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Rapporto sulla Teoria della Conoscenza
(Riunione n. 27, Casale Monferrato, 9-10 luglio 1960, dalla registrazione)
Alla Riunione di Parigi, in cui sono state enunciate delle tesi economiche e sociali molto importanti, sono state anche svolte delle argomentazioni che riguardano quei tali problemi che la cultura corrente è solita raccogliere sotto il nome di posizioni filosofiche.
Nelle riunioni di Torino, di Parma, di Milano, di Firenze, e anche nei resoconti, abbiamo ampiamente trattato queste questioni. È accaduto solamente, al solito per le esigenze del nostro lavoro, che il resoconto della ultima riunione di Firenze è arrivato fino alla trattazione dell’economia marxista, ma non si è spinto nella trattazione della questione filosofica che noi ivi svolgemmo. Ed allora il suo resoconto si andrà ad accavallare, a sovrapporre, ad integrare con il resoconto della riunione attuale.
Questo determina sempre qualche piccolo inconveniente: per esempio, c’erano dei compagni che aspettavano di avere quei testi. Magari si potrà anche porre quella famosa questione che discutemmo riguardo all’ipotesi che nella descrizione biblica della distruzione di Sodoma e Gomorra, si potesse immaginare che questa fosse la trasmissione di un antico ricordo di una discesa di «esseri spaziali» sulla Terra. Alcuni compagni avrebbero avuto piacere di avere quei testi: quando verrà il momento li faremo. In ogni modo, naturalmente, nel resoconto noi non inseriremo tutto quanto il fascicoletto biblico che utilizzammo a Firenze, ma lo faremo alla fine del resoconto di questa riunione. I mesi dell’estate sono utili anche a noi e con calma possiamo fare questo lavoro.
In quella terza seduta di Firenze, oltre all’economia marxista di cui abbiamo detto abbastanza, parlammo dello studio dei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Ci ricollegammo alla parte conclusiva del resoconto di Milano, che era stata data ampiamente nel resoconto sul giornale, e parlammo della famosa questione dello scioglimento degli enigmi millenari che hanno affaticato l’uomo; il cui contrasto, la cui inconciliabilità è risolta in modo geniale dalla nuova posizione data dal materialismo dialettico di Marx sui famosi contrasti uomo-natura, senso-pensiero, moto-quiete, godere e soffrire, oggetto e soggetto, idea e fatto, eccetera. Parlammo del valore della scienza, del socialismo scientifico. Accennammo a quell’argomento, su cui ora ritorneremo, della tecnica moderna e vedemmo il nostro punto di vista. Esponemmo o cercammo di esporre il punto di vista della scuola marxista sul problema generale della conoscenza umana.
Se noi riteniamo che la conoscenza, l’ideologia in tutte le sue manifestazioni, la letteratura, la religione, la filosofia, siano le sovrastrutture sovrapposte alla struttura fondamentale delle forme di produzione, come abbiamo fatto uno schema storico delle forme e dei modi di produzione, così dobbiamo essere in grado di fare anche uno schema storico delle sovrastrutture. Come il nostro schema contiene già, nelle sue grandi linee, una storia della tecnologia, esso può contenere anche uno schema della storia della scienza e di quella che viene ritenuta storia della filosofia; quindi uno schema della conoscenza umana. Come si è evoluta l’attività e la tradizione umana, così questo suo derivato, che è la conoscenza, si è anche sviluppato nel correre dei millenni, nell’alternarsi delle epoche storiche e nel concatenarsi di tutte queste grandi arcate di cui abbiamo più volte parlato. E la chiave della nostra posizione, contraria a quella di tutti gli altri, è questa: che è nata prima l’azione e dopo il pensiero. Non è nato prima il sapere e poi l’agire. La conoscenza è venuta dopo. Si sono organizzati dopo i sistemi di idee scritte, di idee diffuse, di idee propagandate; si sono determinati dopo che si erano determinate certe concomitanze nei sistemi di atti e di fatti umani.
Questa è la chiave fondamentale. Noi abbiamo trattato quindi questo problema. Poi abbiamo trattato dell’origine del pensiero. E fu appunto la questione se il pensiero sia in qualche modo preesistito alla natura. Dal momento che noi abbiamo abolito il contrasto dell’uomo e della natura; dal momento che non possiamo sostenere che la natura pensi senza l’uomo, sorge uno di questi dilemmi, famoso come il famoso dilemma se era nato prima l’uovo o la gallina: se il pensiero è nato prima della materia o viceversa. E allora a questo dilemma si è voluto provvedere con la questione dei pensieri extraterrestri e spaziali. E questo ci fece raccontare, più a titolo di svago e di alleggerimento che altro, la famosa storia dei viaggiatori spaziali che, nel partire, con lo scaricare il loro combustibile, avrebbero determinato la fiamma celeste descritta ne La Bibbia che distrusse Sodoma e Gomorra, come sarebbe risultato dalla nuova lezione biblica che è stata ricavata dai famosi manoscritti scoperti presso il Mar Morto.
Da tutto questo arrivammo alla parte conclusiva sulla funzione non solo della scienza, ma anche della religione. Perché qui la nostra soluzione è ben diversa da quella borghese; e cioè che la religione rappresenti l’ignoranza e che comparendo la scienza la religione scompare. La religione per noi non è che un’anticipazione della scienza. Ma venimmo anche alla questione della differenza tra arte e scienza, rispondendo all’interrogativo che si erano posto alcuni pensatori borghesi: del perché i ritrovati scientifici fossero così frequentemente mutevoli e rinnovabili e le teorie scientifiche fossero in generale caduche e provvisorie; mentre i grandi prodotti, i grandi capolavori del pensiero artistico sono rimasti immutati e si sono trasferiti attraverso i millenni, conservando intatta la loro suggestione, la loro potenza.
