|
|||
Corrente di Sinistra nel Partito Comunista d’Italia |
|||
LA POLITICA DELL’INTERNAZIONALE L’Unità, 15 ottobre 1925
|
Nel lavoro politico di questo prevalgono dei criteri di momentaneo equilibrio
congressuale tra i gruppi dirigenti dei partiti, e sarei per dire di manovra
interna a tipo parlamentare, sul criterio che a noi sembra vitale per il
Partito rivoluzionario di condurre un lavoro politico che sia la negazione
dialettica dei metodi e delle consuetudini del politicantismo borghese.
Ma a queste gravi deduzioni critiche è meglio premettere la esposizione
degli argomenti di fatto. Tanto più che noi, in quest’aborrimento dello
scimmiottare la tecnica del parlamentarismo o della diplomazia borghese,
non partiamo da apprezzamenti aprioristici e da ripugnanze puritane, ma
pretendiamo di essere pienamente sul terreno realistico e marxista dell’adeguatezza
dei mezzi al fine rivoluzionario che ci prefiggiamo.
LA QUESTIONE TATTICA AL IV CONGRESSO
Chi scrive prese la parola sul rapporto del compagno Zinoviev ponendo in rilievo il dubbio imperante sulla natura della tattica del Governo Operaio.
All’Esecutivo Allargato del giugno 1922, come ho tante volte ricordato, esso venne definito come un sinonimo della dittatura proletaria e della mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Stando così le cose, noi non avremmo avuto ragione di opporci: ma io mi domandavo se fosse completamente esclusa l’interpretazione più "destra" di una diversa via di passaggio tra il potere borghese e la dittatura proletaria, di una manovra politica effettiva sul terreno parlamentare.
Devo riportare quanto testualmente dissi per la Germania: resoconto stenografico ufficiale, n. 4 del Bollettino, pagina 15 dell’edizione francese: «In Germania, per esempio, noi vediamo, alla vigilia di una crisi industriale generale, porsi nel movimento dei Consigli di fabbrica il problema del controllo della produzione. Vi è una certa analogia con la situazione italiana del mese di settembre 1920, che precedette una grande disfatta proletaria. Se un fatto rivoluzionario somigliante si produrrà, il Partito Comunista Tedesco deve prepararsi a vedere tutte le tendenze opportuniste, senza eccezione, rifiutare anche il più modesto appoggio a questa parola d’ordine del Controllo Operaio. Il Partito comunista potrà, a partire da questo momento, rappresentare una parte autonoma, oppure sarà possibile che si sviluppi una situazione controrivoluzionaria, che preparerà un governo in cui un fascismo tedesco avrebbe la collaborazione dei traditori della socialdemocrazia».
Nello stesso tempo io annunziavo che la maggioranza della delegazione italiana avrebbe presentato, contro il progetto Zinoviev, un altro progetto di tesi sulla tattica, sottolineando il dissenso sulla interpretazione del Governo Operaio e del Fronte Unico, da accogliersi non come una coalizione coi partiti socialdemocratici, ma come una mobilitazione delle masse per la loro conquista da parte della indipendente azione del Partito Comunista.
Si fece immediatamente seguire al mio discorso quello del compagno Graziadei. Dico "si fece", perché sedici posti lo separavano da me nella lista degli oratori. E Graziadei, sebbene si soffermasse soprattutto sulla questione italiana cui io non mi ero affatto riferito, disse tra l’altro testualmente (luogo citato, pagina 19): «Io non ho mai condivisa l’opinione del compagno Zinoviev che sembrava credere che il Governo Operaio fosse soprattutto un sinonimo della dittatura proletaria. Io vedo con piacere che questa concezione è stata modificata da lui stesso e dal Comitato esecutivo della III Internazionale». E più oltre: «Si può considerare la possibilità storica che il Governo Operaio sia una tappa reale tra il governo borghese, o anche socialdemocratico, e la dittatura del proletariato. In questo caso, può anche benissimo accadere che il governo operaio abbia anche una forma parlamentare».
Tali dichiarazioni, fatte come risposta ufficiale alle mie eresie, avevano indubbiamente il pregio della chiarezza. La chiarezza mancò per altro completamente nella successiva discussione, nella quale Radek sosteneva esplicitamente la formulazione Graziadei, mentre tendevano ad attenuarla Zinoviev e Bucharin.
Se quel dissenso fosse stato allora, come si dovrebbe fare in una aperta assise di buoni rivoluzionari, risolutamente SVENTRATO, fino a dare ai lavoratori e ai Partiti Comunisti e al Centro Direttivo della Internazionale Comunista una linea sicura, non si sarebbe posta poi così torbidamente la questione di assodare la responsabilità di quanto è avvenuto in seguito in Germania, e, aggiungo, se il lavoro di direzione della I.C. non fosse stato inficiato da questi metodi erronei, gli avvenimenti stessi avrebbero potuto avere una piega diversa e meno sfavorevole. Infatti, il problema che eclissò quello vitale della chiarificazione divenne un problema interno: avere nel voto la solita unanimità a mezzo della formula che contentasse tutti senza nulla precisare.
Noi soli restammo fuori da tale unanimità, e fummo presi di mira con una serie di discorsi solitamente severi e violenti. Ad un certo punto quando io rilevavo il dissidio Radek-Zinoviev, fui interrotto con la notizia – non certo risultante dagli atti del Congresso che provavano l’opposto – che essi si erano messi d’accordo. Ed in realtà collaborarono alla compilazione della Tesi. In essa anzi prevalse l’ingrediente chimico della soluzione Zinoviev, seguitando tuttavia questo a sostenere, contro il nostro infantilismo corto di vista, che egli non aveva mai mutato parere su tale punto, chiarissimo dal punto di vista della tattica o supertattica che oggi si direbbe leninista o bolscevica.
