Partito Comunista Internazionale Indice La Teoria marxista della Conoscenza

 

Azione e Teoria, Classe e Partito nella Concezione Marxista e nella Rivoluzione

Comunismo - n. 31 del 1991, n. 32 del 1992 e nn. 33 e 34 del 1993.






1. Introduzione
2. Paradigma forte e debole nella scienza sociale
3. Esperienza e ragione
4. La coscienza, bestia nera del marxismo
5. La scienza possibile; anzi necessaria
6. Conclusione
 
 
 
 

1. Introduzione

Mentre trionfalisticamente l’ideologia borghese dominante dà per morto il comunismo e, inevitabilmente, il suo impianto teorico che va sotto il nome di materialismo storico e dialettico, mai come oggi la società divisa in classi è frantumata da una congerie di tensioni che si ama pensare eccitate dall’odio razzistico, etnico e religioso.

Noi comunisti rivoluzionari rimaniamo, contro tutti, fermi nella difesa della scientificità dell’Utopia comunista, e la riproponiamo in una puntuale messa a punto, tanto più necessaria quanto più ci si illude di affrontare, specie da parte delle correnti opportunistiche, la realtà cavalcando le più disparate interpretazioni sociali di stampo sociologico o tutt’al più politologico.

In questo lavoro intendiamo sottolineare la natura scientifica della visione sociale comunista, chiarendo il nostro modo di intendere la scienza sociale, che non mutuiamo da nessun corpo borghese, essendo essa il frutto pratico delle lotte di classe della specie umana culminate nello scontro finale tra borghesia e proletariato come si sono delineate, in quanto classi, nei due ultimi secoli di storia.

Il socialismo scientifico rivendica ancora, tramite la nostra milizia rivoluzionaria, la sua natura contro le presunte smentite più o meno recenti, più o meno clamorose.

Ci sembra il caso di sottolineare, in particolare, l’impianto dimostrativo della nostra scienza, senza il quale diventa impossibile far riferimento ai cosiddetti fatti, che, da soli, nella nostra visione delle cose, non sono in grado di spiegare niente. Noi aderiamo ad una impostazione che osiamo definire forte dell’impianto dimostrativo, anche se questo termine non significa più adesione alla versione aristotelico-razionalistica del problema. Vediamo ora che cosa comporta tutto ciò.

Scomodiamo gli "Analitici Secondi" di Aristotele, dove l’Autore considera la dimostrazione come l’espressione necessaria e sufficiente della scienza (epistème). La unica eccezione a questa condizione è costituita da quei principi indimostrabili su cui si fonda la dimostrazione, e che, sebbene indimostrabili, fanno comunque parte del sistema scientifico. Tutte le altre proposizioni, per poter essere considerate scientifiche, devono essere dimostrate e dimostrabili; ciò che non è un principio della dimostrazione e non è dimostrabile resta semplice opinione o doxa.

Nella nostra visione della storia e della realtà in generale, affrontate secondo il metodo scientifico, il principio indimostrabile che è alla base della concezione materialistica, è innanzi tutto il sentimento comunista che lega la storia degli eventi umani, dall’uomo con la clava al proletario moderno. Si potrebbe obiettare che tale principio, che pure fa parte del sistema scientifico è estraneo al criterio scientifico proprio in quanto sentimento; ma anche i principi indimostrabili di altre correnti politiche e sociali partono da sentimenti forti. Si pensi al razionalismo cartesiano, che comporta una chiara Fede nella Ragione, o alla fede empiristica nell’esperienza umana, propria delle correnti liberali. Poiché sui sentimenti è difficile disputare, è il caso di dire che l’idea di Umanità per i comunisti, prima ancora che sentimento individuale del Sé, è egoismo collettivo del clan o della tribù: un’Idea Forte, che il comunismo di tutti i tempi, compreso quello classista, ha affermato.

Sostenere ciò comporta il riconoscimento che i Principi indimostrabili che stanno alla base d’ogni paradigma scientifico sono Fedi, Credenze, Emozioni.

Come si vede tutto il contrario di quello che le paludate retoriche della scienza pretendono di porre alla loro base. Ciò non solo non turba la concezione materialistica della storia e della natura, ma costituisce la potente leva che spinge nella direzione del sistema sociale comunista. Questo fa sì che possiamo sostenere che, essendo alla sua origine il Comunismo un sentimento, la Scienza viene dopo; senza contraddire affatto la rivendicazione del socialismo come regime sociale scientificamente prevedibile.

Nella nostra visione non solo la Scienza viene dopo, ma la stessa Coscienza che gli esseri umani si fanno della loro vita sociale.

Il problema, suggestivo ed affascinante, si può riassumere nella formula: All’inizio c’è l’Azione. L’uomo, prima ancora che da un piano scientifico, è mosso dalla necessità di accomodare il mondo esterno, adattandolo ai suoi bisogni, esplorandolo e elaborando una sua visione delle cose. È così che la società umana, attraverso il Lavoro produce e riproduce la sua vita materiale e spirituale.

La nostra corrente, nel suo lavoro storico e teorico di sistemazione dei principi e della dottrina di classe, ha potuto codificare regole di comportamento e schemi interpretativi, aderendo ad un paradigma dimostrativo del suo modo d’intendere la scienza, che se per certi aspetti assume moduli logico-dialettici dal pensiero umano precedente, rivendica la sua unicità e la sua nascita in un sol blocco; ed è dunque da non confondere con altre teorie, non tanto per la sua natura cognitiva, quanto per lo stretto intreccio che in essa si verifica tra teoria e prassi, tra sentimento e ragione.

In questo il nostro schema interpretativo del nesso «azione economica - teoria di classe» si differenzia innanzi tutto da quello che noi abbiamo chiamato Schema trascendentalista (autoritario), che è infatti tipico delle religioni rivelate, del feudalesimo e dell’assolutismo teocratico. Questa concezione fa appello ad una divinità che nell’atto stesso della creazione ha infuso negli uomini uno spirito, che, ritrovandosi in ogni singolo assicura l’uguaglianza davanti a Dio, e quindi perlomeno nel mondo ultraterreno, e garantisce un comportamento ispirato a comuni principi di origine divina. Lo Stato, a sua volta, controllando coscienza e attività dei singoli, permette l’esplicarsi della vita spirituale e fisica nel suo ordine gerarchico, che rispecchia il piano divino rivelato nelle sacre scritture.

