione comunista formata dagli astensionisti, dagli ordinovisti e da una parte di massimalisti. Sempre a Mosca avvenne la definitiva rottura con Serrati che, ancora una volta, si pronunciò contro l’espulsione dal partito dei riformisti. E questo fatto, come abbiamo altre volte affermato, ebbe un peso positivo, perché il nuovo partito comunista poté essere costituito scartando ogni elemento sia riformista, sia centro-massimalista.
In una lettera del 23 ottobre 1920, Zinoviev riconosceva alla Frazione Comunista Italiana il pieno consenso dell’Internazionale dichiarando che il suo programma era «l’unico serio appoggiato dall’I.C. in Italia». Esaminando le posizioni dei massimalisti ("comunisti unitari") dichiarava che l’unico modo che essi avevano per dimostrare il loro comunismo era quello di aderire alla frazione comunista: «O con il comunismo, o con il riformismo. Non esiste un terzo intermedio» ("Avanti!", Ed. torinese, 23 novembre 1920). Sempre Zinoviev, in una lettera precedente, aveva definito "una sfida" all’Internazionale l’organizzazione dei massimalisti in "Frazione Comunista Unitaria" ed aveva ammonito: «Non possiamo ammettere nessuna doppiezza, nessun equivoco, nessuna concessione» ("Avanti!", Ed. milanese, 4 novembre 1920). Il Comitato Esecutivo del Comintern, in un appello a tutti i membri del P.S.I. (novembre 1920) dichiarava: «In Italia, recentemente, sono saltati fuori fautori dell’unità d’ogni sorta, a spaventarvi e a convincervi che una rottura con i riformisti ci avrebbe indebolito. È un’assurdità. La scissione dagli agenti del capitale per noi non è un danno ma un vantaggio (...) La nostra controversia con i riformisti e con i semi-riformisti non verte sulla necessità o meno di accettare i 21 punti, o di accettarne 18, o 2 e mezzo. Il nostro scontro con i riformisti verte sulla questione se il nostro partito debba essere l’avanguardia militante del proletariato nella sua lotta per il comunismo, o se invece debba rimanere, come pensano i riformisti, un balocco nelle mani dei rappezzatori piccolo-borghesi del regime capitalistico».
Alla Conferenza d’Imola (novembre 1920) si costituì definitivamente la Frazione Comunista del P.S.I. che accettava senza riserve tutti i deliberati del II Congresso Internazionale, tra cui le 21 condizioni di ammissione all’Internazionale e l’espulsione dei riformisti dal partito. L’obiettivo di questa nuova organizzazione non era quello della conquista della maggioranza dei voti al prossimo congresso, ma quello di preparare l’ossatura di un vero partito comunista che sarebbe potuto uscire solo dalla aperta scissione tra i seguaci dell’Internazionale e tutti gli altri.
Nel frattempo anche i riformisti, in un convegno a Reggio Emilia, si erano organizzati in frazione di "concentrazione socialista"; lo stesso fecero i massimalisti organizzando la corrente "comunista unitaria". Così al Congresso di Livorno il Partito Socialista si presentò diviso in tre frazioni, con tre distinte mozioni già precedentemente deliberate.
A Mosca, Serrati non aveva fatto altro che ripetere a Lenin che i riformisti italiani non erano affatto paragonabili ai menscevichi russi, che si sarebbero disciplinati al partito e che non avrebbero sabotato la rivoluzione. Nella loro mozione i riformisti, infatti, dichiararono di accettare le 21 condizioni di Mosca, la dittatura del proletariato «come necessità transitoria» e perfino, in determinate situazioni, l’uso della violenza per la conquista del potere. Dichiararono inoltre di sottomettersi ad una «rigida disciplina nell’azione deliberata dalla maggioranza del partito e dai suoi organi competenti». Lo scopo di queste dichiarazioni era evidente e palese, infatti "La Giustizia" organo della frazione aveva dichiarato: «bisogna entrare nella III Internazionale e lavorare concordi perché le decisioni prese nel 2° congresso di Mosca vengano modificate» (12 maggio 1920).
Serrati, a difesa dell’unità del partito usava le armi della polemica spicciola dichiarando che i veri opportunisti si trovavano all’interno dell’I.C., che i partiti comunisti di Germania e Francia erano pieni di ex fautori della guerra, di massoni e di riformisti.
Se a Livorno Turati fece un discorso di principi difendendo con coerenza la politica del riformismo e dimostrò che il riformismo in Italia non era una invenzione, ma una teoria e una pratica che veniva imposta al partito, al contrario, Serrati non fece nessun discorso programmatico, abbandonandosi quasi esclusivamente alla denigrazione dell’Internazionale, anche con argomentazioni prese a prestito dal repertorio usato dalla borghesia per denigrare la Russia sovietica. L’unità del partito era solo una maschera dietro la quale l’ala sinistra dell’opportunismo tentava di nascondersi. I massimalisti in nome dell’unità preferirono accodarsi ai 14.000 socialdemocratici e staccarsi dai 58.000 comunisti e dall’Internazionale. Il vero problema era un altro: i massimalisti non potevano aderire all’Internazionale perché il loro programma era in netto contrasto con quello dell’Internazionale.
La Frazione Comunista Italiana avrebbe preferito che, da parte dell’Internazionale, si fossero adottate delle condizioni di adesioni ancora più rigide e si stupì della eccessiva elasticità con cui fu permesso l’ingresso nei partiti comunisti ad elementi con un passato notoriamente controrivoluzionario. Ma i comunisti italiani non si sognarono certo di combattere il periodo opportunista aprendo le porte all’opportunismo – come richiedeva Serrati – al contrario, di condurre all’interno dell’Internazionale una tenace battaglia in difesa dei principi del marxismo rivoluzionario.
La fondazione del Partito Comunista d’Italia, all’indomani di quella del PC tedesco ad Halle e francese a Tours, al contrario di quanto avvenne in questi ultimi, fu una scissione operata a sinistra, senza obbedire a calcoli opportunistici, peraltro pagati a caro prezzo da quei partiti. In Italia, come negli altri paesi, la scissione avvenne sull’atteggiamento assunto di fronte alla guerra e di fronte alla rivoluzione russa (formule abbastanza vaghe), così, anche se i 21 punti di Mosca si presentavano come una potente barriera contro l’infiltrazione opportunista, il riconoscimento di "particolarità nazionali" lasciò che nel seno dei partiti comunisti venissero accolti anche elementi socialpatrioti come Cachin e Frossard. Anche in Italia avremmo preferito fare una scissione più a sinistra senza portarci dietro elementi la cui ideologia era chiaramente non marxista; ma non si poté procedere ad una eliminazione nei confronti delle posizioni un tempo tenute dall’"Ordine Nuovo" anche perché l’"Ordine Nuovo" aveva completamente aderito alla elaborazione teorica della frazione astensionista. Compito della Frazione Astensionista non era quello di creare un partito perfetto in Italia, ma di spostare la sua azione politica su scala internazionale. E ciò fece all’interno dell’Internazionale respingendo le vie delle manovre e dei compromessi che avrebbero soffocato, e soffocarono, le divergenze politiche e la stessa possibilità di chiarirle.
La maggiore attività della Sinistra italiana si basò non tanto sulle sorti del movimento in Italia, ma su quelle del movimento comunista internazionale sostenendo che le soluzioni di principio e di metodo, anche quando si trattava di chiarire le linee delle vicende in un dato paese, dovessero essere tracciate dall’organismo internazionale e non dalla consultazione democratica del partito locale. Chiaro esempio fu l’atteggiamento del PCd’I nei confronti delle elezioni. L’Internazionale decise che si dovesse prendere parte alle elezioni: da quel momento la Sinistra italiana condusse quella battaglia in maniera leninista, richiamando all’ordine gli elezionisti ante litteram quando spinti da motivazioni opportunistiche di carattere personale, tentarono di teorizzare il metodo astensionista. Non condividemmo l’audace piano di Lenin cui parve opportuno battersi contro il pericolo del settarismo piuttosto che contro quello del flessibilismo. Lenin puntava sulla rivoluzione in Europa senza la quale, giustamente, sapeva che anche quella russa avrebbe dovuto soccombere. Noi, poiché consideravamo che l’ondata rivoluzionaria fosse ormai in fase di riflusso, puntavamo tutto sulla salvezza del partito. La completa bancarotta rivoluzionaria a scala mondiale sta a dimostrare come l’uso della consegna di Lenin circa la flessibilità degenerò in un abuso analogo a quello che Lenin stesso aveva imputato ai traditori del tipo Kautsky e C., e come i falsi leninisti abbiano distrutto, in una volta, sia il partito sia la rivoluzione internazionale.
Il piano audace di Lenin di creare dei partiti di massa nei paesi capitalistici (piano che non lasciò mai spazio a patteggiamenti con la socialdemocrazia o alla diluizione del programma rivoluzionario) si basava sulla necessità di salvare la rivoluzione bolscevica esportandola fuori dai confini della Russia, approfittando dei possenti moti proletari che facevano tremare la borghesia internazionale. I giovani partiti comunisti avrebbero avuto modo di temprarsi al fuoco stesso della lotta. Mancando però la lotta rivoluzionaria e capi della potenza di Lenin, la tattica della souplesse servì all’opportunismo per infiltrarsi nei centri dell’Internazionale Comunista e strangolare dall’interno i partiti rivoluzionari. Certo è che se non è da imputarsi all’atteggiamento souple di Lenin la sconfitta della rivoluzione, l’esperienza della terza degenerazione opportunista impone una più netta delimitazione della base su cui dovrà risorgere il futuro partito comunista della rivoluzione mondiale.
Ricordare Livorno, da parte nostra, non significa quindi commemorarlo, ma trarne i dovuti insegnamenti per il futuro del partito e dell’azione rivoluzionaria. «Da quanti decenni invochiamo che siano tolte di mezzo dal campo marxista le commemorazioni? Noi siamo i commemoratori d’un futuro su cui i filistei anelano di vomitare la loro bava» ("Programma Comunista", n. 1/1961).
Commemoratori del futuro, fedeli a Livorno ed ai suoi principi
affermiamo
che il grande partito comunista di domani non potrà più rinascere come
nacque a Livorno, ma dovrà fare tesoro della esperienza e della teoria
elaborata dall’unica corrente rimasta fedele ai principi del marxismo
rivoluzionario:
la Sinistra Comunista d’Italia.
Qui di seguito riportiamo una serie di documenti inerenti alla nascita del Partito Comunista d’Italia. Dalla lettura delle pagine che seguono si vede come la condotta della Sinistra Italiana sia stata sempre lineare e totalmente disciplinata con le direttive marxiste rivoluzionarie emanate dalla III Internazionale.
Tutti i comunisti, sia a Mosca sia in Italia, avevano la lucida convinzione che dalla scissione con i riformisti e con i massimalisti non vi sarebbe stato niente da perdere, anzi, tutto da guadagnare per le buone prospettive rivoluzionarie. Un’altra cosa, infine, era assodata e cioè che non ci sarebbe stato nessun rimpianto per la "forza" numerica (ante-Livorno) compromessa. Naturalmente il vecchio partito aveva una somma d’aderenti, di seguaci e soprattutto di elettori ben maggiore di quella che avrebbero potuto avere dopo la scissione i due partiti. Ed infatti l’argomento che prima della scissione il fronte proletario avrebbe potuto contare su di una base ben più estesa era già stato avanzato in maniera demagogica dai massimalisti del tipo Serrati, ma irrevocabilmente respinto da tutti i scissionisti, da Lenin e da noi.
Non ci furono, di conseguenza, esitazioni a preparare e ad attuare la rottura del vecchio partito e, quindi, a spezzare il fronte proletario: non è nell’unità statistica, ma in quella rivoluzionaria, che si realizza il vero "fronte unico dei lavoratori", a patto però che sia stato precedentemente sbarazzato il terreno dall’opportunismo collaborazionista e demagogico.
Gli appelli dell’Internazionale Comunista parlano chiaro: «Il partito italiano deve diventare comunista nel vero senso della parola, e cioè un partito che conduca all’insurrezione e ne assuma la guida (...) Fate piazza pulita dei traditori e dei titubanti» (22 settembre 1920). «In Italia recentemente sono saltati fuori ’fautori dell’unità’ d’ogni sorta (...) La scissione dagli agenti del capitale per noi non è un danno ma un vantaggio. Combattendo contro i capitalisti con una mano, coll’altra dobbiamo, senza perdere un attimo, portare a termine quell’epurazione dei riformisti e dei semi-riformisti dalle nostre organizzazioni senza la quale esse non possono divenire organi delle masse proletarie» (novembre 1920). «La Frazione Comunista Italiana, che ha tenuto poco tempo fa ad Imola un’assemblea, è l’unica che ha posto il problema in termini precisi. Chi vuole rimanere fedele all’Internazionale Comunista, deve sostenere tale frazione» (gennaio 1921).
«Disgraziatamente l’azione della frazione dei comunisti unitari è stata la realizzazione delle più sfavorevoli previsioni per lo meno per quanto si riferisce ai capi. In nome dell’unità con i riformisti, i capi degli unitari sono di fatto pronti a separarsi dai comunisti e quindi anche dall’Internazionale Comunista (...) Coloro che vogliono far entrare i riformisti nell’Internazionale Comunista vogliono, in realtà, la morte della rivoluzione proletaria. Costoro non saranno mai dei nostri» (21 gennaio 1921).
Non vi è dunque la minima possibilità di malinteso su quelle che erano le reali volontà dell’Internazionale e cioè taglio netto, e senza rimpianti, non solo con i riformisti dichiarati, ma anche con tutti coloro che nascondevano il loro falso sinistrismo dietro le parole di "intransigente", "comunista"; perché le parole non significano niente se a queste enunciazioni non corrisponde una dottrina, un programma ed una tattica veramente rivoluzionaria.
Circa le tesi, del maggio 1920, della Sezione Socialista di
Torino,
dobbiamo chiarire che la maggioranza di detta sezione aderiva alla
Frazione
Astensionista che aveva stabilito una intesa con il gruppo dell’"Ordine
Nuovo". Da questa intesa era nato il Consiglio Direttivo che aveva
proposto
le tesi. Queste tesi furono citate come perfettamente conformi al
programma
della Internazionale Comunista nella risoluzione del II Congresso, al
punto
17, sui compiti principali dell’Internazionale.
Mozione della Frazione Comunista Astensionista
(Dal resoconto)
«Il XVI Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano dichiara che il programma costitutivo di Genova del 1892 non risponde più alle esigenze della vita e dell’azione del partito;
delibera che il partito faccia parte integrante dell’Internazionale Comunista accettandone il programma costitutivo di Mosca ed impegnandosi ad osservare la disciplina dei congressi internazionali comunisti;
dichiara incompatibile la presenza nel partito di coloro che proclamano la possibilità dell’emancipazione del proletariato nell’ambito del regime democratico e ripudiano il metodo della lotta armata contro la borghesia per la instaurazione della dittatura proletaria;
delibera che il partito assuma il nome di PARTITO COMUNISTA e adotti il programma che segue, nel quale, sulla base delle dottrine fondamentali bandite nel Manifesto dei Comunisti nel 1848, e delle direttive politiche sulle quali procedono le rivoluzioni contemporanee, sono prospettati gli sviluppi storici del trapasso dal presente ordine sociale a quello comunista, ed è stabilito il compito del partito nelle diverse fasi del processo;
delibera che il partito si astenga dalle lotte elettorali
intervenendo
nei comizi a propagandare le ragioni di tale suo atteggiamento, ed
impegna
tutti gli organi e le forze del partito all’opera:
a) di precisare e diffondere nella classe operaia la consapevolezza
storica della necessaria realizzazione integrale del programma
comunista;
b) di allestire gli organi proletari e i mezzi pratici di azione e
di lotta necessari al raggiungimento di tutti i suoi successivi
capisaldi
programmatici».
Esito della votazione
(dal "Almanacco Socialista", 1920)
Hanno votato 1418 sezioni rappresentanti 66.708 soci.
Per l’o.d.g. Serrati, massimalista elezionista:
sez. 1.012, voti 48.411
Per l’o.d.g. Lazzari, massimalista unitario: sez.
339, voti 14.880
Per l’o.d.g. Bordiga, massimalista astensionista:
sez. 67, voti 3.417
I destri bloccarono sulla mozione Lazzari.
Deliberazione della Frazione Astensionista dopo il voto 8 ottobre
1919
(Da "Il Soviet" del 20 ottobre 1919).