Svolgemmo la teoria che la spiegazione non era quella «che la intuizione facesse più presto della intelligenza». La nostra teoria è che queste grandi opere artistiche sono le traduzioni di verbi che sono stati emanati nelle epoche illuminanti, che sono le epoche di rivoluzione; mentre invece le trasmissioni scientifiche sono le trasmissioni delle epoche di sonnecchiamento dell’umanità. Sarebbe il famoso: quandoque bonus dormitat Homerus.
Omero sarebbe sorto, secondo la nostra spiegazione, in un’epoca rivoluzionaria; e così i grandi poeti. Dante è sorto alla nascita del tempo moderno; e in un certo senso anche Shakespeare. Quindi queste opere sono rimaste immortali perché nascevano veramente in una delle epoche sviluppanti dell’umanità (quelle epoche che abbiamo chiamato momenti progressivi), in quei rari momenti in cui l’umanità scatta verso nuove conquiste; mentre la scienza dipende troppo dalla tecnologia materiale. La tecnologia dipende dai rapporti delle forme di produzione. E sulla tecnologia influisce in maniera negativa, come sul suo sviluppo e sul suo rinnovamento, la conservazione delle forme di proprietà e delle forme di produzione, come delle maniere di organizzazione della società e dello Stato. Quindi viene esercitata una pressione antisviluppante, antiprogressiva; e questa stessa pressione è esercitata sulla cosiddetta scienza positiva.
Ecco perché in genere l’arte è rivoluzionaria e la scienza è controrivoluzionaria. Ecco perché in genere la cultura è conformista ed è controrivoluzionaria. Nella corrente opinione la cultura «appare» nell’artista come un fenomeno isolato; perché la rivoluzione si presenta sempre alle minoranze, ai gruppi di avanguardia ed ai partiti di minoranza. Quando è diventata dominio generale della scuola, dello scolasticismo, dell’accademia e della chiesa (queste non sono che forme equivalenti di trasmissioni di ideologie), allora diventa oscurantista e controrivoluzionaria.
Quindi giungemmo a questo punto.
In questi vari rapporti abbiamo dunque svolto ampiamente la questione della geniale definizione degli enigmi contenuta nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. E abbiamo insistito, e torniamo ad insistere sul fatto che questa parte della nostra critica, di come si sono evolute le sovrastrutture, si incontra perfettamente, si collega perfettamente agli altri rapporti e alle altre relazioni che riguardano ricerche storiche, com’è stata quella delle forme di produzione precedenti il capitalismo; oppure ricerche economiche, come quelle sulla struttura attuale americana e sulla struttura attuale russa, o sulla teoria generale del capitalismo contenuta nell’opera fondamentale di Marx.
Parallelamente a questo, noi svolgiamo la critica del pensiero filosofico, e ritorniamo a questa famosa questione della opposizione della materia e del pensiero. Abbiamo dato nel corso di queste relazioni la spiegazione del contenuto del nostro materialismo dialettico; e qui c’è un’altra dimostrazione che in un certo senso (come dicevano i su accennati pensatori borghesi) l’intuizione arriva prima dell’intelligenza e la prima scienza a sorgere è quella che sembrerebbe, secondo il sistema degli accademici, l’ultima, cioè la scienza sociale; mentre la scienza della natura è per sua natura destinata a procedere lentamente. Questo in un’altra visione contrapposta, come vedremo subito, a quella dei borghesi.
Sulla famosa opposizione quindi della materia e del pensiero noi abbiamo risolta la questione dicendo che è la materia che spiega, sono i fenomeni della materia che spiegano quelli del pensiero. Però la scienza non è arrivata ancora a dimostrarci come questo avvenga nell’individuo; non ha saputo ancora dimostrarci come avviene che nell’individuo entri la porzione di lesso o la porzione di arrosto ed escano le tesi che noi andiamo ad enunciare; la scienza non ha saputo ancora dimostrarci che processo si svolge in quei meccanismi, in quegli organi del nostro corpo che servono alla nutrizione e alla digestione, tra l’assorbimento in genere delle energie esterne e la produzione del nostro pensiero.
Questa dimostrazione del nostro materialismo è stata provata nella scienza sociale. Sarà poi trasferita nella scienza dell’individuo, nella fisiologia dell’individuo. Sarà trasferita dopo nelle scienze naturali.
Ed è anche possibile (enuncio adesso un altro paradosso: prendetelo per quello che vale e perdonatemi se può essere una fesseria) che venga in coda la stessa scienza della natura, la cosiddetta scienza esatta, che oggi si dice che attraversi una crisi, cioè la fisica, la chimica e quelle scienze che maggiormente fanno uso dell’algoritmo matematico per svilupparsi. Come si spiega che la scienza dell’individuo umano si svolgerà dopo la scienza della società?
La prima scienza che è arrivata alla verità completa è la scienza della società, ed essa ci ha dato la certezza di questa dipendenza del pensiero dalla materia. Questa certezza sarà raggiunta solo dopo nella scienza dell’organismo umano. Probabilmente si arriverà ancora posteriormente alla scienza esatta della dinamica puramente fisica: la scienza delle strutture atomiche ed intra-atomiche con tutti i suoi dubbi. Tutti questi dubbi, crediamo, non saranno sciolti che dopo la rivoluzione comunista.