Ciò che colpisce del modello autoritario di società è che riesce ad essere ancora utilizzabile dalla moderna società capitalistica, specie di tipo europeo, dove l’onda lunga della ideologia feudale riesce a farsi ancora sentire a causa di una serie di sovrastrutture che sono state riportate in gioco dall’attitudine borghese al compromesso con la concezione autoritaria del potere, una volta che la minaccia di eversione del moderno proletariato si è dimostrata globale ed irreversibile.

L’analisi di questo primo Schema, che il nostro Testo "Il Rovesciamento della Prassi nella Teoria marxista" illustra nella Tavola III, indica quanto sia importante per noi una chiara interpretazione dei paradigmi della dimostrazione, pena la svalutazione d’ogni criterio scientifico di analisi e di sintesi della realtà sociale.

Il materialismo storico e dialettico non s’illude di affrontare le poderose contraddizioni del modo di produzione capitalistico senza un suo specifico metodo, tale da permettere una reale descrizione del mondo, e non una semplice visione viziata da soggettivismo e caratterizzata da un approccio emotivo, tipica delle concezioni proprie del socialismo utopistico e delle versioni sociologiche oggi di moda.

Non per niente oppone al socialismo degli utopisti di ieri e di oggi una concezione scientifica, e la rivendica oggi in particolare, allorquando da tante parti si tende a gettare sospetto su questo modo di affrontare i problemi in nome del relativismo generico, dell’opinione non fondata, della libertà d’interpretazioni avulse da ogni riferimento oggettivo ai dati. Eppure noi sappiamo bene che scientifico è un termine soggetto ad una serie di limiti e di cautele. L’attenzione per il metodo delle scienze naturali, per i progressi della logica e delle matematiche, è costante in Marx Engels e Lenin, per non parlare della Sinistra, accusata proprio per questo di determinismo, tanto rigorosa è apparsa la sua attitudine per la scienza e la sua appassionata difesa dei fondamenti illuministici di essa, senza fermarsi astrattamente ad essi.

Diciamo dunque che il materialismo storico riconosce che il paradigma scientifico consta di due momenti fondamentali: 1) principi indimostrabili (non in assoluto, ma in senso dialettico); 2) dimostrazione come condizione necessaria e sufficiente per la scienza. Ancora nel pensiero sei-settecentesco la scienza viene così definita da Wolff: «per scienza intendo l’abito di dimostrare gli asserti, cioè inferire per conseguenza legittima da principi certi e innati».

Complessivamente l’empirismo classico rimane ancorato al paradigma scientifico tracciato; sono le correnti razionalistiche a trasformare il paradigma nel programma di estendere la scienza e la dimostrazione a tutto il sapere, e di identificare di conseguenza il metodo filosofico con quello matematico.

Il desiderio razionalistico di costituire e legittimare le scienze empiriche è il nodo che deve essere sciolto nel confronto moderno tra paradigma scientifico di impianto classico e paradigma scientifico di impianto statitico-probabilistico.

Nella concezione aristotelica le premesse della dimostrazione devono essere necessarie, in modo tale che tutte le altre inferenze che non soddisfano questa condizione materiale sono escluse dal dominio della conoscenza scientifica.

Si tratta di chiarire se Aristotele intenda fare riferimento alla necessità logica od ontologica. Problema di non poco conto. Non dimentichiamo che il metodo materialistico, quando si trova davanti a questi capitali problemi non teme di tendere l’arco tirando la corda all’indietro fin quanto è utile. Ciò è provato dalle sottolineature di Lenin sulla dialettica in Aristotele ("Quaderni"). Ciò costituisce la prova che a noi interessa non solo, come preferiscono pensare gli avversari, la struttura, ma anche la sovrastruttura della società di classe, specie quando abbiamo agio di dimostrare che sono spesso filosofi e scienziati transfughi, lo sappiano o meno, a demolire con colpi di piccone l’edificio teorico della propria classe di appartenenza.

In ogni caso, secondo la predeterminista esigenza del sei-settecento una proposizione è necessaria se e solo se la sua negazione è impossibile. Questa impossibilità può essere conosciuta o direttamente mediante l’intuizione o indirettamente attraverso la dimostrazione. Questo tipo di concezione della dimostrazione produce una interpretazione forte del paradigma scientifico.

Cartesio si attiene al concetto di dimostrazione elaborato dalla tradizione matematica greca piuttosto che a quella aristotelica, ma nel settecento Leibniz e Wolff, secondo un programma tipicamente logistico, considerano la logica, compresa la sillogistica aristotelica, come base della matematica.

Siamo nell’epoca, diciamo pure nel secolo, in cui si preparano le premesse teoriche della rivoluzione francese, che scardinano lo schema autoritario-trascendentalista di società e di legittimazione del potere, per dare spazio e giustificazione a quello che noi chiamiamo Schema demoliberale, che illustriamo nella Tavola IV.

Il lavoro che matura nelle menti di Leibniz, Wolff e in seguito, con effetti di eccezionale portata, in Kant, produce un rivoluzionamento delle sovrastrutture di pensiero a cui mai si era assistito. È stato detto in una battuta che ha ghigliottinato più teste Kant che Robespierre. Naturalmente noi non ci crediamo, perché in realtà è stato l’avvento della produzione capitalistica a tagliare l’erba sotto i piedi alla stanca società degli aristocratici e del clero.
 

2. Paradigma forte e debole nella scienza sociale

I rivolgimenti nel campo dell’ideologia e del pensiero scientifico sono molto illuminanti per comprendere i tempi nuovi, segnati dai cambiamenti radicali nel campo della vita produttiva e sociale.

Il problema è dunque e comunque quello di conciliare la necessità della dimostrazione con la contingenza della Natura. È il problema di Kant e in seguito di tutta la Epistemologia contemporanea, naturalmente con esiti diversi.