(Dopo il voto favorevole, con grande maggioranza, alla tendenza Serrati, la frazione adottò con voto unanime il seguente deliberato):
I delegati al XVI Congresso Nazionale Socialista aderenti alla frazione Comunista Astensionista;
visto il deliberato col quale la grande maggioranza del Congresso ha adottato la tattica elezionista e riconfermando il loro punto di vista secondo il quale una simile tattica contraddice al programma massimalista, ai metodi della Terza Internazionale ed alla preparazione dell’azione rivoluzionaria del proletariato italiano; ed è inevitabile una netta separazione tra i seguaci del metodo social-democratico e quelli del metodo comunista;
deliberato di proporre alle Sezioni da loro rappresentate di rimanere nel seno del Partito Socialista Italiano rinunciando per disciplina ad agitare nella massa la propaganda dell’astensione elettorale;
dichiarano costituita la Frazione Comunista Astensionista nel partito, invitando tutte le sezioni ed i gruppi che ne condividono il programma presentato al congresso a farvi adesione.
Passano a discutere sulle funzioni e sul compito che la sezione dovrà esplicare.
* * *
"Il Soviet", organo degli astensionisti (che usciva a Napoli dal dic. 1918), così concludeva il suo commento al congresso:
«La Frazione Comunista Astensionista, costituitasi subito dopo il
voto
del congresso, ispirandosi nella sua azione ad una bene intesa e
dignitosa
disciplina, come risulta dai deliberati che pubblichiamo, continuerà a
svolgere, nel seno del Partito e fuori di esso, la sua opera,
attendendo
che venga presto l’ora in cui, sorpassati i piccoli dissensi tattici
tra
i veri rivoluzionari ed eliminati gli elementi avversi, si possa
procedere
tutti concordi verso la grande meta».
Risoluzioni della Frazione Comunista
Astensionista
alla Conferenza di Firenze
Furono presenti alla conferenza oltre ai delegati delle sezioni e gruppi del P.S.I. aderenti alla frazione, e al Comitato Centrale di questa, anche: Egidio Gennari per la Direzione del Partito; Capitta per la Federazione Giovanile Socialista; Francesco Misiano per la tendenza che al Congresso Socialista, tenutosi pochi giorni prima a Milano, si era affermato sull’o.d.g. da lui presentato in senso comunista non astensionista; Antonio Gramsci per coloro che in tale occasione votarono contro la fiducia alla Direzione del Partito. Fu letto un appello del segretario occidentale dell’Internazionale Comunista, che concludeva per la costituzione di un Partito Comunista capace, al di sopra delle divergenze su problemi minori come l’elezionismo, di guidare il proletariato italiano «alla conquista del potere ed alla instaurazione della Repubblica Italiana dei Soviet, come parte della Repubblica dei Soviet mondiale». Era il primo passo verso la costituzione della Frazione Comunista, che avverrà in ottobre.
La Conferenza Nazionale della Frazione Comunista Astensionista del Partito Socialista Italiano, adunata a Firenze l’8-9 maggio 1920,
udita la relazione nel Comitato Centrale e le comunicazioni dei rappresentanti della Direzione del Partito, delle frazioni affini e della Federazione Giovanile; in seguito al più largo dibattito sulla situazione politica Italiana e sull’indirizzo del P.S.I. dichiara che il partito, per la sua attuale costituzione e funzione, non è assolutamente in grado di porsi alla testa della Rivoluzione Proletaria e che le sue molteplici deficienze dipendono: dalla presenza in esso di una tendenza riformista che inevitabilmente, nella fase decisiva della lotta di classe, prenderà posizione controrivoluzionaria; e dalla conciliazione di un verbalismo programmatico comunista con la pratica opportunista del socialismo tradizionale nell’azione politica ed economica;
afferma altresì che l’adesione del P.S. alla III Internazionale non può essere ritenuta regolare appunto perché viene da esso tollerata la presenza di chi nega i principi della Internazionale Comunista, apertamente diffamandoli o, peggio, speculando demagogicamente su di essi a scopo di conquiste elettorali;
e ritenuto che il vero strumento della lotta rivoluzionaria del proletariato è il Partito Politico di classe, fondato sulla dottrina marxista e sulla esperienza storica del processo rivoluzionario comunista in atto nel mondo contemporaneo e già vittorioso nella Russia dei Soviet;
delibera di consacrare tutte le proprie forze alla costituzione in Italia del Partito Comunista, sezione della III Internazionale, affermando che in questo Partito, come nel seno della Internazionale medesima, la frazione sosterrà la incompatibilità della partecipazione elettorale ad organismi rappresentativi borghesi coi principi e i metodi comunisti ed augurando che anche gli altri elementi del Partito attuale che sono strettamente comunisti si porranno sul terreno del nuovo partito e si convinceranno inoltre che la selezione non potrà seriamente farsi se non attraverso l’abbandono di quei metodi di azione politica che li accomunano oggi praticamente ai social-democratici;
dà mandato al Comitato Centrale:
1) di preparare – tenendo presente il programma presentato a Bologna
dalla Frazione Comunista e l’indirizzo sostenuto dall’organo della
Frazione
nella discussione su più importanti problemi attuali di metodo e di
tattica
comunista – il programma del nuovo partito e i suoi statuti;
2) di intensificare i rapporti internazionali allo scopo di costituire
la frazione antielezionista nel seno della Internazionale Comunista e
di
sostenere nel prossimo Congresso Internazionale le direttive della
Frazione,
chiedendo inoltre che vengano presi provvedimenti per risolvere
l’anormale
situazione del Partito Socialista Italiano;
3) di convocare immediatamente dopo tale congresso Internazionale il
Congresso Costituente del Partito Comunista invitando ad aderirvi tutti
i gruppi che sono sul terreno del programma comunista dentro e fuori
dal
P.S.I.;
4) di assumere in efficaci e chiare tesi le posizioni di principio
e di tattica della frazione diffondendole ampiamente in Italia e
all’estero.
(Il Soviet, 16 maggio 1920)
Tesi della Sezione Socialista di Torino, maggio 1920
Per un rinnovamento del P.S.I.
1°. – La fisionomia della lotta di classe in Italia è caratterizzata nel momento attuale dal fatto che gli operai industriali e agricoli, sono incoercibilmente determinati, su tutto il territorio nazionale, a porre in modo esplicito e violento la questione della proprietà sui mezzi di produzione. L’imperversare delle crisi nazionali e internazionali che annientano progressivamente il valore della moneta dimostra che il capitale è stremato; l’ordine attuale di produzione e di distribuzione non riesce a soddisfare neppure le elementari esigenze della vita umana e sussiste solo perché ferocemente difeso dalla forza armata dello Stato borghese; tutti i movimenti del popolo lavoratore italiano tendono irresistibilmente ad attuare una gigantesca rivoluzione economica, che introduca nuovi modi di produzione e un nuovo ordine nel processo produttivo e distributivo, che dia alla classe degli operai industriali ed agricoli il potere di iniziativa nella produzione strappandolo dalle mani dei capitalisti e dei terrieri.
2°. – Gli industriali e i terrieri hanno realizzato il massimo concentramento della disciplina e della potenza di classe: una parola d’ordine lanciata dalla Confederazione Generale della Industria italiana trova immediatamente attuazione in ogni singola fabbrica. Lo Stato borghese ha creato un corpo armato mercenario predisposto a funzionare da strumento esecutivo della volontà di questa nuova forte organizzazione della classe proprietaria che tende, attraverso la serrata applicata su larga scala e il terrorismo, a restaurare il suo potere sui mezzi di produzione, costringendo gli operai e i contadini a lasciarsi espropriare di una moltiplicata quantità di lavoro non pagato. La serrata ultima degli stabilimenti metallurgici torinesi è stato un episodio di questa volontà degli industriali di mettere il tallone sulla nuca della classe operaia; gli industriali hanno approfittato della mancanza di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria nelle forze operaie italiane per tentare di spezzare la compagine del proletariato torinese e annientare nella coscienza degli operai il prestigio dell’autorità delle istituzioni di fabbrica (Consigli e commissari di reparto) che avevano iniziato la lotta per il controllo operaio. Il prolungarsi degli scioperi agricoli nel Novarese e in Lomellina dimostra come i proprietari terrieri siano disposti ad annientare la produzione per ridurre alla disperazione e alla fame il proletariato agricolo e soggiogarlo implacabilmente alle più dure e umilianti condizioni di lavoro e di esistenza.
3°. – La fase attuale della lotta di classe in Italia è la fase che precede: – o la conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario per il passaggio a nuovi modi di produzione e di distribuzione che permettano una ripresa della produttività; – o una tremenda reazione da parte della classe proprietaria e della casta governativa. Nessuna violenza sarà trascurata per soggiogare il proletariato industriale e agricolo ad un lavoro servile: si cercherà di spezzare inesorabilmente gli organismi di lotta politica della classe operaia (Partito Socialista) e di incorporare gli organismi di resistenza economica (i Sindacati e le Cooperative) negli ingranaggi dello Stato borghese.
4°. – Le forze operaie e contadine mancano di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria perché gli organismi direttivi del partito Socialista hanno rivelato di non comprendere assolutamente nulla della fase si sviluppo che la storia nazionale e internazionale attraversa nell’attuale periodo, e di non comprendere nulla sulla missione che incombe agli organismi di lotta del proletariato rivoluzionario. Il Partito Socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli eventi, non ha mai una opinione sua da esprimere, che sia di dipendenza delle tesi rivoluzionarie del marxismo e della Internazionale comunista, non lancia parole d’ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un indirizzo generale, unificare e concentrare l’azione rivoluzionaria. Il Partito Socialista, come organizzazione politica della parte d’avanguardia della classe operaia, dovrebbe sviluppare un’azione d’insieme atta a porre tutta la classe operaia in grado di vincere la Rivoluzione e di vincere in modo duraturo. Il Partito Socialista, essendo costituito da quella parte della classe operaia che non si è lasciata avvilire e prostrare dall’oppressione fisica e spirituale del sistema capitalistico ma è riuscita a salvare la propria autonomia e lo spirito di iniziativa cosciente e disciplinata, dovrebbe incarnare la vigile coscienza rivoluzionaria di tutta la massa sfruttata. Il suo compito è quello di accentrare in sé l’attenzione di tutta la massa, di ottenere che le sue direttive diventino le direttive di tutta la massa, di conquistare la fiducia permanente di tutta la massa in modo da diventare la guida e la testa pensante.
Perciò è necessario che il Partito viva sempre immerso nella realtà effettiva della lotta di classe combattuta dal proletariato industriale e agricolo, che ne sappia comprendere le diverse fasi, i diversi episodi, le molteplici manifestazioni per trarre l’unità dalla diversità molteplice per essere in grado di dare una direttiva reale all’insieme dei movimenti e infondere la persuasione nelle folle che un ordine è imminente nello spaventoso attuale disordine, un ordine che, sistemandosi, rigenererà la società degli uomini e renderà lo strumento di lavoro nuovamente idoneo a soddisfare le esigenze della vita elementare e del progresso civile. Il Partito Socialista è rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna, un mero partito parlamentare, che si preoccupa solo delle superficiali affermazioni politiche della casta governativa; esso non ha acquistato una sua figura autonoma di Partito caratteristico del proletariato rivoluzionario e solo del proletariato rivoluzionario.
5°. – Dopo il Congresso di Bologna gli organismi centrali del Partito avrebbero dovuto iniziare e svolgere fino in fondo un’energica azione per rendere omogenea e coesa la compagine rivoluzionaria del Partito, per dargli la fisionomia specifica e distinta di Partito Comunista aderente alla Terza Internazionale. La polemica con i riformisti e cogli opportunisti non fu neppure iniziata; né la Direzione del Partito né l’"Avanti!" contrapposero una propria concezione rivoluzionaria alla propaganda incessante che i riformisti e gli opportunisti andavano svolgendo in Parlamento e negli organismi sindacali. Nulla si fece da parte degli organi centrali del Partito per dare alle masse una educazione politica in senso comunista, per indurre le masse a eliminare i riformisti e gli opportunisti dalla direzione delle istituzioni sindacali e cooperative, per dare alle singole sezioni e ai gruppi di compagni più attivi un indirizzo e una tattica unificati. Così è avvenuto che mentre la maggioranza rivoluzionaria del Partito non ha avuto un’espressione del suo pensiero e un esecutore della sua volontà nella direzione e nel giornale, gli elementi opportunisti invece si sono fortemente organizzati e hanno sfruttato il prestigio e l’autorità del Partito per consolidare le loro posizioni parlamentari e sindacali. La Direzione ha permesso loro di concentrarsi e di votare risoluzioni contraddittorie con i principi e la tattica della Terza Internazionale e ostili all’indirizzo del Partito; la Direzione ha lasciato assoluta autonomia ad organismi subordinati di svolgere azioni e diffondere concezioni contrarie ai principi e alla tattica della Terza Internazionale: la Direzione del Partito è stata assente sistematicamente dalla vita e dall’attività delle Sezioni, degli organismi, dei singoli compagni. La confusione che esisteva nel Partito prima del Congresso di Bologna e che poteva spiegarsi col regime di guerra, non è sparita ma si è anzi accresciuta in modo spaventoso; è naturale che in tali condizioni il Partito sia scaduto nella fiducia delle masse e che in molti luoghi le tendenze anarchiche abbiano tentato di prender il sopravvento. Il Partito politico della classe operaia è giustificato solo in quanto, accentrando e coordinando fortemente l’azione proletaria, contrappone un potere rivoluzionario di fatto al potere legale dello Stato borghese e ne limita la libertà di iniziativa e di manovra: se il Partito non realizza l’unità e la simultaneità degli sforzi, se il Partito si rivela un mero organismo burocratico senza anima e senza volontà, la classe operaia istintivamente tende a costituirsi un altro Partito e si sposta verso le tendenze anarchiche che appunto aspramente e incessantemente criticano l’accentramento e il funzionarismo dei partiti politici.
6°. – Il Partito è stato assente dal movimento internazionale. La lotta di classe va assumendo in tutti i paesi del mondo forme gigantesche; i proletari sono spinti dappertutto a rinnovare i metodi di lotta, e spesso, come in Germania dopo il colpo di forza militarista, a insorgere con le armi in pugno. Il Partito non si cura di spiegare al popolo lavoratore italiano questi avvenimenti, di giustificarli alla luce della concezione della Internazionale Comunista, non si cura di svolgere tutta una azione educativa rivolta a rendere consapevole il popolo lavoratore italiano della verità che la Rivoluzione proletaria è un fenomeno mondiale e che ogni singolo avvenimento deve essere considerato e giudicato in un quadro mondiale. La Terza Internazionale si è riunita già due volte nell’Esecutivo Occidentale, nel dicembre 1919 in una città tedesca, nel febbraio 1920 ad Amsterdam: il Partito italiano non era rappresentato in nessuna delle due riunioni: i militanti del Partito non sono stati neppure informati dagli organismi centrali delle discussioni avvenute e delle deliberazioni prese nelle due conferenze. Nel campo della Terza Internazionale fervono le polemiche sulla dottrina e sulla tattica della Internazionale Comunista: esse (come in Germania) hanno condotto persino a scissioni interne. Il Partito Italiano è completamente tagliato fuori da questo rigoglioso dibattito ideale in cui si temprano le coscienze rivoluzionarie e si costruisce l’unità spirituale e d’azione del proletariato di tutti i paesi.
L’organo centrale del Partito non ha corrispondenti né in Francia, né in Inghilterra, né in Germania e neppure in Svizzera: strana condizione per il giornale del Partito Socialista che in Italia rappresenta gli interessi del proletariato internazionale e strana condizione fatta alla classe operaia italiana che deve informarsi attraverso le notizie delle agenzie e dei giornali borghesi, monche e tendenziose. L’"Avanti!" come organo del Partito, dovrebbe essere organo della Terza Internazionale: nell’"Avanti!" dovrebbero trovare posto tutte le notizie, le polemiche, le trattazioni di problemi proletari che interessano la Terza Internazionale; nell’"Avanti!" dovrebbe essere condotta, con spirito unitario, una polemica incessante contro tutte le deviazioni e i compromessi opportunistici: invece l’"Avanti!" mette in valore manifestazioni del pensiero opportunista come il recente discorso parlamentare dell’on. Treves che era intessuto su una concezione dei rapporti internazionali piccolo borghese e svolgeva una teoria controrivoluzionaria e disfattista delle energie proletarie. Questa assenza negli organi centrali di ogni preoccupazione di informare il proletariato sugli avvenimenti e sulle discussioni teoriche che si svolgono in seno alla Terza Internazionale si può osservare anche nell’attività della Libreria Editrice; la libreria continua a pubblicare opuscoli senza importanza o scritti per diffondere concezioni e opinioni proprie della Seconda Internazionale, mentre trascura le pubblicazioni della Terza Internazionale. Scritti di compagni russi, indispensabili per comprendere la Rivoluzione bolscevica, sono stati tradotti in Svizzera, in Inghilterra, in Germania e sono ignorati in Italia: valga per tutti il volume di Lenin "Stato e Rivoluzione"; gli opuscoli tradotti sono poi tradotti pessimamente, spesso incomprensibili per le storture grammaticali e di senso comune.