La prima certezza che l’umanità conquista è nella scienza più complessa, è nella scienza dell’uomo stesso come società. Poi imparerà, costruirà la scienza dell’uomo come individuo. E poi costruirà la scienza dell’atomo come sistema, la cui complicazione le ultime scoperte tendono a dimostrare sempre maggiore. Per ora il sistema capitalistico spiega per ragioni puramente classiste e tecnologiche; cerca in maniera indeterminata e contraddittoria, perché finora ha saputo scoprire una sola cosa, cioè la morte, la maledizione e la distruzione dell’umanità.
Questa scienza quindi riprenderà il suo ciclo utile rispetto all’attuale suo ciclo negativo. Ed è qui necessario seguitare quella nostra lotta contro la suggestione che ha sempre esercitato sul proletariato il preteso sviluppo della tecnica e della scienza capitalistica. È falso che si stanno sviluppando. è completamente falso. è una completa illusione, la quale deriva soltanto da un fatto sociale, cioè che per obbligare l’umanità a soddisfare i suoi bisogni, consumando una produzione completamente inutile e per nove decimi dannosa, si vantano gli espedienti attraverso cui questa produzione è stata preparata. Si articolano e si complicano in maniera assurda i ritrovati di questa scienza la quale, nella sua complicazione, è arrivata a smarrire completamente quella via unitaria che soltanto può condurre al cammino della verità.
A questo punto, in questo pezzo di carta, a questa parte della esposizione, abbiamo messo questo titolo: il feticcio della tecnica e della scienza. In ognuno di questi grandi archi, di questi grandi cicli, tutte le grandi religioni e le grandi mistiche sono nate come mistiche in una forma nobile; sono finite in una forma ignobile, nella forma del feticcio. Sono state utili e sviluppanti nella curva ascendente, degeneranti nella curva discendente; hanno preso l’aspetto di un feticcio. Il dio del sermone della montagna è ancora una figurazione nobile dei destini dell’umanità. Il dio dei preti, nell’ultima fase del feudalesimo e sopravvissuto magnificamente in quella del capitalismo, il dio dell’attuale papa, lavoratore improduttivo per definizione, secondo Marx è ridotto ad un puro feticcio.
Marx scrisse un capitolo per dimostrare il carattere di feticcio della merce. La merce all’inizio fu veramente una conquista. Perché quando fu possibile fare sì che un piccolo attrezzo (un temperino, una forbice) fosse costruito rapidamente in migliaia di esemplari e tutte le famiglie ne fossero munite; quando questo complicato affare, che ognuno doveva fabbricarselo da sé, diventò un articolo di commercio, in quel momento fu un passo avanti. Oggi la merce è diventata un feticcio e Marx lo dimostra nel più brillante dei suoi capitoli.
Il suo contenuto di valore di scambio ha soffocato la sua utilità di valore d’uso, la sua funzione umana iniziale. Come al tempo di Marx era un feticcio la merce, e fu possibile dimostrare questo nella sede della scienza economica e sociale, noi possiamo oggi affermare che anche la vantatissima tecnica produttiva moderna e la scienza esatta moderna sono diventate un feticcio, sono una semplice caricatura, un complesso freudiano, un ambiente e una ganga oscurantista, un completo intrallazzo. Il loro fine è l’intrallazzo economico, la produzione del plusvalore nella forma più ignobile di quella in cui lo producevano le prime fabbriche, a cui abbiamo accennato a proposito della loro iniziale fase eroica.
Quindi per poter risolvere questo enigma, che abbiamo trattato citando l’esempio di Sodoma e Gomorra, cioè del pensiero che non può essere stato preesistente alla materia (perché gli antichi avevano pensato questo, e per pensare questo avevano dovuto immaginare che vi fossero delle entità, o il dio, che prima dell’uomo avessero creato il cosmo, poi l’uomo stesso, e quindi il pensiero sarebbe esistito prima dei corpi materiali e prima dei corpi organici), sono ritornati alla carica i moderni cultori della scienza ciarlatanesca o fantascienza, non a proposito di antiche discese sulla terra di popolazioni ultra-spaziali le quali, avendo subito una evoluzione geologica sul loro pianeta anticipata rispetto alla nostra, ci avrebbero portato già migliaia di anni fa i risultati di una scienza che oggi noi non abbiamo ancora raggiunto. Invece di questa spiegazione, si è pensato che questo pensiero possa trasmettersi e creare una «coesistenza» pacifica attraverso lo spazio, attraverso le telecomunicazioni di tipo radio da un pianeta all’altro.
I romanzieri della fantascienza devono ormai ammettere, si deve ammettere da tempo, che non è pensabile la vita negli altri pianeti del sistema solare (a cui fino a qualche tempo fa si limitavano le nostre più dirette conoscenze, per quanto anche questa espressione, come vedremo subito, sia una espressione inadeguata e che risente un poco dello scientificismo da università popolare borghese perché in realtà le vedute degli antichi erano diverse). In ogni modo sembra assodato ormai che la esistenza, non solo di una umanità, ma anche di una specie organica animale, e forse anche vegetale, sugli altri pianeti del sistema solare è scientificamente non supponibile; perché tutte le condizioni fisiche di temperatura, di magnetismo, di elettricità e di chimismo delle atmosfere sono tali da essere inconciliabili con la vita.