Nella Scolastica il Contingente è definito come il contrario di Necessario, come ciò la cui negazione è sempre possibile, per definizione. Quindi l’idea d’una scienza del contingente ripugnava, nel senso d’una vera e propria contraddizione logica, al paradigma scientifico. La matematica rappresenta un certo modello di scienza, ma l’applicabilità di tale modello sembrava destinata a restare circoscritta solo alle scienze considerate a priori. Riguardo all’esperienza, all’a posteriori, era possibile solo l’opinione.

Dunque, come sostiene Bacone, la teoria aristotelica non è un metodo per acquisire nuove conoscenze, ma un modello formale, di come si dovrebbero presentare e impartire le conoscenze. Si può obiettare comunque che una disciplina non può essere scientifica se le sue proposizioni non possono essere esposte secondo i criteri richiesti dalla teoria della dimostrazione.

Quando, con l’avvento della scienza moderna, diventa un’esigenza improrogabile quella di provare la validità dei principi e del metodo necessario per scoprirli, allora la discussione sulla teoria della dimostrazione diventa particolarmente acuta.

Ancora Locke, nonostante il suo scetticismo, sostiene la necessità di attenersi al paradigma forte, riguardo alla possibilità d’una scienza fisica: «Sono tentato di dubitare che, per quanto l’umana industria possa spingere la filosofia utile e sperimentale nelle cose fisiche, una filosofia scientifica possa rientrare nel raggio delle nostre possibilità, perché ci mancano idee perfette e adeguate persino a quei corpi che sono vicini a noi e più soggetti al nostro comando. La certezza e la dimostrazione sono due concetti che in queste materie, non dobbiamo pretendere».

Se fu problematico riconoscere statuto scientifico alle scienze empiriche come la Fisica, molto più difficile e problematico fu il riconoscimento di statuto scientifico alle scienze sociali e, per quel che ci riguarda, alla possibilità di fondare una concezione materialistica della storia.

La difficoltà consiste innanzi tutto nell’approfondimento d’un metodo che riconosca come lo studio dei comportamenti umani non sia riducibile ad una pura descrizione di essi (e non è poca cosa!); in una parola nel fare della Morale (letteralmente: Costume) una Scienza, non limitandosi a prendere atto d’una presente Natura umana sempre uguale a se stessa per motivi metafisici, e riconoscendo invece una natura che cambia, dialettica, fino alla definizione secondo la quale l’uomo, mentre è il prodotto dei rapporti sociali, nello stesso tempo ne è il produttore.

In questo modo i principi indimostrabili vengono avvicinati e tentati di dimostrazione. La natura umana, classico contenitore vuoto, viene affrontato nella sua storia, nel suo processo; i sentimenti umani, l’odio, l’amore, l’egoismo, l’altruismo, possono essere analizzati come espressione delle diverse forme sociali, fino alla scoperta non d’una definizione astratta ed assoluta, ma concreta, in carne ed ossa. La mano invisibile di Smith, immanentizzazione della Provvidenza teologica, diventa la trama disvelata dei rapporti sociali come vengono modellati dai rapporti di produzione e di scambio, materiali e descrivibili, piuttosto che determinati da forze occulte a cui tutto è permesso sopra o sotto l’uomo (contro il dogma della sovradeterminazione e della surdeterminazione...).

In Galilei troviamo molto marcatamente espressa la istanza di considerare sia l’esperienza, sia l’estensione dell’uso del metodo matematico. Ma anche Cartesio critica molto duramente «quei filosofi che, trascurando l’esperienza ritengono di poter far nascere la verità dal proprio cervello, come Minerva da quello di Giove».

Pure Rohault, autore d’un "Traité de Phisyque" (1671), sostiene che «le esperienze sono necessarie per la fondazione della fisica» e che si devono basare «i ragionamenti sulle verità della matematica e delle esperienze certe». Nell’"Essai de Logique" (1678) Edme Mariotte, influenzato dal cartesianismo afferma: «un’esperienza di 1 ora ci istruisce spesso di più dei ragionamenti di molti anni... perché non ci sono delle dimostrazioni in fisica che quelle fondate su esperienze certe per le conseguenze infallibili che se ne traggono, sia che s’impieghino delle proposizioni intellettuali o no e poiché, inoltre, se si possono avere esperienze, non è necessario cercare altri modi di provare la verità dei fatti». Mariotte biasima così di attaccarsi «troppo ai ragionamenti e troppo poco alle esperienze e la pretesa di provare un effetto naturale mediante i soli principi intellettuali».

Si può evincere così che anche coloro che, come i cartesiani, sottolineano l’urgenza di estendere anche alla filosofia l’uso del metodo matematico, non avevano alcuna intenzione di procedere a priori da principi razionali per dedurre poi le proposizioni empiriche. Tutti dunque, almeno in linea di massima, concordano nel «congiungere insieme il ragionamento con l’esperienza» (Rohault).
 

3. Esperienza e ragione

Due sono i tipi di esperienza secondo Spinoza: 1) la semplice percezione sensibile, «esperienza vaga», cioè fatta casualmente, e perciò difficile da valutare criticamente; 2) l’esperienza determinata dall’intelletto, cioè deliberata in base ad una idea precisa, concepita precedentemente, corrispondente più o meno alle «sensate esperienze» di Galilei.

Joachim Jungius distingue chiaramente tra: 1) esperienza volgare e 2) esperienza sorta per osservazione, che comprende anche l’esperimento, dove per osservazione si deve intendere una «serie ordinata di sensazioni istituita in base ad una determinata considerazione».

Rohault nel suo "Traité de Phisyque" parla di tre specie di esperienza: 1) l’esperienza fatta mediante il semplice uso dei sensi, per caso e senza disegno; 2) l’esperienza fatta intenzionalmente, «ma senza sapere né prevedere cosa potrà succedere, cioè la sperimentazione scientifica non orientata da alcuna congettura»; 3) l’esperienza preceduta da un «ragionamento» per poter controllare se questo è falso o giusto. Naturalmente è a quest’ultimo che Rohault attribuisce primaria importanza.