7°. – Dall’analisi precedente risulta già quale sia l’opera di rinnovamento e di organizzazione che noi riteniamo indispensabile venga attuata nella compagine del Partito. Il Partito deve acquistare una sua figura precisa e distinta: da partito parlamentare piccolo borghese deve diventare il Partito del proletariato rivoluzionario che lotta per l’avvento della Società comunista attraverso lo Stato operaio, un Partito omogeneo, coeso, con una sua propria dottrina, una sua tattica, una disciplina rigida e implacabile. I non comunisti rivoluzionari devono essere eliminati dal Partito e la Direzione, liberata dalla preoccupazione di conservare l’unità e l’equilibrio tra le diverse tendenze e tra i diversi leaders, deve rivolgere tutta la sua energia per organizzare forze operaie sul piede di guerra. Ogni avvenimento della vita proletaria nazionale e internazionale deve essere immediatamente commentato in manifesti e circolari della Direzione, per trarne argomento di propaganda comunista e di educazione nelle coscienze rivoluzionarie. La Direzione, mantenendosi sempre a contatto con le Sezioni, deve diventare il centro motore dell’azione proletaria in tutte le fabbriche, nei sindacati, nelle cooperative, nelle caserme con la costituzione di gruppi comunisti che diffondano incessantemente in seno alle masse le concezioni e la tattica del Partito, che organizzino la creazione dei consigli di fabbrica per l’esercizio di controllo sulla produzione industriale e agricola, che svolgano la propaganda necessaria per conquistare in modo organico i Sindacati, le Camere del Lavoro e la Confederazione Generale del Lavoro, per diventare gli elementi di fiducia che la massa delegherà per la formazione dei Soviet politici e per l’esercizio della dittatura proletaria. L’esistenza d’un Partito Comunista coeso e fortemente disciplinato che attraverso i suoi nuclei di fabbrica, di Sindacato, di Cooperativa, coordini e accentri nel suo Comitato esecutivo centrale tutta l’azione rivoluzionaria del proletariato è la condizione fondamentale e indispensabile per tentare qualsiasi esperimento di Soviet: nell’assenza di una tale condizione ogni proposta di esperimento deve essere rigettata come assurda e utile solo ai diffamatori dell’idea soviettista. Allo stesso modo deve essere rigettata la proposta del parlamentino socialista che diventerebbe rapidamente uno strumento in mano alla maggioranza riformista e opportunista del gruppo parlamentare per diffondere utopie democratiche e progetti controrivoluzionari.
8°. – La Direzione deve immediatamente studiare, compilare e diffondere un programma di governo rivoluzionario del Partito Socialista, nel quale siano prospettate le soluzioni reali che il proletariato, divenuto classe dominante, darà a tutti i problemi essenziali – economici, politici, religiosi, scolastici, ecc. – che assillano i diversi strati della popolazione lavoratrice italiana. Basandoci sulla concezione che il Partito fonda la sua potenza e la sua azione solo sulla classe degli operai industriali e agricoli che non hanno nessuna proprietà privata e considera gli altri strati del popolo lavoratore come ausiliari della classe schiettamente proletaria, il Partito deve lanciare un manifesto nel quale la conquista rivoluzionaria del potere politico sia posta in modo esplicito, nel quale il proletariato industriale e agricolo sia invitato a prepararsi e ad armarsi e nel quale siano accennati gli elementi delle soluzioni comuniste per i problemi attuali: controllo proletario sulla produzione e sulla distribuzione; disarmo dei corpi armati mercenari; controllo dei Municipi esercitato dalle organizzazioni operaie.
9°. – La Sezione Socialista torinese propone, sulla base di queste considerazioni, di promuovere un’intesa coi gruppi di compagni che in tutte le Sezioni vorranno costituirsi per discuterle e approvarle; intesa organizzata che prepari a breve scadenza un Congresso dedicato a discutere i problemi di tattica e di organizzazione proletaria e nel frattempo controlli l’attività degli organismi esecutivi del Partito.
("L’Ordine Nuovo", 8 maggio 1920)
Mozione di Imola (comunista
pura)
«Il XVII Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano, dopo adeguata discussione intorno all’indirizzo del Partito, basata sull’esame della situazione italiana e internazionale e di tutti i deliberati dell’Internazionale Comunista (con particolare riguardo alle tesi del Secondo Congresso sulle condizioni di ammissioni dei Partiti nell’Internazionale e alla 17ª di quelle sui compiti principali dell’Internazionale);
Richiamandosi ai principi marxisti, all’esperienza storica di tutta la passata attività del Partito, e agli insegnamenti che scaturiscono dalle vicende della lotta rivoluzionaria, condotta dal proletariato mondiale dopo la grande guerra imperialistica; adotta le seguenti deliberazioni:
1) – Conferma l’adesione alla III Internazionale Comunista, impegnandosi a tutti quei provvedimenti che sono necessari per rendere la struttura e l’attività del Partito conformi alle condizioni di ammissione, con le quali il II Congresso dell’Internazionale ha efficacemente provveduto alle necessità di vita e di sviluppo dell’organo mondiale di lotta del proletariato rivoluzionario;
2) – Conferma i criteri generali della revisione programmatica liberata al Congresso di Bologna, modificando nella forma ed in alcuni concetti particolari il programma del Partito, che resterà formulato secondo il testo unito alla presente mozione; e dichiara che il programma stesso dovrà costituire la base per l’adesione personale al partito di ciascun suo iscritto attraverso la integrale accettazione di principio;
3) – Decide di cambiare il nome del Partito in quello di Partito Comunista d’Italia (Sezione della III Internazionale Comunista);
4) – Afferma essere incompatibile la presenza nel Partito di tutti
coloro che sono contro i principi e le condizioni dell’Internazionale
Comunista,
dichiarando che si sono posti e si pongono in tale situazione di
incompatibilità:
a) tutti gli aderenti alla Frazione detta di
Concentrazione
ed ai suoi convegni;
b) tutti gli iscritti al Partito che nel presente
Congresso daranno il proprio voto contro il programma comunista del
Partito
e contro l’impegno all’osservanza completa delle 21 condizioni di
ammissione
all’Internazionale;
5) – Adotta come fondamento dell’organizzazione e della tattica del
Partito le risoluzioni del II Congresso dell’Internazionale Comunista,
dichiarando obbligatoria per tutti gli inscritti la più stretta
disciplina
nella loro azione alle risoluzioni stesse, attraverso la
interpretazione
e le disposizioni degli organismi centrali direttivi internazionali e
nazionali.
L’applicazione di questi criteri tattici, in relazione alle esigenze
della
situazione politica italiana, fissa al Partito i seguenti compiti
principali:
a) preparazione nel campo spirituale e materiale
dei mezzi indispensabili per assicurare il successo della azione
rivoluzionaria
del proletariato;
b) costituzione in seno a tutte le associazioni
proletarie di gruppi comunisti per la propaganda, la preparazione
rivoluzionaria
e l’inquadramento delle forze proletarie da parte del Partito;
c) annullamento immediato dell’attuale patto di
alleanza con la Confederazione Generale del Lavoro, quale espressione
inadeguata
dei rapporti tra Sindacati e Partito; appello alle organizzazioni
proletarie
rivoluzionarie che sono fuori dalla Confederazione ad entrarvi per
sorreggere
la lotta dei comunisti contro l’attuale indirizzo e gli attuali
dirigenti
di essa. Impegno per tutti gli iscritti al Partito, che quali
organizzati
e organizzatori militano nel movimento economico, a sostenere in ogni
circostanza
nel seno di questo i criteri e le decisioni degli organi del Partito, e
a lottare su tale piattaforma per assicurare ad elementi designati dal
Partito le cariche direttive dei Sindacati. Distacco della
Confederazione,
appena conquistata alle direttive del Partito comunista, dal
Segretariato
giallo di Amsterdam e la sua adesione alla Sezione Sindacale
dell’Internazionale
Comunista con le modalità previste dallo Statuto di questa;
d) partecipazione alle elezioni politiche ed
amministrative
con carattere completamente opposto alla vecchia pratica
socialdemocratica
e con l’obiettivo di svolgere la propaganda e l’agitazione
rivoluzionaria,
di affrettare il disgregamento degli organi della democrazia borghese;
e) disciplinamento, con la collaborazione di un
nuovo statuto interno per il Partito, le Federazioni e le Sezioni, di
tutti
i rapporti di organizzazione riguardanti la stampa del Partito; il
funzionamento
delle rappresentanze elettive nei Comuni, nelle Province e nel
Parlamento;
il movimento giovanile e femminile; l’istituzione del periodo di
candidatura
al Partito per nuovi iscritti; e le revisioni periodiche di tutti i
membri
del Partito, di cui la prima dovrà immediatamente seguire al
Congresso».
PROGRAMMA
Il Partito Comunista Italiano (Sezione della Terza Internazionale Comunista) è costituito sulla base dei seguenti principi:
1)– Nell’attuale regime sociale capitalistico si sviluppa un sempre crescente contrasto fra le forze produttive ed i rapporti di produzione, dando origine all’antitesi di interessi ed alla lotta di classe tra il proletariato e la borghesia dominante.
2) – Gli attuali rapporti di produzione sono protetti dal potere dello Stato borghese, che, fondato sul sistema rappresentativo della democrazia, costituisce l’organo per la difesa degli interessi della classe capitalistica.
3) – Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suo sfruttamento, senza l’abbattimento violento del potere borghese.
4) – L’organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del proletariato è il partito politico di classe. Il Partito comunista, riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente del proletariato, unifica gli sforzi delle masse lavoratrici, volgendoli dalle lotte per gli interessi di gruppi e per risultati contingenti alla lotta per l’emancipazione rivoluzionaria del proletariato; esso ha il compito di diffondere nelle masse la coscienza rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materiali d’azione e di dirigere nello svolgimento della lotta il proletariato.
5) – La guerra mondiale, causata dalle intime insanabili contraddizioni del sistema capitalistico che produssero l’imperialismo moderno, ha aperto la crisi di disgregazione del capitalismo, in cui la lotta di classe non può che risolversi in conflitto armato tra le masse lavoratrici ed il potere degli Stati borghesi.
6) – Dopo l’abbattimento del potere borghese, il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell’apparato statale borghese e con la instaurazione della propria dittatura, ossia basando le rappresentanze elettive dello Stato sulla sola classe produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese.
7) – La forma di rappresentanza politica nello Stato proletario è il sistema dei Consigli dei lavoratori (operai e contadini), già in atto nella rivoluzione russa, inizio della rivoluzione proletaria mondiale e prima stabile realizzazione della dittatura proletaria.
8) – La necessaria difesa dello Stato proletario contro tutti i tentativi controrivoluzionari può essere assicurata solo col togliere alla borghesia ed ai partiti avversi alla dittatura proletaria ogni mezzo di agitazione e di propaganda politica, e con la organizzazione armata del proletariato per respingere gli attacchi interni ed esterni.
9) – Solo lo Stato proletario potrà sistematicamente attuare tutte quelle necessarie successive misure di intervento nei rapporti della economia sociale, con le quali si effettuerà la sostituzione del sistema capitalistico con la gestione collettiva della produzione e della distribuzione.
10) – Per effetto di questa trasformazione economica e delle
conseguenti
trasformazioni di tutte le attività della vita sociale, eliminandosi la
divisione della società in classi, andrà anche eliminandosi la
necessità
dello Stato politico, il cui ingranaggio si ridurrà progressivamente a
quello della razionale amministrazione delle attività umane.
Appello del Comitato Esecutivo
dell’Internazionale
al Proletariato Italiano
22 settembre 1920
L’evolversi della situazione pone il Partito socialista italiano davanti ai compiti che il II Congresso mondiale dell’Internazionale comunista gli ha presentato.
In Italia scoppia uno sciopero dopo l’altro, un’insurrezione dopo l’altra. Si è giunti al punto che i lavoratori prendono possesso in massa di fabbriche, di officine, di abitazioni. Il movimento operaio italiano va incontro a battaglie decisive.
Come in tutte le crisi importanti, così anche nell’attuale crisi rivoluzionaria italiana la conclusione pone in chiara evidenza i lati forti e i lati deboli del movimento.
La borghesia italiana perde terreno e lo scaltrissimo uomo d’affari della borghesia italiana, l’imbroglione patentato Giolitti, fa finta di prestarsi a qualche concessione. Cerca di prender tempo, si sforza di localizzare il movimento, che vuole discreditare e costringere su un letto di Procuste. E dal letto di Procuste delle immediate esigenze economiche egli vuole sospingere gli operai italiani in una via senza uscita in modo che la borghesia se li possa mettere sotto i piedi.
Com’era da aspettarsi, i riformisti italiani danno man forte alla borghesia. Dopo Giolitti, ecco che anche il capo dei riformisti italiani, il signor D’Aragona, vi propone di limitarvi a rivendicazioni economiche. In una lettera speciale i signori Turati, Prampolini e d’Aragona vi esortano ad astenervi dall’occupazione delle fabbriche.
Il Comitato Esecutivo dell’Internazionale comunista vi dice che non potrete vincere solo con l’occupazione delle fabbriche e delle officine. La borghesia procurerà che rimaniate senza materie prime, senza denaro, senza ordinazioni, senza mercato. Farà tutto il possibile per far fare una brutta figura al movimento, con lo scopo di provocare delusioni fra i lavoratori.
Da ciò non vogliamo trarre la conclusione che voi non dobbiate prendere possesso delle fabbriche, delle officine, ma che questa presa di possesso, questa occupazione deve essere attuata su un piano più vasto, più generale, a livello di tutto il paese; il movimento deve essere esteso fino all’insurrezione generale, il cui scopo sarà quello di rovesciare la borghesia con la conquista del potere da parte della classe operaia e con l’organizzazione della dittatura del proletariato.
Solo in questo sta la salvezza. Altrimenti lo scioglimento e il crollo del movimento iniziatosi in maniera eccellente è inevitabile. Persino le moderate trade-unions inglesi sono riuscite a costituire a Londra un "comitato d’azione". Lavoratori italiani, voi ora dovete essere capaci di coprire tutta l’Italia di soviet con rappresentanti di operai, di contadini, di soldati e di marinai. Senza frapporre altri indugi dovete cominciare ad armarvi. Dovete prendere per il collo il rappresentante dei riformisti e sbatterlo fuori. Dovete radunare insieme tutte le forze veramente rivoluzionarie della nazione.
Il partito italiano deve diventare comunista nel pieno senso della parola, e cioè un partito che conduce all’insurrezione e ne assume la guida. Dovete far sì che la vostra lotta sia unita e centralizzata. Se il movimento resterà sconnesso e disunito, la vittoria verrà resa notevolmente più difficile. Dovete avere il vostro quartiere generale e questo quartiere generale dev’essere il partito comunista riorganizzato, epurato dai riformisti. I comitati operai devono essere guidati da comunisti. Quanto più aggressiva sarà la vostra forza nella lotta, tanto più rapidamente voi raggiungerete il vostro scopo. Non c’è tempo da perdere, il movimento iniziato dev’essere allargato, esteso.
Fate piazza pulita dei traditori e dei titubanti!
Evviva i soviet dei rappresentanti degli operai,
dei soldati e dei contadini italiani!
Viva l’occupazione delle fabbriche e delle officine,
accompagnata da un’insurrezione che miri alla conquista del potere da
parte
della classe operaia!
Evviva l’armamento dei proletari italiani!
Evviva il potere sovietico in Italia!
("Die Kommunistische Internationale", 1921, n. 14,
pp.
290-291).