Ecco, infatti, come si esprimono le tesi (Bollettino N. 32, pag. 15): «Un Governo Operaio risultante da una combinazione parlamentare, per conseguenza d’origine puramente parlamentare, PUÒ ANCHE (sottolineato nel testo) fornire l’occasione di rianimare il movimento operaio rivoluzionario». Poi si afferma, è vero, che «ciò condurrà alla lotta più accanita ed eventualmente (sic!) alla guerra civile contro la borghesia». E più oltre: «In certe circostanze, i comunisti devono dichiararsi disposti a formare un governo con Partiti e organizzazioni operaie non comuniste». Poi queste norme così scabrose e poco salde d’azione cedono luogo, secondo un’abitudine, non voglio dire un espediente, del compagno Zinoviev, ad una dissertazione narrativa e descrittiva sui cinque tipi possibili di governo operaio...
Il capitolo precedente sul Fronte Unico è certamente più sinistro, solo perché non fu l’oggetto di tutto il lavoro preparatorio della Commissione e sottocommissione e restò più simile alla prima relazione del relatore. Ma il curioso è che, mentre in tal capitolo è escluso che il Fronte Unico possa essere una combinazione parlamentare, in quello sul Governo Operaio, di cui ho dato i passi essenziali, ritorna l’affermazione Graziadeiana.
Il Governo Operaio è una conseguenza inevitabile di tutta la tattica del Fronte Unico.
Tutta questa cucina sta in così evidente contrasto colla necessità
di stabilire una guida all’azione difficilissima del movimento comunista
mondiale, che si potrebbe scusarla solo dal punto di vista di chi pensi
che le risoluzioni del Congresso non servono a nulla; ma allora sarebbe
legittima l’obiezione che di Congressi meglio è non tenerne e non si ha
ragione di gridare tanto contro chi non consente in tutti i loro deliberati.
L’OTTOBRE 1923 IN GERMANIA. IL PENSIERO DI trotskI
Nella discussione del IV Congresso stavano in prima fila tra i più ortodossi e i più geniali interpretatori della "vera" tattica i dirigenti del Partito Tedesco, Brandler e Thalheimer compresi nell’unanimità Radek-Zinoviev di cui abbiamo parlato, del Partito Tedesco che ha applicata la tattica del Fronte Unico e del Governo Operaio secondo le tesi del IV Congresso e le disposizioni dello Esecutivo della I.C.
Secondo la sinistra del P.C. Tedesco, che vinceva clamorosamente al Congresso di Francoforte, prima del V Congresso (i rappresentati di essa al IV Congresso erano però stati solidali colla soluzione data alla questione tattica), la Direzione del Partito aveva fallito al suo compito, conducendo con spirito socialdemocratico la politica del Partito, illudendosi di una coalizione colla sinistra socialdemocratica e in una penetrazione pacifica al potere borghese in Turingia e Sassonia dove, come è noto, parteciparono di fatto al governo tre ministri comunisti, e lasciando quindi passare l’occasione di chiamare le masse alla lotta.
Secondo l’attitudine ufficiale presa da Zinoviev e dal Comitato Esecutivo del Comintern, i dirigenti tedeschi, e con essi Radek, avevano la colpa dell’insuccesso, non avendo applicata la tattica e seguiti gli ordini dell’Internazionale Comunista, la cui politica, ben stabilita al IV Congresso, era stata mal realizzata soprattutto dai compagni entrati nel ministero sassone.
Noi sostenemmo al V Congresso che dell’insuccesso i dirigenti tedeschi erano responsabili, ma insieme a tutti coloro che avevano approvata e deliberata la tattica "Graziadeiana" del IV Congresso, la quale tattica aveva fatto fallimento non perché non la si fosse saputa applicare nel caso specifico, ma perché era una tattica errata costituendo una deviazione dalla linea rivoluzionaria.
Al V Congresso non è apparso il compagno Trotski. Recentemente abbiamo visto sul L’Unità un lungo scritto del compagno Kuusinen, tendente a provare un’insistente asserzione: che Trotski abbia criticato la tattica seguita in ottobre 1923 in Germania dalla Internazionale Comunista solo molto tempo dopo, mentre a suo tempo era stato d’accordo con le decisioni dell’Esecutivo, non solo, ma anche aveva dato ragione alla decisione della Centrale Brandler di non dare il segnale della lotta. Trotski solo può dare la vera chiave di questa contraddizione apparente, e non è bello che si approfitti del riserbo in cui egli si è chiuso dopo la pubblicazione della formidabile critica contenuta nel suo "1917". Io non ho nessuna veste per sostituirmi a lui su tale punto.
Posso osservare questo. Kuusinen si riferisce ad una riunione dell’Esecutivo del gennaio 1924, ma egli dice: «É vero che il compagno Trotski non assistette personalmente a questa riunione». Non si tratta dunque di dichiarazioni di Trotski, ma di tesi presentate da Radek e a cui Trotski collabora. Ora la preparazione di queste tesi può essere avvenuta in molti modi.