Altre popolazioni, se esistono, devono esistere su altri pianeti appartenenti ad altri soli. Allora si sono cercati di indirizzare i moderni radiotelescopi, che sono atti a captare oltre che le radiazioni luminose anche le onde hertziane e le onde elettromagnetiche che possono trasmettere i segnali, verso quelle stelle meno lontane dalla terra e che hanno probabilmente un sistema di pianeti. Le più vicine di queste stelle sarebbero la Mira della Balena e la Alfa dell’Eridano che sono tra le stelle più vicine alla terra; pensando che nei contorni di quelle stelle, quindi a distanza minima, rispetto all’angolo visuale del meridiano terrestre, vi sia un sistema di pianeti, che qualcuno di questi pianeti sia nelle condizioni paragonabili e nel grado di evoluzione di quello della Terra. Siccome le stelle si calcolano oggi a miliardi e ognuna di queste stelle può avere diecine o dozzine di pianeti, il grado di probabilità, anche se ce ne fosse uno ogni centomila, sarebbe tale che ogni tanto si potrebbe trovare un pianeta su cui vivono degli esseri pensanti. E allora bisognerebbe riuscire a provare che da questo sistema, da questo pianeta, partono dei segnali teletrasmessi captabili dai grossi rivelatori moderni, dai radiotelescopi, in modo che questi segnali si possano registrare.
Gli scienziati dicono che essi fanno questa indagine e che questa indagine potrebbe avere un risultato. Perché non è detto che, a distanze che ormai non si devono misurare nemmeno più a centinaia di milioni di chilometri, ma addirittura ad anni luce, per le principali e più vicine di queste stelle, sia possibile ricevere un segnale radio. Se è vero che gli Sputnik lanciati dai russi, i Lunik e i Pionier lanciati dagli americani, avrebbero inviato dei segnali già ad oltre un milione di chilometri dalla Terra, è molto difficile che si possa arrivare alle migliaia di milioni di chilometri; perché la intensità di un segnale, qualunque esso sia, trasmesso spazialmente in tutte le direzioni, diminuisce con il quadrato della distanza. Quindi è molto poco verosimile che sia captabile un segnale radio artificiale che parta da una stella facente parte del sistema planetario della Mira Ceti o dell’Alfa Eridani o di un’altra stella non molto lontana dalla Terra; perché la distanza è tale che, a nostro avviso, questo segnale non perverrebbe. Se dei segnali pervengono, sono segnali dovuti a radiazioni cosmiche che fanno assegnamento su fonti di energia interstellare su cui abbiamo cognizioni molto vaghe; e probabilmente sono di tale potenza da riuscire ad impressionare i nostri ricevitori.
Però gli scienziati che hanno fatto questa ipotesi hanno detto: purché si riesca a captare questo segnale e si riesca a capire che questo segnale non è un segnale che ha delle oscillazioni e delle alternative a casaccio, dovute ad un fenomeno naturale e materiale, ma che è un segnale pensato perché ha delle intermittenze (una specie per dare un’idea banale dei punti e delle linee del nostro apparato Morse), il fatto che noi non riusciamo a decifrarlo, è un problema solamente fisico-tecnico, non intellettuale; perché se questo segnale noi riusciamo a farlo captare dal nostro apparecchio, quando si tratterà di decifrarlo, noi riusciremo sempre a decifrarlo.
Questa è un po’ come la famosa questione della polizia che si vantava di poter decifrare qualunque scritto criptografico. Infatti nel processo di Roma del 1923 decifrò alcuni dei nostri criptogrammi. Allora noi ci difendemmo dicendo che era vero che qualunque scritto criptografico si poteva decifrare, ma era altrettanto vero che lo si poteva decifrare in tutti i modi in cui lo si voleva decifrare. Quindi se anche li avevano decifrati, questa non era una prova giudiziaria per poterci condannare: erano loro che erano riusciti a mettere tutte quelle lettere in un certo ordine. E citammo il famoso romanzo di Gulliver in cui quel tale viene condannato perché aveva scritto una frase che diceva «Mio fratello Tom ha le emorroidi». Anagrammando questa frase in inglese era risultato «Farò morto il re io Tom» e diventò una prova per impiccare costui perché aveva scritto su quel pezzo di carta di voler impiccare il re. Quindi i criptogrammi si possono decifrare con un poco di buona volontà, ma se ne cava tutto quello si vuole; non quello che con la nostra chiave, che abbiamo soltanto noi, si legge in quel criptogramma. Questa fu un’abile manovra difensiva da parte di imputati non fessi dinanzi al meccanismo giudiziario e borghese per dimostrargli che la loro decifrazione non conduceva a nulla.
Comunque, questi scienziati affermano che lo si potrà sempre decifrare. In realtà questa è una vecchia idea che abbiamo avuto sempre anche noi. Se ne è parlato ai primi entusiasmi per la Rivoluzione russa, che se si fosse potuto mandare o trasmettere un segnale, questo sarebbe ritornato. è la vecchia idea che diceva che Schiapparelli una notte, osservando Marte, vide il famoso sdoppiamento dei canali in linee parallele e nel suo cannocchiale apparvero figure geometriche che rappresentavano i principali poligoni regolari, il teorema di Pitagora, eccetera. Questo quindi dimostrava che gli abitanti di Marte pensano come noi. Ma questa sarebbe una dimostrazione per altra via che tutte le umanità pensanti nate sui diversi pianeti si costruiscono la stessa matematica, la stessa geometria, e quindi hanno una stessa norma del contare i numeri, degli intervalli musicali, e quindi captando un loro linguaggio cifrato si possa riuscire a decifrarlo. Cosa vera fino ad un certo punto, perché noi potremmo invece sostenere che se il pensiero nasce dalla materia e se la conoscenza è una funzione dello sviluppo della specie, più o meno possiamo tutt’al più affermare che tutti gli scambi di pensieri, tutte le lingue di tutti i popoli della terra, hanno un’origine comune e si possono ridurre l’uno all’altro. E pure a questo non si è ancora arrivati perché, per esempio, la lingua etrusca non si è riusciti ancora a leggerla. Quindi anche questo sistema resterebbe completamente indecifrabile o la sua spiegazione sarebbe una ricaduta nella presupposizione idealistica che chiunque pensi, chiunque scriva, chiunque crei un testo per determinare la comunicazione da un pensiero all’altro, applica uno standard, un sistema di note musicali fondamentali. Se fosse musica per esempio dovrebbe essere lo stesso nato dalle sette note di Guido d’Arezzo. Ci si potrebbe ritornare. Ora questo non è affatto dimostrato. è evidentemente una supposizione arbitraria fatta con spirito idealistico, con spirito puramente fantasioso, che serve al solito per imbottire il cranio delle attuali masse. Si ritornerebbe all’ipotesi fondamentale idealistica che in principio era il pensiero.
