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Partito Comunista d’Italia Sezione della Terza Internazionale 2° Congresso - Roma, marzo 1922 |
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RELAZIONE SULLA TATTICA Disciplina Internazionale. La mozione approvata. L’impostazione generale delle tesi. Funzioni e caratteri del Partito Comunista. Il Partito Comunista e la classe operaia. Il Partito Comunista ed altri movimenti proletari. L’esperienza del Partito Comunista d’Italia. La tattica sindacale. |
Le tesi sulla tattica del Partito Comunista d’Italia attorno alle
quali dovrà discutere questo Congresso si inquadrano perfettamente nello
spirito delle tesi approvate nei Congressi Internazionali ed hanno ottenuto
la quasi unanimità di approvazione in tutti i Congressi federali che hanno
preceduto il II Congresso del Partito Comunista d’Italia. Ma prima di
entrare in merito alla esposizione e alla discussione delle tesi, è necessario
occuparsi pregiudizialmente di una questione di importanza non lieve.
Nella recente riunione dell’Esecutivo Allargato dell’Internazionale Comunista la delegazione italiana ha difeso le tesi che questo congresso deve discutere in contrapposizione con le tesi presentate da altri compagni dell’Internazionale. Nel voto che ha seguito questa discussione, il pensiero e le tesi della delegazione italiana sono rimaste in minoranza.
Le tesi del Fronte unico, che hanno ottenuto la maggioranza dei voti, non corrispondono, nel loro contenuto, a quello delle tesi in discussione.
In questa situazione si è imposto un quesito che doveva essere assolutamente
risolto: "può una sezione dell’Internazionale Comunista adottare delle
tesi che siano pur parzialmente in antitesi con quelle approvate nei Congressi
e nei Convegni Internazionali?" Una formula risolutiva in questo conflitto
o meglio problema, è stata trovata? Il Comitato Esecutivo Allargato si
è sciolto adottando tesi nelle quali esclusivamente si formano criteri
generali senza addentarsi però nell’esaminare particolareggiatamente
la situazione dei vari paesi, e senza dettare quindi dettagliatamente le
norme che le varie sezioni dell’Internazionale Comunista dovranno seguire
ispirandosi alle norme generali stabilite nella riunione dell’Esecutivo
Allargato. Anzi è stato deciso che Presidium (l’Esecutivo dell’Internazionale
Comunista) e singoli partiti esamineranno il problema allo scopo di trovare
un accordo soddisfacente per tutte le parti. Ma non ancora per nessun paese
hanno avuto inizio gli abboccamenti necessari. Il Presidium contava quindi
di inviare su questo argomento una lettera del Partito Comunista d’Italia,
in vista del suo Congresso; però questa lettera non ci è stata portata
nemmeno dal compagno Terracini, che per ultimo è tornato in Italia da
Mosca, perché essa, all’atto della sua partenza, non era stata ancora
redatta. Presenterò al Congresso una mozione intorno a questo argomento.
Si può essere certi che il suo spirito non è per nulla in contrasto con
quello della lettera che non ancora ci è pervenuta: di ciò dan garanzia
i compagni che, per recenti contatti avuti coi membri del Presidium ne
conoscono perfettamente il pensiero.
Approvata la mozione sulla disciplina internazionale
Il Congresso, prima di prendere parte al dibattito sulle tesi tattiche;
in presenza della intervenuta approvazione del Comitato Esecutivo Internazionale
Allargato di risoluzioni che investono la tattica dei partiti della Internazionale
Comunista; approvata la dichiarazione di disciplina fatta dai delegati
del Partito a tale riunione,
assume in nome del Partito, solenne impegno che
tutta l’azione che il Partito Comunista Italiano esplicherà dopo il
Congresso sarà guidata dalle norme di tattica che l’Internazionale,
giusta la deliberazione presa in tale senso dall’Esecutivo Allargato,
stabilirà per l’Italia in base da un esame della situazione svolto di
accordo dalla nuova Centrale del Partito e dal Presidium dell’Internazionale
Comunista
e passa a discutere le tesi per adottarle col
valore di una formulazione del pensiero del Partito Italiano in materia
di tattica che non possa in alcun modo pregiudicare la disciplina internazionale.