La frase più scandalosa di esse sarebbe questa: «Se il Partito avesse scatenata l’insurrezione come proponevano i compagni dell’organizzazione di Berlino, esso sarebbe caduto con le reni spezzate». Nessuno può dire se Trotski debba assumere la paternità di tale frase. Dal canto mio penso che nemmeno i compagni di Berlino, e meno ancora i dirigenti dell’I.C. avevano fatto tutto quanto dovevano per poter esigere la proclamazione della lotta. Non parlo degli operai comunisti di Berlino, ma dei loro delegati al IV Congresso, tra cui Ruth Fischer, che avrebbe allora dovuto opporsi all’equivoco e alla formulazione pericolosa delle tesi, opporsi alla valorizzazione unanime dei dirigenti di destra tedeschi come parte legittima dell’unanimità del Congresso.
Dopo l’orientamento prevalso al IV Congresso, dopo aver permesso l’esperienza di "combinazione Parlamentare" sassone, dopo tutti questi precedenti sfavorevoli, si può anche avere dal punto di vista di sinistra il diritto di dire che l’insurrezione non era stata preparata favorevolmente, e poteva fallire. Il successo della rivoluzione non può dipendere da una decisione di cinque minuti.
La "mise à point" sulle pretese contraddizioni asserite da Kuusinen può dunque venire solo da Trotski stesso, il quale non è di quelli che per la propria buona fama siano frettolosi a distribuire eventuali calci nei fianchi a Radek o ad altri, come pare sia oggi nelle buone regole.
Ma che quanto ho detto ora possa collimare col pensiero di Trotski posso sentirmi autorizzato a dedurlo da una interessante esposizione che udii da lui, in un colloquio personale, all’epoca del IV Congresso, sullo sviluppo degli eventi in Germania e sulle proposte da lui fatte fin dalla primavera per l’azione tattica da condurre. Secondo Trotski la prospettiva rivoluzionaria era visibile molti mesi avanti e occorreva, secondo la sua suggestiva frase: "fissare la data della insurrezione". Che cosa significhi marxisticamente fissare la data a una rivoluzione, Trotski me lo spiegava in maniera che la successiva lettura degli "Insegnamenti di ottobre", (Ho detto male: la lettura stessa delle acerbe critiche che tra noi furono diffuse mesi e mesi prima del testo trotzchiano) mi rese ancora più evidente.
Il Partito deve avvertire lo svolgersi di una situazione decisiva che trascinerà le masse allo scontro rivoluzionario, e quanto questa è più matura, tanto più potentemente deve sapere prendere in mano l’iniziativa.
All’inizio del 1924, secondo Trotski, era possibile – egli lo manifestò nei primi mesi dell’anno a richiesta della compagna Zetkin e non mancò di sostenere il suo "progetto" in tutte le occasioni successive: ecco le dichiarazioni che ricordo da lui, uomo che non credo affatto infallibile, ma che fermamente giudico di statura superiore a certi rattoppi e ripieghi polemici alla moda – era possibile tracciarsi lo sviluppo progressivo dell’azione del Partito in questo modo: tante settimane per un’agitazione fatta di vigore e di slancio sulla parola: costituiamo i Soviet; a tante altre settimane di distanza il segnale della insurrezione per la presa del potere. Si capisce che la data del culminare della lotta poteva nel corso della campagna essere anticipata o posticipata secondo il successo ottenuto nelle prime fasi. Ma in tutto il periodo la preparazione doveva svolgersi ardentemente sulla base dell’assoluta convinzione che "ci si doveva arrivare".
Devo dire che Trotski non escludeva affatto, nel corso della manovra, l’impiego di mezzi tattici come il Governo Operaio, che mi rimproverava di non voler accettare, ma mi disse egli testualmente, non doveva trattarsi che di una proposta lanciata alle masse sotto forma di bruciante ultimatum alla socialdemocrazia; in 24 ore gli si doveva porre l’alternativa: con noi o contro di noi, e essere pronti alla necessità di marciare anche contro di essa.
Io, riaffermai e riaffermo la mia opinione che una tale tattica non è realizzabile, che comporta probabilità di darci un ottobre alla tedesca e non alla russa, e che la sua accettazione, da parte del Partito, è in contrasto stridente colla difficile preparazione di esso, come massa e Stato Maggiore, alla formidabile facoltà di iniziativa rivoluzionaria che gli assegna la visione Trotski della preparazione alla rivoluzione.
Parallelamente alla descrizione del suo "piano" Trotski mi esponeva le indecisioni e contraddizioni degli ordini dati dal centro internazionale, al P.C.T.
Si volle fissare a molta distanza una certa data, giorno e mese, per una "giornata antifascista", imponendola al Partito, senza mai saper ordinare, secondo uno stile troppo noto, se si doveva aver di mira una dimostrazione politica o l’apertura della guerra civile. Si tollerò che la tattica del "Fronte Unico" si trascinasse in una serie interminabile di negoziati e di rinvii di decisioni con i socialisti, che disorientò e stancò le masse.
Il mancato ordine di lotta fu la conseguenza inevitabile di una sbagliata valutazione della situazione e di una malfatta preparazione: di fatto nelle giornate in cui più era alta la "temperatura" delle masse, il Partito non era pronto per condurle alla vittoria, e correndo l’alea della lotta non sarebbe sfuggito al disastro.
Non meno nettamente Trotski pensava che il non aver lottato e il non
aver saputo allestire le lotte, passato il momento di tensione, lasciava
prevedere un inevitabile rinculo nella influenza del Partito. Per questo
venne trattato da destro e pessimista.