Si potrebbe sostenere un’altra cosa: questo potrebbe essere vero anche nel senso materialistico. In fondo se il nostro materialismo dice: pur non sapendo noi ancora questo come succede, che alla nostra conoscenza, al pensiero, alle parole che passano per la nostra testa e che escono in questo momento dalle nostre bocche, precede un’elaborazione che si fa nel nostro organismo, nella sua vita animale, nella sua vita di vegetazione; che questa vita di vegetazione deriva a sua volta da una costituzione unica della materia che chimicamente è divisa in certi tipi; tipi che si distinguono secondo la composizione dell’atomo, secondo il suo schema, che sta diventando sempre più complicato (le sue numerosissime particelle: sigma, antisigma, protoni, neutroni, elettroni), che la particella elementare all’ultimo sia l’elettrone, che tutto il mondo sia costituito di elettroni uguali a se stessi, che partendo da questi elettroni e combinandoli si siano avuti tutti i 92 atomi, diventati poi 100, cioè tanti atomi chimici, da questi siano venute tutte le molecole, dalle molecole tutte le cellule, da queste tutti gli uomini, dagli uomini tutte le società con la stessa stratificazione geologica del Tableau di Roger e con lo stesso sistema di conoscenza; e quindi se la materia è la stessa in tutto l’universo anche la conoscenza all’ultimo sarà la stessa in tutto l’universo. Questo potremmo dire se riuscissero a prendere, a captare i segnali di questo pianeta, distante milioni di milioni di chilometri da noi, e se ne riuscisse a fare la decifrazione. Si sarebbe dimostrato soltanto questo. Non si sarebbe dimostrato ancora che c’era un dio prima di tutti i sistemi e di tutti i pianeti, che ha creato tutti i pianeti, ha creato tutti i Soli, ha creato tutte le umanità o quelle poche umanità che ha creduto di ubicare in qualche punto.
Quando noi abbiamo sviluppato il criterio, il concetto di arte e scienza, alludevamo al concetto di mistica e scienza. A questo proposito io vi voglio citare un articolo che è stato pubblicato su L’Unità che dà una idea perfetta della maniera piccolo-borghese e miope di vedere questo problema del cammino e delle conquiste che l’umanità terrestre ha realizzato. Noi diciamo che l’arte millenni e millenni di anni fa anticipò la scienza e si manifestò più vera dei primi conati scientifici. Perché i primi conati di sistemazione scientifica degli eleatici greci, poi degli atomisti, sono caduti. Sono stati sostituiti poi, all’inizio della società borghese, dalle sistemazioni ben diverse di Galileo, di Lavoisier, di Milton. Oggi si starebbe rivoluzionando ancora tutto questo con nuovi ritrovati che vengono vantati da questi ultra-modernisti, mentre invece quegli antichi risultati (dell’arte) sono rimasti stabili.
Noi riteniamo che l’arte sia evidentemente non esatta e potente come mezzo analitico quanto la scienza; ma che come mezzo di sintesi abbia anticipato la scienza, sia stata una prima apparizione della scienza. Lo stesso possiamo dire della mistica, perché la mistica si confonde con l’arte. La religione è arte, è canto, è danza. Le prime manifestazioni di riconoscimento del Dio, cioè di questa forma primordiale ed intuitiva di giudicare la complessità dei fenomeni che il cosmo fa svolgere intorno a noi, si svolgono in forme che hanno del suono, della musica, del canto, della danza. I primi poemi sono cantati, non sono soltanto scritti. E si dice che lo stesso aedo (l’aedo o i rapsodi che lo rappresenterebbero: ve ne erano dodici o tredici), l’aedo cieco Omero, girava le città cantando le sue composizioni; anche perché, non potendole ancora scrivere o non essendo la scrittura conosciuta, ed esistendo una forma mnemonica, cantando la poesia la si ricorda meglio e la si ripete tal quale. È una maniera di trasmissione. Anche in questo l’arte fa molto più presto della scienza, perché la scienza deve aspettare secoli, millenni, per scoprire la scrittura, secoli per scoprire la stampa, per scoprire l’alfabeto stampato, le macchine da scrivere, le parecchie copie, il ciclostile in cui noi molto umilmente redigiamo il nostro Abaco. Mentre allora questo avveniva con un sistema semplicistico, cantando e quindi componendo in poesia. Quindi anche il canto è nato prima della parola parlata, la poesia è nata prima della prosa, l’arte è nata prima della scienza, la religione è nata prima della scienza.
