|
|||
"Prometeo" |
|||
Agosto 1914 - Agosto 1928
LA
GUERRA CHE VIENE
(Prometeo, n.6, 15 settembre 1928) |
I due articoli che seguono, Agosto 1914 - Agosto 1928 e La Guerra che Viene, furono pubblicati nel 1928 da “Prometeo”, l’organo della frazione italiana all’estero.
Questi due articoli prendono lo spunto dall’anniversario del tradimento della II Internazionale per fare il quadro della situazione, 14 anni di distanza dallo scoppio del primo macello imperialistico, e, sulla scorta della dottrina marxista, enunciano la necessità di una riorganizzazione rivoluzionaria del proletariato come unico mezzo per scongiurare la guerra, che già da allora si stava preparando, e conseguire, allo stesso tempo, la liberazione delle classi sfruttate attraverso la violenta presa del potere.
Tra le due alternative: o guerra o rivoluzione, passò la prima e il proletariato, a scala mondiale, ricevette la più dura delle sconfitte che mai, fino ad allora, aveva dovuto subire.
I partiti socialdemocratici della II Internazionale, rinnegando la tesi sostenuta fino al giorno precedente, secondo cui lo scoppio della guerra fra gli Stati avrebbe segnato il momento più propizio per dare l’assalto al potere capitalista, sostituirono repentinamente la parola d’ordine di lotta rivoluzionaria di classe con quella di solidarietà nazionale. Tuttavia, l’opportunismo della II Internazionale, dichiarava che la messa da parte degli obiettivi socialisti era soltanto transitoria, giusto il tempo necessario per combattere – a seconda dei casi – per gli ideali democratici, per la difesa della patria o per il progresso. Poi, compiuto questo dovere nazionale, il proletariato avrebbe ripreso a condurre la lotta di classe e ricostituito l’internazionalismo proletario. La storia non fece aspettare a lungo prima che la vera natura della socialdemocrazia si manifestasse apertamente, ed i capi socialisti, in tutti i paesi dove la lotta di classe minacciava di sopraffare il dominio capitalista, si unissero immediatamente alla borghesia dimostrandosi i più agguerriti e sanguinari nemici della rivoluzione.
Ma l’opportunismo della III Internazionale è andato molto al di là di quello socialdemocratico dichiarando, già nel corso del secondo olocausto proletario, che alla borghesia vincitrice sarebbe stata concessa una perpetua tregua della lotta di classe, oltre ad una diretta collaborazione nei governi borghesi nazionali e negli organismi internazionali, negando così ogni autonomia alla classe operaia. Ma il tradimento, per arrivare al suo punto culminante, dovette passare attraverso la fase umanitaria della lotta contro la minaccia di guerra.
Come i due articoli che ripubblichiamo mettono bene in evidenza, furono i piani e gli accordi di pace internazionale a dimostrare i profondi contrasti tra gli Stati imperialisti se non addirittura a delineare i possibili futuri schieramenti bellici; furono i congressi e le marce di pace della socialdemocrazia a dichiarare la disponibilità dei partiti della II Internazionale ad aderire pienamente ed apertamente alla politica guerrafondaia dei diversi Stati; fu l’adesione della III Internazionale ai motivi pacifisti borghesi a disarmare il proletariato rendendolo carne da cannone per i contrapposti futuri fronti di guerra.
Oggi, a distanza di 60 anni si ripete la stessa farsa: i capi supremi dei mostri imperialistici, travestiti da Francesco d’Assisi, si fanno pellegrini nel mondo a portare i loro messaggi di pace; predicano la pace gli attuali partiti socialdemocratici divenuti i rappresentanti di potenti concentrazioni capitalistiche internazionali; altrettanto fanno quei figuri che del comunismo abiurano, finalmente, perfino il nome. Chiude la cornice di questo funesto quadro l’oscurantismo religioso, reso di nuovo vitale dalla necessità controrivoluzionaria della difesa del sistema capitalista.
È nel nome della pace che oggi i proletari vengono terrorizzati e asserviti, è nel suo nome che domani verranno mandati a scannarsi sui fronti di guerra.
Coloro che costituirono il più solido impero che la storia ricordi facevano seguire la magica, quanto vana, parola pace da un aggettivo: la chiamavano Pax romana. Oggi siamo in presenza di una pax americana, di una pax russa, al tentativo di mettere insieme una stentata pax europea, ed altre ancora. Tutte queste pax, però, si scontrano tra loro ed altro non sono che le avvisaglie della preparazione di una terza terribile guerra mondiale.
