Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"
Partito Socialista Italiano
Frazione Comunista
 GLI UNITARI NON SONO COMUNISTI
(Da Il Comunista, 26 dicembre 1920)

Presentazione in Comunismo n.7, 1981
 
     Si evidenziano i contrasti di fondo che dividono i comunisti dagli “unitari”. Anche questi ultimi dichiarano di basarsi sui princìpi comunisti e sul programma della Terza Internazionale, mentre avrebbero solo delle riserve sulle Condizioni di ammissione all’Internazionale. Secondo loro il PSI avrebbe tutto il diritto di entrare a far parte dell’Internazionale così com’è, tutt’al più escludendo qualche elemento dell’estrema destra, ma in momenti più propizi.
     L’articolo dimostra la falsità di considerare il PSI come un partito rivoluzionario per l’atteggiamento tenuto nei confronti della guerra. Valido metro di misura sarebbe, al contrario, il rigetto della difesa nazionale e il riconoscimento della necessaria lotta armata per la presa del potere.
     Viene ancora una volta dimostrata l’impossibilità di coesione e di disciplina anche solo esecutiva in un partito-minestrone in cui convivono ideologie contrastanti. L’unica cosa che tale convivenza può realizzare è la paralisi del movimento proletario a tutto vantaggio dell’impostazione socialdemocratica della destra del partito.
     Si dichiara quindi la necessità di operare un taglio netto che liberi le forze comuniste dalle pastoie del riformismo e del massimalismo verboso. Solo così, spezzando ogni equivoco, sarà possibile attrarre nel partito comunista anche tutta quella parte sana di militanti vittime dell’equivoco massimalista.
 

Al Congresso di Halle, di fronte alle tergiversazioni ed agli arzigogoli della destra, secondo i quali le 21 condizioni d’ammissione all’Internazionale erano inaccettabili, Zinoviev poneva loro il quesito di indicare come avrebbero dovuto essere formulate le condizioni per apparire loro accettabili, e dopo la loro replica, nel suo eloquente discorso, dimostrava come la destra respingesse in realtà i principi stessi della III Internazionale e del Comunismo, attraverso le sue obiezioni alle condizioni di ammissione; e come quindi non si fosse dinanzi ad un problema di applicazione o di interpretazione di un freddo formulario, ma dinanzi a quello della separazione di due anime politicamente, storicamente antitetiche.

Le stesse posizioni si attagliano con analogia evidente all’attitudine della frazione comunista socialista unitaria. I suoi fautori dichiararono di basarsi su principi comunisti e sul programma della III Internazionale, ma di avere delle riserve da fare alle condizioni d’ammissione. Orbene, la natura di queste riserve è tale da permetterci di affermare e di provare che i comunisti unitari si pongono, con esse, al di fuori e contro i cardini fondamentali del comunismo, che in quanto essi sono unitari, cessano di essere comunisti.

Le tendenze di destra del movimento proletario hanno uno speciale modo di argomentare e di far propaganda delle loro tesi, che non pone mai in evidenza la loro vera posizione politica, ma si sposta su di un altro terreno, attraverso concessioni apparenti ai principi sostenuti dalla sinistra e lo svalutamento e lo sgretolamento di questi con mille risorse e ripieghi polemici che valgono a confondere e a preoccupare la massa. Le successive situazioni storiche rivelano poi il vero contenuto antirivoluzionario di quelle correnti, celato sotto mille equivoci, ma che si delinea nel momento decisivo della lotta proletaria. Su questo fenomeno, che non è di natura personale e soggettiva e non si riduce ad una simulazione, ma che discende dalle superiori leggi dialettiche che regolano il formarsi, in dati ambienti storici, della coscienza dei movimenti collettivi risiede quella malattia dell’opportunismo di cui, con parola non esattissima, parlano i comunisti, di cui il II Congresso dell’Internazionale ha fatto una brillante diagnosi per tutti i paesi, prescrivendone una cura forse non abbastanza eroica col ricettario delle 21 condizioni.

Ma non è di queste considerazioni – importantissime, e su cui insisteremo, anche di fronte alla tesi sbagliata di affidare una selezione del partito alle dichiarazioni singole di accettazione o meno del bagaglio di idee e di metodi della Internazionale – non è di questo argomento che vogliamo servirci per provare che gli unitari sono contro il comunismo, bensì proprio delle ragioni stesse che essi adducono e delle definizioni che essi medesimi tracciano della loro divergenza da noi.

Queste loro riserve, che ad essi paiono piccola cosa, distruggono in realtà tutto il valore della concezione marxista e comunista del compito del partito e della Internazionale.

Il PSI, secondo essi, è un partito che per essere comunista e per stare di pieno diritto nella III Internazionale non deve che accentrarsi e disciplinarsi un po’ più, ed eventualmente escludere certi elementi indisciplinati cronicamente della estremissima destra, quando ne sarà il momento.

Il carattere comunista del partito sarebbe dimostrato dal fatto di aver risolto due questioni, che non tutti i partiti della III Internazionale avevano superate, in senso radicale: la questione della collaborazione di classe (intesa nel senso dei blocchi elettorali e del ministerialismo) e quella della attitudine di fronte alla guerra.

È invece fondamentale che la III Internazionale non è storicamente costruita su queste due questioni, ma è la riunione di quei partiti che l’esperienza della grande crisi bellica ha condotti sul terreno: 1) della negazione della difesa della patria; 2) della negazione della possibilità del proletariato di emanciparsi per via democratica, cioè senza rivoluzione violenta e dittatura proletaria.