Bordiga consegna la mozione alla presidenza perché la metta ai voti.
Prima che il compagno Bellone si accinga a ciò, il Congresso applaudendo
unanime, ha già approvato la mozione.
L’impostazione generale delle tesi
Bordiga. Sono stato incaricato, come già ho detto, dalla Commissione sulla tesi tattica di riferire sulle discussioni svoltesi nel suo seno; non accenno nemmeno alle lievissime modificazioni di entità veramente trascurabili e quasi esclusivamente riguardanti la forma, che sono state accettate dai relatori, su proposte partite dal seno della maggioranza.
Le tesi che i relatori hanno presentato al congresso, pur essendo ortodossamente comuniste, ed informate allo spirito di tutte le precedenti deliberazioni dell’I.C., dovrebbero essere ampiamente discusse e lumeggiate dal Congresso. Esse non hanno valore soltanto nazionale: costituiscono il nostro contributo alle definizioni di problemi complessi e fondamentali che interessano tutto quanto il movimento comunista internazionale. Esse costituiscono il frutto della nostra esperienza e del nostro lavoro non lieve, in questo primo anno di vita così pieno di difficili lotte contro ostacoli che non è stato ancora possibile superare: per questo dobbiamo saper trovare la via migliore per superarli.
Mi limiterò per ora ad intrattenermi su argomenti di carattere molto generale, partendo anche dal presupposto, non certo infondato, che tutti i compagni conoscono le tesi in discussione.
È necessario innanzi tutto por bene in chiaro che nel discutere le tesi non c’è da sollevare questioni programmatiche: le tesi furono compilate prendendo come punto di partenza i dieci punti formulati all’atto della costituzione del P.C., punti nei quali il programma del Partito, in antitesi con quello del P.S.I., dal quale noi ci distaccavamo, risultava chiaro e definitivo.
Dopo aver stabilito la funzione storica del Partito, ed avergli dato coscienza ben determinata dei fini verso cui tutta la sua azione deve tendere, si tratta ora di entrare nei dettagli di applicazione, per fissare col massimo possibile di precisione le regole tattiche corrispondenti alle varie situazioni cui il Partito, nello svilupparsi degli avvenimenti, può andare incontro. Questo lavoro, non certo agevole, può e deve essere fatto senza preoccupazione delle lacune e dei possibili errori cui inevitabilmente si va incontro, scendendo nei dettagli.
Il Partito Comunista non ha il carattere di una raccolta di individui che hanno deciso di lavorare insieme per raggiungere un certo scopo usando come una necessità del divenire storico il movimento rivoluzionario della classe proletaria. Per questo il problema teorico che le tesi pongono a sé, presenta aspetti assai ardui nei confronti delle necessità pratiche. È vero che noi siamo sicuri che lo svolgimento del processo rivoluzionario dovrà avere necessariamente il suo sbocco nella vittoria definitiva del proletariato. Ma non per questo noi possiamo accettare alcuna tesi fatalistica che sarebbe grossolanamente antimarxista; non per questo noi possiamo affermare la inutilità della propaganda, dell’agitazione, ecc.. Il Partito Comunista ha una sua funzione nello svolgersi degli avvenimenti. Esso è nello stesso tempo un prodotto e un fattore. Esso non è un prodotto che sia privo di facoltà di scelta dinanzi alle diverse situazioni e sia privo di volontà. Noi non soltanto crediamo alla vittoria del proletariato, ma noi vogliamo, la vogliamo con tutte le nostre forze, esasperando sino al massimo rendimento ogni nostra energia. Questi problemi le tesi hanno dovuto affrontare. Ma è certo che, alla stessa guisa che io nell’esprimersi adesso sono costretto sovente ad adoperare una forma sintetica e magari poco scientifica, così le tesi risentono in parte di questo difetto. Ma questo – già lo abbiamo detto – non può in alcun modo arrestarci o scoraggiarci: d’altra parte il Partito è un fattore necessario alla sviluppo rivoluzionario, cosicché è necessario formulare delle norme pratiche. Siano esse pure imperfette, esse saranno preferibili all’assenza di norma.
