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"Prometeo" |
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Lo spettro di Noske domina la gloriosa resistenza del proletariato austriaco (marzo 1934)
Nell’interesse del proletariato mondiale |
Premessa in "Comunismo" n.39, 1995
Lo spettro di Noske domina la gloriosa
resistenza del proletariato austriaco
È questo il titolo a piena
pagina con cui usciva "Prometeo" il 4 marzo 1934, sotto il quale venivano
pubblicati i due articoli qui riprodotti.
Il fatto che alla fine della Prima
Guerra imperialista le nazioni vincitrici avessero così infierito
sulle potenze sconfitte non allentò i vincoli di solidarietà
di classe della borghesia internazionale. Può a prima vista sembrare
strano, ma furono proprio le nazioni sconfitte (Germania, Ungheria, Austria)
e quelle che dalla vittoria non avevano tratto vantaggi (Italia) che svolsero
principalmente il ruolo di boia della classe proletaria a vantaggio del
sistema capitalistico mondiale. L’opera di repressione borghese ebbe enormemente
facilitato il suo compito grazie all’appoggio incondizionato della socialdemocrazia
che si incaricava di far deviare su falsi obiettivi lo spirito rivoluzionario
delle masse lavoratrici, di disarmarle materialmente e moralmente per consegnarle,
quale carne da macello, al nemico e, alla bisogna, di procedere in prima
persona allo sterminio.
Se questa attitudine è nota
per quel che riguarda la Germania, l’Italia ed anche l’Ungheria, lo è
in misura minore per quel che concerne l’Austria. I due articoli di "Prometeo"
che riproduciamo nell’Archivio ci danno l’occasione per fare brevemente
il punto sulla situazione austriaca.
L’Austria, all’indomani della rivoluzione
d’Ottobre, avrebbe potuto rappresentare l’anello di congiunzione di tre
grandiosi movimenti proletari: il tedesco, l’ungherese e l’italiano. Se
questo non avvenne fu causa del carattere "particolare" che assunse la
socialdemocrazia di quel paese ("l’austro-marxismo") la quale riuscì
sia a controllare il combattivo proletariato, sia ad impedire la formazione
di un partito comunista che avesse presa sulla classe operaia.
Le borghesie nazionali ed internazionali,
però, non si limitarono ad affidare i destini del capitalismo austriaco
ai buoni servigi del partito socialdemocratico: gli austro-marxisti, per
il fatto stesso di dover tenere il proletariato sotto il loro controllo,
erano costretti ad organizzarlo nelle tipiche strutture di classe: sindacali
e politiche. Questa politica poteva divenire pericolosa non appena la classe
lavoratrice avesse scavalcato i suoi capi, cosa che avvenne in varie occasioni,
ed in particolare mondo nel 1927 e nel 1934. Per questo motivo la borghesia
fin dal 1918 aveva creato tutta una serie di milizie controrivoluzionarie:
le Dorfwehren (milizie di villaggio), le Bauernwehren (milizie contadine),
le Burgerwehren (milizie civiche), le Heimwehren (milizie patriottiche)
ed altre ancora. Le Heimwehren furono quelle che in seguito riuscirono
ad inglobare tutte le altre grazie anche ai finanziamenti, in armi e denaro,
da parte di Mussolini e di Horty, oltre che dagli industriali austriaci.
Il 15 luglio 1927, a seguito dell’assoluzione
di alcuni membri d’organizzazioni fasciste, responsabili di un sanguinoso
eccidio, la classe operaia di Vienna insorse compatta e, dopo aver dato
alle fiamme il Palazzo di Giustizia, si pose l’obiettivo di eliminare ogni
pericolo di fascismo eliminandone le cause: il regime capitalista. La reazione
statale fu spietata e fece quasi cento morti proletari.
Lo sciopero generale indetto a
seguito della sanguinosa repressione, dopo essere stato svilito dalla socialdemocrazia,
venne a sua volta stroncato dalle forze congiunte delle formazioni legali
ed extra-legali. La repressione del 1927 rappresentò un successo
d’enorme portata per le Heimwehren che ebbero una crescita immediata diffondendosi
anche nella parte nord-orientale del paese. Sembra che nel 1928 gli organizzati
in queste formazioni fasciste ammontassero a 150.000, sei volte gli effettivi
dell’esercito austriaco. L’anno successivo il loro numero sarebbe salito
a diverse centinaia di migliaia. Se con il trattato di S. Germain le nazioni
democratiche avevano imposto all’Austria di mantenere un esercito di ridicole
proporzioni, queste stesse potenze democratiche di non ostacolavano affatto
la creazione di corpi armati enormi, finanziati dai regimi fascisti, perché
fossero usati ai fini della conservazione di classe.
Nel settembre del 1931 un tentativo
di "Marcia su Vienna" da parte dell’Heimwehren fallì solo a causa
di contrasti interni, per cui le formazioni della Stiria si mossero in
anticipo rispetto alla data stabilita per l’azione simultanea, mentre il
governo "legale" non aspettava altro che cedere il posto agli insorti.
La "Marcia su Vienna" fu arrestata senza sparare un colpo di fucile e,
al processo di Gratz contro i capi del mancato putsch tutti quanti vennero
assolti per "avere agito nell’interesse dello Stato e del paese". Nel 1932
il cristiano-sociale Dollfuss farà entrare nel suo governo i rappresentati
delle Heimwehren. Nel 1934 i ministri delle Heimwehren assunsero tutti
i posti di controllo della pubblica sicurezza. Dopo il soffocamento della
rivolta proletaria del febbraio, che costò più di 300 morti,
il 1° maggio Dollfuss istituiva il "regime corporativo" richiamatesi
agli ideali d’armonia e collaborazione sociale espressi nella enciclica
papale "Quadragesimo anno". Dollfuss metteva il suo regime sotto la duplice
protezione dell’Italia fascista e della Chiesa cattolica. A questo ultima
aveva affidato il totale controllo del sistema scolastico, della normativa
matrimoniale e della pubblica moralità.
