Partito Comunista Internazionale Dall’Archivio della Sinistra

"Prometeo" sui fatti di Spagna

 

L’esperienza spagnuola e la lotta del proletariato italiano
(Prometeo, n. 29, 1 aprile 1930)

Gli avvenimenti di Spagna
(Prometeo, n. 47, 1 marzo 1931)

La repubblica in Ispagna
(Prometeo, n. 52, 17 maggio 1931)


 

Prestazione (in “Comunismo” n.33, 1992)

I tre articoli di seguito riprodotti apparvero sul giornale della Frazione Italiana all’estero durante l’arco di tempo compreso tra l’Aprile 1930 ed il Maggio 1931. Appena 13 mesi, dunque. Ma in questi mesi in Spagna tanti avvenimenti si susseguono e ad una velocità così inusuale che molti (anche sinceri rivoluzionari), non riuscendo a comprendere il significato di quanto stava accadendo, smarrirono ogni orientamento e scambiarono degli avvenimenti specificatamente controrivoluzionari per situazioni di carattere «progressista», tali da avvicinare il proletariato al giorno della sua emancipazione. Come vedremo meglio nel prosieguo dello studio che il Partito dedicherà ai fatti spagnoli, i movimenti dei proletari iberici rappresentano l’ultimo atto della disfatta proletaria a livello mondiale; furono l’ultimo virile sussulto di quello stupendo movimento che, riuscito vittorioso in Russia nel 1917, aveva fatto tremare le borghesie nello stesso tempo che aveva acceso la speranza di riscatto nei cuori dei proletari di ogni colore e di tutti gli sfruttati della terra.

La sconfitta del proletariato spagnolo non avvenne quindi con la presa del potere da parte del Caudillo Franco, ma si può senz’altro affermare che Franco prese il potere perchè il proletariato era già stato sconfitto, sia in Spagna, sia alla scala internazionale: innanzi tutto in Russia dalla controrivoluzione stalinista, in Italia, in Cina, in Germania.

La Spagna rappresentò la verifica sul campo del tradimento (perfezionato pochi anni dopo) dello stalinismo con l’adesione dell’Unione Sovietica ad uno dei due blocchi belligeranti, comunque capitalisti. Ma fu anche la dimostrazione pratica del carattere piccolo-borghese e quindi, di fatto, controrivoluzionario sia dell’anarchismo, sia del trotskismo, degenerazione di quel movimento di opposizione russa che si era valorosamente battuto contro la degenerazione d’Ottobre.

Solo la Sinistra italiana superò la prova della selezione storica rappresentata dalla Spagna. Solo la nostra scuola, in quella occasione e successivamente, durante gli anni della seconda guerra mondiale, rimase fedele al programma, alla tattica ed alla finalità del marxismo rivoluzionario. Di conseguenza, solo il nostro Partito, per non avere mai, nel passato, abbandonato la sua linearità rivoluzionaria, è oggi abilitato a rappresentare il proletariato e ad essere, domani, la guida durante il cammino della sua liberazione.

Fra il 1930 ed il ’31, in Spagna si succedettero tali e tanti avvenimenti da sembrare, a chi li guardasse con occhio superficiale, un vero e proprio susseguirsi di fatti «rivoluzionari». Nel 1930, senza colpo ferire, cadde la dittatura di Primo de Rivera; nel 1931, a seguito dei risultati delle elezioni amministrative, senza colpo ferire, il monarca Alfonso XIII abbandona Madrid; viene proclamata la Repubblica alla quale plaudono i borghesi di sinistra, ma anche l’esercito ed i monarchici; si formano governi di sinistra che si impegnano ad effettuare riforme radicali. Gli stessi anarchici, per definizione negatori di ogni forma di Stato, riconoscono i meriti inequivocabili del nuovo regime e dichiarano candidamente che, loro, non avrebbero saputo fare niente di meglio. I trotskisti affermano che si tratta sì di governo borghese, ma invitano i proletari a richiedere al potere statale le riforme più radicali per farne, poi, la base di partenza delle future conquiste rivoluzionarie. La nostra Frazione seguì l’evolversi della situazione spagnola con molta attenzione e vi dedicò notevoli energie verificando la giustezza della tattica intransigente sempre proclamata dalla Sinistra italiana, ma, allo stesso tempo, dando prova, a dispetto di chi ci dipinge come appiattitori, di saper distinguere anche le sfumature caratterizzanti le varie forme del dominio capitalista.