Appello del Comitato esecutivo dell’Internazionale Comunista a tutti i membri
del Partito Socialista italiano
e dei sindacati italiani (estratti)
Novembre 1920
In base ad un accordo concluso nel 1918 tra i sindacati italiani e il Partito socialista, il partito avrebbe assunto la direzione degli scioperi "politici" distinti da quelli economici. Il consiglio nazionale della Confederazione sindacale, riunitosi nel settembre 1920, decise che l’"occupazione delle fabbriche" non costituiva un movimento politico; i datori di lavoro, ansiosi di riassumere il controllo delle fabbriche, acconsentirono alla negoziazione di contratti collettivi, e ad una vaga formula che concedeva una partecipazione sindacale nella gestione dell’industria.
Al terzo congresso del Comintern, Trotski attribuì il fallimento degli scioperi proclamati in Italia nell’autunno 1920 all’influenza della destra nel Partito socialista. La risoluzione sulla relazione del C.E.I.C. adottò la stessa linea. I dirigenti del Comintern esageravano tanto l’estensione quanto la forza del movimento. In un discorso fatto due anni dopo, qualche giorno prima della marcia su Roma, Trotski disse: «Nel settembre 1920 la classe operaia italiana aveva praticamente ottenuto il controllo dello Stato... ma non c’era un’organizzazione capace di consolidare la vittoria... e da allora la classe operaia italiana ha continuato a battere in ritirata». Alla fine di settembre si riunì a Milano il Comitato Centrale del Partito socialista italiano; pur essendo d’accordo ad accettare le 21 condizioni d’ammissione al Comintern, era diviso sulla questione dell’espulsione della destra. La destra allora si riunì separatamente a Reggio Emilia, la sinistra ad Imola ove si decise di rompere con i riformisti al successivo congresso del partito. Il gruppo centrista di Serrati, riunito a Firenze, intendeva applicare le 21 condizioni a tempo opportuno in relazione alle "circostanze storiche prevalenti".
* * *
Il C.E.I.C. sta seguendo ogni passo della vostra lotta eroica con attenzione instancabile. I comunisti di tutto il mondo vedono in voi una delle migliori e delle più tenaci pattuglie della rivoluzione proletaria internazionale. La rivoluzione proletaria bussa alla vostra porta. Siete più vicini alla vittoria di quanto lo siano i lavoratori di qualsiasi altro paese. In Italia esistono praticamente tutti i requisiti indispensabili per una rivoluzione proletaria vittoriosa. La classe operaia è unanime nella sua disponibilità ad abbattere il capitalismo. Una parte notevole di contadini è al vostro fianco, buona parte dell’esercito è con voi. Fino all’ultimo la borghesia è stata messa in crisi. L’Intesa non avrà le forze per mantenere un blocco contro l’Italia rossa. E se ci proverà si spezzerà l’osso del collo. La Russia sovietica garantisce il grano all’Italia rossa. Anche i lavoratori francesi garantiscono il proprio fervido e fraterno appoggio ad un’Italia sovietica.
I requisiti indispensabili per la vittoria ci sono praticamente tutti – tutti eccetto uno; ed è il livello di organizzazione tra di voi. Non diciamo che non siete organizzati. La classe operaia italiana è organizzata. Ma le vostre organizzazioni non sono omogenee. Vi hanno trovato rifugio i riformisti, cioè gente che in fondo non condivide le opinioni del proletariato comunista ma quelle della borghesia liberale. L’influenza dei riformisti nelle organizzazioni operaie italiane è quello che più frena il vostro movimento, la maledizione che lo opprime...
È ovvio che l’occupazione delle fabbriche e delle officine senza che si impegni contemporaneamente una battaglia per la dittatura del proletariato non basta a procurare la vittoria della classe operaia. Ma era uno splendido inizio da cui poteva svilupparsi un movimento di massa schiettamente rivoluzionario. La vittoria era in mano vostra. Chi ve l’ha strappata? I riformisti. La borghesia era impotente ad intraprendere una lotta aperta. Giolitti fu costretto a ricorrere al metodo della "ritirata strategica", come disse la stampa borghese italiana...
Attraverso i propri agenti la borghesia iniettò il veleno del riformismo nelle organizzazioni operaie italiane, soprattutto nei sindacati... I riformisti che stavano a capo dei sindacati italiani portarono avanti la parola d’ordine delle commissioni composte di rappresentanti dei "dirigenti" operai e di capitalisti su base paritetica per elaborare i principi ed i metodi di controllo della produzione. Questo fu il funerale di lusso predisposto dai riformisti per il vostro movimento rivoluzionario... I capitalisti italiani furono tratti in salvo grazie agli sforzi di D’Aragona, Turati, Modigliani, Dugoni ed altri agenti del capitale. La borghesia italiana ottenne una proroga d’esistenza.
Ora che D’Aragona e soci hanno fatto il proprio lavoro... la borghesia ha incominciato ad arrestare centinaia dei migliori dirigenti della classe operaia italiana. Riempie le prigioni con i nostri militanti migliori. Introdotto lo scompiglio nelle nostre file per mezzo dei suoi agenti riformisti, ora la borghesia pensa di essere abbastanza forte da ricorrere alla violenza.
L’immediato futuro, ne siamo convinti, dimostrerà che sta sbagliando di grosso nel ritenere che la terapia cruenta sia adatta ai suoi mali. La chirurgia controrivoluzionaria si ritorcerà contro la borghesia italiana. Ma, compagni, cionondimeno dobbiamo imparare dai nostri errori, dobbiamo essere in grado di trarre le conclusioni pratiche dalle grandi lezioni del vostro movimento.
Qual è la lezione del movimento d’autunno? Che finché ci saranno dei riformisti e dei semiriformisti nelle nostre file, finché tollereremo dei borghesi travestiti a capo dei sindacati, la nostra vittoria sul capitalismo sarà impossibile.
In Italia, recentemente, sono saltati fuori "fautori dell’unità" d’ogni sorta, a spaventarvi e a convincervi che una rottura coi riformisti ci avrebbe indebolito. È un’assurdità. Non tutte le scissioni sono dannose alla classe operaia. La scissione dagli agenti del capitale per noi non è un danno ma un vantaggio...
Tempo fa il partito italiano ha raggiunto un accordo con la Confederazione del Lavoro sul fatto che nel corso degli scioperi ed altri movimenti rivoluzionari la Confederazione avrebbe riconosciuto la leadership del partito. Ma abbiamo visto che al momento buono i riformisti, interpretando alla lettera l’accordo, di fatto l’hanno violato. Ciò accadrà ogni volta che ci saranno in gioco delle questioni importanti. Dobbiamo estromettere inesorabilmente dal partito e dai sindacati i dirigenti riformisti. Solo allora sarà possibile pensare seriamente alle battaglie decisive contro la borghesia.
Per realizzare la rottura con gli agenti del capitale, per sostenere con onestà e sincerità le decisioni del secondo congresso dell’Internazionale comunista, i nostri amici italiani si sono organizzati in corrente comunista. I loro giornali più importanti sono l’"Avanti!" di Torino e il periodico "Il Comunista" pubblicato a Bologna. Tutti i leali e coerenti partigiani del Comintern sono invitati ad appoggiare questa corrente, e soltanto questa corrente. A tutte le altre correnti diciamo: chi non è con noi è contro di noi.
Compagni, se la borghesia italiana ora è passata con tanta rapidità dalla difesa all’attacco, è perché fa assegnamento sull’opera demoralizzatrice dei riformisti... La nostra risposta dev’essere la seguente: combattendo come prima contro i capitalisti con una mano, coll’altra dobbiamo, senza perdere un attimo, portare a termine quell’epurazione dei riformisti e dei semiriformisti dalle nostre organizzazioni senza la quale esse non possono divenire organi delle masse proletarie.
Gli azzeccagarbugli riformisti, che occupano tanti seggi nel gruppo parlamentare del Partito socialista italiano... stanno cercando di presentare tutta la controversia con l’Internazionale comunista come se vertesse su questioni organizzative. Questo è il metodo preferito di tutti gli opportunisti. Vi ricorsero anche i rinnegati socialisti fra gli Indipendenti di destra in Germania. Compagni, non credetegli. Queste sono ben di più che questioni organizzative. L’Internazionale comunista non si intromette nell’autonomia dei singoli partiti operai, è perfettamente consapevole del fatto che c’è un ampio spazio in cui ogni partito deve agire in modo indipendente. Più d’una volta ha affermato che essa prende delle decisioni vincolanti soltanto rispetto a questioni in cui tali decisioni sono possibili. La nostra controversia con i riformisti ed i semiriformisti non verte sulla necessità o meno di accettare le 21 condizioni, o di accettarne 18, o due e mezzo. Il nostro scontro con i riformisti verte sulla questione se il nostro partito debba essere l’avanguardia militante del proletariato nella sua lotta per il comunismo, o se invece debba rimanere, come pensano i riformisti, un balocco nelle mani dei rappezzatori piccolo borghesi nel regime capitalistico.
Non sono pure e semplici divergenze organizzative quelle che ci separano dai riformisti e dai semiriformisti. No, si tratta di due concezioni filosofiche, due tendenze, due classi, due programmi...
Facciamo appello a tutti i membri del Partito socialista italiano e
dei sindacati... le nostre file debbono essere liberate dalla piaga del
riformismo. Bisogna farlo il più in fretta possibile, e ad ogni costo.
Con i dirigenti, se vogliono; senza i dirigenti se
esitano
o indietreggiano; contro i dirigenti se ostacolano il
compimento
di quest’opera da parte nostra.
("Die Kommunistische Internationale", dicembre 1920)
Indirizzo di saluto del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista al Congresso del Partito Socialista Italiano a Livorno
Gennaio 1921
Compagni!
Il vostro congresso, che ha avuto luogo in un momento in cui la rivoluzione proletaria bussa alle porte del vostro paese, rivestirà per il destino della rivoluzione internazionale una straordinaria importanza. Il proletariato italiano è finalmente prossimo a fondare un partito comunista ripulito di elementi riformisti e semiriformisti. Tutta la situazione italiana si rivolta contro il compromesso coi riformisti. Gli interessi più profondi, più radicali del proletariato italiano e della rivoluzione internazionale esigono con urgenza una rottura indiscriminata col riformismo.
In data 31 ottobre 1920 abbiamo ricevuto la risposta della direzione del vostro partito alla lettera che l’Esecutivo dell’Internazionale comunista ha indirizzato in agosto al vostro partito. Dobbiamo dirvi apertamente, compagni, che la risposta della vostra direzione non ci ha per nulla soddisfatti. Basti un esempio. Nella lettera di cui sopra la direzione ritiene tuttora possibile prendere sotto la sua protezione i capi riformisti della Confederazione del lavoro con D’Aragona in testa. Nella lettera del 31 ottobre 1920 la vostra direzione dice testualmente così: "Sebbene essi (e cioè D’Aragona e compagni) appartengano ancora all’Internazionale di Amsterdam, non sono tuttavia da paragonare a esponenti traditori del socialismo come Jouhaux, Legien e Henderson".
L’Internazionale di Amsterdam fa parte della Seconda Internazionale. La cosiddetta Internazionale di Amsterdam, con a capo i più sfacciati traditori gialli, è oggi il principale strumento nelle mani della borghesia nella sua lotta contro il proletariato. D’Aragona e i suoi pari reputano possibile continuare ancor oggi ad appartenere a questa organizzazione, e la direzione del vostro partito, dal canto suo, ritiene possibile tollerarlo.
Siamo costretti a dichiararvi ancora una volta, egregi compagni, che con gente che appartiene alla frazione riformista, l’Internazionale comunista non ha nulla a che fare, né desidera averlo. Ve lo diciamo chiaro e tondo: dovete scegliere fra Turati, D’Aragona e i loro soci da una parte e l’Internazionale comunista dall’altra.
La frazione comunista italiana che ha tenuto poco tempo fa a Imola un’assemblea, è l’unica che ha posto il problema in termini precisi. Chi vuole rimaner fedele all’Internazionale comunista, deve sostenere tale frazione.
Poiché l’Esecutivo dell’Internazionale comunista attribuisce al vostro congresso un’importanza tutta speciale, esso aveva l’intenzione di inviare da Mosca due delegati a Livorno. Purtroppo siamo nell’impossibilità di farlo. In una quantità di documenti vi abbiamo detto apertamente la nostra opinione sulla situazione del vostro partito. Ora tocca al proletariato italiano e ai suoi stimatissimi rappresentanti radunati a Livorno, rendere nota la loro.
Viva il partito comunista italiano purgato degli
elementi riformisti e semiriformisti!
Viva la rivoluzione proletaria italiana!
Viva il proletariato italiano!
("Die Kommunistische Internationale", 1921, n. 16,
pp.
452-453)
L’adesione dell’Internazionale Comunista al XVII Congresso del P.S.I.
Livorno 1921
(dal resoconto stenografico)
Mondolfi, presidente: Invito il compagno segretario Frola a
dare
lettura di alcune adesioni.
Frola, segretario: Comincio col darvi lettura della adesione
del Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista. (Grida
unanimi
di "Viva la Russia!". Applausi generali, vivissimi).
«Cari compagni,
I tentativi fatti dai nostri rappresentanti
Zinoviev
e Bucharin per partecipare al vostro Congresso non hanno dato l’esito
sperato,
certo non per colpa loro. Poiché i compagni Serrati e Baratono che
volevano
venire in Russia per parlare con noi non sono venuti, rivolgiamo a voi,
con questo telegramma i nostri fraterni auguri e vi comunichiamo quanto
segue:
Abbiamo seguito con attenzione sui vostri
giornali
la lotta che si è svolta durante gli ultimi mesi tra le diverse
tendenze
del vostro Partito. Disgraziatamente l’azione della frazione dei
comunisti
unitari è stata la realizzazione delle più sfavorevoli previsioni per
lo meno per quanto si riferisce ai capi. In nome dell’unità con i
riformisti,
i capi degli unitari sono di fatto pronti a separarsi dai comunisti e
quindi
anche dall’Internazionale comunista».
Voci: non è vero, non è vero!
Voci dalla parte comunista: Sì, sì! È vero, è vero! (Interruzioni
da moltissime parti. Commenti animatissimi. Scambio d’apostrofi. Rumori
che durano per vario tempo).
Frola: «L’Italia attraversa attualmente un periodo rivoluzionario e da ciò dipende il fatto che i riformisti ed i centristi di questo paese sembrano più a sinistra di quelli degli altri paesi. A noi di giorno in giorno appare più chiaramente che la frazione costituita dal compagno Serrati è, in realtà, una frazione centrista a cui soltanto le circostanze rivoluzionarie generali danno l’apparenza esteriore di essere più a sinistra dei centristi degli altri paesi». (Commenti animatissimi).
Bacci Giovanni: Non è vero! (Applausi. Rumoti vivissimi da parte
dei
comunisti).
Mondolfi, presidente: Non diamo, compagni, alla stampa borghese
il modo di pensare che noi qui in questo momento si voglia sabotare il
Congresso, per sfuggire, in una maniera o nell’altra alla discussione.
(Applausi.
Commenti animati). Non diamo ad essa modo di pensare così, anche
perché
credo francamente che nessuno possa avere interesse che il Congresso
non
abbia pieno e libero svolgimento, se non i fascisti! (Benissimo!
Interruzioni
da parte dei comunisti. Rumori vivissimi).
Frola: «Prima di sapere quale sarà la maggioranza che si
costituirà
nel vostro Congresso, il Comitato esecutivo dichiara ufficialmente, e
in
modo assolutamente categorico al Congresso stesso: le decisioni del
secondo
Congresso mondiale dell’Internazionale comunista obbligano ogni
Partito,
aderente a questa Internazionale; a romperla coi riformisti».
Applausi.
«Chi si rifiuta di effettuare questa scissione, viola una
deliberazione
essenziale dell’Internazionale comunista e con questo solo atto si pone
fuori dalle file dell’Internazionale stessa». (Applausi).
«Tutti gli unitari del mondo non obbligheranno
l’Internazionale comunista a credere che la redazione e gli ispiratori
della rivista arciriformista Critica sociale sono favorevoli
alla
dittatura del proletariato e all’Internazionale comunista. Nessuna
diplomazia
ci convincerà che la frazione di concentrazione è favorevole alla
rivoluzione
comunista. Coloro che vogliono far entrare i riformisti
nell’Internazionale
comunista, vogliono, in realtà, la morte della rivoluzione proletaria.
Costoro non saranno mai dei nostri». (Qualche applauso. Commenti
animatissimi).
«Il Partito comunista italiano deve essere
creato
in ogni modo. Di ciò noi non dubitiamo e a questo Partito andranno le
simpatie dei proletari del mondo intero e il sostegno caloroso
dell’Internazionale
comunista.