Nulla di tutto questo è stato inutile. Anzi i grandi avanzamenti sono stati dovuti a queste poche epoche vitali e feconde che si sono periodicamente inserite nel lungo cammino percorso dall’umanità. L’arte perciò è rivoluzione. Il conformismo è feticcio, è deformazione, è lezioncina recitata a memoria, detta come la può balbettare l’alunno che quando recita, quando dice a memoria, non sa recitare, non sa pronunciare, non sa adoperare un linguaggio umano. Cosa che avviene in quasi tutte le scuole, in quasi tutte le sacrestie, in quasi tutte le accademie e le università moderne.
Quindi quello moderno della tecnica e della scienza non è che un feticcio. La mentalità per cui i proletari debbano fare uso della tecnica e della scienza borghese è una mentalità completamente borghese e controrivoluzionaria. È vero che c’è quel tale aspetto di Marx e quel tale aspetto di Lenin che potremmo ribadire con le numerosissime citazioni, il quale afferma che questi risultati della moderna tecnica industriale sono stati utili, sono serviti a fare uno di questi balzi innanzi. La questione, posta rispetto a 200 anni fa, noi la risolviamo così. Perché i primi proletari posero anche la questione nel senso che volevano distruggere le macchine, ed era, allora, l’atteggiamento preferibile. Evidentemente quella prima posizione è una posizione veramente rivoluzionaria rispetto al punto di inversione, di degenerazione e di infessimento a cui noi partito proletario siamo arrivati in questa epoca. Abbiamo fatto molti passi indietro rispetto a quella situazione in cui avevamo il coraggio di disprezzare queste innovazioni. Allora però la teoria marxista e comunista dovette convincere il proletariato che bisognava accettare quella organizzazione in forma nuova, perché era suscettibile di essere adoperata dalla società comunista, a condizione però di essere adoperata in un modo diversissimo da come l’adopera la società borghese, in un modo completamente antitetico e in un modo completamente rivoluzionario e molto più conforme alle esigenze dell’umanità.
Noi cerchiamo di dimostrare, sulle tracce di quanto ha potuto scrivere Marx e di quanto ha potuto scrivere Lenin, che tutto è stato utilizzato, anche sotto queste forme primordiali di mistiche e di religioni, di monumenti artistici e di tradizioni artistiche, nella costruzione dell’enorme monumento della conoscenza umana.
Invece quest’articolista de L’Unità e questi pretesi comunisti di oggi dicono che la scienza ha un’origine recentissima, è nata 360 anni fa. Sostituiscono 360 anni a 360 secoli e forse millenni che l’umanità deve avere vissuto e in cui ha costruito pezzo per pezzo, non mettendo sassolino su sassolino, ma costruendo dei primi monumenti e poi facendoli esplodere, poi costruendone degli altri e sintetizzando questi risultati in una storia veramente gigantesca e immane. Questi sono talmente borghesi intus et in cute che per loro tutto è cominciato 360 anni fa con Galileo, con Descartes e con Newton. Nessuno più di noi è un ammiratore di Galileo e dello sforzo rivoluzionario che il suo pensiero ha fatto; e molte volte ci siamo serviti anche qui di esempi tratti dal pensiero di Galileo. Ma Galileo stesso dimostra che la sua maturità scientifica era stata possibile proprio perché egli aveva ben digerito gli sforzi fatti dai suoi predecessori, anche fino ad Aristotele e molto prima di Aristotele.
Questa gentarella dice: ormai dobbiamo sentirci abitanti del cosmo perché l’uomo moderno conosce questa questione in un modo diversissimo dell’uomo antico. Non è vero. È vero tutto il contrario; che noi non ci sappiamo andare nel cosmo neanche col pensiero, se non dicendo fesserie enormi. Ma erano proprio gli antichi che avevano creduto che non c’era limite al pensiero. Avevano sdoppiato l’uomo in anima e corpo, l’uomo pensante in una unità imponderabile, e questa l’avevano lasciata libera di vagare nel cosmo. Era là nel cielo, su pianeti ed astri, che erano installati gli dei che dirigevano le nostre azioni, erano le stelle che ci disciplinavano.
E adesso invece che non ci sappiamo più sollevare da terra, ammesso che se ne sollevino gli Sputnik e i Pionier.
In ogni modo tutta questa affermazione è spiegata dicendo che oggi l’abbiamo acquisita perché Einstein ha spiegato, ha modificato la concezione dell’infinito. Prima noi credevamo che il nostro pensiero potesse procedere illimitatamente. Partendo dalla terra secondo una linea retta, io mi posso affondare nello spazio. Passerà la prima ora, il primo giorno, il primo anno, questo cammino non finisce mai, l’estremo limite dello spazio è irraggiungibile. Einstein ha dimostrato invece, ma non solo Einstein, anche altri scienziati hanno dimostrato che lo spazio ha una propria curvatura. Quindi nello spazio non è possibile poter tracciare un sistema ortogonale di linee rette, ma è possibile solamente tracciare linee che si chiudono su se stesse. Quindi anche la traiettoria di una carica elettronica o di un fotone luminoso che sia partito dalla Terra farà una curvatura su sé stesso: finirà col ritornare al punto di partenza. Non è neanche questo che hanno affermato questi scienziati, hanno affermato che per decifrare certi fenomeni e per fabbricare l’algoritmo matematico capace di registrare certi effetti assodati dalla fisica sperimentale moderna, bisogna immaginare un sistema di geometria spaziale che non sia più ad assi rettilinei, come secondo Euclide, ma che esso sia ad assi curvi, come secondo Riemann, e studiarlo secondo le varie dimensioni.