LA QUESTIONE TEDESCA AL V CONGRESSO
I capi della sinistra del P.C. Tedesco, in specie Fischer e Maslow, considerarono l’errore e i suoi insegnamenti sotto un angolo visuale falso. Avrebbero dovuto interpretare la delusione amara dei lavoratori rivoluzionari di Germania attraverso una critica che investisse non solo i capi occasionali del Partito ma tutto il metodo fatto a questo adottare dall’Internazionale Comunista. Invece considerarono come risultato – non faccio accuse che i soliti pettegoli debbano tradurre nel loro linguaggio rimpicciolitore e personale – il sostituire i vecchi dirigenti del Partito e, dovendo per questo ottenersi il consenso dell’Esecutivo, misero la sordina alla critica a questo.
Al V Congresso essi comparvero alleati a Zinoviev nel fare di Brandler e C. i soli capri espiatori, e si scagliarono contro Trotski che era "pessimista" sostituendo alla sua critica marxista e rivoluzionaria la banale affermazione che, dal momento che la Direzione era passata ai "sinistri" tutto era risoluto e tutto doveva andare per il meglio nel Partito Comunista Tedesco. A suffragio di questa tesi si portava l’argomento del successo nelle elezioni del 1924 successive alla disfatta d’ottobre.
Ma Trotski pensa che quasi sempre un apparente successo elettoralistico segue le disfatte dell’azione di massa del Partito, come un contraccolpo ed una contro ondata dello stato d’animo delle masse proletarie che manifestano il loro disappunto per la mancata vittoria, ma non per questo riescono a riparare il danno subito. A suffragio di questa considerazione di Trotski io gli citai una conferma: quella delle elezioni italiane del 1921 che segnarono per i partiti "proletari" un successo maggiore di quello stesso del Partito Socialista nel 1919, mentre già dalla fine del 1920, si andava verso una situazione controrivoluzionaria. (Non da oggi ho sostenuto la stupidità del criterio secondo il quale il "sinistro" si distingua dal destro, perché il primo è ottimista, il secondo pessimista sulla prossimità della rivoluzione).
I capi della sinistra tedesca non seppero tradurre l’esperienza acquistata nell’amara delusione del Partito che rappresentavano e portarla nella sua pienezza al dibattito internazionale. Fecero al V Congresso della diplomazia e della manovra, e null’altro.
Nelle riunioni segretissime della delegazione tedesca non trapelava mai ufficialmente l’aperto dissenso della parte estrema composta d’operai di Berlino, d’Amburgo, della Ruhr contro le continue concessioni della Fischer, che si scostavano persino nettamente dalle istruzioni-mandato date dal Partito alla Delegazione, estese da Maslov allora in carcere, molte affermazioni delle quali si avvicinavano alla nostra critica delle tesi di Zinoviev.
Si sviò, con un lavorio di colloqui e accordi estranei allo svolgimento del Congresso, la violenta reazione colla quale i compagni tedeschi accolsero la proposta dell’unità sindacale internazionale, la bomba del V Congresso. Si accettò di buona lena di scaricare due o tre discorsi sulla reproba sinistra italiana. Infine si proclamò il completo accordo tra l’Esecutivo e la sinistra tedesca nelle nuove tesi tattiche e in tutto il resto, tra cui la sconfessione di Trotski nella questione russa, nel mentre Zinoviev, pur negando di contraddirsi ancora una volta colla sua posizione col IV Congresso, dichiarava solennemente che col V Congresso l’Internazionale effettuava una STERZATA A SINISTRA.
Secondo gli eventi ulteriori vedremo che valore avessero le "sacre" risultanze del V Congresso: la sterzata a sinistra, l’interpretazione rettificata della tattica del Fronte Unico e del Governo Operaio, la fiducia accordata senza riserve al gruppo Fischer-Maslow, ortodosso, disciplinato, vero interprete della tattica leninista, giusto censore e critico delle bestialità della sinistra italiana. Non omettiamo di notare che, per perpetuare l’equivoco, mentre si accusava noi per il nostro atteggiamento di fare il gioco di Radek e Brandler, si ammannivano risoluzioni che al solito questi votavano in pieno annegandosi nella trionfale unanimità.
Ma dunque, si dirà, domandate voi per principio che ai Congressi Comunisti vi sia lotta e dissidio aperto e violento senza possibilità di una comune soluzione?
Rispondiamo subito che, se l’unanimità si raggiungesse per lo studio e la considerazione oggettiva e superiore dei problemi, ciò sarebbe l’ideale, ma che l’unanimità artificiale è assai più dannosa dell’aperto dissenso nella consultazione del Congresso salva sempre la disciplina esecutiva.
E che di unanimità artificiale si tratti si sono incaricati di provarlo i fatti, come gli insuccessi della tattica votata con tanto entusiasmo, la sconfessione di coloro che se ne erano presentati come i pionieri più sicuri, il rovesciamento alternato di gruppi di dirigenti alla cui solidarietà e disciplina colle direttive "infallibili" dell’Internazionale Comunista si era prima inneggiato.
Le tesi sulla tattica del V Congresso vanno rispetto a quelle del IV molto a "sinistra". Ma io non mi pento di averle combattute. Né mi pento di non aver chiesto in corrispettivo del voto della sinistra italiana che vi si ficcasse qualche altra fraserella "più sinistra" di quelle che vi sono.