Come si può vedere, la scienza che noi prendiamo in considerazione è il frutto della riflessione di lunghi secoli: al materialismo storico non sono affatto indifferenti le oneste considerazioni del pensiero umano in generale, non tanto o semplicemente quando coincidono con la nostra visione delle cose, come alludono maliziosamente i nostri nemici, ma quando sono il frutto d’una ponderata ed oggettiva ricerca.

Se è vero che noi rivendichiamo che la teoria è nata in un sol blocco, come icasticamente dice Lenin, è anche vero, e non contraddice affatto tale affermazione, che le doglie del parto sono state secolari e, dovremmo affermare, millenarie.

A proposito del rapporto esperienza-ragione, la domanda è se l’esperienza è un mondo accessibile all’indagine razionale o no.

È chiaro che le correnti di pensiero che considerano il mondo come negativo (la natura grossolana dei sensi) sono portate a considerare questo reciproco scambio fra sensi e ragione come precario e problematico. Non solo, ma si tratta di vedere se il mondo dell’esperienza è caotico, oppure organizzato secondo forme e relazioni che la ragione possa o meno scoprire.

È con Locke che matura l’idea d’una attività costitutiva della ragione rispetto alla esperienza, ma per il razionalismo l’esperienza ha già una sua struttura determinata che la ragione deve solo cercare di esplicitare in concetti chiari e distinti. Nel seicento si pensa che l’esperienza interviene nella formazione della concettualità razionalistica.
 

4. La coscienza, bestia nera del marxismo

È noto che la nostra corrente ha sempre preferito all’individualistica coscienza la più ortodossa ed impersonale dottrina.

La ragione di ciò sta nel fatto che noi rivendichiamo solo al Partito, come forma e come sostanza storica, la possibilità di rovesciare la prassi, cioè di indirizzare e dirigere le forze storiche, evocate dalla lotta di classe, nel senso della Rivoluzione e del Comunismo, come regime sociale cosciente e capace di organizzazione umana felice e pacificata.

La nostra idiosincrasia nei confronti della coscienza ha una matrice ed una ragione storica: essa ci ha consigliato di sospettare della Ragione fondata sul cogito; il surrogato, nello Schema demo-liberale (vedi la Tavola IV) della funzione e del ruolo di Dio, proprio dello Schema Autoritario (Tavola III).

Per Tschinrhaus il cogito è prima esperienza evidentissima, l’esperienza interna che Wolff intende come fundamentum principii contraddictionis, secondo il quale noi percepiamo che uno stato di cose è così e proprio così, perché percepiamo che non può essere altrimenti che così.

Il razionalismo, come si vede, attribuisce all’esperienza interna una funzione fondamentale per impostare il rapporto tra l’esperienza esterna e quella interna, e la possibilità di attribuire a questo materiale una formalizzazione concettuale soddisfacente.

Il limite del cogito inteso come percezione indubitabile di sé costituisce anche il limite della scienza borghese. È stato Cartesio a vedere nel Soggetto, nella Coscienza, il fondamento della certezza. Donde la convinzione che conoscere fosse non solo portare l’ignoto al noto, ma l’altro a se stessi, le zone d’ombra alla trasparenza dell’Io.

Una volta accertato che l’Io È, tutto il resto gli diventa subalterno.

Come fidarsi d’una verità che è l’espressione del dominio dell’Io su ciò che gli si oppone e gli resiste? Nella nozione materialistica e dialettica prima viene l’Essere sociale e naturale, poi la Coscienza. Il materialismo storico si vanta d’aver scoperto il sottosuolo sociale, e di attribuire ad esso come Economia la vischiosa, vitale, schifata regione della vitalità sociale, la base di tutte le sovrastrutture.

Senza arretrare di fronte ad essa, Marx, entrando con la dignità e la coerenza della Scienza, senza civiltà (ogni viltà convien che qui sia morta, è scritto nella porta dell’Inferno), nei suoi gironi, scopre che è possibile individuarne forme e dinamica.

Ne risulta forse che Marx arriva a dire che la Coscienza di essa Economia può diventare chiara e trasparente, come l’Io dell’illusione cartesiana? Nel Partito, coscienza organica, con tutti i limiti che noi annettiamo a simile definizione, la sistemazione metodica dell’esperienza esterna ed interna (lotte di classe, sommovimenti sociali, guerre tra Stati; insomma le innumerevoli manifestazioni degli eventi sociali) è possibile, anche se non assoluta: ciò perché noi riconosciamo solo ad esso un patrimonio di dottrina e di conoscenza che, in determinate e favorevoli condizioni storiche, è in grado di rovesciare la prassi.

Il Partito si è sempre domandato quanto possa influenzare i rapporti di classe col suo intervento cosciente. È per il materialismo storico una grande fonte di preoccupazione e di studio quanto possa l’organo della classe, in rapporto alle realtà differenziate che le forme economiche assumono; e su quali organismi di difesa della classe far leva nelle diverse situazioni storiche.

Può illudersi di agire coscientemente su di essi per influenzarli e dirigerli arbitrariamente?

Il Partito non ha mai rinunciato ad intervenire su queste forme, sapendo però di non poterlo fare a piacimento. Si tratta, e si è sempre trattato, di valutarne le potenzialità nelle alterne vicende della lotta di classe, sapendo fare distinzione nelle diverse aree di sviluppo del Capitale, ma mirando sempre a cogliere i nessi unificanti alla scala generale ed internazionale.

Il Partito storico del proletariato non si può permettere il lusso di aderire ad un modulo semplicemente razionale della realtà sociale. L’atteggiamento razionalistico riconosce che esiste un fondamento razionale dell’esperienza, come pure un fondamento empirico della ragione, ma poi sostiene che il primo livello può sussistere indipendentemente dal secondo. In questo modo non può rinunciare a privilegiare la Ragione come esperienza interna.

Ai nostri occhi questa è una posizione ideologica ed un prodotto storico che valutiamo per quello che è, e cioè come una superfetazione tipica dell’ideologia borghese, che si mostra in grado di rovesciare lo Schema autoritario, ma non è ancora in grado di leggere la storia secondo la nostra inconfondibile versione dialettica.

