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Partito Socialista Italiano Frazione Comunista Astensionista |
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DOPO IL CONGRESSO
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Si è detto per ironia, credo dall’on.le Turati e poi da altri, che il congresso fosse una radunata di candidati. La frase ha avuto per quel tanto di malignità che contiene successo, ma risponde solo in piccola parte alla verità.
Vi sarà stata, è vero, una minoranza che ha autorizzato la frase dispregiativa, la quale avrà subordinato convinzioni teoriche alla speranza del successo elettorale o si sarà per la circostanza rivestita delle penne del pavone, ma dire che questo abbia avuto il massimo peso è inesatto.
La verità è che la maggior parte del partito è pienamente fiduciosa anzi convinta (e speriamo per essa che non sia una illusione) che le prossime elezioni daranno successi straordinari sia per numero totale di voti sia per numero di eletti.
Ognuno poi questo grande successo lo valuta dal suo punto di vista, v’è chi vede per esso acquisita dal partito e dal proletariato una maggiore forza parlamentare immediata; chi tiene conto della grande propaganda da potersi fare disseminatrice di idee, di propositi; chi si compiace della colossale rassegna di forze, monito solenne per la borghesia e promessa sicura di più fervido e intenso domani.
Tutte queste varie aspirazioni, questi vari sentimenti, propositi, speranze, auguri convergevano tutti verso un medesimo punto: mantenere intatta l’unità del partito, che in questo momento vuol dire mantenere intatta la sua forza elettorale.
Per ottenere il quale risultato, che la stridente divergenza dei programmi minacciava compromettere, è stato necessario venire a qualche piccola transazione, che pel momento è stata sufficiente a mantenere l’accordo soprattutto tra l’ala destra più debole nel congresso ma forse più forte nel corpo elettorale e la corrente preponderante massimalista elezionista; le quali sarebbero state entrambe fortemente danneggiate da una scissione in questo momento affatto intempestiva.
L’ala destra infatti, dopo avere espresso il suo pensiero di svalutamento teorico del massimalismo mediante i motteggi e le mordaci battute dell’on. Turati e dopo avere ancora una volta deprecato l’avvento violento del bolscevismo, ha all’ultimo momento rinunziato a riaffermare col voto il proprio pensiero per accoccolarsi all’ombra non molto amicale del compagno Lazzari. Questi a sua volta, accettando all’ultimo momento una aggiunta al suo ordine del giorno del massimalista unitario Maffi, volgeva a sinistra la prora, carca di tanto grave pondo, e si accostava al massimalismo elezionista, il quale, generoso e pletorico vincitore, tendeva ai possibili dispersi una ardita passerella sospesa per incanto sul baratro profondo della incompatibilità di convivenza affermata nel programma e votata con mandato imperativo dalle sezioni che questo programma avevano accettato.
Così il congresso è venuto fuori unanimemente massimalistico almeno nelle sue apparenze formali.
A questa armonia universale la corrente comunista astensionista, che si è rivelata non solo assai più di una piccola pattuglia ma anche qualche cosa di assai diverso da una espressione personale o regionale come per interesse di polemica si era cercato di fare credere, non poteva e non doveva partecipare.
Essa ha il grave torto di essere coerente al suo programma e al suo metodo che non consente accomodamenti ed opportunismi, perciò è accusata contemporaneamente di essere utopistica o di peccare per eccesso di logica. Essa continua a credere che la vittoria del numero ottenuta con transazioni programmatiche è effimera e soltanto apparente, così come crede che l’unità attuale del partito sia soltanto formale e destinata finalmente a spezzarsi nel giorno dell’azione.
Questa scissione naturale essa aveva tentato di provocare oggi, anticipandola su un terreno teorico, per conservare al partito quel carattere omogeneo e rivoluzionario che esso va sempre più assumendo e a cui non possono non recare danno i conservatori della socialdemocrazia che si ostinano a voler rimanere in seno ad esso.
Forse agiranno da solvente dell’amalgama le vicende non molto allegre delle non lontane pugne, grandi o piccole che siano, dell’ambiente parlamentare.
Conseguente a questo suo indirizzo antiunitario, la frazione astensionista non poteva prendere parte alla Direzione del partito senza contraddirsi.
Non doveva, quindi, tale sua deliberazione strettamente logica e coerente influire sulla decisione della frazione di destra, la quale, invece, avendo fatto caposaldo della sua mozione la unità del partito, avrebbe potuto e dovuto dare i suoi uomini alla Direzione così come li dà alle liste dei candidati, nella quale anzi quella che era minoranza nel congresso si rifà largamente e senza quei tali scrupoli di proporzione di tendenze.
La frazione comunista astensionista costituitasi subito dopo il voto del congresso, ispirandosi nella sua azione ad una bene intesa e dignitosa disciplina, come risulta dai deliberati che pubblichiamo, continuerà a svolgere nel seno del partito e fuori di esso la sua opera attendendo che venga presto l’ora in cui, sorpassati i piccoli dissensi tattici tra i veri rivoluzionari ed eliminati gli elementi avversi, si possa procedere tutti concordi e serrati verso la grande meta.
D. L.