Se è certo che il proletariato dovrà giungere necessariamente alla
sua insurrezione rivoluzionaria, è per certo che il suo movimento rivoluzionario
ha bisogno di un fattore coordinato: il Partito Comunista. Il Partito Comunista
deve quindi tracciare lo schema delle norme che regoleranno la sua condotta,
deve ben precisare la sua via. Le tesi presentate al Congresso costituiscono
un tentativo in tal senso; noi sappiamo che esso non sarà che un contributo
ad un lavoro grande che non soltanto lo sforzo nostro e di tutti i compagni
del Partito Comunista d’Italia, ma lo sforzo e l’azione di tutti i
comunisti del mondo potrà, attraverso l’esperienza della lotta, condurre
a compimento.
Funzioni e caratteri del Partito Comunista
Nel compilare le tesi noi abbiamo cercato di trovare la guida in quelle che sono le condizioni necessarie perché la vittoria sia del proletariato.
Queste condizioni sono obbiettive, inerenti alla situazione in sé stessa quale ad esempio noi vediamo in Europa dopo il grande travaglio della guerra: sono soggettive in quanto riguardano la preparazione del proletariato alla lotta, il suo spirito combattivo, l’esistenza di un Partito Comunista. Così, il Partito Comunista si inserisce nelle condizioni necessarie per il divenire della lotta del proletariato: il Partito Comunista quale partito politico di classe è lo stato maggiore dell’esercito proletario in lotta contro la classe sfruttatrice.
Caratteristica fondamentale della fase della lotta di classe in cui il proletariato sia prossimo alla conquista del potere è la unità di direzione del più grande strato possibile del proletariato. Ma perché questa organicità della lotta sia raggiunta, è necessaria l’esistenza di un Partito Comunista che si appoggi sul più gran numero di malcontenti e di sfruttati. Il Partito Comunista deve costituire il vertice di questa piramide. Il Partito Comunista deve raggiungere il massimo di coesione e di compattezza, la tattica del Partito Comunista deve tendere quindi ad allargare sempre più le basi della piramide ma avendo ogni cura nel far si che la piramide si conservi piramide: ampliandosi la base il vertice deve restare pressoché immutato. Al vertice deve accogliersi l’elite della classe sfruttata, per dirigerne gli sforzi e l’azione. Il Partito Comunista è quindi un organismo tutti i cui elementi tendono verso una unica direzione ma essi non si isolano in questo loro atteggiamento: essi si preoccupano soprattutto di raggiungere la più grande influenza possibile sulle grandi masse proletarie. Ma nello stesso tempo il Partito Comunista deve guardarsi dal pericolo di spezzare la sua unità lasciandosi soggiogare dalla illusoria speranza di ottenere miracolosamente e per vie devianti quella fondamentale maggiore influenza.
Il Partito Comunista d’Italia ha sotto questo aspetto raggiunto un mirabile grado di perfezione. Attraverso accurate selezioni e diligente cernita di coloro che chiedono di entrare nel suo seno il Partito Comunista, dal suo iscritto più quotato e stimato quale quale teorico all’ultimo proletario analfabeta che partecipa nei suoi quadri, è costituito esclusivamente da elementi che hanno fatto interamente propria la parola d’ordine della vittoria rivoluzionaria (applausi).