Abbasso il riformismo! Viva il vero Partito
comunista
italiano!.
Il Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista: Il presidente Zinoviev; per la Georgia e l’Armenia Tskhakaya; per la Persia Sultan Zade; per l’Internazionale della Gioventù Shatskin; per l’Inghilterra Tom Quelch; per l’Olanda Jansen; per la Francia Rosmer; per l’Austria Steinhardt; per l’America Hourwich; per la Russia Lenin, Buharin, Trotski, Lozovskij; per la Lettonia Stučka; per la Danimarca Jurgensen per la Ungheria Béla Kum, Varga; per la Bulgaria Shablin; per il Consiglio di Sezione dei popoli orientali Paviovito».(Applausi vivissimi da parte dei comunisti).
Manifesto ai lavoratori d’Italia
Proletari italiani!
Nessuno di voi ignora che il Partito Socialista Italiano, al suo Congresso Nazionale tenuto a Livorno, si è diviso in due Partiti.
I rappresentanti di quasi sessantamila dei suoi membri, sui centosettantamila che hanno partecipato al Congresso, si sono allontanati, e in un primo Congresso, hanno costituito il nuovo Partito: il nostro Partito Comunista.
I rimasti nel vecchio Partito hanno conservato l’antico nome di Partito Socialista Italiano.
Ciò voi avrete appreso, proletari tutti d’Italia, dalla nuda cronaca di questi ultimi giorni; ma tale nuova, che non appare ben chiara nelle ragioni che ne furono la causa a molti di voi, mentre essa tanto da vicino riguarda i vostri interessi ed il vostro avvenire, vi sarà presentata e commentata dagli interessati sotto una luce artificiosa e sfavorevole.
È perciò che il I Congresso del nuovo Partito ha sentito come suo primo dovere, la necessità di rivolgersi a voi; e con questo manifesto vuole rendervi ragione del sorgere del nuovo Partito, perché vi stringiate intorno ad esso accogliendolo come il solo e vero istrumento delle vostre rivendicazioni, come il vostro Partito.
Richiamiamo, quindi, tutta la vostra attenzione su quanto abbiamo il
compito di esporvi nel modo più chiaro, onesto e preciso.
I Partiti socialisti nella guerra mondiale
Vi fu detto per molti anni che coloro i quali lavorano e sono sfruttati dalla minoranza sociale dei padroni delle fabbriche, delle terre, delle aziende tutte, devono tendere, se vogliono sottrarsi allo sfruttamento e ad ogni sorta di miserie, a rovesciare le istituzioni attuali che difendono i privilegi degli sfruttatori. Vi fu detto, a ragione, che questo scopo poteva raggiungersi solo col formarsi di un Partito dei lavoratori, di un Partito politico di classe, il quale doveva condurre la lotta rivoluzionaria contro la borghesia, contro i suoi Partiti, contro i suoi istituti politici ed economici.
Ma già prima della guerra in molti paesi, ed anche in Italia, i capi dei Partiti proletari avevano cominciato a transigere colla borghesia, ad accontentarsi di ottenere da essa e dal suo Governo piccoli vantaggi, e sostenevano che, a poco a poco e senza una lotta violenta, sareste, così, giunti a quel regime di giustizia sociale che era nelle vostre aspirazioni.
Questi uomini erano anche nel Partito Socialista Italiano. Alcuni come i Bissolati e i Podrecca, ne furono allontanati; altri, però, come i Turati, i Treves, i Modigliani, i D’Aragona, ecc., vi rimasero, capi incontrastati nell’azione parlamentare e nelle organizzazioni economiche, anche dopo che la maggioranza del Partito dichiarò erronee le loro teorie riformistiche.
Guidata da costoro, o da altri meno sinceri, ma in fondo simili ad essi per pensiero e per temperamento, l’azione del Partito non corrispondeva alle aspettazioni delle masse e alle esigenze della situazione. Venne la guerra del 1914. Come voi sapete, in moltissimi paesi i Partiti socialisti, diretti da quei capi riformisti e transigenti di cui abbiamo detto, anziché opporsi alla guerra, divennero i complici del sacrificio proletario per gli interessi borghesi.
Ciò dipese soprattutto dal fatto che essi non capirono che la guerra era una conseguenza del regime capitalistico, che rappresentava il crollo di esso nella barbarie, e creava una situazione in cui i socialisti avevano il dovere di spingere le masse ad un’altra e ben diversa guerra, alle lotte rivoluzionarie contro la borghesia imperialistica.
Voi, proletari italiani, ricordate anche che il Partito socialista in Italia tenne un contegno migliore di quello degli altri Partiti socialisti europei: attraversammo un periodo di neutralità, durante il quale avemmo l’agio di meglio comprendere quale enormità era l’adesione dei socialisti alla guerra.
Ma quando si trattò di passare, da una opposizione verbale,
all’azione
effettiva contro la borghesia italiana impegnata nella guerra, ad una
propaganda
in senso rivoluzionario, allora gli uomini della destra del Partito ed
altri ancora – anche e soprattutto quando il territorio italiano fu
invaso
– dimostrarono col loro contegno esitante tutta la loro avversione al
metodo rivoluzionario.
La III Internazionale comunista
La nuova Internazionale infatti, soprattutto ad opera dei comunisti russi, si costituiva a Mosca tenendovi nel marzo 1919 il primo suo Congresso mondiale.
Attraverso vicende che non è qui il caso di rammentare, ben presto di delineò una minaccia per la nuova Internazionale: l’invasione nelle sue file da parte di elementi equivoci, usciti dalla Seconda Internazionale, ma non completamente aderenti alle direttive comuniste.
Per ovviare a tale pericolo si riuniva a Mosca, nel luglio 1920, il II Congresso Mondiale il quale stabilì che ogni Partito desideroso di entrare nella Internazionale Comunista dovesse, per essere accettato, dimostrare che la sua composizione e la sua attività corrispondessero al programma ed al metodo comunista.
A tale scopo il Congresso stabilì una serie di condizioni d’ammissione nelle quali sono contenuti i criteri a cui i Partiti che entrano nella Internazionale devono corrispondere.
Queste condizioni si applicano a tutti i Partiti senza eccezione. Poiché, mentre la Seconda Internazionale lasciava arbitro ogni Partito aderente di seguire la tattica che meglio credeva – e fu quest’autonomia la causa principale della sua rovina – la III Internazionale è invece fondata sulla comunanza di Partiti di tutti i paesi delle fondamentali norme di organizzazione e di azione, le quali appunto figurano nelle ventuno condizioni di ammissione.
Ciò non vuol dire che la III Internazionale ignori che in ogni paese l’azione rivoluzionaria può presentare problemi speciali. Ma mentre nelle 21 condizioni è fissato il contegno dei Partiti di fronte ai problemi più importanti che si presentano in tutti i paesi, il Secondo Congresso stabiliva anche le tesi sui compiti principali dell’Internazionale, di cui la terza parte tratta delle modificazioni della linea di condotta e parzialmente della composizione sociale dei Partiti che aderiscono o vogliono aderire alla Internazionale.
In queste condizioni si parla di ciascun paese partitamente ed anche
dell’Italia che presentava questo speciale problema: la esistenza d’un
Partito che essendo stato contrario alla guerra ed avendo aderito a
gran
maggioranza alla III Internazionale dimostrava con i fatti un’evidente
incapacità rivoluzionaria.
La situazione politica italiana nel dopo guerra
Abbiamo detto quale immenso valore abbiano avuto per i proletari di tutti i paesi gli insegnamenti della Rivoluzione russa. Quale utilizzazione se ne è fatta finora nel movimento proletario italiano?
In Italia si è molto parlato della Rivoluzione Russa, della dittatura proletaria, di Soviet, della III Internazionale. Ma furono, in realtà, quegli insegnamenti, verso i quali si protendeva ansioso il nostro proletariato, efficacemente intesi ed applicati? Tutt’altro. Il Partito Socialista Italiano accettò nel suo Congresso di Bologna il programma comunista, aderì alla III Internazionale. Si era nell’agitatissima situazione del dopoguerra, che dura tuttora, e si parlò molto di rivoluzione nei comizi, mentre in realtà il Partito non aveva mutato dopo la guerra, né mutò col Congresso di Bologna, i caratteri tradizionali dell’opera sua che seguitò a basarsi nel campo economico sulle piccole conquiste graduali e corporative, nel campo politico nella pura azione inspirata da finalità elettorali. Né attraverso la guerra, né per effetto del Congresso di Bologna, fu cambiato quello stato di cose per cui l’azione politica ed economica del Partito era affidata alla destra riformista, e le conseguenze potettero essere contestate nell’andamento della campagna elettorale politica e di quella amministrativa, come nella piega che presero tutte le grandi agitazioni che scoppiavano in seno al proletariato italiano. Il Partito, benché diretto da massimalisti, non fece nulla per togliere il monopolio della Confederazione del Lavoro ai D’Aragona, Baldesi, Buozzi, Colombino, Bianchi ecc., la cui opera spesso si presentò come un indirizzo politico apertamente opposto a quello del Partito, e praticamente si svolse attraverso continui compromessi colla borghesia, culminando nella famosa derisoria concessione giolittiana del controllo operaio.
Il P.S.I. in conclusione rimase sostanzialmente quello che era prima della guerra, ossia un Partito un po’migliore di altri Partiti della II Internazionale ma non divenne un Partito comunista capace di opera rivoluzionaria secondo le direttive della Internazionale Comunista.
L’azione e la tattica dei Partiti comunisti a questa aderenti devono essere ben diversi. I Partiti comunisti hanno come loro finalità la preparazione materiale e ideale del proletariato alla lotta rivoluzionaria per la conquista del potere. Come mezzi per la loro propaganda, agitazione ed organizzazione essi si servono dell’intervento nell’azione sindacale e cooperativa, nelle elezioni e nei Parlamenti, ma non considerano affatto le conquiste che si realizzano con queste azioni come fine a se stesse. Il P.S.I. invece, lasciando dirigere queste azioni agli uomini dell’ala destra od anche ad uomini della sinistra che da quelli si differenziano soltanto per affermazioni verbali senza essere capaci di intendere la nuova tattica rivoluzionaria, non fece utile opera di preparazione rivoluzionaria, ed il suo massimalismo condusse soltanto a quella serie di insuccessi e di delusioni ben noti a tutti i lavoratori, di cui la destra del Partito, infischiandosi dell’impegno assunto di essere disciplinata a quello indirizzo che la maggioranza aveva stabilito, si servì per deridere audacemente il metodo massimalista.
Per evitare tutto ciò non vi sarebbe stato che un solo mezzo: eliminare dal Partito i riformisti basandosi sulla loro avversione di principio al programma comunista, per poterli scacciare dalle loro posizioni squalificandoli innanzi a tutto il proletariato italiano come avversari della rivoluzione e della III Internazionale, come equivalenti italiani dei menscevichi russi e di altri controrivoluzionari esteri.
In questo modo la situazione italiana e l’andamento della lotta di classe tra noi vengono a confermare quelle esperienze internazionali su cui si basano i comunisti per liberare il proletariato dai suoi falsi amici social-democratici.
Tutto ciò in Italia fu sostenuto dagli elementi di sinistra del
Partito
che andarono sempre meglio organizzandosi sul terreno del pensiero e
del
metodo comunista ed intrapresero la lotta contro il pericoloso andazzo
preso dal Partito.
Dal Congresso di Mosca al Congresso di Livorno
Lo stesso giudizio intorno alla situazione italiana fu espresso dal Congresso di Mosca e sancito nelle sue deliberazioni, richiedendosi che il Partito italiano si liberasse dai riformisti, e divenisse come nel programma così nella tattica, nell’azione e nel nome un vero Partito comunista. Intanto i riformisti italiani, sempre più imbaldanziti dagli insuccessi del massimalismo che aveva apparentemente trionfato a Bologna si erano organizzati in frazione "di concentrazione socialista" col loro convegno di Reggio Emilia dell’ottobre 1920.
Tutti i comunisti italiani che, al disopra di singoli apprezzamenti tattici, accettavano la disciplina internazionale alle deliberazioni di Mosca, si costituirono in frazione, e nel convegno d’Imola del 28-29 novembre 1920 decisero di proporre al Congresso del Partito una mozione, che oltre al comprendere l’applicazione di tutte le altre decisioni del Congresso di Mosca, stabiliva che il Partito si chiamasse comunista, e che tutta la frazione di "concentrazione"dovesse essere esclusa.
L’organo supremo dell’Internazionale Comunista, ossia il Comitato Esecutivo di Mosca, approvò ed appoggiò tale proposta.
Intanto nelle file del Partito da parte di coloro che tanto facilmente si erano proclamati massimalisti e che avevano inneggiato a Mosca quando si trattava di andare ai trionfi elettorali si organizzò una corrente unitaria, venendo così a costituire una frazione di centro che si opponeva alla divisione tra comunisti e riformisti.
I capi di questa tendenza si dicevano comunisti, ma oggi che essi hanno dimostrato coi fatti di tenere più ai riformisti e ai controrivoluzionari, come Turati e D’Aragona, che ai comunisti e alla Terza Internazionale, riesce evidente che essi costituiscono la peggiore specie di opportunisti. Infatti costoro nel recente Congresso di Livorno, capitanati da G.M. Serrati, hanno respinto le precise disposizioni del Congresso mondiale dell’Internazionale Comunista, trascinando la maggioranza del Congresso a decidere che i riformisti restassero nel partito, tutti senza eccezione.
Tale atto inqualificabile – voluto da pochi capi che hanno saputo speculare sulla inesperienza dei gregari – ha preparato questa logica conseguenza: la espulsione del P.S.I. dalla Internazionale Comunista.
Dinanzi a tale situazione la frazione comunista ha senz’altro abbandonato il Congresso ed il Partito, ed a deciso di costituirsi in Partito Comunista d’Italia – Sezione della Internazionale Comunista.
Così i sedicenti "comunisti" della frazione unitaria serratiana, per restare uniti ai quindicimila riformisti dell’estrema destra, si distaccano dall’Internazionale Comunista, ossia dal proletariato rivoluzionario mondiale, e da sessantamila comunisti iscritti al Partito, con i quali è solidale tutto il movimento giovanile, forte di più di quindicimila iscritti.
A voi, lavoratori, giudicare il contegno di costoro, a voi il dire
quanto
essi siano comunisti, quanto abbiano a cuore le sorti della rivoluzione
proletaria.
La politica della Internazionale e le false asserzioni dei fuorusciti
Gli unitari hanno tentato di far apparire dovuto ad altre sciocche ragioni il loro distacco dall’Internazionale Comunista. Essi affermano che noi avremmo avuto il torto di volere applicare troppo rigidamente gli ordini di Mosca che, secondo loro, non corrisponderebbero alle esigenze della situazione italiana.
A ciò noi rispondiamo che l’Internazionale sarebbe una vana parola e nulla più, se non fosse organizzata sulla base della disciplina. Come le Sezioni di un Partito devono essere disciplinate alla direzione centrale, così i Partiti devono esserlo rispetto alla Internazionale. In secondo luogo non si tratta degli ordini personali di Lenin o di altri capi del movimento russo, ma delle decisioni di un Congresso al quale hanno partecipato rappresentanti di tutto il mondo, tra cui cinque italiani, quattro dei quali hanno accettato le decisioni relative all’Italia colla opposizione del solo Serrati.
Quei compagni, come tutti i comunisti italiani, come tutti quei lavoratori italiani che ogni giorno sentivano affievolirsi la loro fiducia nel vecchio Partito, pensavano che le decisioni di Mosca rispondessero ad un maturo esame ed alle varie esigenze della situazione italiana.
Se i comunisti (?) unitari pensano che quelle decisioni non sono convenienti per l’Italia, è perché essi hanno un concetto della rivoluzione che contraddice alle direttive di principio del comunismo internazionale, al pensiero di tutti i veri comunisti del mondo, siano essi italiani, americani o cinesi. Esistono in tutti i paesi coloro che pensano come gli unitari italiani, asseriscono, cioè, di essere per il comunismo e per la Terza Internazionale ma nella pratica rifiutano di eseguire le decisioni della Internazionale, col pretesto che non sono applicabili alle condizioni particolari del loro paese. E sono appunto questi gli avversari più insidiosi della Internazionale.