Negammo, ad esempio, che il potere di Primo de Rivera avesse delle caratteristiche proprie del fascismo, mentre ravvisammo in esso quei connotati propri dei governi borghesi di destra dell’ante guerra; anche se in Spagna, per la particolarissima situazione, aveva dovuto assumere forma dittatoriale e sbarazzarsi (fino a un certo punto) del gregge dei partiti borghesi.

Analogia tra Italia e Spagna vi era, certamente, ma nel senso che in entrambi i paesi era il capitalismo che deteneva il potere sulle spalle della classe operaia e dei contadini. Quindi, in Italia, come in Spagna, il proletariato avrebbe dovuto guardarsi dalle sirene della democrazia che prospettavano il ritorno ai ludi parlamentari come l’unica alternativa alla dittatura.

La borghesia aveva dato più di una prova di sapere fare fronte alle necessità della conservazione del proprio dominio di classe adottando, a seconda delle diverse situazioni, il metodo di governo più conveniente e, allo stesso tempo, preparando uomini e sistemi alternativi per quando nuove contingenze lo richiedessero. A dimostrazione di ciò vi era prova di come tutte le varie sezioni della borghesia, di fronte a svolte cruciali, concordassero a seconda dei casi, nel richiedere l’instaurazione di regimi dittatoriali oppure il ritorno al polipartitismo parlamentare, quando l’ebollizione dei contrasti sociali richiedessero valvole di sfogo che la dittatura aperta non era più in grado di garantire. Il governo di Primo de Rivera non dava più la garanzia di poter sostenere la ribellione proletaria quando i contraccolpi della crisi mondiale avessero riacceso la polveriera della lotta di classe. Così si assisté al rapido susseguirsi del passaggio dalla dittatura ad un’altra dittatura di transizione verso la democrazia, dalla monarchia costituzionale alla repubblica. Questa serie continua di cambiamenti non solo non rappresentarono un indebolimento del regime capitalista, ma addirittura un suo ulteriore rafforzamento. E gli uomini dei governi repubblicani rappresentarono gli interessi della stessa classe che aveva detenuto il potere al tempo della monarchia. Per nascondere la vera natura di classe del regime repubblicano, l’opportunismo si adoperò (questa è la sua funzione) a presentare la nuova situazione come scaturita dalla «volontà popolare». Anche in quella occasione la nostra voce, che era meno debole di oggi, si distinse dalla monotonia delle litanie, ufficiali e non, ed affermò che in Spagna cambiavano i regimi, ma non cambiava la classe detentrice del potere politico ed economico; che i cambiamenti di regime non erano affatto il risultato dell’espressione della «volontà popolare», ma, al contrario, erano finalizzati ad impedire che la «volontà popolare» venisse espressa. Di conseguenza, nella Spagna del 1930, non vi poteva essere nessun incontro, nemmeno temporaneo, tra il proletariato e la borghesia, intesa come «compagnon de route» poiché la gestione repubblicana del capitalismo non rappresentava in alcun modo il superamento di vecchi rapporti di classe in vista della vittoria proletaria, ma soltanto un escamotage da parte del capitalismo per fronteggiare una fase particolarmente acuta della crisi economica.

Altri due elementi, apparentemente rivoluzionari, si inserirono sul terreno della lotta di classe spagnola per disorientare il proletariato dalla marcia verso la sua specifica meta storica. Questi due elementi di disturbo erano rappresentati dalla piccola borghesia e dalle rivendicazioni separatiste. Non di rado la piccola borghesia, perchè tende a subire immediatamente i colpi della crisi economica, sembra più sensibile e più disponibile alla mobilitazione ed alla lotta dello stesso proletariato, e si dispone ad atteggiamenti arrabbiati pseudorivoluzionari. Non possedendo però un programma indipendente (non è possibile una terza via alternativa al capitalismo e al comunismo) i movimenti piccolo-borghesi si fanno strumento della reazione capitalista.

La nostra Frazione, infine, anche qui in aperto disaccordo con le altre correnti «rivoluzionarie», negò che la rivendicazione separatista potesse avere un qualche carattere rivoluzionario. I compagni della Sinistra affermarono che il separatismo rappresentava un diversivo del capitalismo per impedire l’unificazione e la centralizzazione del movimento proletario allo scopo di spezzarne le lotte.

Da tutto questo scaturiva la necessità primaria della formazione del partito, un partito che non avesse niente da spartire con il confusionismo ed il tradimento opportunista; un partito capace di mettersi alla testa dei movimenti di classe per condurli al loro naturale sbocco rivoluzionario. Un partito marxista basato su una solida tattica rivoluzionaria, ma negatore di ogni forma di tatticismo.