Questa unità di coscienza del Partito Comunista non ha valore in quanto si considerino ad uno ad uno i suoi elementi, ma in quanto rappresenta la somma di tutta la collettività.
Attraverso il congegno di questo organismo unitario, con la sua gerarchia, vien messo in valore il fattore di volontà dei suoi singoli componenti. Il Partito Comunista nel suo sviluppo tende sempre più ad incrementare questo suo carattere di essenziale unità.
Vi sono nella storia rivoluzionaria del proletariato crisi, arresti,
ritorni, inutili errori: molti ve ne sono stati in passato. La guerra che
condusse all’aperto tradimento dei social-democratici che si rivelarono
strumento di collaborazione e di conservazione borghese, ha portato alla
costituzione della III Internazionale, che è destinata ad essere il centro
regolatore di tutto quanto il movimento rivoluzionario del proletariato,
per contenere le inevitabili deviazioni ed incoraggiarne lo slancio così
nelle piccole lotte quotidiane come in quelle decisive e finali.
Il Partito Comunista e la classe operaia
Il problema della tattica del Partito Comunista si presenta dunque come il problema dei rapporti fra il Partito Comunista ed il restante dell’ambiente sociale.
Primo aspetto di questo problema è il rapporto fra il Partito Comunista e classe proletaria. Come può il Partito Comunista sempre più allargare la sua zona di fattiva e reale influenza? Attraverso l’esempio della sua indefettibile dirittura classista? Per mezzo della propaganda? Sfruttando la seduzione estetica del gesto ribelle e coraggioso di pochi suoi iscritti? Non sono questi i soli e soprattutto non sono questi i maggiori mezzi che il Partito Comunista deve usare nella sua opera assidua di penetrazione fra le grandi masse lavoratrici. Il Partito Comunista ha il compito soprattutto di partecipare proficuamente ed instancabilmente a tutte quante le manifestazioni della complessa attività del proletariato. Dovunque un gruppo sia pur esiguo di lavoratori si è costituito per lottare sul terreno della lotta di classe, il Partito Comunista deve portare la sua parola ed il suo incitamento per una azione concreta, anche se questa azione presenta solo rudimentalmente ed in forma embrionale i caratteri propri ad un’azione prettamente rivoluzionaria; non è mai il caso di estraniarsi od irridere: bisogna sempre intervenire, perché attraverso la lotta qualunque movimento, per quanto poco rilevante e poco deciso sia al suo inizio, finirà con l’inquadrarsi nel complesso delle attività rivoluzionarie del proletariato.
Il nostro partito anche sotto questo aspetto ha dato finora prova di
essere interamente all’altezza del suo compito. Nessun compagno, anche
chi più specificamente è dedicato agli studi teorici riguardanti il nostro
movimento, si è mai rifiutato di prestare la sua opera nelle forme più
modeste ma più proficue ai fini che il nostro partito si propone di raggiungere.
Il Partito Comunista ed altri movimenti proletari
Un altro aspetto dello stesso problema riguarda i rapporti tra il Partito Comunista ed altri movimenti proletari.
Vi sono di fronte al nostro partito altri partiti e movimenti di massa che hanno le proprie basi fra la classe lavoratrice. Essi talvolta sono così notevoli che noi dobbiamo confessare che senza il consenso delle masse al seguito di queste correnti, non ci è possibile attuare una determinata azione.
Notevoli soprattutto le influenze che irretiscono attualmente nell’orbita dell’attività socialdemocratica molta parte delle masse proletarie. L’azione tattica del Partito Comunista di fronte a questo problema è stata distinta, per semplificare, in due termini: azione diretta ed indiretta; intendendosi per azione indiretta quella esplicata dal Partito comunista nelle situazioni in cui non gli è possibile esercitare la sua influenza con le forme risolute e chiare che costituiscono il fine che esso si propone di raggiungere.