Un’altra bugia degli unitari è l’asserzione che le concessioni a loro rifiutate nell’applicazione delle 21 condizioni siano, invece, state accordate dalla Internazionale ai compagni di altri paesi e soprattutto della Francia. La verità è del tutto opposta. Il Partito Socialista Francese nel recente Congresso di Tours si è dichiarato nella sua maggioranza per la adesione a Mosca, però la mozione della maggioranza conteneva alcune riserve, tra cui quella di conservare nel Partito la minoranza centrista. È falso che il Comitato Esecutivo della Internazionale abbia accettato queste riserve. Al contrario, esso inviò al Congresso di Tours un energico telegramma richiedente l’espulsione dei centristi e la applicazione integrale delle condizioni di ammissione. La maggioranza del Congresso accettò disciplinata il contenuto del messaggio dell’Esecutivo. Invece gli unitari italiani si sono ribellati alle disposizioni dell’Internazionale, alla quale, a differenza dei francesi, già erano aderenti. Abbiamo avuto così il primo caso d’un Partito che abbandona l’Internazionale dopo esservi entrato a bandiera spiegata: negli unitari italiani la Terza Internazionale può così registrare i primi suoi rinnegati.
Costoro accampano ancora il proposito di ricorrere al Comitato Esecutivo ed al Congresso prossimo dell’Internazionale Comunista, per ottenere di essere riconosciuti come tuttora aderenti. Poiché in ogni paese non può esservi che un solo Partito aderente a Mosca, l’Internazionale dovrebbe per riconoscere gli unitari ripudiare il nostro Partito e sconfessare l’atteggiamento da noi tenuto, cosa evidentemente assurda e stranamente contraddicente alla famosa affermazione degli unitari che noi siamo esageratamente attaccati alla volontà espressa da Mosca.
Il nostro Partito Comunista è e resterà l’unica sezione italiana
della
Internazionale Comunista. Chi non è col nostro Partito, sia esso un
borghese
od un aderente al vecchio Partito Socialista, è fuori ed è contro la
Terza Internazionale. I membri del vecchio Partito che, con mille
menzogne,
sono stati indotti a pronunziarsi per la tesi unitaria, ai quali si è
promessa l’unità del Partito nella Terza Internazionale, possono oggi
vedere chiaramente la situazione. L’unità del Partito non esiste più
avendo esaurito la sua ragion d’essere, ed essi si troveranno fuori
dalla
Internazionale Comunista, dalla famiglia mondiale dei lavoratori
rivoluzionari. Essi possono uscire da questa falsa situazione soltanto abbandonando
i capi del Partito Socialista.
Come è costituito il Partito comunista
Il Partito Comunista d’Italia vi si presenta dunque, o compagni lavoratori, come un prodotto della situazione creatasi in Italia dopo la guerra mondiale e che va svolgendosi, anche più rapidamente che in altri paesi, verso la rivoluzione proletaria.
Questo Partito comprende in sé le energie rivoluzionarie del proletariato italiano, esso deve rapidamente organizzarsi come l’avanguardia di azione della classe lavoratrice. I suoi principi ed il suo programma vi dicono che il Partito Comunista sta sul terreno del pensiero marxista, del comunismo critico, del Manifesto dei Comunisti, così come tutto il movimento della Internazionale di Mosca. Gli altri che, chiamandoci anarchici o sindacalisti, si rivendicano continuatori del marxismo, sono invece coloro che lo hanno falsificato.
Noi invece, raccogliendo nelle nostre file la maggior parte di coloro che sostennero il valore rivoluzionario del marxismo in Italia, dissentiamo, così come le tesi di Mosca dissentono, dalle teorie anarchiche e sindacaliste – pure considerando i proletari anarchici e sindacalisti come nostri amici generosamente rivoluzionari, che finiranno col riconoscere la giustezza delle direttive teoriche e pratiche dei comunisti, mentre invece i riformisti, i social-democratici, e tutti quelli che si sentono di convivere con costoro si allontanano sempre più dal comunismo e dalla via della rivoluzione.
Il Partito Comunista d’Italia si compone dunque di coloro che veramente hanno sentito ed accolto, nella mente e nel cuore, i grandi principi rivoluzionari della Internazionale Comunista. Nelle sue file sono giovani e vecchi militanti dell’antico Partito; esso continua storicamente la sinistra del Partito Socialista, quella parte cioè di questo Partito che lottò in prima linea contro il riformismo collaborazionista, contro i blocchi elettorali, contro la massoneria, contro la guerra libica, che non solo sostenne la lotta contro i fautori della guerra, ma anche in seno al Partito contrastò tenacemente il passo a coloro che alla guerra erano avversi a parole ma, non del tutto scevri da pregiudizi patriottici, tendevano a continue transizioni colla borghesia.
È vero che restano nel vecchio Partito taluni che in certa epoca
furono
estremisti, magari più estremisti di noi, ma costoro o sono esemplari
del vecchio fenomeno d’involuzione politica degli individui, o
rappresentano
i massimalisti che s’improvvisarono tali per opportunità elettorale, o,
nell’ipotesi più benevola, sono individui che si credettero comunisti
quando ancora non avevano inteso quali siano le differenze vere tra il
Comunismo e i pregiudizi borghesi e piccoli borghesi.
L’azione del Partito comunista
Il Partito Comunista d’Italia ispira il suo giudizio tattico alle deliberazioni dei Congressi Internazionali, e quindi intende avvalersi dell’azione sindacale, cooperativa, elettorale, parlamentare, come d’altrettanti mezzi per la preparazione del proletariato alla lotta finale.
Attraverso l’intimo contatto con le masse lavoratrici, in tutte le occasioni in cui queste sono spinte ad agitarsi dalla insofferenza delle loro condizioni di vita, il Partito Comunista svolgerà la migliore propaganda dei concetti comunisti, suscitando nel proletariato la coscienza delle circostanze, delle fasi, delle necessità che si presenteranno in tutto il complesso svolgimento della lotta rivoluzionaria.
Colla rigorosa disciplina della sua organizzazione interna, il Partito Comunista si organizzerà in modo da essere capace di inquadrare e dirigere sicuramente lo sforzo rivoluzionario del proletariato.
La propaganda, il proselitismo, l’organizzazione e la preparazione rivoluzionaria delle masse saranno basate sulla costituzione di gruppi comunisti che raccoglieranno gli aderenti al Partito che lavorano nella medesima azienda, che sono organizzati nel medesimo sindacato, che, comunque, partecipano ad uno stesso aggruppamento di lavoratori. Questi gruppi o cellule comuniste agiranno in stretto contatto con il Partito che assicurerà la loro azione d’insieme, in tutte le circostanze della lotta. Con questo metodo i comunisti muoveranno alla conquista di tutti gli organismi proletari costituiti per finalità economiche e contingenti, come le Leghe, le Cooperative, le Camere del Lavoro, per trasformarle in istrumenti della azione rivoluzionaria diretta dal Partito.
Il Partito Comunista intraprenderà, così, fedele alle tesi tattiche della Internazionale sulla questione sindacale, la conquista della Confederazione Generale del Lavoro, chiamando le masse organizzate ad una implacabile lotta contro il riformismo ed i riformisti che vi imperano.
Il Partito Comunista non invita, quindi, i suoi aderenti ed i proletari che lo seguono ad abbandonare le organizzazioni confederali, bensì li impegna a partecipare intensamente all’aspra lotta che s’inizia contro i dirigenti. Non è certo questo breve e facile compito, soprattutto oggi che molti sedicenti avversari del riformismo depongono la maschera e passano apertamente dalla parte dei d’Aragona, con i quali militano insieme nel vecchio Partito Socialista. Ma appunto per questo il Partito Comunista fa assegnazione sull’aiuto di tutti gli organismi proletari sindacali che conducono all’esterno la lotta contro il riformismo confederale, e li invita, con un caldo appello, a porsi sul terreno della tattica internazionale dei comunisti, per sloggiare i contro-rivoluzionari con una risoluta e vittoriosa azione comune.
I membri del Partito Comunista, rivestiti di cariche direttive nei Comuni, nelle Province e nel Parlamento, restano al loro posto con mandato di seguire la tattica rivoluzionaria decisa dal Congresso Internazionale, e con subordinazione assoluta agli organi direttivi del Partito.
Una parte dei giornali del vecchio Partito resta al Partito Comunista, tra questi i quotidiani "Ordine Nuovo", di Torino e "Il Lavoratore", di Trieste.
Organo centrale del Partito sarà "Il Comunista", bisettimanale, pubblicato a Milano, ove ha sede il Comitato Esecutivo del Partito.
Questo, nelle grandi linee, è il piano d’azione che il Partito
Comunista
si propone, e per la esplicazione del quale conta sulla adesione
entusiastica
della parte più cosciente del proletariato italiano.
Lavoratori italiani!
Gli avvenimenti attraverso i quali il Partito Comunista d’Italia si è costituito, dimostrano come esso corrisponda ad una necessità irresistibile dell’azione proletaria, e dimostrano come esso sorga quale l’unico organo capace di condurre alla vittoria la classe lavoratrice italiana. Il programma di lotta del Partito Comunista dimostra che esso soltanto potrà applicare, nell’azione rivoluzionaria, i risultati delle esperienze italiane ed estere della lotta di classe come le deliberazioni dell’Internazionale Comunista. Il vecchio Partito Socialista, al Congresso di Livorno, ha perduto nello stesso momento le energie e l’audacia della parte più giovane, ed il miglior contenuto dell’esperienza delle sue lotte passate, che si riassume nella affermazione di quel metodo rivoluzionario, di cui oggi il rappresentante è il Partito Comunista.
Il vecchio Partito ha fatto un gran passo verso destra, sulla via
fatale
che ha come ultimo sbocco la controrivoluzione. Esso è squalificato
dinanzi
agli occhi del proletariato italiano, ed è destinato, d’ora innanzi, a
vivere solo delle pericolose simpatie borghesi, il cui coro già si
eleva
attorno ad esso. È il Partito in cui la destra, con i suoi Modigliani
ed i suoi D’Aragona, è moralmente padrona, e gli intransigenti
rivoluzionari,
i massimalisti, di ieri recitano la parte di servitori del riformismo.
Lavoratori italiani!
Il vostro posto di battaglia è col nuovo Partito, è nel nuovo Partito. Attorno alla sua bandiera, che è quella dell’Internazionale, dei lavoratori rivoluzionari di tutto il mondo, dovete stringervi per la grande lotta contro lo sfruttamento capitalistico.
Il Partito Comunista d’Italia, nel chiamarvi a raccolta per le battaglie della rivoluzione mondiale, si sente in diritto di salutare a nome vostro i lavoratori di tutto il mondo inviando alla Internazionale Comunista di Mosca, invincibile presidio della rivoluzione mondiale, il grido entusiasta di solidarietà dei proletari e dei comunisti italiani.
Contro tutte le resistenze del sistema sociale borghese, contro tutte le insidie dei falsi amici del proletariato, contro tutte le debolezze e le transazioni, avanti per la vittoria rivoluzionaria, a fianco dei comunisti del mondo intero.
Abbasso i rinnegati ed i traditori della causa
proletaria!
Viva la III Internazionale Comunista!
Viva la Rivoluzione Comunista mondiale!
Il Comitato Centrale del Partito Comunista d’Italia.
("Rassegna Comunista", n. 1, marzo 1921).
I compiti del Congresso del Partito Comunista
("Il Comunista", 1921, n. 55, 17 dicembre)
Nella mozione presentata dai comunisti al Congresso di Livorno era compreso il Programma del Partito Comunista d’Italia che venne poi riconfermato dal Congresso di costituzione radunatosi immediatamente dopo l’uscita dal congresso socialista dei delegati della nostra frazione. Il programma compendia in dieci punti le affermazioni fondamentali per la dottrina del partito, che sono necessariamente comune patrimonio d’opinione di tutti i membri del partito e che rappresentano in sintesi la concezione che il Partito comunista ha della Storia che si svolge e della sua funzione entro di essa, le prospettive che esso intravede come risultato del suo esame critico della vita e della struttura della società e che al tempo stesso, segna come obiettivo alla propria azione.
Tale programma resta segnato come base allo studio che il prossimo Congresso Comunista dovrà fare di molteplici problemi, che con queste brevi parole cerchiamo di prospettare in modo sistematico. Le tavole programmatiche del nostro partito s’integrano con altri documenti dichiarativi del movimento comunista mondiale, primo fra essi e forse per sempre insuperabile il Manifesto dei Comunisti dettato nel 1847 dai nostri maestri Marx ed Engels e soprattutto dalla formidabile genialità del primo. E ad esso direttamente si riportano – tacendosi qui di quanto è materiale di studio e di esperienze e considerato nelle opere personali dei teorici e dei condottieri del movimento – le tesi programmatiche e generali della Terza Internazionale: quelle del Primo Congresso mondiale (marzo 1919) sulla "Piattaforma dell’Internazionale Comunista" e sul tema "Democrazia e dittatura" (dovute a Lenin); quelle del Secondo Congresso (giugno-luglio 1920) sul "Compito del partito comunista nella rivoluzione proletaria" e anche, in parte notevole, sulle "Condizioni di ammissione dei partiti dell’Internazionale" e sui "Compiti principali dell’IC" nonché gli Statuti deliberati dal Congresso, nella cui premessa sono ribaditi i cardini fondamentali del programma comunista, con riferimento agli statuti del 1864 della Prima Internazionale.
Forse ad utile integrazione dei documenti programmatici del comunismo sarebbe necessario spingerci ad una dichiarazione di principi: che prendesse le mosse dalle prime nozioni della nostra dottrina anche in quanto prima di essere vero e proprio programma politico è tracciato di un metodo critico applicato alla comprensione dei problemi storici e sociali. Ma mentre questa è opera internazionale, sono anche comprensibili i motivi pei quali l’Internazionale Comunista non ha creduto in un periodo di costituzione dare veste di documento ufficiale alla precisa delimitazione della propria ideologia, nel mentre il problema impellente era quello di raggruppare agli effetti della organizzazione e della lotta tutti gli elementi non degenerati del movimento proletario mondiale, anche se in parte fuorviati da mille scuole e sottoscuole e dalle loro pseudo-dottrine. Né poteva in questo suo congresso il nostro partito prendersi una iniziativa di tal genere, assorbito come esso è da una mole di compiti che poco consentono di concentrare una parte necessariamente preminente delle sue forze nel campo della elaborazione severamente dottrinale.
Stabiliti quelli che sono i metodi essenziali a cui essa conduce, che se certo non hanno il carattere di immutabili dogmi in cui si debba credere senza discutere, sono però come il contenuto del pensiero nostro indipendentemente dalle vicissitudini e dalle contingenze degli eventi e di successive situazioni, un compito permanente del movimento, e particolarmente dei suoi organi chiamati appunto a tracciargli le direttive fondamentali, come i congressi, è quello di fissare periodicamente i risultati dello studio delle situazioni che si vanno svolgendo: confrontandoli con la visione generale del processo storico che nel programma comunista è condensata. Così il primo Congresso dell’Internazionale adottava delle tesi su "la situazione internazionale e la politica dell’Intesa", il secondo si occupava ampiamente della situazione del processo di formazione dei partiti comunisti nella parte di dettaglio delle tesi sui compiti dell’Internazionale e sulle condizioni di ammissione, il Terzo (giugno-luglio 1921) discuteva a fondo su "la situazione economica mondiale e i compiti dell’IC" sull’azione di marzo in Germania e sulla tattica dei comunisti russi – oltre alle discussioni sui rapporti dell’Esecutivo e sui problemi che in questi erano prospettati.
Una separazione completa tra i vari temi di studio e di discussione di un Congresso comunista non è possibile tracciarla, in quanto che necessariamente essi si intrecciano e talvolta si sovrappongono. Un simile esame oggettivo della situazione sarà indirettamente compreso nei lavori del nostro prossimo Congresso in quanto se ne occuperà la relazione del Comitato Centrale, che d’altra parte si riallaccerà per forza di cose agli altri temi di cui ci occupiamo subito appresso, e che riguardano l’azione del partito in vari campi, e un esame della situazione contingente sarà pure sfiorato per date sfere di fatti, dalle discussioni sulla questione sindacale e agraria. Si intravede però la opportunità di fissare fin da ora, gettando in tempo le basi di un lavoro che si presenta davvero ponderoso, per un ulteriore Congresso del Partito, un tema che comporti l’esame e la definizione sintetica della situazione economica e sociale italiana in rapporto al meccanismo della produzione e della distribuzione e alla ripartizione sociale della produzione, con le svariate considerazioni che ne discendono.