Gli avvenimenti si sarebbero svolti come si sono svolti: confermando – troppo – la giustezza della nostra diffidenza verso il modo di lavorare nell’Internazionale Comunista e nei suoi compagni.
Il capitolo sul Fronte Unico è severissimo. Niente coalizione, niente
nostro abbassamento all’altezza degli operai socialdemocratici, ma lotta
per rovinare la socialdemocrazia, divenuta "terzo partito borghese", denunzia
del pericolo opportunista nella tattica del Fronte Unico male applicata,
ecc. ecc.
UN ALTRO EPISODIO DEL V CONGRESSO
Non sarà male illustrare un altro episodio a cui si richiamava un’affermazione molto arrischiata fatta durante questa discussione: quella che noi della sinistra italiana, al V Congresso, ci fossimo schierati per la condanna dell’opposizione trotskista nella "questione russa". Anche se questo fosse vero, non ci toglierebbe nessun diritto di solidarizzare con le critiche fatte da Trotski alla politica internazionale, esposte nei posteriori suoi "Insegnamenti dell’Ottobre". Ma le cose stanno molto diversamente.
Prima del V Congresso il nostro Partito non si era pronunziato sulle divergenze sorte fra Trotski e il Comitato Centrale del Partito russo a proposito della vita interna del Partito e dei problemi della vita economica nella repubblica dei Soviet. Toccava alla Delegazione pronunziarsi. Ma questa dovette constatare unanime che al Congresso non erano stati portati gli elementi per un serio e motivato giudizio. Vi era stato un lungo rapporto di Rykov, in russo, di cui le traduzioni orali non vennero fatte, e quelle scritte furono distribuite con gran ritardo. Trotski e i suoi non erano intervenuti nella discussione, ritenendola chiusa dal XIII Congresso del P.C.R.. Non v’era stato alcun dibattito. La commissione non si era riunita.
Quanto al Governo Operaio la tesi di Graziadei è stritolata: "due volte nella polvere, due volte sull’altar".
Il testo delle tesi dice: (Correspondance Internationale, ed. francese, N. 61 del 2 settembre 1924): «La parola d’ordine del governo Operaio e Contadino non è in nessun caso per i comunisti una tattica di accordi e di transizioni parlamentari con i socialdemocratici». E poco prima: «La parola d’ordine del Governo Operaio e Contadino è per l’I.C. tradotta nella lingua del popolo, nella lingua della rivoluzione, la dittatura del proletariato». Il lettore non ha che da confrontare con la dicitura, prima citata, delle tesi del precedente Congresso per apprezzare l’estensione della rettifica.
Tuttavia questa non è sembrata sufficiente alla nostra cocciutaggine, di "sinistri". Noi abbiamo chiesto che alla parola, alla terminologia stessa di Governo Operaio si facesse un funerale di terza classe. Avevamo ragione di farlo perché precedentemente le stesse dichiarazioni rassicuranti e tendenti a rassicurare, come si è visto, erano state fatte (giugno 1922) e non avevano menomamente evitato il pericolo. Ma quanto è avvenuto in seguito, riteniamo, ci dà ancora maggiormente ragione.
Il gruppo Fischer-Maslow, invece, tornava in Germania ad annunziare alle turbe che il V Congresso aveva segnato un gigantesco passo a sinistra.
Noi della sinistra ci tenemmo paghi di aver votato contro la risoluzione centrale e di aver fatto non poche dichiarazioni sulla tattica e gli altri punti dell’O. del G.; votammo materialmente la risoluzione russa come tante altre che non potevamo condividere totalmente: Ma proprio la risoluzione russa fu votata senza condividerla da tutta la delegazione italiana. TANTO che nelle discussioni innanzi all’Esecutivo Allargato successivo tutti gli italiani si opposero all’espulsione del trotskista Souvarine con grande scandalo della maggioranza. In tutti questi elementi che sono stati messi nella necessità di precisare, emerge il lato da noi disapprovato della maniera di lavorare degli organi del Comintern. Non si deve credere logico e possibile con questo metodo rompere attraverso una forma d’opposizione ancora più ostinata e irriducibile di quella di cui pure è di continuo accusato il sottoscritto: non si tratta di una reazione di natura morale e di dare l’esempio personale della esagerazione del coraggio per ovviare alla sua generale mancanza nei rappresentanti ai Congressi.
Nulla di strano quindi che anche noi siamo stati ridotti a dare voti contro la nostra opinione. Il male è nel sistema, che bisogna eliminare non con un diverso codice della condotta personale dei compagni, ma con una diversa impostazione di tutta l’attività collettiva ed organica dei Partiti e dell’Internazionale.
Una piccola commissione di cinque, di cui io ero membro, doveva riunirsi
solo alla vigilia della fine del Congresso, nel senso preciso del termine.
Nella riunione della nostra delegazione nessuno si pronunziò nel
merito della questione a favore della condanna di Leone Trotski. I più
dichiararono di non potersi pronunziare; alcuni non sinistri portarono
argomenti a favore delle critiche di Trotski al soffocamento della discussione
interna nel Partito Russo. Fu proposto che si dichiarasse di lasciare al
Partito russo la responsabilità della presa decisione, e si chiedesse
al Congresso di votare a titolo di presa di atto la pura e semplice mozione
del Partito russo. Io preparai una dichiarazione in questo senso da fare
inserire agli atti della piccola Commissione russa, ma all’ultimo momento
anche questo parve al centrismo un passo arrischiato ed io feci una dichiarazione
a nome della sola sinistra; ciò senza che la Delegazione avesse modificato
il suo atteggiamento di neutralità. Dopo di questo, è ben vero che tutti
votammo nell’ultima seduta del Congresso la risoluzione contro l’opposizione,
ma questo non deve stupire, quando si pensi che in poche ore furono votate
tutte le risoluzioni su tutti i punti dell’ordine del giorno e che in quello
scorcio frettoloso del lavoro del Congresso era già difficile avere la
parola a chi non fosse relatore, e comunque differenziarsi dal procedere
meccanico della seduta.