 
 
 
 


L’esperienza spagnuola e la lotta del proletariato italiano
(Prometeo, n. 29, 1 aprile 1930)

Un parallelo fra la situazione che ha preceduto il cambiamento ministeriale in Ispagna e la situazione che perdura in Italia non avrebbe alcuna ragione di essere data la natura diversa della dittatura fascista e della dittatura di Primo de Rivera. Come abbiamo già avuto occasione di dire molte volte, la prima, la fascista, è la forma di governo cui la borghesia ha dovuto fare ricorso quando l’esperienza classista del proletariato e lo sviluppo di un forte partito comunista minacciavano le basi del suo potere ed aprivano il periodo della lotta rivoluzionaria diretta alla fondazione della dittatura proletaria. La seconda, quella di De Rivera, non si spiega per niente sulla linea di una minaccia diretta di rivoluzione comunista in Ispagna; ma corrisponde essenzialmente alla necessità in cui si trovava il capitalismo di procedere ad un rapido riassetto delle sue forze e della sua organizzazione, seriamente compromessi dai disastri della guerra del Marocco. Manovre del tipo di quelle svolte dalla borghesia spagnola con l’instaurazione del governo del capitalismo [di De Rivera], possono facilmente riscontrarsi nelle vicende di governo del capitalismo, anche prima della guerra. Se differenze notevoli esistono fra il governo "dittatoriale" di De Rivera, ed i governi della destra borghese, dell’epoca, questo dipende dal fatto che le situazioni mondiali sono profondamente diverse. I contraccolpi dei disastri marocchini nella situazione del capitalismo del dopo-guerra e con la rivoluzione comunista vittoriosa in Russia, potevano accelerare il corso degli avvenimenti fino a porre successivamente ed in secondo momento, il pericolo per il capitalismo di una rivoluzione comunista. Quello che non era all’ordine del giorno per i governi della destra prima della guerra.

Se De Rivera ha dovuto "sospendere" il funzionamento del cosiddetto regime costituzionale borghese, se egli ha dovuto fare anche appello alla violenza questo egli lo ha fatto per parare all’eventualità che il proletariato, profittando del disordine nel campo nemico, e delle premesse favorevoli della situazione mondiale, riuscisse a costruire un’organizzazione capace di trasformare il disastro d’Aumal nel disastro del capitalismo spagnolo.

Ma l’essenziale non era per il capitalismo il pericolo della rivoluzione comunista alle porte, mentre questo è il pericolo cui ha dovuto fare fronte il capitalismo in Italia e che esso ha risoluto con l’instaurazione del fascismo.

Ma se è vero che i rapporti fra le classi, e le esperienze del proletariato nei due paesi determinano una netta differenza fra le due dittature, una profonda analogia esiste fra i due governi. In Ispagna la classe ha agito attraverso Sanchez Guerra, Romanonès o De Rivera, come in Italia la classe ha agito attraverso Giolitti, Nitti o Mussolini, è sempre la stessa classe capitalista. La maggiore prevalenza in Ispagna dell’economia agraria, delle forme precapitaliste di organizzazione economica, le formazioni più numerose della piccola borghesia ed il peso numerico inferiore del proletariato, tutti questi elementi non indicano per niente che il fascismo di De Rivera rappresentava un governo di classe diverso da quello capitalista, come questi elementi non ci danno la ragione del fatto che l’esercizio permanente e feroce del terrore fascista non sia stato necessario in Ispagna.

Se il capitalismo avesse avuto di fronte a sé il pericolo diretto di una rivoluzione comunista, esso avrebbe senz’altro fatto appello alla maniera di Mussolini. Che questo pericolo diretto non si sia presentato in Ispagna, mentre esso si è presentato in Italia, questo dipende essenzialmente dal diverso grado di maturità dei due proletariati, ed anche della posizione neutralista della Spagna durante la guerra, posizione che la ha messa relativamente al riparo dalle manifestazioni più acute della crisi economica e politica del dopoguerra.

Ma l’analogia fondamentale esistente per la natura della classe che domina in Italia ed in Spagna, permette di proiettare sull’attuale nostra situazione, le recenti esperienze spagnole al fine di ricavarne utili insegnamenti.

Il capitalismo non difende il suo potere sotto la suggestione dei movimenti di ferocia e di brutalità che potrebbero essere il diretto riflesso della feroce e brutale spoliazione economica della classe lavoratrice condannata a diventare la carne da macello dei cataclismi economici e delle guerre connaturate con il regime capitalista. Al contrario, e fino a quando le è possibile, la borghesia cerca di coprire il funzionamento del suo regime d’oppressione con la maschera elegante della libertà e della giustizia sopra le classi.