Nel PSI invece ci sono fautori della difesa nazionale, ci sono degli avversari dell’uso della violenza e della dittatura proletaria – e ci sono in verità ancora i fautori della collaborazione ministeriale con la borghesia, poiché a Reggio Emilia nel 1912 si esclusero solo coloro che tale collaborazione sostenevano nella immediata applicazione, ma si conservarono i riformisti di sinistra, i turatiani che, negandone l’opportunità contingente, ammettevano in principio la collaborazione – e l’ammettono ora sotto l’altro nome di andata al potere.

Sostenere che il PSI è in armonia col carattere storico della III Internazionale, significa traviare e negare dunque il carattere di questa, in quanto ha di più sostanziale e generale, di meno accidentale e conveniente solo alle condizioni d’uno e d’altro paese.

Ma, aggiungono gli unitari, noi vogliamo tenere nel partito gli elementi di destra, purché siano nell’azione disciplinati al programma comunista. Un tale concetto del partito gli toglie quel carattere d’omogeneità programmatica, senza il quale il partito non è più il partito di classe di Marx, depositario di un coscienza critica e teorica, di una esatta visione degli sviluppi storici che si preparano, non è più la organizzazione delle forze che s’ispirano all’unico obiettivo delle conquiste finali e massimali rivoluzionarie.

La III Internazionale ha ridato valore a queste strutture e a questo compito del partito di classe, mentre nel periodo della II Internazionale il partito era divenuto tutt’altra cosa; un intreccio burocratico tutto dedito all’azione sindacale corporativa e a quella parlamentare e riformistica. Il partito non vedeva più e non rappresentava più la missione storica del proletariato, ma le frammentarie e immediate piccole esigenze di gruppi e gruppetti proletari.

Il PSI conserva ancora nella meccanica della sua costituzione e funzione tale carattere operaista, laburista ed elettoralistico. Meno, relativamente, d’altri partiti della II Internazionale, se lo vogliamo, ma lo conserva ancora.

Gli unitari non vogliono toglierglielo, e questo risulta non solo dalla stessa loro pregiudiziale unitaria aprioristica, ma dal loro argomento fondamentale che non bisogna perdere i comuni, i seggi parlamentari, le leghe e tutte le altre istituzioni dirette dal partito. Queste istituzioni e forme d’azione – invece di essere le occasioni per innestarvi il lavoro politico rivoluzionario del partito, come secondo il Manifesto dei Comunisti e le tesi della III Internazionale – divengono fine a se medesime, come era nel carattere della tattica revisionistica della vecchia Internazionale.

Gli unitari dicono qualche altra cosa ancora: noi riconosciamo che una parte del partito deve allontanarsi; ma crediamo che il momento non sia ancora giunto, e domandiamo che Mosca non c’imponga di farlo ora.

Per ragionare così, bisogna appunto non avere il concetto comunista del partito. Il valore di questo, marxisticamente, sta nel prevedere le situazioni storiche in cui la lotta di classe si presenterà, nel preparare le masse a tali situazioni; e soprattutto – e qui sta la ragion d’essere storica della nuova Internazionale – nel far tesoro delle esperienze rivoluzionarie, suggestive in questo periodo bellico, per paralizzare l’azione antirivoluzionaria che i socialisti di destra esplicano nelle situazioni rivoluzionare finali.

Il Partito Socialista Italiano a Bologna aderiva alla III Internazionale e assumeva un nuovo programma comunista, sorvolando sulle norme del I Congresso dell’Internazionale, già allora ben note, secondo cui bisognava separarsi dai social-democratici. Allora l’Internazionale non aveva un meccanismo organizzato per controllare le adesioni. A ciò ha provveduto il II Congresso, constatando che, tra altri partiti, quello italiano non era nelle condizioni storiche di partito della III Internazionale.

Il momento della selezione è dunque passato da un anno e mezzo, l’Internazionale non ha fatto che prendere atto di questo, e gli unitari affermano che si tratti di un’improvvisa e inaspettata prescrizione giunta di fresco da Mosca.

Tutto ciò dimostra che a Bologna nella grande maggioranza che si dichiarò massimalista, una gran parte non aveva inteso il carattere storico della nuova Internazionale e la nuova funzione che il Partito doveva assumere; questo massimalismo solo per etichetta è andato progressivamente differenziandosi da quanto di comunista si è nel partito delineato e formato finora, ed oggi è possibile distinguere ad occhio nudo queste due correnti, separate dal problema dell’unità e dell’atteggiamento dinanzi alle decisioni del Congresso Internazionale.

Nella formula contraddittoria nei termini di comunismo unitario si riassumono gli elementi (l’espressione non indica qui solo uomini, ma gruppi, forze, rapporti) non comunisti del partito rimasti ad una concezione e attività storicamente superate, antitetiche a quelle proprie della III Internazionale.

Ciò non vuol dire che gli effettivi della frazione unitaria siano costituiti da compagni tutti non comunisti. Vuol dire che nella posizione e nella sua opera questa frazione differenzia e pone in evidenza appunto tutto ciò che il nostro Partito ha di operaista, di socialdemocratico, di tradizionalmente arretrato alle forme della vecchia Internazionale, tutto ciò di cui i comunisti lo devono ad ogni costo liberare, tutto ciò che i comunisti, con un supremo sforzo, si devono liberare – il che non escluderà che moltissimi dei seguaci odierni dell’errore e dell’equivoco unitario saranno attirati nell’orbita comunista, quando l’equivoco sarà spezzato con tutta l’energia e tutto il coraggio che bisogna avere.