Il razionalismo nel campo teorico poté porsi come premessa dell’Illuminismo storico, che, portando il suo attacco all’autoritarismo di tipo feudale, promosse la rivoluzione borghese.

Con esso la nostra corrente ha riconosciuto il valore rivoluzionario degli Ideologues, che portarono duri colpi all’edificio assolutistico. Nello stesso tempo però non è disposta a riconoscere il valore assoluto dell’Idea, della Coscienza come precedenti la Realtà naturale e sociale, e dunque capaci di muovere tutto, indipendentemente dalla materia informe dei rapporti sociali, del groviglio inestricabile dell’economia, che soltanto con gli inglesi, come Adam Smith, diventa un sottosuolo leggibile col metodo scientifico.

Sotto la spinta della classe borghese i nessi dell’esperienza molecolare della società diventano dotati di senso e perfino decisivi per il suo controllo e la sua valorizzazione.

Il paradigma scientifico di vecchio stampo aristotelico impediva di considerare scientifiche le discipline empiriche. Questo è il punto cruciale che doveva essere affrontato dalla nascente scienza borghese; in realtà già in parte sciolto nell’esperienza pratica della nuova organizzazione del lavoro. Si trattava, nella sfera ideologica, di trarre le conclusioni nell’approntamento d’una scienza sociale che la nostra corrente fa seguire, come modello, a quello trascendentista (autoritario), che noi chiamiamo demo-liberale.

La riflessione sul valore della dottrina e sulla preferenza in rapporto all’uso del termine coscienza c’induce, non da oggi, a smontare e sottoporre ad esame critico il mito nevrotico dell’Io, non solo in funzione di attacco all’ideologia nemica, ma anche di chiarimento permanente interno sulla natura e funzione del Partito di classe.

Smontare il mito nevrotico del Partito consiste nel riconoscere che il delirio di onnipotenza importato in esso dal nemico di classe e veicolato dalla esperienza staliniana, è il prodotto della degenerazione e del tradimento della sana teoria rivoluzionaria.

Nella nostra tradizione, la Sinistra si è sempre attenuta ad una versione dialettica del Partito come forma e come storia, specie quando si è preteso, durante la degenerazione di Mosca, di risolvere i problemi esterni ed interni a base di ukase e di falsa disciplina.

Quando la Sinistra ha dovuto spiegare il valore del suo aureo isolamento (mai il silenzio assoluto...), l’ha fatto perché nella verità del Partito non si assolutizzasse il dogma. Non abbiamo mai dimenticato le Virtù del Partito, quando il silenzio e l’isolamento hanno richiesto la riorganizzazione e la definizione-cristallizzazione delle nostre tesi, secondo le regole della vita interna fondate sul centralismo organico.

Il Partito ha imparato a non cadere nell’inutile fraseologia rivoluzionaria, che nasconde solo impotenza; a non cadere nelle pericolose forme di esaltazione sia primaria sia secondaria.

In questo modo il Partito non ha mai smesso di dimostrarsi attento, e di lottare con i suoi pochi aderenti, alle più impercettibili forme di lotta di classe cosciente, nonostante la controrivoluzione, dimostrando adesione alle forme più semplici e immediate di adesione alla classe.

Per esplorare il profondo dell’economia e comprendere i messaggi dei suoi «demoni» è necessario che il rapporto tra partito e classe sia sano e corretto: né la retorica del Partito, né il suo contrario, cioè la sua negazione, sono la formula giusta. Né la esaltazione della Coscienza, né la sua riduzione ad aspetto informe della materia, delle forze produttive e dei rapporti di produzione, sono la via diritta per il rovesciamento della prassi, per la Rivoluzione.

Per questa serie di considerazioni, non di oggi, ma permanenti ed invarianti nella vita del Partito nei suoi rapporti con la classe, non possiamo rinunciare alla definizione ed alla rivendicazione d’un paradigma scientifico-forte.

Come già la borghesia si trovò nella necessità di rovesciare il modello aristotelico di considerare le discipline empiriche, così il proletariato ha trovato nel materialismo storico e dialettico la interpretazione necessaria per la sua affermazione storica.

Esso ha tratto le estreme e necessarie conseguenze che l’ideologia borghese non poté trarre proprio per i suoi limiti di classe, che se aveva potuto rigettare il modello aristotelico, non poteva riconoscere radicalmente che il problema vero della Filosofia non è quello di contemplare il mondo, ma di trasformarlo.

R. Goclenius, uno dei primi che affrontò la questione in "Problemata Logica" (1597), sostiene: «può esserci dimostrazione del contingente certo... la scienza e la dimostrazione vertono sugli enti assolutamente necessari e su quelli contingenti che per lo più sono soggetti al divenire. Ma si ha scienza e dimostrazione di questi (cioè degli enti contingenti) non in quanto contingenti, ma in quanto sono prossimi agli enti assolutamente necessari». Per questo la teoria rivoluzionaria appare, ed è invariante!
 

5. La scienza possibile; anzi, necessaria

Jungius, più cautamente, sostiene che oltre agli enti necessari, soltanto quelli apparentemente contingenti, presi nel genere, possono cadere sotto il dominio della scienza. Tuttavia aggiunge che anche degli enti veramente contingenti, meno idonei a costituire la scienza, è possibile una scienza secondo analogia, o nel suo genere.

Siamo ai primi passi, nell’età moderna, verso il riconoscimento che la scienza è possibile, in quanto tematizzazione e analisi del movimento.

La società è in movimento, o meglio è Movimento, e lo si riconosce. Si tratta di approntare uno schema scientifico che sia in grado di rappresentare una realtà così complessa.

L’esigenza di formalizzare il nuovo tipo di paradigma è espressa da G.B. Baliani, che in una lettera a Galilei del 10 luglio 1639 così scrive: «Io in vero ho giudicato che l’esperienze si debbono por per principi delle scienze, quando son sicure... Io penso di raggiornare compitamente in un trattatello che col tempo penso di pubblicare in materia loica, e mostrare come la scienza non opera altro in noi, e che il cercar le cause spetta ad altro habito, detto Sapienza... e ciò come i principi delle scienze sogliono essere deffinitioni, assiomi e petizioni, che queste, nelle cose naturali, sono per lo più esperienze, e sopra tali son fondate l’astronomia, la musica, la meccanica, la prospettiva, e tutte le altre».