Di più la borghesia non attende, alla cieca, le situazioni acute e definitive per farvi fronte scagliando contro le masse lavoratrici l’apparato delle forze comandate alla difesa del suo regime. La borghesia sa che queste situazioni definitive giungeranno inevitabilmente; ed essa, in previsione, prepara le condizioni materiali e politiche più favorevoli alla sua difesa ed alla lotta contro il proletariato che ha la missione di infrangere le catene della sua schiavitù e di infrangere le catene alle quali si aggrappano i dominatori per conservare il loro privilegio.

Ad eccezione dei grandi conflitti e soprattutto delle guerre le quali esigono un’utilizzazione a corpo perduto di "tutte" le forze materiali e politiche di cui dispone il capitalismo, e che quindi sono destinate a concludersi nel buio dello smarrimento di una sistematica azione di ferma previsione, l’esperienza del dopo-guerra ci convince che l’arte della borghesia nel governare consiste essenzialmente in una sagace previsione delle situazioni per acclimatare ad ogni periodo il metodo più conveniente e per preparare per ogni periodo successivo le condizioni per l’instaurazione del nuovo sistema di governo.

De Rivera ha governato convogliando al suo seguito forze importanti dell’esercito, scartando le personalità che avevano agito nel campo parlamentare e senza fare ricorso al sistema della violenza contro questi partiti. Lo stesso partito socialista aveva la sua porzione di libertà e di legalità durante il periodo della dittatura di De Rivera. Questi fu chiamato al potere, quando per la necessità della manovra ideologica fra le masse, era necessario personalizzare nel generale Berenguer le responsabilità dei disastri nel Marocco al fine di impedire che il proletariato afferrasse chiaramente le responsabilità del regime stesso, e ne ricavasse gli insegnamenti per la sua lotta.

L’esercizio del governo di De Rivera, mirante soprattutto ad impedire che un’organizzazione del proletariato rivoluzionario avesse la possibilità di svilupparsi quando ne esistevano le condizioni per i contraccolpi della guerra marocchina, l’esercizio di questo governo poteva giungere al risultato opposto a quello prefissosi dal capitalismo, se esso avesse continuato a durare. La dittatura avrebbe creato le premesse ideologiche favorevoli allo sviluppo di una coscienza e di un’organizzazione rivoluzionaria del proletariato. E ad un certo momento, le riserve che De Rivera aveva lasciato da parte, quelle riserve che non si erano "compromesse", sono state rimesse in linea dalla stessa classe che aveva chiamato prima De Rivera. E l’avversario personale negli ambienti militari è stato incaricato di preparare il periodo di transizione dal governo della dittatura al governo della democrazia.

Ed il generale Berenguer che fu messo da parte durante la guerra marocchina, è stato chiamato a succedere a De Rivera.

Nel primo periodo, nel periodo del cambiamento ministeriale, le affermazioni politiche dei diversi partiti borghesi, dal conservatore al socialista, hanno assunto l’aspetto di affermazioni radicali che giungevano a mettere in causa la dinastia, o la monarchia ed arrivavano anche a pronunciarsi per la necessità di una repubblica. Successivamente, a mano a mano, queste affermazioni sono andate mitigandosi ed attualmente Sanchez Guerra che aveva parlato contro re Alfonso manovra per difenderlo dall’accusa... di essere corresponsabile con De Rivera e Romanonés e si impegna per assicurare che senza la menoma scossa per la stessa monarchia il potere potrà passare tranquillamente dalle mani di Berenguer alle mani di quegli che vi sarà chiamato dal baccanale elettorale.

Quanto ai socialisti, essi che nei primi giorni dopo la caduta di De Rivera, si erano sbizzarriti in affermazioni radicali (appunto per meglio confondere le masse) si sono recentemente affrettati a reclamare un posto onorevole nel consesso della gente per bene che vuole restare nel sacrosanto rispetto dell’ordine capitalista e dei sacramenti della democrazia.

Ed essi concludono il recente manifesto lanciato alle loro organizzazioni scongiurando che il «trionfo completo (quello della Spagna "libera") non deve essere turbato dall’impazienza o dalla precipitazione, ma deve essere assicurato da un lavoro sereno, perseverante e tenace» – Più rassicuranti di così non si poteva davvero essere.