DOPO IL V CONGRESSO: LA "NUOVA TATTICA"
Tra il 21 marzo ed il 6 aprile dell’anno in corso si è tenuto a Mosca il Comitato Esecutivo Allargato dell’Internazionale.
Dal punto di vista formale si è del tutto confermata la linea politica del V Congresso. La risoluzione principale, in quanto riguarda la Germania, pur rilevando non poche deficienze nel lavoro del Partito che non ha ancora liquidato gli errori di sinistra della questione sindacale (si tratta dello scissionismo sindacale che per nostro conto abbiamo sempre fieramente avversato), ribadisce la norma: "propaganda della parola d’ordine del Governo Operaio e Contadino nella interpretazione del V Congresso, ossia nel senso rivoluzionario che escluda ogni interpretazione opportunista".
Ma il 4 aprile Zinoviev pronunzia un discorso importante. Egli dapprima s’intrattiene sulla questione della stabilizzazione del capitalismo, per protestare contro le interpretazioni esagerate del suo pensiero, e riaffermare che noi siamo, a giudizio dell’Internazionale Comunista, nell’era della rivoluzione mondiale aperta nel 1917. Il presidente dell’Internazionale pronunzia poi parole sintomatiche a proposito delle elezioni presidenziali tedesche, che al primo scrutinio avevano segnato un sensibile regresso delle forze del Partito Comunista. Zinoviev dice che si sono commessi degli errori, e critica quei compagni che affermano essere indifferente che vi sia la repubblica o la monarchia.
La questione non si mette così marxisticamente. Zinoviev ha ragione: ma la mette poi lui marxisticamente? Non risulta, e soprattutto non risulta per niente che specie di soluzione egli ne tratteggi.
Si cominciano a seguire formule incerte, contraddittorie, che talvolta di colpo ci mettono innanzi il dubbio su tesi che parevano sicurissime, evidenti, pacifiche. Abbiamo nuovi esempi di questa maniera di risolvere o non risolvere le questioni, che pone il vero e vecchio militante marxista nella necessità di chiedersi: ma quale è dunque il vero motivo per cui si dovrebbe fare così?
Udite che dice Zinoviev (Correspondance Internationale, n. 43 del 25 maggio 1925): «Per la lotta di classe del proletariato, la repubblica borghese è un terreno molto più favorevole che la monarchia. Non già naturalmente, perché la repubblica tenda alla pace civile, ma perché questa forma di Governo mette più nettamente in rilievo il carattere di classe della borghesia».
Ma dunque che devono fare i comunisti tedeschi? Non lo si dice ancora: Ma dal momento che la repubblica non è che la forma più chiaramente borghese, i comunisti tedeschi devono, pare a noi, schierare più radicalmente contro i suoi fautori le forze rivoluzionarie del proletariato.
Soltanto Zinoviev (il quale sa, a differenza di tanti altri che si dicono suoi fautori, che cosa è il marxismo) non ha potuto non esitare dinnanzi alla tesi che il regime più repubblicano e liberale facilita, per la minore reazione e repressione, l’azione proletaria, tesi classicamente madre della teoria e della pratica socialdemocratica. Egli ha stabilito la differenza – che esiste – tra regime monarchico e repubblicano, in una formula giusta, ma che dà torto alle conseguenze tattiche che egli "aveva già deciso" di dover sostenere.
Seguiamo i fatti e i documenti. Alle elezioni di secondo scrutinio i comunisti mantengono la candidatura di Thälmann, che riceve 60.000 voti in più, ma il maresciallo Hindenburg riesce presidente della repubblica prevalendo nettamente sul candidato repubblicano borghese Marx.
Si addensa sui comunisti tedeschi la tempesta delle recriminazioni: al solito la sinistra borghese e socialdemocratica si comporta come se i rivoluzionari avessero firmato un contratto con essa impegnandosi a sostenerla quando la destra la stia per fregare. Subire questo ricatto vuol dire ammettere che il comunismo non sia che una sottospecie della democrazia, tesi degna della scuola dei Treves e Turati: mentre fecondissimo mezzo di preparazione e chiarificazione rivoluzionaria è sempre a noi apparso, classicamente, il mantenere dinnanzi a tali pretese un’attitudine politica che, a parte il "NOSTRO" modo di valutare la distinzione tra repubblica e monarchia, liberalismo e forcaiolismo borghese, corrisponda a rigettare sulla faccia dei democratici e socialdemocratici le loro pretese, invitando i lavoratori a non sciupare alcuna lacrima per la loro disfatta.
Ma il "sinistro" Comitato Centrale del Partito Tedesco, poche ore dopo eletto Hindenburg si riunisce per dichiarare di aver errato e di non aver saputo valutare il "pericolo monarchico". Convoca il Consiglio Nazionale del Partito, che conferma questo giudizio, sebbene si formi una forte minoranza la quale getta l’allarme contro il ripiegamento del Comitato Esecutivo dell’Internazionale e della Centrale tedesca su posizioni degne di Brandler e compagni.