Da questi aspetti prevalentemente teorici del compito dei Congressi di partito si passa a quelli che spingono innanzi nel tracciamento delle norme di azione e dei piani di lavoro del partito. Anzitutto si devono considerare le questioni di carattere interno, che si riferiscono alle regole di organizzazione del partito. Abbiamo a nostra disposizione in argomento le tesi del terzo Congresso mondiale sulla struttura ed organizzazione dei partiti comunisti che saranno, insieme ai considerevoli risultati che ci ha fornito la nostra propria esperienza di partito, largamente utilizzate nel dare la redazione definitiva al nostro statuto interno, il cui testo attuale veniva approvato dal Congresso di costituzione con la riserva di introdurvi le modifiche e aggiunte che la esperienza della sua applicazione avrebbe suggerito. A questo tema si riallacciano quelli del lavoro nel campo giovanile e femminile, a cui il terzo Congresso mondiale ha dedicato apposite trattazioni.
Dopo aver posto a disposizione dei suoi gregari documenti e materiali che convenientemente condensino gli elementi del programma del partito, i dati della situazione generale e le norme di organizzazione e di coordinazione disciplinare interna, i Congressi devono elaborare le conclusioni di ordine tattico fissando i criteri per l’azione da esplicare con le forze del partito nel campo dei vari problemi. In questa materia fece particolarmente un lavoro notevole il secondo Congresso internazionale risolvendo nelle sue tesi gli importantissimi dibattiti sull’attitudine che i partiti comunisti devono avere nella questione sindacale, in quella agraria, in quella elettorale parlamentare, in quella nazionale e coloniale.
Gli appassionati dibattiti del terzo Congresso Internazionale, sulla tattica dell’I.C. che tanta larga eco hanno avuta, suggeriscono a parer nostro l’opportunità di stabilire prima ancora di giungere ai singoli problemi di tattica come quelli ora accennati le direttive generali che devono guidare l’effettiva azione del Partito comunista in quanto muovendo dal suo programma e dalle previsioni del suo metodo critico, passa ad adoperare coscientemente le forze di cui dispone per affrettare la realizzazione dei suoi scopi col conveniente corredo di elementi che gli viene dall’analisi attenta delle condizioni reali del momento. È questa ricerca da un lato arduamente teorica perché comporta la soluzione dei problemi inerenti all’influenza della volontà e dell’iniziativa del Partito sugli avvenimenti (che dialetticamente si intreccia con la determinazione dello sviluppo del Partito stesso e del movimento rivoluzionario per effetto di fattori economici e sociali), dall’altro necessariamente pratica per ciò che interessa l’azione e l’opera di tutti i giorni, il quotidiano controllo che i risultati conseguiti esercitano sulla validità dei nostri piani, sulla giustezza delle nostre previsioni, sulla opportunità dei nostri sforzi in data direzione e in data misura, a questa ricerca il nostro partito dovrà portare un contributo in quanto all’ordine del giorno del Congresso vi è la tattica del Partito, e le conclusioni di questa discussione devono dire una parola su quest’aspetto generale della questione della tattica come utile premessa alla risoluzione di singoli lati di essa.
Alcuni di essi verranno espressamente affrontati dal Congresso del nostro partito che si occuperà distintamente della "questione agraria" e della preminente e importantissima "questione sindacale" venendo incontro ai dati che su queste questioni hanno fornito i Congressi internazionali applicandoli alla lotta del nostro Partito.
Altri lati del problema tattico a cui si accennerà tuttavia direttamente (in tema di relazione della Centrale e anche di revisione dello Statuto) saranno oggetto indubbiamente dei lavori di altri nostri Congressi attenendosi naturalmente il nostro Partito alle soluzioni che ne hanno dato i Congressi internazionali: così per la questione nazionale e coloniale, per quella elettorale e parlamentare, per l’azione delle cooperative che d’altra parte potrà essere considerata nell’argomento sindacale.
Abbiamo così voluto tracciare uno schema delle questioni su cui il
Partito Comunista deve fissare chiaramente le sue posizioni. Né
nazionalmente
né internazionalmente questo schema ha potuto o potrà coincidere con
l’ordine dei lavori dei Congressi e con quello della successione
cronologica
dei Congressi medesimi, in quanto nessun aspetto della questione può
essere
rinviato in base a una sospensiva mentre fervono le esigenze molteplici
dell’attività comunista internazionale e nazionale. Ma indubbiamente
più
efficace sarà l’azione dei partiti comunisti e della loro
Internazionale
quanto più sicuramente e sistematicamente si sarà definito il corpo di
dottrine e di regole che mirabilmente costituisce la guida comune del
grande
esercito comunista internazionale che col pensiero e l’azione, con la
penna
e con la spada, consolida le ragioni della sua forza e della sua
vittoria.
L’articolo che segue, pubblicato dal giornale del Partito "Il Partito Comunista" oltre quindici anni fa, ma dal quale non abbiamo nulla da togliere o da aggiungere, salvo alcune notazioni legate all’attualità di allora e semmai superate solo per l’incarognimento opportunista, e per la sparizione di gran parte della fungaia pseudorivoluzionaria confusionista e mistificatoria, vogliamo ripresentarlo a chiusura di questo numero "monografico" della Rivista dedicato a documenti fondamentali nella storia del "nostro" Partito, quello di Livorno, sezione italiana della Terza Internazionale, aperta con un "excursus" storico dello stalinismo che distrusse dalle fondamenta il Partito nato a Livorno.
Quindici anni, pochi in una visuale storica per avvertire il passo del processo rivoluzionario in una fase totalmente monopolio dell’avversario borghese e della sua ideologia, ma tanti se misuriamo gli avvenimenti accaduti alla scala geopolitica, permettono bene di valutare la traiettoria politica e sociale del primo avversario della rivoluzione sociale, il più pericoloso e corrompente perché agisce nelle file stesse della classe operaia. La tradizione di Livorno è stata cancellata, ma infine anche le insegne, abusate e menzognere del socialismo sono state eliminate dalla bandiera di quel partito che oggi si è spogliato anche dell’usurpato nome di comunista: e allora quel tragitto, dalla democrazia al fascismo, che l’articolo illustra sul piano storico e dottrinale come necessario e determinato per il riformismo nato dalla degenerazione staliniana, è reso ancora più manifesto alla luce dei fatti odierni previsti ed analizzati dalla nostra scuola.
Sotto gli occhi del nostro lettore, di chi segue il nostro lungo, continuo e coerente lavoro, abbiamo voluto mettere un "come siamo nati e cosa sono diventati" per far ancora meglio risultare le ragioni della battaglia per la Rivoluzione, costanti ed immutabili oltre tempo ed accadimenti, e le "ragioni", altrettanto costanti e fisse, anche se travestite a varie riprese da "novità dell’ultima ora" del tradimento opportunista.
* * *
Oltre 40 anni separano i giorni nostri dalla degenerazione, e poi dalla distruzione di un organismo di battaglia, di un patrimonio teorico e di lotta che sembrava conquista definitiva nella storia del proletariato rivoluzionario; la sconfitta della rivoluzione internazionale; il passaggio del primo Stato della dittatura proletaria nel campo borghese, la bestemmia del socialismo in un solo paese, un secondo carnaio imperialista, l’infamia dei blocchi partigiani. 40 anni di controrivoluzione che pesano sulle spalle di un proletariato ingabbiato nei partiti dell’opportunismo; ed una ripresa che appare ancora lontana malgrado i primi deboli conati di azione autonoma degli operai, le prime spinte antiriformiste.
Con questo bagaglio d’esperienza storica, che il Partito della Rivoluzione ha sintetizzato nelle alterne vicende di vittorie, sconfitte e tradimenti al proletariato, trattare alla luce di questi 40 tragici anni trascorsi la forma attuale dell’opportunismo, significa trattare lo stalinismo – con questo nome i comunisti definiscono la modalità con cui si è determinata la controrivoluzione, astraendo dalle vicende individuali di capi traditori – anche se il mosaico di "aggiornamenti", "correzioni teoriche", di "nuove scoperte organizzative" si arricchisce giorno dopo giorno, nella teorizzazione di mille gruppi e ducetti del momento, di nuove intricate tessere tutte però facilmente riconducibili ad errate teorie di tempi lontani. L’avversario opportunista si presenta essenzialmente sotto l’aspetto dello stalinismo, e da un punto di vista storico occorrerebbe analizzare il sorgere, lo svilupparsi ed il primeggiare di questa forma, peculiare della sconfitta e degenerazione del primo Stato a dittatura proletaria della storia. Ma anche se questa è la sua caratterizzazione attuale, è importante per averne una conoscenza, anche parziale, analizzarne i metodi e la natura, sorvolando sulle vicende storiche delle varie forme con le quali si è manifestato nel tempo, considerandone invece solo l’ideologia, come si è determinata e cristallizzata, sino alle posizioni "odierne".
Con questo criterio, descrivere i metodi dell’opportunismo, che non è un partito, ma un movimento che comprende più partiti, più correnti, un complesso di dottrine e teorie e le cui radici affondano nella storia anteriore al 1914, richiede una analisi che si spinga agli inizi del secolo. Da un punto di vista generale, quando noi marxisti parliamo d’opportunismo, consideriamo il periodo storico che dal 1914 arriva sino oggi, quasi 60 anni di storia non del movimento rivoluzionario del proletariato, ma di tendenze, forze, che pur richiamandosi all’azione di classe, l’hanno stornato dalla via maestra della rivoluzione l’hanno legato al carro della conservazione borghese. Già da questo cenno una caratterizzazione dell’opportunismo come quinta colonna del capitalismo nelle file del movimento operaio, è – la definizione di Lenin – "socialismo a parole e tradimento nei fatti".
Ma una serie di definizioni non può bastare a spiegare un fenomeno
così complesso, che una descrizione delle sue caratteristiche esteriori
non renderebbe conto di quanto esso sia differente nella sostanza, pur
se riconducibile nel quadro composito dei suoi metodi di azione ed
ideologie,
ad altri "metodi" di direzione del proletariato, con i quali il
marxismo
rivoluzionario in tempi diversi, ebbe a scontrarsi sul piano della
teoria
e poi su quello dell’azione pratica; ed abbiamo detto "metodi di
direzione"
della classe operaia, che in differenti epoche convissero, perché è
necessario
chiarire che l’opportunismo, nel riassumerli tutti, sindacalismo,
operaismo,
riformismo, costituzionalismo pacifismo tipico dell’epoca imperialista,
non è un metodo nel senso storico sopra accennato.
Fino alla grande guerra
È quindi necessario ripercorrere alcune tappe della storia della "nostra" classe, anche per sgombrare il campo della visione tipica dell’idealismo radicale piccolo borghese, per cui la teoria, e di conseguenza anche l’azione rivoluzionaria, sorgerebbe dal seno delle "masse", che troverebbero per virtù intrinseca propria la strada della rivoluzione, cosicché il partito si ridurrebbe ad una pura organizzazione il cui solo compito è di stimolare acconciamente questa speciale "ghiandola rivoluzionaria" magari con gesti esemplari, e poi accodarsi al movimento in atto; visione ideologica, che non comprende come la teoria sia un dato esterno della classe, e che la storia "sceglie" tra le varie teorie, la giusta, corretta.
Il proletariato infatti fin dal suo sorgere, conobbe lo svolgersi di due metodi nella conduzione delle sue lotte, quello rivoluzionario e quello pacifista costituzionale; il primo è il nostro marxista, all’altro appartengono i movimenti anarchici e proudhoniani piccolo borghesi. Ancora, il metodo pacifista costituzionale è caratterizzato da due filoni, quello gradualista riformistico, e l’operaismo sindacalista.
Da un punto di vista politico, c’è stata al sorgere della prima Internazionale, una precisa opposizione fra i metodi rivoluzionari anarchici e quelli marxisti, nella quale la frazione anarchica si batteva per un federalismo piccolo borghese contro il centralismo dei marxisti; tra i due c’è stata tuttavia convivenza, sino ad un certo momento, nel crogiolo della lotta contingente della classe operaia e ne sono prova le lotte sindacali e di difesa in Inghilterra ed in Francia nelle quali l’elemento anarchico non era in contraddizione con l’elemento scientifico costituito dal pensiero marxista che si stava elaborando nella I Internazionale. La rottura di questa convivenza, la scelta che la storia stessa opera in favore della prassi e del pensiero marxista, a seguito d’avvenimenti che in questa sede non è il caso di percorrere, espelle definitivamente il metodo anarchico dal seno della classe operaia.
Un’altra convivenza storica si ha tra il metodo riformista e quello marxista rivoluzionario all’interno della II Internazionale; essi, impiantatisi nel proletariato, e discendenti dalle stesse comuni radici (dirà Turati, al Congresso di Livorno nel 1921 "siamo tutti figli del Manifesto") non si scontrano in un urto così violento da spezzare l’organizzazione, anche se la frazione rivoluzionaria non cessa mai la critica martellante contro quella riformista; tutto ciò sino allo scontro diretto cioè degli Stati capitalistici che "smentisce" storicamente la "ipotesi" gradualistica e addita all’azione proletaria la sola via della rivoluzione violenta; i partiti riformismi nazionali aderiscono, in vario modo, e con sfumature differenti alla guerra, le frazioni rivoluzionarie vi si oppongono in nome della guerra tra le classi. L’adesione alla guerra avviene non nello stesso modo per tutti i partiti riformisti; dall’appoggio diretto della socialdemocrazia tedesca, all’equivoco "né aderire né sabotare" del P.S.I., mentre l’altro polo di questa tendenza, che testimonia come essa ancora fosse legata al proletariato, ben può essere caratterizzata dal rifiuto di Jean Jaurès, che si dichiara contro le guerre in nome di un pacifismo umanitario non nostro, gesto nobilissimo, ma non da iscriversi nella tradizione rivoluzionaria del proletariato; è però sintomatico che un simile atto non si ritrovi più da parte dell’opportunismo alla vigilia della II Guerra mondiale. Il riformismo fu quindi un metodo di conduzione dell’azione proletaria, a sua lode vanno ascritte la formazione di poderose organizzazioni sindacali, l’utilizzo legale dei mezzi che la lotta del proletariato metteva a disposizione per conquistare "nuovi fortilizi" – Engels stesso si esaltava per la elezione di operai nei parlamenti, perché un drappello della classe in essi significava incepparli, intaccarne le file, sabotarne il funzionamento.
Il 1914 segna quindi la fine non d’un metodo ma di tutti i metodi di direzione della classe operaia che non si schierino su un unico fronte che le vicende storiche e le lotte di quasi un secolo hanno indicato, quello del marxismo rivoluzionario. Crollano nel 1914 i miti anarchici (col tragico epilogo della guerra di Spagna del 1936), già scartati all’inizio del ’900, crolla la tendenza anarco-sindacalista soreliana, ancora presente come frazione in alcuni partiti socialisti, e che pure aveva avuto un benefico effetto – anche se in senso non corretto – quando si era opposta alla collaborazione aperta con lo Stato che da parte del sindacalismo "ufficiale" veniva attuata, anche se in modo mille volte meno fetido di oggi. In Italia il Congresso di Bologna del 1919 e di Livorno del 1921 segnano bene la cristallizzazione e lo scontro definitivo tra riformismo e ala rivoluzionaria. Cadono tutti i metodi solo rimane il marxismo rivoluzionario; è da questo punto in avanti che si caratterizza il fenomeno dell’opportunismo.
Lasciamo parlare Lenin (lo scritto è del 1913) che martella le caratteristiche di classe di questo "fenomeno storico":
«Che cosa rende inevitabile il revisionismo nella società capitalistica? Perché il revisionismo è più profondo delle particolarità nazionali e dei gradi di sviluppo del capitalismo? Perché in ogni paese capitalista esistono sempre, accanto al proletariato, larghi strati di piccola borghesia, di piccoli proprietari. Il capitalismo è nato e nasce continuamente dalla piccola produzione. Nuovi numerosi "strati medi" vengono inevitabilmente creati dal capitalismo (appendici della fabbrica, lavoro a domicilio, piccoli laboratori che sorgono in tutto il paese per sovvenire alle necessità della grande industria). Questi nuovi piccoli produttori sono pure essi in modo inevitabile respinti nelle file del proletariato. È del tutto naturale quindi che le concezioni piccolo borghesi penetrino nuovamente nelle file dei grandi partiti operai. È del tutto naturale che debba essere così e sarà sempre così, sino allo sviluppo della rivoluzione proletaria, perché sarebbe un grave errore pensare che per compiere questa rivoluzione sia necessaria la proletarizzazione "completa" della "maggioranza della popolazione"».