Così, nell’ambito delle scienze naturali, l’esperienza entra a far parte dei Principi. Non più la magmatica e confusa realtà dei sensi grossolani, ma la via principe attraverso la quale si comincia a riconoscere che la scienza non consiste nella applicazione di principi assoluti all’esperienza, ma al contrario la ricerca delle esperienze sicure, in grado di diventare esse stesse dei punti di partenza per una lettura sapiente dell’intero libro dell’Universo.

Nell’ambito della scienza sociale siamo in linea prevalente, alla fine dello Schema trascendentalista, alla ammissione che l’esperienza è l’ambito di realtà da indagare; non più i gruppi sociali intesi come ruoli prestabiliti sui quali riposi l’ordine; ma il riconoscimento che la loro movimentata e travagliata dinamica storica, che col materialismo dialettico diventerà studio delle leggi della lotta delle classi, è l’oggetto reale della conoscenza e dell’azione.

Il nuovo paradigma scientifico cosiddetto debole ammette dunque anche premesse empiriche. Nella scienza in generale cominciano ad operare ed a confrontarsi i due paradigmi, intersecandosi, scambiandosi le funzioni e spesso contraddicendosi.

Lo stesso grande Cristian Hujgens sostiene che «le dimostrazioni riguardanti l’ottica, come avviene in tutte le scienze in cui si studia la geometria della materia, si fondano su verità tratte dall’esperienza».

Ma perché si arrivi ad un unico paradigma è necessario arrivare a Thomasius, il quale, attaccando quello aristotelico, dice: «sento dire che Aristotele abbia prescritto che la scienza riguarda gli enti necessari, ma non quelli contingenti, quali sono anche gli artefatti, cioè le prove di laboratorio; tuttavia questa prescrizione non ci vincola, perciò la invertiamo. Solo degli enti contingenti c’è scienza. Gli enti contingenti sono gli accidenti, dunque c’è scienza solo degli accidenti... ma non delle sostanze».

E così, gradatamente, aperta la strada si arriva alle considerazioni del razionalista Leibniz che, in contrasto con Locke, difende l’attendibilità e la funzione conoscitiva dell’opinione: «L’opinione, fondata sul verosimile, merita forse il nome di conoscenza; in caso contrario, la conoscenza storica e molte altre perderebbero ogni valore» ("Nuovi saggi sull’intelletto umano"). Non siamo ancora alla classica l’opinione governa il mondo di stampo illuministico; ma il ghiaccio è rotto, e la Metafisica è relegata ai margini della scienza dalla moderna borghesia. Il decisivo passo in avanti verso l’unificazione del paradigma scientifico della dimostrazione è opera del grande Leibniz. Consapevole del fatto che c’è differenza evidente tra proposizioni necessarie proprie della ragione e le evidenze empiriche, propone una distinzione tra ciò che è certo e ciò che è necessario. Una proposizione può essere certa anche se non è necessaria, cioè anche se la sua negazione non implica contraddizione. Non solo, ma il concetto di Verità viene distinto da quello di Necessità: Tutte le proposizioni esistenziali sono certamente vere, ma non necessarie.

Le verità contingenti non possono essere risolte in analisi identiche mediante un’analisi finita, ma possono avvicinarsi a queste sia pure automaticamente, mediante una resolutio progressiva.

Per considerare infine una proposizione come assioma, non è indispensabile che sia necessaria; basta che sia una verità immediata e indimostrabile.

Siamo così entrati chiaramente nelle modernità del modo di concepire la dimostrazione in Scienza; il sistema aristotelico, la sua pretesa che sia scienza la Scienza del necessario e non del contingente è stata superata.

Sempre più il contingente, nei modelli matematici, sarà formalizzato secondo il criterio della resolutio progressiva.

Il matematico fa cioè uso del formalismo, senza pretendere di appiattire l’empiria nella verità di Ragione. È in definitiva il nostro Metodo: tra il certo esistenziale e il necessario razionale c’è una gamma complessa di proposizioni che andrebbero tra di loro connesse ed affinate fino a farne un’unica proposizione intermedia, capace di fungere da strato-cuscinetto, che impedisca l’appiattimento di esperienza immediata e dimostrazione razionale fondata su premesse universali.

Se fosse possibile fare a meno di questo sostrato la vita sarebbe tutta una rivelazione, nel senso che tutti gli stadi della Coscienza sarebbero immediati ed attuali.

Il materialismo storico, nelle magistrali considerazioni di Lenin sulla dialettica di Aristotele, ha sostenuto giustamente che né la vita è un miracolo continuo, come credono certe espressioni fintamente ingenue dell’ermeneutica, né una piatta ed ottusa realtà incapace di rivoluzionamento e di salti qualitativi, come asseriscono le correnti democratiche-relativistiche. In realtà la capacità di rigenerarsi nella dialettica del movimento è propria dell’essere contingente.

L’esigenza di assimilare l’esperienza certa, dunque non dimostrabile, e di convertirla in Verità Universale, è una proiezione della cosiddetta istanza metafisica, del bisogno umano di considerare eterno ciò che è movimento, di rendere immortale ciò che è governato dalla sua naturale fisiologia, secondo la quale ciò che è nato è degno di perire. Questo atteggiamento dello spirito è ben risolto nella proposizione di Wittgenstein: «Non come sia il Mondo è il Mistico, ma il fatto che il Mondo sia»; in qualche modo equivalente al verum ipsum factum di G.B. Vico. Da questo atteggiamento discende la riduzione del trascendente all’immanente, la scoperta del valore in sé dell’esperienza, la cui relativizzazione e svuotamento è sempre stata l’operazione tipica delle gerarchie sacerdotali sazie ed ideologicamente espressione delle classi al potere, preoccupate di svuotare di contenuto la lotta delle classi soggette.

Tale operazione, che noi ascriviamo alla Sovrastruttura ha comunque un valore da non trascurare, perché la sua potenza influisce nella lotta delle classi in forma costante e sottile, anche se le neghiamo, alla lunga, di averla vinta sulle necessità della Rivoluzione.