Non è questa la prima occasione in cui la superficie sociale dove si colloca la piccola borghesia comincia a dare segni d’impazienza, mentre apparentemente il proletariato resta in una posizione di stagnazione. Gli è che la piccola borghesia riesce più facilmente a dare vita a quei movimenti che non incontrano una resistenza del capitalismo. I movimenti degli studenti e degli ufficiali in Ispagna, che non potevano per nulla impensierire il capitalismo, dovevano d’altra parte indicare che la situazione ed il governo di De Rivera poteva generare movimenti ben più seri e cioè i movimenti del proletariato.

Per parare a questi movimenti si è avuto il trapasso a Berenguer e le successive metamorfosi dei conservatori dalla monarchia alla repubblica, per poi tornare ancora una volta al rispetto della monarchia.

E questa metamorfosi molto rapida si è verificata benché pure una modificazione dalla monarchia alla repubblica lungi dal rappresentare un indebolimento del regime capitalista, poteva rappresentare una veste di maggiore sicurezza e di più sicura durata.

Dopo la caduta di De Rivera, non solamente abbiamo assistito a movimenti proletari di un’importanza che non corrisponde affatto alle aspettative che vi si potevano fondare, ma finora nessun elemento ci permette di affermare che nel corso di questi avvenimenti notevoli passi siano stati compiuti sul cammino di una effettiva organizzazione del proletariato nel suo partito rivoluzionario.

Tutto ha l’apparenza a concludersi nel grande baccanale elettorale cui partecipano gli stessi anarco-sindacalisti che rinviano le lotte economiche del proletariato al dopo le elezioni ed affermano la loro fiducia in Berenguer per la restituzione del beato regime costituzionale.

Ma le difficoltà e la crisi economica in Ispagna non si concluderanno nella festa elettorale. Ben altri sviluppi si preparano. I movimenti proletari si determineranno con imponenza e conseguenze ben diverse da quelle dei recenti movimenti di Bilbao e di Valenza. Quello che manca, e deve formarsi, nel corso di questi avvenimenti, è un’organizzazione solida del proletariato comunista, un’organizzazione che non abbia nulla a che fare con il confusionismo e l’imbroglio del centrismo. Se il proletariato non riuscirà a costruirsi questa organizzazione i movimenti proletari si presenteranno in ordine sparso e disgregato permettendo così nuovi imbrogli del capitalismo.

Il fatto che quest’organizzazione non esisteva e non si era preparata quando De Rivera ha ceduto il potere, ha permesso il libero e totale corso a tutte le pagliacciate dei Guerra, dei Romanones e dei socialdemocratici.

Questa lezione essenziale degli avvenimenti spagnoli ha una grande importanza per il proletariato italiano.

Per quanto, dato il carattere che abbiamo ricordato anche più sopra del fascismo italiano, è da ritenere che solo i movimenti del proletariato riusciranno ad abbattere il fascismo, tuttavia è evidente che nel corso della resistenza borghese contro l’assalto del proletariato, non pochi tentativi saranno fatti per chiamare a sostituire Mussolini il personale antifascista che si annida nella Concentrazione od ai suoi margini.

Per impedire che questa successione di potere contenga le tragiche e sanguinosissime esperienze del proletariato italiano; per impedire questo non vi è che la presenza di una organizzazione capace di dirigere i movimenti del proletariato verso il loro sbocco, verso la rivoluzione. Ma quest’organizzazione deve essere preparata tenacemente e malgrado tutte le difficoltà.

Se questa organizzazione dovesse mancare al proletariato italiano, allora, nel corso dei suoi movimenti diretti ad abbattere il capitalismo, nulla esclude che la manovra di re Vittorio per ripetere il gioco di re Alfonso abbia un provvisorio successo malgrado le stragi che ha costato la costituzione e la difesa dell’organizzazione della vittoria rivoluzionaria in Italia, del partito comunista. Il centrismo che ha blaterato in tutti i toni sulla "radicalizzazione delle masse", quando un’occasione si è presentata per determinare una reale radicalizzazione delle masse, ci hanno dato lo spettacolo lamentevole del 6 Marzo nella stessa Spagna.

La frazione di sinistra che ha sempre sostenuto la necessità di un’organizzazione capace di risolvere la crisi comunista, come la condizione della vittoria del proletariato, come condizione dell’efficace sviluppo dei suoi movimenti, trova nei suoi recenti avvenimenti spagnuoli l’insegnamento a raddoppiare e a moltiplicare la sua attività alfine di sforzarsi di restare all’altezza del suo compito e del suo dovere.