E così il problema della costituzione del Partito Comunista è risolto. Il contatto con le masse è stabilito. Dobbiamo constatare tuttavia che siamo una minoranza. Siamo pochi, dobbiamo diventare di più. Siamo il 40%, il 50%, o 60%? Poco importa soffermarsi qui in questi calcoli. È certo, in ogni caso, che dobbiamo ancora spostare verso di noi profonde masse proletarie che oggi sono al seguito di popolari, socialdemocratici, anarchici, sindacalisti, ecc..
Il problema è dunque: come conquistare la più gran parte delle masse? Questo problema, nella situazione attuale, viene considerato ugualmente da noi e da tutti i compagni dell’Internazionale Comunista.
Sotto l’offensiva capitalistica qualunque velleità rivoluzionaria dei partiti opportunisti è stata liquidata. Il capitalismo potrà sopravvivere solo se riuscirà a sbarazzarsi non soltanto delle minoranze più energicamente rivoluzionarie, ma anche di tutta quanta l’organizzazione che il proletariato faticosamente è riuscito a costruire per la sua difesa.
Si tratta quindi di chiedere alla classe lavoratrice se essa è pronta a difendere il suo diritto all’esistenza. Bisogna invitarla alla resistenza. Non più il dissidio fra noi e i riformisti sta in ciò che noi dicevamo: "domandiamo tutto" e i riformisti rispondevano: "domandiamo poco". Noi ci limitiamo a chiedere alla classe lavoratrice se essa vuole resistere all’offensiva capitalista. Se noi diciamo oggi, quindi, "difesa del salario", non abbiamo bisogno di aggiungere: "lotta contro la classe borghese". L’una è semplicemente un aspetto dell’altra.
Soltanto così noi possiamo costringere i socialdemocratici a mostrare
che essi sono anche contro le rivendicazioni immediate del proletariato.
Il rifiuto dei socialdemocratici a scendere persino su questo terreno (che)
potrebbe sembrare prettamente minimalista, rivelando il contenuto essenzialmente
conservatore ed antiproletario della dottrina e della pratica socialdemocratica,
oggi facilita enormemente il passaggio di grandi masse lavoratrici dal
campo riformista a quello comunista.
L’esperienza del Partito Comunista d’Italia
In Italia abbiamo già cominciato, e forse fummo fra i primi, ad attuare questa tattica. Tutti i compagni sanno dettagliatamente come e perché se divergenze sorgono su questo argomento, esse sorgono quando si considerano alcuni dettagli di questa applicazione, ma sul suo contenuto sostanziale non è possibile divergere. Noi non possiamo modificare radicalmente i principi tattici cui si è formata finora la nostra azione, ma attraverso i collegamenti sindacali e politici, elettorali, noi dobbiamo trarre dall’esperienza quotidiana gli insegnamenti che l’assiduo controllo e la obbiettiva critica possono darci.
Per ottenere il nostro scopo dobbiamo conservare indipendenti i nostri organismi militari, sindacali, elettorali, ecc.. In questa indipendenza delle nostre centrali, e nello sviluppo della loro azione verso le masse proletarie, sta la possibilità di contrapporci all’atteggiamento di partiti e di movimenti avversari, sul terreno concreto della realtà quotidiana. Solo così ci sarà possibile far convergere l’attenzione del proletariato sul nostro Partito; solo così noi possiamo essere certi che quando in una data situazione i riformisti tenteranno di strozzare lo sviluppo di un certo movimento, noi saremo in grado, se lo crederemo opportuno, di continuare a dirigerlo da soli fino alla vittoria, oppure non avremo la responsabilità della sconfitta (applausi).