Il nuovo paradigma scientifico è dunque costituito da proposizioni miste, le cui premesse sono in parte necessarie, ed in parte derivate da fatti ed osservazioni. Comunque queste conclusioni miste restano empiriche, perché la loro certezza non può essere superiore a quella delle premesse deboli, cioè la premessa empirica. In definitiva ormai si riconosce che gli sperimenti entrano a far parte del paradigma scientifico. Questo è il punto cruciale.

Naturalmente inviso al vecchio schema, ormai offuscato e inadeguato alle nuove necessità, si profila il nuovo modulo demo-liberale. Le nuove condizioni generali dell’assetto sociale sono caratterizzate da: 1) Borghesia che sta diventando la classe portante e capace di sostituire clero e nobiltà. 2) Parlamento che si propone come organo centrale di potere in grado di esercitare la funzione legislativa. 3) Libertà per la scienza, piuttosto che il suo controllo autoritario, che viene invocato come base per lo sviluppo della cultura. 4) Vita pratica che diventa il luogo in cui si manifesta l’impegno religioso: cresce la stima per la prosperità onestamente raggiunta e goduta al posto dell’esaltazione della povertà e della penitenza. 5) Istruzione di tutto il popolo e uso generale della lingua volgare (al posto del non più compreso latino). 6) Maggiore importanza data alla sostanza e alla pratica rispetto alla valorizzazione della forma e della teoria. 7) Maggiore accettazione del principio di libertà di Coscienza, di culto, di parola (al posto del rigido controllo dell’Inquisizione). 8) Netta separazione delle sfere d’influenza tra lo Stato e la Chiesa e grande stima delle autorità politiche (al posto della lotta da parte delle autorità cattoliche contro le autorità civili).

L’ammissione da parte di Leibniz d’una specie di dimostrazione più debole, che ammette cioè le proposizioni empiriche non necessarie come premesse, e di cui la dimostrazione in senso stretto va inteso come un caso speciale, è la vera novità spesso trascurata dalla critica. Eppure lo stesso Leibniz approfondisce e non chiarisce lo stato epistemologico delle proposizioni empiriche, ammesse tra le premesse, e come queste possano essere attenuate; segno che i tempi sono ancora immaturi; ma che, nell’incertezza dei contemporanei, un vecchio mondo sta per cadere sotto i colpi delle nuove forze produttive, la cui vitalità non sta tanto nella Coscienza che si sta faticosamente formando, quanto nel suo giovane e dirompente impeto.

Anche per la Borghesia, come per tutte le forze sociali, prima viene l’Essere, poi la Coscienza.
 

6. Conclusione

Cosa mai hanno avuto da obiettarci i nostri nemici opportunisti quando ci hanno accusato con parola difficile agli orecchi dei comuni proletari, di essere deterministi? Risaputamente, di essere fermi, rassegnatamente bloccati su posizioni dottrinarie incapaci di seguire il movimento, la trasformazione continua delle circostanze storiche. Che cosa hanno da dire ora, proprio quelli che, rincorrendo le cambiate circostanze, hanno decretato non solo la fine del comunismo, ma la credibilità stessa dell’idea di comunismo?

Il nostro nullismo rivoluzionario ha permesso di assistere al salto mortale dei traditori, confermando le nostre previsioni; con un certo ritardo, questo sì, ma in modo inequivocabile e definitivo. Ora noi siamo certi, documenti e fatti alla mano, che nessuno, tranne degli irriducibili come noi, sostiene non solo la possibilità, ma la necessità storica del comunismo.

A proposito di determinismo, naturalmente dialettico, noi opponiamo ai sofisticati e imbelli teorici della causalità statistica ed aleatoria, la verità dell’azione a distanza. Ciò significa che rimaniamo in pochi a sostenere la validità dei classici concetti di causalità, non soltanto nell’ambito dei fenomeni fisici, ma anche in quello certo più complesso, dei fenomeni sociali. A molti, diciamo alla grande maggioranza degli infedeli, l’esistenza dell’azione a distanza sembra problematica. Ma non capiremo completamente la struttura causale fino a quando non comprenderemo questo meccanismo.

Nel paradigma scientifico sperimentale che rivendica il requisito della verifica, si può accettare l’azione a distanza, non dimostrabile? Lo statuto scientifico richiede la controllabilità e la ripetibilità come criteri di prova della sua validità, perché non si cada nella magia, nell’esoterismo o nella visione. Oppure è necessario spostare il discorso sulle cosiddette cause seconde, fino al punto di rischiare di cadere nel modello meccanicistico.

Nella scienza che meriti questo nome è necessario conoscere le leggi dei processi e delle interazioni, oltre che le più generiche regolarità statistiche. Ripiegando invece nella causalità statistica come riferimento generico per ogni tipo di causalità indeterminista, si mettono in evidenza le congiunzioni costanti e le relazioni di regolarità statistica.

Nella causalità statistica non si fa menzione dei meccanismi di causalità.

Nell’azione a distanza diventa sempre più difficile individuare conjunctive Forks e così la necessità del cosiddetto screening off aumenta indefinitamente. In parole più semplici molti nessi causali vengono schermati da altri processi.

Il mondo nel suo insieme finisce così per assumere l’immagine opaca dietro a cui si nasconde il deus absconditus della Verità vera. Questo accade quando per scienza si intende non il processo reale delle nude cose, ma una realtà intima che solo la teologia dei sacerdoti impostori sarebbe in grado di intuire e di amministrare.

È quello che il materialismo storico ha appunto smentito con la critica alla ideologia borghese, da sempre.

Nel determinismo si crede che ogni evento è legato al tutto. La libertà coincide con la necessità (determinatio est negatio); si pensa cioè che la catena delle connessioni è coerente e razionale.

Nell’indeterminismo si sostiene che l’evento non è sempre il prodotto d’un nesso causale, ma un’espressione non spiegabile in rapporto ad una causa. Per esempio: una persona può subire un attacco cardiaco senza una causa esterna. Un neutrone può disintegrarsi spontaneamente liberando un elettrone o un protone. Insomma nel modello indeterminismo l’evento è gratuito.