Nel n. 54 della citata Correspondance Internationale possiamo leggere la risoluzione del Consiglio Nazionale. Essa è quanto mai confusa, ma contiene gravissime concessioni in materia di tattica, che qui non ci preme tanto criticare in se stesse, volendo soprattutto far rilevare come nessuna garanzia possano ormai rappresentare le risoluzioni dei Congressi, che sono sinistrissime mentre poi si esegue una tattica più che destra. «Noi dobbiamo dimostrare che la democrazia borghese non permette la transizione al socialismo e non offre nessuna garanzia contro la reazione» (bene questo). «Noi dobbiamo esporre anche che essa facilita la lotta di classe più che un governo monarchico assoluto, permettendo di porre più apertamente i problemi di classe, rendendo la vita politica accessibile alle masse, suscitando più facilmente delle lotte interne tra i vari strati della borghesia, contribuendo con ciò a fortificare il proletariato a condizione che questo sappia trarre profitto da una tale situazione».
E quali sono le conseguenze di questa contraddittoria presentazione di un problema vecchio e sempre nuovo? Eccole: «Alle elezioni presidenziali (...) avremmo dovuto manovrare nel senso delle proposte della delegazione tedesca e dell’Internazionale Comunista. Avremmo così condotta la classe operaia tedesca, facendo blocco su un programma repubblicano minimo con i veri partigiani della repubblica (sic. sic. sic.!) ad unirsi sul nome di un candidato repubblicano militante nella lotta contro la reazione». Si sarebbe così smascherata, dice la risoluzione, la socialdemocrazia.
La proposta del Comintern era di invitare questa a non ritirare il suo
candidato Braun, per il quale avrebbero votato i comunisti ritirando la
candidatura Thälmann. Ma se lo scopo era:
1°) smascherare la socialdemocrazia
2°) evitare il pericolo della vittoria monarchica, è chiaro che i
socialdemocratici colle cifre alla mano avrebbero risposto che non bastavano
i voti di Braun più quelli di Thälmann a battere Hindenburg, e occorreva
ottenere il blocco anche colle forze del democratico borghese e cattolico
Marx.
La conseguenza dunque della politica suggerita dall’Internazionale era l’appoggio dei comunisti ad una candidatura borghese, o, quanto meno, il voto simultaneo di comunisti e socialdemocratici, e democratici borghesi per una candidatura, poniamo, di Braun. Sta bene che i democratici avrebbero rifiutato un tale accordo colla partecipazione dei comunisti, ma noi dobbiamo guardare all’effetto che le proposte di manovre tattiche fanno sulle masse, e non vi è da scandalizzarsi se noi additiamo la inevitabile conseguenza del blocco con Marx, quando non solo per nostra ferma opinione, ma per formale dichiarazione – nelle tesi – dell’Esecutivo Allargato stesso, la socialdemocrazia non è che il terzo Partito borghese.
Il documento che stiamo esaminando, e l’altro contenuto nel n. 62 della citata Correspondance Internationale: "Risoluzione del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista dopo il Consiglio nazionale del P.C.T". (pubblicato credo su l’Unità) ribadiscono questa nuova tattica, e aggiungono che è del tutto ammissibile che i comunisti, in date situazioni parlamentari "non rovescino" od anche "appoggino" i governi socialdemocratici o comunque i governi di sinistra borghese, sempre per evitare il trionfo dei monarchici.
Si parla, è vero, di porre talune condizioni. Ma questo aggrava la cosa: non si tratta più di negoziati da aprire, o almeno di proposte da fare, a taluni partiti borghesi. Contro le critiche della sinistra del P.C.T. quei documenti tentano di stabilire una netta distinzione tra una simile "manovra" "bolscevica" e il volgare possibilismo opportunista tipo "blocco delle sinistre" francesi. Non mi addentro nella critica di questa difficile e scarsamente rassicurante distinzione, perché qui non tratto tanto espressamente di tattica, quanto del modo di lavorare, ossia di discutere, deliberare, ed eseguire dei nostri più alti organi del Partito.
Mentre sono in vigore le tesi tattiche del V Congresso, formalmente ribadite dall’Esecutivo allargato, si realizza in atto una politica e una tattica che da quelle tesi si discostano assai più della tattica adottata in Germania tra IV e V Congresso e che si volle condannare e seppellire. Infatti, il Fronte Unico, limitato in ogni caso ai soli Partiti "Proletari", non doveva mai divenire una combinazione parlamentare. Il Governo Operaio doveva essere solo una parola d’agitazione e non una forma politica effettiva di transizione tra regime borghese e dittatura proletaria.
Ora invece, senza sentire il bisogno di stracciare ufficialmente le tesi del V Congresso, si difende ed attua una tattica in cui la manovra, primo: va oltre i partiti socialdemocratici e arriva a tutti i partiti "Repubblicani"; secondo: si stabilisce e si realizza esclusivamente, o almeno principalmente, sul terreno elettorale e parlamentare; terzo: non è più soltanto un mezzo semplice di dimostrare impossibile la vera collaborazione dei comunisti coi capi degli altri partiti, ma sbocca in una effettiva positiva azione comune, in quanto si mira decisamente a non far ottenere il governo di destra, il che sarebbe una necessità di fatto per permettere un buon svolgimento dell’azione del Partito.