Mentre poche righe sopra: «Il complemento naturale delle tendenze economiche e politiche del revisionismo è stato il suo atteggiamento verso l’obiettivo finale del movimento socialista. Il fine è nulla, il movimento è tutto – queste parole alate di Bernstein esprimono meglio di lunghe dissertazioni l’essenza del revisionismo. Determinare la propria condotta caso per caso, adattarsi agli avvenimenti del giorno, alle svolte provocate da piccoli fatti politici; dimenticare gli interessi vitali del proletariato e i tratti fondamentali di tutto il regime capitalista, di tutta l’evoluzione del capitalismo; sacrificare questi interessi vitali ad un vantaggio reale o supposto del momento, tale è la politica revisionista. Dall’essenza stessa di questa politica risulta chiaramente che essa può assumere forme infinitamente varie e che ogni problema più o meno "nuovo", ogni svolta più o meno imprevista o inattesa – anche se mutano il corso essenziale degli avvenimenti in una misura infima per un brevissimo periodo di tempo – devono portare inevitabilmente all’una o all’altra varietà di riformismo».
Nello stesso modo niente di nuovo, né da un punto di vista di classe, né da un punto di vista dei contenuti, porta l’opportunismo odierno, nato sulle rovine della III Internazionale, rispetto a quello che Lenin definiva "tradimento nei fatti". L’invarianza storica del programma della rivoluzione, ammette la stessa invarianza nel tradimento opportunista; esso si ripresenta, dopo ogni sconfitta storica del proletariato, con lo stesso bagaglio piccolo-borghese, la stessa visione evoluzionista, la stessa ideologia progressista che vede uno sviluppo ininterrotto dei rapporti sociali, e non il trapasso rivoluzionario da una forma all’altra.
Le "riforme", l’utilizzo di metodi che il marxismo non ha mai per principio respinti, ma che ha visto soltanto come strumenti tattici, vengono usati adesso, insieme a strumenti e modi caratteristici della classe avversaria con la sola funzione di tener legato il proletariato allo Stato borghese; il vecchio riformismo cambia natura, o meglio percorre fino in fondo il cammino che gli avvenimenti lo costringono a percorrere, ed uscito completamente dall’ambito del socialismo, si schiera a difesa delle borghesie nazionali, ponendosi come strumento di armonizzazione nella compagine statale capitalistica: ed allorquando il proletariato insorto, ad "armonizzarsi" con l’avversario non sarà per niente disposto, come nel 1919 in Germania, non esita ad assumersi in prima persona l’azione repressiva statale.
La guerra imperialistica porta alle estreme conseguenze lo sviluppo e la contrapposizione degli ingranaggi di direzione politica delle due classi storicamente antagonistiche; la classe operaia produce come punto più alto della sua coscienza ed azione rivoluzionaria la Terza Internazionale Comunista, la classe borghese esperisce sino in fondo il suo meccanismo di lotta controrivoluzionaria, il fascismo: tra queste due formidabili guide politiche, nel periodo dal ’19 al ’25, lo scontro è aperto per la soluzione del problema dello Stato.
Ma anche l’opportunismo ha giocato il suo ruolo controrivoluzionario
nel gettare disarmata la classe operaia nella morsa della repressione
borghese;
ed una volta che si è specificato come esso riunisca in sé tutte le
tendenze
e le ideologie che hanno caratterizzato il movimento operaio fino al
1914,
risulta fertile ed importante spiegarlo attraverso la caratterizzazione
del fascismo.
Sull’altro fronte
Distrutta dallo stesso procedere storico l’illusione che il riformismo potesse raggiungere le finalità del socialismo ed avesse un senso prima della conquista del potere politico e la distruzione dell’apparato di dominio della classe avversaria, diventato nelle mani dell’opportunismo un metodo di azione che sfocia in una attività a solo favore dell’irrobustimento dello Stato borghese, come si comporta il fascismo dal punto di vista delle riforme? Esso agisce come il vero riformismo di Stato, gradualismo di Stato, sindacalismo di Stato.
I marci opportunisti odierni, ubriachi della parola "riforme" sotto l’ala statale, fingono di ignorare che il vero movimento "riformatore" è stato il fascismo, nel campo sindacale e in quello politico. La tanto decantata "unificazione sindacale", ovvero il formale definitivo inserimento delle organizzazioni economiche operaie nella compagine statale, proprio il fascismo la realizzò, distruggendo fisicamente, all’esterno la gloriosa C.G.d.L. pur minata dall’interno dai bonzi d’allora; oggi, con 40 anni di ritardo è ripercorsa la stessa strada. Ancora, la "riforma dello Stato", ovvero il suo irrobustimento fu opera del fascismo, condotta con la violenza contro il proletariato schiantato dall’azione disgregatrice della socialdemocrazia.
La stessa volontà di rendere più saldo lo strumento di dominio della classe avversaria anima oggi l’opportunismo, sotto i belati ad uno Stato più "giusto, morale, democratico". Gridano ad un’economia malata, da risanare, al sovvenzionamento delle piccole industrie, ai capitali che non "vanno in investimenti produttivi", elevano preci alla statalizzazione dell’industria, panacea per vincere ogni malanno che colpisca la loro amata economia, ma proseguono in modo di gran lunga più deteriore, la stessa politica di puntellamento dello Stato borghese. Tolte le effigi nere, sostituite con quelle tricolore, hanno proseguito fedeli alla degenerazione che ha distrutto l’Internazionale Comunista sul cammino che l’abbattuto regime aveva percorso e che a sua volta aveva ereditato dalla socialdemocrazia.
L’ormai definitivamente raggiunto ambito borghese non offre loro alcuna "soluzione" originale: sotto le mentite spoglie delle vie nazionali al socialismo, rimane l’armamentario del metodo fascista, perché la storia stessa ha sgombrato il campo alle soluzioni intermedie.
È quello fascista in definitiva il metodo più adatto e "moderno" per la direzione dello Stato, cioè il fascismo costituisce la giusta sovrastruttura politica del capitalismo in epoca imperialistica; si potrebbe definire il fascismo come un tipo di opportunismo diretto dallo stesso partito della borghesia contro il proletariato, anziché diretto dai partiti pseudo-operai. Riformismo, gradualismo, sindacalismo, esercitati, anziché da partiti diversi, dallo Stato in prima persona; e questo porta a dire che il fascismo è la manifestazione politica del totalitarismo statale.
Lo sviluppo delle forze del capitale segue la direttrice irreversibile della massima concentrazione e della massima centralizzazione della sovrastruttura politica, in tal senso lo Stato, come vertice della piramide del sistema capitalistico non può essere che il totale monopolizzatore delle forze dell’insieme della società capitalistica.
Lo Stato diviene quindi l’elemento polarizzatore di ogni forza e raggruppamento che si ponga l’obiettivo del potere; al di fuori del campo della rivoluzione proletaria e del comunismo, soltanto l’apparato di dominio della classe avversaria esiste e domina ed un segno potente è dato da tutti quei cosiddetti partiti politici, vere escrescenze degenerative che con il loro tentato assalto alla corriera, avrebbero preteso di arrovesciare i rapporti di forze gridando in parlamento "Viva la rivoluzione" ad altissimi stipendi. È perciò naturale che l’opportunismo, in tutte le sue correnti e manifestazioni politiche e sindacali, difenda ad ogni modo la forma democratica del governo statale; non perché in essa l’attività per l’emancipazione del proletariato risulti più facile, ma perché è la sola che gli permetta di esistere all’interno della struttura statale con una precisa funzione, la sola che gli renda possibile accederne al governo; è in questa fase che può svolgere meglio una attività a favore dello Stato, senza intaccarne le fondamenta, senza minarne i principi; è in questa fase che si rende garante con la sua influenza nelle file del proletariato che esso non si ponga come forza antagonistica organizzandosi per l’attacco diretto. Una conferma di questa costante storica la possiamo vedere nei fatti passati se consideriamo che al partito fascista, fin dalle sue origini, aderirono esponenti del sindacalismo rivoluzionario; anzi lo stesso partito socialista tentò debolmente l’imbarco nel governo per salvare la faccia ad una democrazia ormai inesistente.
Abbiamo detto che il fascismo porta tutte le stigmate tipiche della socialdemocrazia; questo significa, tra l’altro, che assomma le caratteristiche delle organizzazioni politiche di massa: quello che in più possiede è un’organizzazione militare autonoma. La socialdemocrazia, anche la più truce e sanguinaria, nella sua battaglia contro il proletariato insorto, non l’ha mai posseduta, ma ha dovuto usare quella dello Stato.
Basandosi anche su questo elemento, la messa in campo di un apparato autonomo, l’opportunismo spaccia lo Stato sotto il governo fascista come diverso dal vecchio Stato liberale; lo Stato "fascista" come dicono loro sarebbe uno Stato dittatoriale; una forma diversa di Stato, ancora, sarebbe sorto dopo la seconda guerra mondiale. Uno Stato conquistabile,democratico: il modello di lor signori in questo senso è il celeberrimo e truce "Stato popolare nato dalla resistenza".
È viceversa antica tesi del marxismo rivoluzionario che la natura dello Stato organo di dominio di una classe, e di una sola, non cambia, non si muta; solo è da distruggere per la sostituzione con un’altra forma di Stato, che corrisponda agli interessi di un’altra classe. Lo Stato della dittatura proletaria è Stato totalitario; totalitario è malgrado le laide menzogne dell’opportunismo, lo Stato della borghesia, quale che sia la mano, o le mani che ne reggono il timone, ovvero sia la sua forma di governo democratica o fascista.
Senza volerci addentrare nella teoria marxista dello Stato, basta osservare che mentre è la stessa concentrazione delle forze produttive a richiedere una sovrastruttura politica "totalitaria", è un’ironia – confermante però la potenza del nostro metodo – che proprio gli assertori sfegatati dello Stato bilaterale, conquistabile, sotto la vernice demagogica siano anch’essi dei feroci statolatri, tutto vedano risolto nello Stato, sintetizzatore, nelle loro dementi intenzioni, del contrasto storico capitalismo proletariato. È paradossale, ma soltanto formalmente, che l’opportunismo abbia in definitiva come obiettivo storico una forma mascherata di corporativismo.
Tutte le teorizzazioni odierne dei partiti stalinisti nell’area occidentale, e l’azione che quotidianamente svolgono, mirano appunto a questo. Cos’altro sono in definitiva i "compromessi storici", le "vie nazionali al socialismo" se non il sanzionamento, nei fatti, anche se a parole se ne fanno i più strenui paladini, della liquidazione d’ogni dinamica parlamentare? Nell’abbraccio della Grosse Koalition sparisce ogni dialettica democratica opposizione-maggioranza, anche se tutto questo viene chiamato da costoro "sviluppo ad un gradino più alto della democrazia", e dovrebbe costituire un passo ulteriore verso il socialismo.
Sul termine "sviluppo" si può anche concordare, solo si precisi che è l’ultimo sviluppo della democrazia: quello della sua morte, come metodo di governo; i vari compromessi storici, nelle forme particolari che le condizioni nazionali dettano, sono l’epigrafe sulla tomba di questo cadavere. Di pari passo, sul piano ideologico, si assiste – ed a volte anche con un certo divertimento, data la miseria intellettuale, l’imbarazzato dilettantismo di queste ponzate – a teorizzazioni sempre più accentuate della dissoluzione del corpo sociale della classe operaia, passata da "forza egemone nel blocco nazionale", sostituzione gramsciana della formula della "dittatura del proletariato" sulla falsariga dei fronti unici, governi operai, governi operai e contadini, all’odierno "blocco storico" secondo il quale la classe operaia perde anche la funzione "egemone" che pure Gramsci le destinava, per trovarsi gruppo statistico di individui in una specifica posizione nel processo produttivo, accanto ad altri strati, ad essi equivalente come "peso" sociale, ai cui interessi ha da piegarsi ove l’economia nazionale o ragioni elettorali lo impongano.
La democrazia "si sviluppa", il proletariato affonda; come avanzata verso il socialismo non c’è male.
Del resto non rimane loro gran ché da inventare; la vecchia formula democratica, ripetiamo è morta col tramonto del liberalismo dopo la prima guerra mondiale, le attuali democrazie nulla più avendo a che vedere, se non per aspetti fallaci esteriori, con la democrazia liberale. In questo senso noi comunisti diciamo che il fascismo, sconfitto alla scala militare non da un movimento di classe – come vogliono farci intendere costoro, – ma dalle "democrazie" che allora essi chiamarono progressiste, ironia dei nomi!, ha vinto in tutto il mondo alla scala sociale come sistema per la conduzione statale. Scomparso nelle sue forme esteriori, scomparsa la sua milizia armata, passati nelle mani del braccio armato statale i "santi manganelli" scomparso nella caratteristica di partito unico, ha continuato a vivere e prosperare in una forma che non aveva più nulla in comune se non il nome, con la democrazia dei parlamenti borghesi, ma a cui hanno dato tutto l’appoggio i traditori di una fulgida storia di battaglie proletarie mistificandola nel seno della classe operaia come la prima tappa, la premessa indispensabile della strada verso il socialismo.
Il primo provvedimento che in Italia il governo di coalizione prese, fu la restaurazione del dissolto esercito nazionale, per lanciarlo non in una lotta contro l’internazionale nemico borghese ma per la continuazione di una guerra tra capitalismi che da 4 anni martirizzava l’umanità intera. L’irrobustimento poliziesco dello Stato fu immediato, non appena le funzioni statali passarono dalle mani delle truppe di occupazione anglo-americane (eccellente strumento di repressione antiproletaria, che suppliva assai bene uno Stato italiano "momentaneamente assente") a quelle del governo di coalizione nazionale, quando i comandi alleati compresero che potevano fidarsi di tale organismo, il cui primo esordio fu un atto di subordinazione nei confronti del capitalismo internazionale. E la ricostruzione dei sindacati cosiddetti di classe avvenne su provvedimenti che negavano alla classe operaia ogni lotta che non fosse compatibile col piano di ricostruzione nazionale – prima ricostruire, poi rivendicare – quasi si trattasse di costruire il socialismo dopo la rivoluzione proletaria.
E ancora la più terribile vergognosa lotta indicata agli operai, per
la repubblica contro la monarchia "che aveva portato allo sfacelo
l’Italia",
per dare una vernice di nuovo e di sopportabile al sistema parlamentare
rinverdendo un metodo che già nel ’19 aveva minato l’azione
rivoluzionaria
proletaria: negazione assoluta della distruzione dello Stato
capitalistico,
conquista legale del potere col solo metodo parlamentare, negazione
della
difesa economica del proletariato legata alla lotta politica per la
conquista
del potere. È proprio questo il programma della piccola borghesia,
delle
aristocrazie operaie che è stato imposto dai partiti traditori al
proletariato,
reduce da quella sconfitta terribile che fu la distruzione dall’interno
del suo partito unico internazionale prima, e dalla spietata azione
repressiva
della borghesia poi, fiaccato nel secondo massacro imperialista.
Vittoria teorica del marxismo
Fisicamente priva della sua organizzazione di indirizzo teorico e di lotta, del suo partito, la classe operaia si è espressa per bocca dell’opportunismo con ideologie, metodi d’azione che non sono i suoi; ridotta a classe statistica non ha retto alla pressione fisica della piccola borghesia che ha contrabbandato nel suo seno gli interessi del capitalismo. L’opportunismo è proprio il rappresentante dell’ideologia di questi strati intermedi, l’alleanza che esso spaccia con la piccola borghesia, è una alleanza a senso unico, è il dominio di mezze classi e forze che tendono soltanto al mantenimento dello "stato di cose attuale". Oggi che si vanno nuovamente costituendo i motivi deterministici, materiali, perché il proletariato ritrovi le condizioni anche fisiche per rimettersi sulla strada della preparazione rivoluzionaria, e il mostruoso apparato produttivo capitalistico comincia ad avvisare i primi intoppi che preludono alla sua crisi generale, l’eliminazione di questa terribile infezione che affossa la nostra classe è il primo obiettivo che si pone per ogni ripresa; e se all’appuntamento storico che noi marxisti vediamo certezza immancabile, l’opportunismo non sarà stato battuto e liquidato, il proletariato perderà ancora. Su questa strada solo la nostra organizzazione sta salda, fedele al metodo rivoluzionario del comunismo, gelosa custode delle conquiste storiche, teoriche e pratiche della III Internazionale, tesa alla ricostruzione di quella organizzazione internazionale unica che i maestri del comunismo additarono al proletariato come strumento indispensabile della sua emancipazione, il Partito Comunista Internazionale.