Nella concezione deterministica ogni evento è prodotto da un’interazione col tutto, anche quando non siamo in grado di conoscerlo in forma analitica. La risposta a questa difficoltà è: Non sappiamo, ma lo sapremo.

Due sono i tipi di assiomi causali: 1) la produzione dell’evento, 2) la sua propagazione. Le interazioni causali sono gli agenti della produzione che determinano cambiamenti nei processi che si intersecano.

I processi causali sono gli schemi della propagazione. Essi trasmettono le influenze causali attraverso l’universo.

Un nesso causale forte e visibile rimane talvolta schermato in rapporto al mondo, ma si rende visibile attraverso una sua manifestazione. Classico il caso, nella teologia, della triade Dio Padre - Figlio - Spirito, oppure dell’immanentizzazione di essa operata da Hegel nella triade Idea - Natura - Spirito che il materialismo dialettico ha riconosciuto valida dal punto di vista della logica dialettica, ma da depurare dei residui travestimenti teologici, da rovesciare, come noi diciamo. Il tenersi schermato in rapporto al mondo lascia al Dio o all’Idea quell’alone di mistero, di causa incausata trascendente che non può essere risolta in qualche conjunctive Forks. I diversi modi d’intendere i nessi causali, o in forma dialettica o secondo altre congiunzioni, fa parte della logica formale, che il materialismo storico non sottovaluta, senza mai però cadere nell’idolatria delle forme e perdere di vista la potenza della esperienza sensorial-concreta. Se ce ne occupiamo con molto interesse è perché non abbiamo abbandonato la possibilità di trasformare la realtà in senso rivoluzionario, nell’impresa storica di emancipare le classi subalterne. In rapporto a questo impegno non ogni o qualsiasi modello logico è riducibile ad un altro. Per questo non negammo a suo tempo la nostra preferenza per la logica dialettica. Né ci sembra il caso di pentirsene, tenuto conto del suo valore strumentale, e della sua utilità come guida per l’azione.

Mentre i presunti potenti della terra non hanno pudore ad ammettere di navigare a vista e di non escludere che la nave potrebbe infrangersi sugli scogli, noi comunisti siamo dell’opinione che senza una visione generale del futuro non sia possibile non solo vivere il presente, ma neppure capire la storia ed il passato.

La specie umana ha scritto nei suoi geni un programma non solo biologico, ma anche culturale, secondo un’interazione che nel nostro tempo postula senza mezzi termini la necessità della Rivoluzione proletaria.

È così che la domanda sul significato della vita sulla quale si interrogano ipocritamente i pensatori borghesi, non può avere una risposta particolaristica e miope, cioè propria e consona alle ragioni di classe della borghesia, ma generale e di specie, che solo la classe rivoluzionaria è capace di concepire tramite il suo organo politico, il Partito. Solo il Partito della classe operaia, che interpreta i suoi bisogni e le sue necessità, e di conseguenza gli interi interessi e ragioni di vita della specie umana, è in grado di progettare un disegno che non si fermi agli impulsi biologici ed economici; ma, partendo da essi, senza misconoscerli, anzi facendo realisticamente leva su di essi, sia capace di visione storica generale.

Il Partito della classe operaia è consapevole del sistema di relazioni che lega l’essere umano alla natura, secondo un legame che le religioni hanno chiamato Dio, fino al punto di personalizzarlo, proprio perché l’uomo rifiuta di vivere senza proiettare intorno a sé e oltre sé la sua somiglianza e il suo desiderio di plasmare il mondo secondo le sue necessità.

La funzione del Partito è essenzialmente quella di mantenere intatto il Programma che nessuno ha inventato con la sua testa, né capo né profeta, ma è scritto in lettere di fuoco nella storia della liberazione della classe degli sfruttati di oggi e di tutti i tempi. Il Partito, nella sua funzione essenziale di oggi, è chiamato a restaurare l’organo rivoluzionario: non si tratta dunque semplicemente di prevedere e tener vivo il senso dell’avvenire, ma di operare, nell’ambito delle concrete possibilità storiche, perché nessuna lotta nella direzione del comunismo, anche se limitata, venga dispersa.

Contro ogni facile esasperazione volontaristica, esso è consapevole che il transito verso il regime sociale della libertà umana non è segnato soltanto dalle grandi tappe e dai grandi momenti, ma anche dagli oscuri movimenti che li preparano. È questo un compito al quale non può sottrarsi, pena la compromissione del risultato. Tale impegno può essere assolto non tanto attraverso la ripetizione di stanchi rituali, ma con l’adesione pratica alle necessità che maturano, senza cedimenti, senza compromessi sui principi, senza scorciatoie di comodo. La morale del militante sta in questo: nella accettazione del compito storico che la realtà gli consegna; sia essa esaltante e costellata di vittorie, oppure oscura e disseminata di scarsi risultati, quale è il contingente momento.

Dopo i rovesci ed i tradimenti, è sufficiente che ci siano dei rimanenti fedeli al programma perché l’avvenire abbia ancora un senso? Noi sosteniamo da sempre che questa è la condizione minima, senza la quale saranno senza esito le lotte che inevitabilmente riprenderanno, a causa dell’anarchia del modo di produzione capitalistico.

Se ci si illudesse che le forze della storia agiscano per moto proprio e siano in grado di perseguire automaticamente l’obiettivo, cadremmo nel più imbelle economicismo. Noi sosteniamo che la Storia non può svolgersi senza un piano cosciente, che esso rimane valido e continua ad agire in virtù di chi rimane fedele al programma, nonostante i bassi e gli alti dell’andamento storico. Il Partito, anche quando ridotto al minimo storico, è il solo lievito che continua ad agire nella massa, contro ogni incredulità ed idolatria che imperversa nella classe.

È noto che il Partito non trae origine dalle lotte statistiche della classe, e che è invece parallelo ed esterno ad esse. I militanti sono coloro che restano ancorati al programma, e misurano il compito storico non sulla breve vita d’ognuno, ma sulla impersonalità del progetto.