Solo su un punto, come nel 1914, e nel 1939, ancora una volta, sono tutti quanti concordi e cioè di impedire con ogni mezzo il riarmo ideologico e materiale del proletariato.
Ancora una volta l’unico mezzo che il proletariato ha per scongiurare la guerra che si prepara è la rivoluzione.
La possibilità di riorganizzare e riarmare il proletariato a scala internazionale non è certo uno scherzo; i proletari che scendono in lotta spinti da obiettive condizioni materiali, ancora succubi delle direzioni opportuniste e borghesi, sono deviati su un terreno democratico, legalitario, anticomunista; la Santa Alleanza della reazione, che unisce i governi di Est e di Ovest, riesce a incanalare le lotte proletarie su falsi obiettivi, ma non riesce a sopprimere la lotta di classe.
La lotta di classe esiste, e, come affermò Marx, «non dobbiamo dimenticare che esiste ancora in Europa una sesta potenza che, a dei momenti determinati, afferma il suo dominio su tutte le cinque “grandi potenze” e le fa tremare. Questa potenza è la rivoluzione».
Agosto 1914 – Agosto 1928
(Prometeo n.5, 1 settembre 1928)
Il Congresso di
Bruxelles
L’Asse della
Situazione è la
Rivoluzione
Comunista
Il 1914 è una data segnata a caratteri di fuoco nella storia della lotta delle classi. Dopo avere raggiunto il suo apogeo (Lenin lo stabilisce intorno al 1870) il capitalismo, entrato nella sua ultima fase, nella fase dei trusts e dei cartelli, marciava inesorabilmente verso l’ora in cui lo stesso sviluppo delle forze economiche da esso generate apriva la tomba al suo regime e, per dirla con Marx, il becchino, il proletariato, trovava nel grado raggiunto dal progresso delle forze di produzione le condizioni di maturità per instaurare la sua dittatura volta alla trasformazione dell’economia verso il socialismo. Finita l’epoca in cui il capitalismo poteva attendersi lo smisurato accrescimento dei suoi privilegi attraverso il controllo del gioco delle forze e dei rapporti economici, era venuta l’altra epoca, l’ultima, in cui il capitalismo poteva attendersi un accrescimento ed una difesa dei suoi privilegi solo con il dominio diretto – attraverso i monopoli – del funzionamento di tutto l’apparecchio economico. Ma questa lotta sotterranea, accanita, fra un regime condannato dalla storia e le forze che esso aveva generato, quest’antagonismo incolmabile – come d’altronde ogni altro antagonismo che l’analisi marxista aveva scoperto nell’organizzazione capitalista – doveva conchiudersi con una alternativa terribile.
O la classe condannata riusciva a mantenere il potere, ed allora la lotta per i mercati, che prima si svolgeva attraverso il "pacifico" schiacciamento degli industriali meno forti, prendeva le nuove forme ove milioni di uomini armati fino ai denti in nome del barbaro imperatore della Germania, o del civile, democratico e repubblicano re d’Inghilterra o presidente francese, si scannavano per difendere gli interessi dei loro rispettivi oppressori, e in definitiva per incendiare moli enormi di ricchezze che la produzione aveva ammassato e che una società basata sull’oppressione della enorme maggioranza dei consumatori, non riusciva più a smaltire.
Oppure la classe rivoluzionaria riusciva a conquistare il potere politico, a spezzare la macchina statale del capitalismo che, per resistere alla condanna che pronunciava contro di esso lo sviluppo assunto dalle forze della produzione, si apprestava a spalancare di fronte alla classe lavoratrice la catastrofe della guerra.
E l’alternativa era allora posta: o la guerra o la rivoluzione.
E fu la guerra. Mentre i proletari si disponevano per il combattimento contro il capitalismo che preparava e dichiarava la guerra, il capitalismo trovava la maggioranza stragrande degli stati maggiori della II Internazionale, che qualche anno prima avevano giurato per lo scatenamento dell’insurrezione in caso di guerra, pronta al suo servizio, e disponeva ad arringare gli uni contro gli altri i proletariati che avrebbero dovuto essere simultaneamente armati per la lotta finale.
E la guerra venne e durò, mentre i piagnistei dei pacifisti inorriditi, di quelli stessi che pretendevano porsi al di sopra della mischia venivano dall’uno e dall’altro gruppo utilizzati, per irrobustire le armate imperialiste.