Non è nemmeno il caso di trarre esempio dalla esperienza dei blocchi
elettorali, intorno ai quali però è utile notare che se si otteneva vittoria,
essa veniva attribuita ai partiti di destra, mentre in caso di sconfitta
tutta la colpa veniva fatta ricadere sui partiti di sinistra. Un altro
esempio di diverso genere, ma assai notevole e pieno di insegnamenti lo
abbiamo dall’atteggiamento dei sindacalisti i quali avendo voluto costruire
una loro organizzazione sindacale indipendente da ogni partito politico,
nulla han saputo edificare che anche di poco si sollevasse dall’atteggiamento
grigio e fiacco imposto dai socialdemocratici alle organizzazioni da essi
dominate. Manifestazione chiarissima di questa impotenza sindacalista l’avemmo
in occasione dell’occupazione delle fabbriche quando i sindacalisti non
seppero trovare né una parola, né un gesto che li distinguesse, in quella
ora tragica per il proletariato che fu sconfitto ad opera dei suoi dirigenti.
È sembrato ad alcuni compagni della Internazionale che la nostra tattica meriti piuttosto il nome di sindacalista, perché prescinde dal fattore politico. Ciò non è esatto. Tutti i nostri compagni, nel portare comunque e dovunque nei Sindacati la parola comunista, sanno di fare e fanno in realtà, opera squisitamente politica. La verità è che noi stiamo costruendo nei sindacati il nostro solido congegno per la lotta contro i riformisti.
Questo congegno è strumento prevalentemente politico nella lotta ingaggiata dal proletariato contro lo sfruttamento capitalista. Il nostro fronte unico significa il fronte unico delle organizzazioni di tutti i lavoratori. Esso varca ogni limite di categoria di località. Esso si sforza di cancellare tutti i residui di tendenze corporativistiche che sovente vengono mascherate sotto un sindacalismo rivoluzionario che poco ha da invidiare alla socialdemocrazia federale. Questo fronte unico per il quale noi lottiamo è un patto eminentemente politico, perché attraverso la lotta per ottenere la sua realizzazione si costituisce e si sviluppa l’inquadramento delle masse proletarie sotto la guida del Partito politico di classe. Questa nostra tattica comincia già a dare i suoi buoni frutti.
Essa ci assicura posizioni nitide ed elastiche che in ogni evenienza pongono in rilievo di fronte al proletariato l’atteggiamento del Partito Comunista, mettendo in evidenza come e perché esso si differenzi dagli altri movimenti cosiddetti sovversivi. Fra pochi giorni, ad esempio, nel Consiglio Nazionale della C.G.d.L. socialisti di destra si azzufferanno con i socialisti di sinistra; in tale situazione noi potremo sfruttare tutti i vantaggi derivanti dalla nostra posizione di assoluta indipendenza.
Né è vero che la nostra tattica tenda ad eliminare dal nostro movimento quegli elementi che, formalmente legati ad altri organismi, tendono ad accettare le nostre direttive. Quando noi lanciamo alle masse le nostre parole d’ordine comuniste, noi diciamo implicitamente anche agli altri elementi di sinistra del Partito Socialista: eseguite queste nostre parole d’ordine, così, se essi vorranno, avranno modo di entrare nell’orbita del nostro movimento. Così e non altrimenti noi ci poniamo il problema dell’inquadramento delle masse. I compagni dell’Internazionale Comunista riconoscendo più volte che il Partito Comunista d’Italia merita di essere portato come esempio di partito veramente marxista, hanno implicitamente riconosciuto la bontà della nostra tattica. Noi conserveremo e difenderemo strenuamente la solidità di questo nostro inquadramento unitario; né disdegneremo in nessun caso l’avvicinarsi a qualsiasi organismo proletario per attirarlo nell’orbita del nostro movimento.
Ma soprattutto noi ci presentiamo di fronte alle grandi masse proletarie
dichiarando apertamente di porre la nostra candidatura alla dirigenza della
rivoluzione proletaria. (Tutto il Congresso applaude levandosi in piedi.
L’applauso si rinnova quando Bordiga grida "Viva la Rivoluzione Comunista".
Cessati gli applausi tutto, il Congresso canta l’Internazionale).
(Da "Ordine Nuovo", 26 marzo 1922).