Ad ogni modo a questi signori tutto questo è servito solamente per dire che adesso per l’uomo la scienza rimonta a questi 360 anni. Non dicono nemmeno dal giorno in cui è stata fatta la Rivoluzione russa o dal giorno in cui Krusciov ha fatto il XX Congresso: sarebbero forse più coerenti.
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Marx stesso nei Grundrisse dice che il lavoro diventa gioia, diventa soddisfazione. Egli tiene in gran merito Fourier per aver preveduto come scopo supremo non soltanto la soppressione della distribuzione capitalistica, ma la soppressione del modo di produzione capitalistico, e la loro trasformazione in forma più evolute.
Il tempo libero, che è tanto quello consacrato a divertirsi, quanto quello consacrato ad avere delle attività superiori, trasformerà evidentemente colui che ne gode in un soggetto nuovo ed è in quanto tale che egli si presenterà anche nel processo di produzione immediata. Questo processo sarà dell’uomo dell’avvenire e sarà nello stesso tempo disciplina, esercizio applicato, scienza sperimentale, scienza creatrice che si oggettiva materialmente per il nostro uomo che ha nella testa la scienza accumulata nella società.
Il processo dell’uomo è nella misura in cui il lavoro reclama la pratica manuale. La libertà di movimento, come nell’agricoltura, sarà anche un esercizio. Quindi chi deve pensare bene deve avere anche un corpo sano e gli faremo trascinare alcuni sacchi sulle spalle, almeno fin quando sarà giovane, per mantenerlo in una buona efficienza; e a quello che trascina i sacchi diremo: adesso va a riposare per poter leggere i filosofi, gli scienziati, eccetera.
C’è uno scrittore, citato da Marx, del XVII secolo, John Bellers, che è veramente intelligente, economista bohémien per il suo tempo. Diceva della educazione che deve contenere anche il lavoro produttivo. «La scienza oziosa non vale meglio che la scienza dell’oziosità». Il lavoro, la scienza dell’ozio. «Il lavoro del corpo è una istituzione divina, primitiva». A quell’epoca Bellers adopera l’espressione «divina», ma è espressione egualmente corretta.
«Il lavoro è tanto necessario al corpo per mantenerlo in salute che il mangiare per mantenerlo in vita. Poiché la fatica che un uomo risparmia facendo i suoi comodi, la ritroverà in incomodi». Sono le malattie che lo sfotteranno quando sarà vecchio, eccetera. «Il lavoro rimette (sentite quant’è bella questa frase), il lavoro rimette dell’olio nella lampada della vita, il pensiero vi accende la fiamma». Segue: «Un’occupazione puerilmente sciocca lascia insulse le menti dei bambini». È una bellissima frase che il lavoro mette l’olio nella lampada della vita e il pensiero vi accende la fiamma. Quindi prima il lavoro e poi il pensiero, prima l’azione e poi la scienza e la filosofia. Questo storicamente per l’umanità e socialmente per l’uomo (vedi Il Capitale, Libro 1°, Capitolo XIII/9).
Sentite questo famoso passaggio. Ve lo leggo: «In effetti da quando il lavoro comincia ad essere ripartito (lo è da quando vige la divisione del lavoro) ciascuno ha il suo cerchio di attività determinato ed esclusivo, che gli è imposto, da cui non può uscire. Egli è cacciatore, pescatore o pastore, o critico critico. Egli è forzato a restar tale, se non vuole perdere i mezzi per vivere. Mentre nella società comunista, in cui ognuno non ha un cerchio esclusivo di attività, ma può perfezionarsi in vari settori a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo dà ad ognuno la possibilità di fare oggi questo, domani quello» (vedi L’Ideologia tedesca, Vol. 1°, I/Feuerbach). È il solito concetto che ritorna. Questa è l’edizione Costes, ma non siamo riusciti a trovare la citazione. Quindi non vi posso dare il riferimento alla edizione Rinascita.
Qui c’è un poco di polemica con Stirner che Engels in questa edizione chiama Sancio perché era il fautore dell’individualismo, dell’io unico, dell’uomo che sovrasta su tutto. «Anche questa volta, come sempre, Sancio (cioè Stirner) non ha fortuna coi suoi esempi pratici. Egli pensa che nessuno potrebbe comporre al suo posto (di Mozart) le sue composizioni musicali, eseguire i suoi schizzi pittorici (di Raffaello), Nessuno può sostituire i lavori di Raffaello. Sancio tuttavia dovrebbe sapere che non è lo stesso Mozart, ma un altro che ha composto la maggior parte e terminato completamente il Requiem il Mozart; che Raffaello non ha eseguito egli stesso che una parte minima dei suoi affreschi. Egli si immagina che quelli che si chiamano gli organizzatori del lavoro, vogliono organizzare l’attività intera di ciascun individuo, mentre sono essi precisamente che distinguono tra il lavoro direttamente produttivo, che bisogna organizzare, e il lavoro che non è direttamente produttivo. In quel che concerne questa ultima categoria, cioè il lavoro improduttivo, essi non pensano, come immagina Sancio, che ognuno si debba sostituire a Raffaello, ma che ognuno che porti in sé un Raffaello debba potersi liberamente sviluppare».