Il partito bolscevico, e minoranze di sinistra dei partiti della Seconda Internazionale diedero al proletariato la parola che, sebbene apparisse condannata dalla realtà nel quadro delle utopie sanguinarie, era invece quella che rispondeva agli interessi del proletariato e della rivoluzione, e nello stesso tempo era l’unica che assicurava la fine dello scannamento fra proletari perché assicurava lo scannamento degli oppressori.
«Trasformazione della guerra imperialista in guerra civile». Questa la formula che ritorna a grande onore di Lenin e che trovò in Italia, al di fuori e contro i troppi sedicenti maestri del centrismo attuale, il solo compagno Bordiga a sostenerla nei congressi del Partito Socialista e particolarmente in quello successivo ai fatti di Torino del 1917.
E la guerra durava anche dopo che l’intervento dell’America faceva tracollare la bilancia a favore dell’Intesa. Ma la fine della guerra non risiede nemmeno in questo intervento americano e la vera fine della guerra fu decretata dal contagio della vittoria rivoluzionaria in Russia fra i proletari armati degli eserciti imperialisti.
E il dopoguerra è venuto. Gli assalti del proletariato rivoluzionario che hanno colpito i centri più importanti dell’economia europea sono andati verso la disfatta poiché è mancato un partito che sapesse condurre alla vittoria, e più specialmente perché gli stati maggiori dei partiti comunisti – nell’ora definitiva – hanno sostituito all’appello per l’insurrezione e per la conquista del potere politico, l’appello per il blocco con le forze della socialdemocrazia antifascista e democratica, divenuta dal 1914 la forza più efficace della conservazione e della controrivoluzione.
E la disfatta è venuta pure per il poderoso movimento interessante decine di milioni di lavoratori cinesi ove i comunisti – per una aberrazione teorica contro cui invano si elevarono i compagni dell’opposizione russa – hanno ripetuto gli stessi nefasti che noi attribuiamo ai socialdemocratici d’Europa.
E dopo la disfatta cinese, la forza degli avvenimenti ed il trionfo
dell’opportunismo hanno avuto ragione anche dell’Ottobre 1917, ed i
migliori
soldati di Lenin sono oggi sequestrati dalla lotta e deportati
dall’opportunismo
che ha trionfato nel seno dei partiti comunisti.
Dopo tante sconfitte del proletariato rivoluzionario era prevedibile che i socialdemocratici risollevassero la voce e si azzardassero per la prima volta a chiamare «traditori» i comunisti che in Germania sono stati le vittime dei loro governi, e che in tutto il mondo vengono massacrati per la loro fedeltà alla lotta rivoluzionaria.
Il democratico a tutta prova Vandervelde, che ha l’onere di avere tenuto l’avanguardia nel 1917 della lotta contro la Russia sovietica vittoriosa, ha dominato questo Congresso ove, accanto ai socialdemocratici italiani che hanno disarmato il proletariato italiano nella lotta contro il fascismo, si trovavano i rappresentanti del governo tedesco di Hindenburg, gli stessi che hanno l’alto merito verso il capitalismo di avere spezzato e sconfitto con la violenza il movimento spartachista capitanato da Liebknecht e Luxemburg, i sostenitori dell’assassino Horty, i leali oppositori di Poincaré che in quegli stessi giorni ad Ivry ammassava i battaglioni di polizia contro i manifestanti comunisti.
Ed il fondo politico del Congresso è stato rappresentato dall’omaggio unanime alla Società delle Nazioni cui tutto si vuole confidare, dal controllo economico dei trusts, al disarmo, alla imposizione ai governi – attraverso il Bureau International du Travail – di instaurare il socialismo attraverso una serie di decreti di Baldwin, Mussolini, Müller o Poincaré. Questo per la galleria, per i bisogni dell’esteriorità e dell’imbroglio. Ma in realtà, nel Congresso di Bruxelles, Vandervelde ha rappresentato il tentativo di unificazione dei diversi socialismi nazionali, contrastanti sulla base pan-europea, di una simultanea difesa contro l’America onnipossente.
Nel 1924 il compagno Trotski, analizzando la situazione mondiale, rilevava il contrasto insanabile apertosi con la disproporzione tra le forze degli imperialisti, ed enunciava il contrasto fondamentale fra l’Europa e l’America.
Quattro anni dopo quelli che nell’Internazionale urlarono allora contro il trotskismo, sono oggi ridotti a ripetere quelle stesse cose che la realtà ha messo in luce e che il nostro grande rivoluzionario aveva intravisto e previsto dopo un attento esame marxista della situazione.