Io non credo che si possa seriamente tentare di sostenere che la "nuova tattica" non sia negata dalla lettera delle tesi del V Congresso, che si sono anzi preoccupate di vietare manovre in realtà molto più "innocenti" di quelle che ora vediamo profilarsi all’orizzonte. In ogni caso quest’eventualità non c’è mai stata fatta neppure sospettare: ci si assicurava il contrario che... si andava a sinistra.
Questo ci spinge a domandarci a che valgano le decisioni dei Congressi, nell’osservanza delle quali si vorrebbe far consistere la panacea bolscevizzatrice di tutti i nostri mali. E se questa conciliazione dialettica che io non riesco a vedere è per assurdo possibile, perché non si prospettarono mai con antecedenza, almeno nelle grandissime linee, così gravi eventualità?
E la disciplina, in cui si vede il bene supremo, a che è ridotta per
i capi, liberi di fare quello che credono rispetto alle decisioni delle
assise internazionali? Un tentativo per risponderci potrebbe solo così
giustificare la nuova tattica: Abbiamo una nuova situazione. Ieri nella
situazione che ci presentava possibile la conquista del potere preconizzammo
la tattica del Fronte Unico e del Governo Operaio, come un mezzo per affrettare
lo svolgersi della situazione verso la massima conquista. Oggi nuova situazione,
nuova tattica. In una situazione che non permette la lotta per il potere,
compito dei Partiti Comunisti è l’assicurare un minimo di benefici economici
e politici per il proletariato. Ma, a parte il fatto che ancora si nega
che la situazione sia radicalmente mutata, una simile impostazione ci autorizzerebbe
davvero a gridare al pericolo dell’opportunismo che per esempio ravviseremmo
in Italia nella formula "L’antifascismo, questione e compito politico pregiudiziale".
LA SCONFESSIONE DEL GRUPPO FISCHER-MASLOW
Nella campagna per la nuova tattica e contro l’opposizione tedesca, la Centrale del Partito, diretta dalla Fischer, è stata completamente solidale con il Comitato Esecutivo di Mosca. Al Congresso l’opposizione di sinistra, ridotta a pochi delegati, ha rinunziato (malissimo ha fatto) a presentare una sua risoluzione politica.
Tutto questo è stato annunziato come un risultato e una prova della bolscevizzazione dell’Internazionale e del Partito. Il Congresso era il Congresso ideale: poco dibattito, maggioranza enorme sulle opinioni "della Internazionale". Si sarebbe dunque sulla buona via finalmente; Nulla invece di tutto questo era una cosa seria.
Confrontate l’inno di A.P. ne L’Unità del 23 agosto e il suo richiamo a degli esempi che dovrebbero servire a correggere noi sinistri italiani. In questo Congresso modello, la stessa sinistra di Rosenberg ci avrebbe sconfessati. Quanto poi al delegato del Comintern, nel suo zelo bolscevizzatore, ha creduto bene di accusarmi di essere stato volutamente assente da ogni attività di Partito dopo il fatto di Matteotti.
Raccolgo di passaggio un’altra piccola prova contro il metodo che vo criticando, più che fare una difesa personale. L’ottimo compagno, che nel caso specifico era al di sopra di ogni sospetto di velenosità, sapendo soltanto che la consegna vigente era di sparare su Bordiga (per esaltare, poniamo, Ruth Fischer) ha dimenticato il piccolo particolare che io ero proprio in quel tempo a Mosca per il V Congresso. (Ciò non mi impedì di scrivere da Vienna alla Centrale del nostro Partito: non so bene tutto quello che sta succedendo costà, ma vi butto il mio parere: nulla di comune colla politica delle Opposizioni). Che se poi non fossi andato al V Congresso... apriti cielo, a giudicare dal chiasso fatto perché non sono andato all’ultimo Allargato. Così si giudica e si comanda nella nostra Internazionale...
Tornando al Congresso di bolscevizzazione del Partito tedesco, noi abbiamo il diritto di dire ora che esso non era che uno scenario elevato sulla vera crisi del Partito.
É recentissima la notizia che il Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista ha dovuto procedere alla esecuzione del gruppo Fischer-Maslow, cui vengono severamente rinfacciati errori antichi e recenti. Non importa che si è da due anni sostenuto questo gruppo in una violenta campagna contro vecchi militanti e dirigenti del P.C.T., che lo si è tra l’altro scagliato su di noi in veste di maestro patentato di comunismo, che se ne è fatto il primo giustiziere di Leone Trotski, che infine si è voluto che tutto andava male, e si era fuori strada in fatto di dottrina, di politica, di organizzazione.
Allora abbiamo tutto il diritto di non appagarci delle garanzie verbali che ad ogni passo ci presenta il frasario obbligato dei nostri Centristi, e di continuare a cercare altrove la riprova della buona via comunista, seguendo quel nostro metodo che bene ha corrisposto nella diagnosi, fatta da tanto tempo, dei pericoli che si vanno manifestando in modo tanto evidente.
La critica conclusiva è la ricostruzione, dal nostro punto di vista, del criterio di lavoro che nella Internazionale esige ancora una trattazione a parte, ed il problema non pretendiamo nemmeno noi di portarlo in tasca risolto. Ma quanto abbiamo esposto è sufficiente ad illuminare ogni compagno sulla necessità di respingere senz’altro l’ottimismo burocratico e infecondo che vorrebbe imbottigliarci, e l’andazzo sciocco del seguire "con gli occhi chiusi".
Un Partito come il nostro, dinnanzi a tutto questo, ha qualcosa da dire.
E da fare ascoltare.