Chi sa quanti Mozart e quanti Raffaello non si sono potuti sviluppare perché li hanno chiusi stupidamente in una bottega, in un atelier, a svolgere un’altra mansione. «Sancio s’immagina che Raffaello abbia eseguito le sue pitture indipendentemente dalla divisione del lavoro che esisteva a Roma alla sua epoca. Se egli compara Raffaello a Leonardo da Vinci e a Tiziano egli vedrà a qual punto le opere d’arte del primo sono state condizionate dallo sviluppo di Roma dovuto allora all’influenza fiorentina; come quelle di Leonardo sono state condizionate dallo stato sociale di Firenze e, più tardi, quelle di Tiziano dallo sviluppo completamente differente di Venezia. Raffaello, come ogni altro artista, è stato condizionato dai progressi tecnici dell’arte, compiuti prima di lui, dall’organizzazione della società e dalla divisione del lavoro nel suo paese, e finalmente dalla divisione del lavoro in tutti i paesi con i quali il suo era in rapporto. Che un individuo come Raffaello possa sviluppare il suo talento, ciò dipende interamente dalla domanda, la quale dipende a sua volta dalla divisione del lavoro e dalle condizioni di educazione (ossia culturali) degli uomini che da essa derivano. Stirner proclamando il carattere unico del lavoro scientifico ed artistico si piazza qui ben al di sotto della borghesia. Si è trovato necessario già nei nostri giorni di organizzare questa attività unica. Horace Vernet nemmeno avrebbe avuto il tempo di eseguire la decima parte dei suoi quadri se egli li avesse considerati come dei lavori che solo questo essere unico può compiere. La grande domanda di vaudevilles e di romanzi a Parigi (ecco la storia vera) ha fatto nascere una organizzazione di lavoro per la produzione di questi articoli che dà sempre migliori risultati dei suoi concorrenti unici in Germania. Nel campo dell’astronomia uomini come Arago, Herschel, Hencke e Bessel hanno trovato necessario di organizzarsi per osservazioni in comune e solo dopo aver fatto ciò sono arrivati a qualche risultato soddisfacente» (vedi L’Ideologia tedesca, III - L’associazione, 2 - Organizzazione del lavoro. I corsivi sono ripresi da Stirner).
Anche adesso si è ideato il trust dei cervelli, come sapete. Possiamo lasciare andare l’arte, la letteratura. Poi nel resoconto svolgeremo un po’ questo concetto dell’arte. Quest’ultimo passaggio era quello che avevamo ricavato da alcuni anni. Non mi ricordo se ce ne eravamo serviti. Qualche parola ancora sulla classe improduttiva e poi un ultimo pezzetto di chiusura.
In un passaggio della sua Wealth of Nations (La Ricchezza delle Nazioni) Adamo Smith dà libero corso al suo odio per la classe improduttiva. «Il lavoro di certe classi più considerate della società produce tanto poco valore che quello dei loro domestici. Così, per esempio, il principe con tutti i suoi funzionari della giustizia e dell’armata sono dei lavoratori improduttivi. Alla stessa classe appartengono i preti, i giuristi, i medici, i sapienti, gli attori, i musicisti, i cantanti e danzatori, eccetera».
Qui però Smith al suo tempo non ci aveva messo gli ingegneri. Noi abbiamo decretato che gli ingegneri devono andare a tenere compagnia a tutti questi altri signori.
È questo di Smith un linguaggio della borghesia quando essa è ancora rivoluzionaria e non si è ancora sottomessa tutta la Società, lo Stato, eccetera. Lo Stato, la Chiesa non si giustificano che in quanto organi di amministrazione e di gestione degli interessi comuni.
Non vi ho letto il pezzo sui lavoratori improduttivi. Sono presi due esempi per dimostrare chi è il lavoratore improduttivo nel senso capitalistico. Questi due esempi sono: il papa e, scusate, la puttana. Poiché essi lavoratori improduttivi rientrano nelle false spese della produzione, devono essere ridotti al minimo indispensabile. Questa idea presenta un interesse storico in ciò: che essa si sviluppò in maniera diametralmente opposta alle concezioni dell’antichità e a quelle della monarchia assoluta o aristocratica uscita dalla rivoluzione del Medio Evo. Questo fin quando la borghesia è rivoluzionaria. Allora dichiara che tutti questi sono lavoratori improduttivi e quindi toglie gli stipendi a tutti i preti. Ma dal momento che la borghesia ha conquistato il terreno, si è impadronita dello Stato, ha concluso un compromesso con i suoi antichi detentori, dal momento che essa ha riconosciuto gli ideologi come la carne della sua carne, essa ne ha fatto dappertutto i suoi propri organi, la sua propria immagine. Da quando essa è abbastanza istruita per non volere semplicemente produrre, ma per volere anche consumare con un gusto evoluto; dal momento che il lavoro intellettuale si fa sempre di più al servizio della borghesia, ecco che questa si sforza di giustificare dal punto di vista economico coloro che ha combattuto fino a quel momento. Al che si aggiunge lo zelo degli economisti, che essi stessi sono dei preti, lo zelo dei professori, eccetera, per dimostrare la loro utilità produttiva e giustificare i loro salari, molto rotondi, dal punto di vista economico.
Poi c’è una critica di Marx a Ricardo che risponde bene come dicemmo ieri nella relazione di Giuliano. Ciò che Ricardo dimentica di far risaltare (l’abbiamo letto già ieri, ma continuiamolo a leggere) è il continuo aumento delle classi medie le quali sono piazzate tra gli operai da una parte e i capitalisti e i proprietari fondiari dall’altra parte e vivono soprattutto della rendita del capitale. Queste classi medie pesano con tutto il loro peso sulla classe operaia, rinforzano la sicurità sociale e la potenza della classe dominante.
Ed abbiamo finito. Poi parte di queste citazioni le inseriremo nel rapporto.