Trotski diceva allora a proposito della socialdemocrazia europea che essa era ridotta al ruolo di «agenzia della borsa di New York». Ed anche questa disanima ha trovato una completa conferma nei fatti che hanno visto negli Jouhaux, negli Hilferding e nei Blum i cantori affannati della razionalizzazione all’americana ed i sostenitori dell’ipoteca e della vendita delle più importanti branche della produzione europea al capitalismo americano. Ed il capitalismo europeo, dopo avere sconfitto i movimenti rivoluzionari anche per l’appoggio ricevuto dai finanzieri americani (viene ora pubblicato che la clausola prima e fondamentale del piano Dawes era rappresentata dalla precauzione che si voleva prendere contro lo sviluppo di una rivoluzione bolscevica in Germania), cerca una base di resistenza comune contro la supremazia di oltre oceano.
Il capitalismo è in declino su scala mondiale, ma il punto più debole del capitalismo mondiale, il fulcro della situazione è rappresentato dalla vecchia Europa. Trotski pensava che nel tormentoso processo del parto rivoluzionario mondiale, spettasse alla Russia Sovietica il compito storico di polo di sconvolgimento del capitalismo europeo e di integramento col movimento proletario americano, non escludendo naturalmente che tutto questo non dovesse scontrarsi con delle guerre, la cui condizione pregiudiziale restava quella leninista della loro trasformazione in guerre civili vittoriose per gli Stati Uniti Sovietici d’Europa.
Dopo la disfatta cinese questa grandiosa prospettiva di Trotski pare oscurata, infatti la Russia Sovietica non assolve a questo compito e manda anzi in galera i capi che questo compito internazionalista vogliono assegnare al proletariato russo. Per contro la Russia Sovietica e la stessa Internazionale partecipano alle farse sul disarmo di Ginevra e Čičerin ha già dichiarato di essere pronto a firmare il patto Kellog avanzandovi delle riserve le quali aggiungeranno alla farsa che si recita anche la nota sovietica.
La prospettiva che ha guidato lo stesso Congresso di Bruxelles è un’altra. Vandervelde ha fatto l’ "anti-americano", ha deriso il patto Kellog, ha riannodati i legami fra Loebe e Blum per l’evacuazione della Renania. Ha anticipato la risposta a Kellog che Briand e Chamberlain hanno dato poi con il patto navale franco-inglese.
Il fatto è che il governo socialdemocratico tedesco e l’orientamento della politica estera tedesca verso i vecchi nemici dell’occidente incontra nella socialdemocrazia una forza attiva di sostegno che si prepara ad estendere le sue vittorie elettorali sulla base di un programma nettamente borghese che essa ha voluto manifestare chiaramente scegliendo a data di convocazione del suo Congresso l’anniversario del tradimento che essa fece nel 1914, per provare che le sue disposizioni alla difesa del dominio capitalista sono a tutta prova e che non faranno difetto anche in caso di guerra.
Il Congresso di Bruxelles si è aperto dopo una manifestazione di migliaia di proletari inquadrati nelle «milizie socialiste» che marciavano al grido di «vogliamo i sei mesi». In sostanza questa rivendicazione significa la volontà socialista di partecipare alla organizzazione di una guerra con un proprio progetto che, come Vandervelde ha pubblicamente dichiarato, assicura meglio la difesa degli interessi della borghesia, perché esso si perfeziona con l’organizzazione di armate di carrieristi specialisti nel maneggio dei possenti ordigni bellici, come Paul-Boncour ha sostenuto nei suoi progetti adottati dall’imperialismo francese.
Questa manifestazione di «milizie socialiste» si unifica con l’appello lanciato nel manifesto del Congresso alle forze liberali della borghesia per una sedicente lotta contro il disarmo (così dice il testo), ma in realtà per richiedere l’appoggio alla socialdemocrazia che non dimentica di accettare la proposta di Bauer per la difesa della Russia.
E a questo socialismo borghese, a questa forza che presume di potere unificare la Pan-Europa non possono mancare gli osanna della stampa borghese. In effetti la socialdemocrazia, per quanto possiede ancora delle influenze nel campo operaio, si è trasformata in una forza completamente capitalista che potrà giocare il ruolo definitivo della salvezza della borghesia minacciata dalla rivoluzione comunista. La stessa democrazia cristiana si orienta piuttosto nella direzione di una politica sturziana e dipenderà solamente dalla capacità che essa proverà di avere nel massacro del proletariato comunista, se un diverso orientamento della borghesia non si affermerà verso il fascismo. Per ora è chiaro che il compito della socialdemocrazia, l’obiettivo che essa si è fissato è di agire come forza di primo ordine nella organizzazione della controrivoluzione.
Ed è perfettamente spiegabile che a questa contraffazione del
marxismo
operata dai socialdemocratici aderiscano arcivescovi in Inghilterra,
principesse
d’Austria, mentre i re dell’acciaio lanciano circolari per l’appoggio
al
piano dei sindacati socialisti, ed un congresso di preti in Germania
trova
il modo di unificare il socialismo con la religione e con gli interessi
del clero.
L’Asse della Situazione è la
Rivoluzione
Comunista
Contemporaneamente al Congresso di Bruxelles si teneva a Mosca il Congresso dell’Internazionale, questa organizzazione verso cui il proletariato, tradito dalla Seconda Internazionale si era rivolto per farsene la guida della rivoluzione. Ma questo oscuro anniversario del 1914 doveva segnare una nuova e grave delusione per il proletariato. A Mosca l’unica, la sola preoccupazione è stata quella di ammassare quintali di discussioni e di risoluzioni sulla fallace speranza che il proletariato, sconvolto dalle disfatte subite, facesse credito ai responsabili di queste disfatte che, profittando del ritardo della lotta rivoluzionaria, hanno attuato la repressione contro i capi più degni del proletariato rivoluzionario. E Bucharin ha scoperto che l’asse della situazione mondiale è il pericolo di guerra appoggiando questa sua asserzione con i brani riportati da Marx, Engels, Lenin, i quali tutti provano che ben diversa è sempre stata la posizione dei nostri maestri nei confronti della guerra.
Sì, il capitalismo genera mille antagonismi, esso genera anche la guerra, ma spetta ai pacifisti di tutte le risme di gridare alla pace contro la guerra. Spetta invece al proletariato comunista, sulla base della interpretazione marxista, di dichiarare che la guerra scoppia quando anche la rivoluzione è possibile e che il nostro dovere è, in conseguenza, di denunciare sin d’ora i possenti preparativi di guerra del capitalismo, non perché vogliamo sollevare il proletariato a combattere in nome della pace contro la guerra, ma perché vogliamo sollevare il proletariato a combattere per la guerra civile contro la guerra imperialista, per la rivoluzione comunista contro la pace impossibile.
A Mosca si è durata una fatica immensa di discorsi e di risoluzioni per non affrontare il problema reale del proletariato che vuole comprendere le ragioni delle disfatte per apprendere a riportare la vittoria. Ma questo dibattito non poteva farsi a Mosca perché esso avrebbe dovuto liquidare gli opportunisti e rivendicare le ragioni per cui hanno lottato, combattono e soffrono i proletari di sinistra.
In questo anniversario del 1914 il proletariato rivede vecchie e nuove figure; vecchie figure di traditori disposti a tutti i tradimenti, nuove figure trascinate nella via di nuovi tradimenti. Vandervelde e gli assassini degli spartachisti tedeschi hanno declamato a Bruxelles. I secondini dei più grandi rivoluzionari viventi hanno declamato a Mosca. Ma il proletariato ha per sé una grande forza ed è quella che gli è data dall’essere esso la forza rivoluzionaria al servizio del quale stanno tutti gli avvenimenti. Esso riprenderà il suo cammino che è segnato da Marx, Engels, Lenin, Trotski, Bordiga. Sulle bandiere che vengono oggi sventolate dagli altri che contro essi combattono, non la vittoria, ma la sconfitta sarebbe riservata al proletariato.
Bucharin ha riportato questo passaggio di Marx: «Ma noi non dobbiamo dimenticare che esiste ancora in Europa una sesta potenza che, a dei momenti determinati, afferma il suo dominio su tutte le cinque "grandi potenze" e le fa tremare. Questa potenza è la rivoluzione. Dopo un lungo periodo di calma e di tranquillità, essa è di nuovo chiamata sui campi di battaglia dalle crisi e dallo spettro della morte». L’asse della situazione è la rivoluzione comunista e non il pericolo di guerra; è rappresentato dalla sesta potenza che malgrado Vandervelde ed i neorevisionisti, troverà il faticoso cammino che la porterà alla vittoria, è il proletariato comunista che due nomi sintetizzano oggi: Trotski in Siberia, Bordiga ad Ustica.