Il duce austriaco non poté
però gioire a lungo della sua realizzazione cristiano-fascista fondata
sul sangue della classe lavoratrice, perché il 25 luglio, a seguito
di un tentato putsch nazista, venne ucciso. Con la morte di Dollfuss tramontavano
le velleità d’ingerenza italiane in Austria ed il tentativo di contenere
il dilagare nazista. Il putsch di ispirazione hitleriana nel luglio 1934
fallì, ma la strada per l’annessione dell’Austria alla Germania
era ormai aperta: si trattava solo di tempo.
La Chiesa cattolica, che aveva
rappresentato uno dei pilastri più importanti sui quali si era retto
l’impero asburgico, dopo il 1918 si convertì alla democrazia. Il
prete Ignaz Seipel, che era stato ministro dell’ultimo governo imperiale,
oltre che fondare il partito cristiano-sociale e partecipare alla stesura
della Costituzione repubblicana, rivestì varie volte la carica di
cancelliere. Durante l’insurrezione del febbraio 1934, la Chiesa in blocco
si schierò della parte del governo dittatoriale ed approvò
i cannoneggiamenti ed i bombardamenti delle popolazioni proletarie inermi.
Come aveva fatto nel 1918, anche
nel 1938 la Chiesa non rimpianse la sorte dei suoi ex compagni di strada
e si adattò ai nuovi padroni. Già nel marzo l’arcivescovo
di Vienna, il cardinale Innitzer, si era incontrato con Hitler e quando
la Germania fece ratificare la annessione austriaca mediante plebiscito,
furono i vescovi ed i preti che invitarono i cattolici a votare per il
Si.
Il proletariato austriaco, vittima
del tradimento socialdemocratico, che aveva sempre soffocato il suo ardore
rivoluzionario; vittima di quello stalinista, dal quale non solo non venne
una minima indicazione di lotta, ma che fu del tutto assente; vittima della
repressione violenta del connubio Stato-fascismo-Chiesa cattolica; vittima
degli interessi capitalistici internazionali delle potenze democratiche
e fasciste, venne infine, disarmato e dissanguato, consegnato al boia nazista.
Hitler raccoglieva i frutti dell’opera altrui.
Nell’interesse del proletariato mondiale
Mitragliatrici, cannoni, aeroplani, gaz asfissianti, impiccagioni, massacri di donne, di fanciulli, dissoluzione di partiti, di sindacati, di circoli sportivi, educativi; questo è il quadro della situazione in Austria. Si tratta di spiegare in quali condizioni il capitalismo internazionale ed austriaco hanno scatenato la battaglia contro gli operai d’Austria, quale contegno hanno assunto le organizzazioni di masse che agiscono nel seno del proletariato, quale è la significazione di queste pagine di eroismo che, ancora una volta, hanno scritto i proletari rivoluzionari.
Come in Italia ed in Germania, così in Austria. Le situazioni hanno subitamente preso il ritmo della loro corsa verso il precipizio. Per mesi e mesi i proletari sono stati immobilizzati. In Italia la socialdemocrazia impegnava i proletari a rispondere all’attacco fascista con la politica "per il governo migliore", in Germania con la politica del "minore male", in Austria con la politica delle concessioni a Dollfuss per ottenere l’appoggio della "Francia democratica" e della Società delle Nazioni. Come in Italia, ma non come in Germania, la socialdemocrazia ha avuto, in Austria, i suoi Matteotti. Ed oggi assistiamo a questo paradosso: la socialdemocrazia vanta, a suo onore, non i casi individuali di eroismo di alcuni suoi militanti, ma cerca di fare dimenticare le pagine di vergogna di Germania, prendendo a suo conto la lotta armata dei proletari d’Austria. Nello stesso momento in qui quest’operazione indegna si sviluppa, la socialdemocrazia rivaleggia in servilismo con le altre formazioni politiche borghesi ai funerali di re Alberto ed all’incoronazione di Leopoldo e pianta, sui corpi dei martiri d’Austria, sulle macerie delle istituzioni di classe di Vienna la bandiera che dovrebbe condurre i proletari alla rinuncia: "è nell’ordine e nella legalità che il partito operaio belga ha deciso di perseguire la realizzazione del piano del lavoro". E quando dei proletari spaccano un vetro di un giornale fascista che ha gettato fango sul sangue dei proletari di Vienna, la socialdemocrazia occorre per gridare che si tratta di elementi provocatori.
Di fronte alla crudele e terribile situazione i proletari avrebbero diritto di chiedersi che si stabiliscano chiaramente le responsabilità, che sul sangue dei martiri, si stabilisca infine come mai, ancora una volta, il capitalismo ha potuto annientare il proletariato. Ma, ancora una volta, il cimitero proletario è trasformato in una borsa di commercio e la politica del tradimento impiegherà il sangue dei caduti per moltiplicare le azioni da lanciare fra le masse che non devono chiedersi la ragione di questa nuova sanguinosa disfatta, ma devono osannare, devono plaudire e quelle stesse forze che le hanno condotte al massacro.
Due sono i problemi: il primo, quello dell’omaggio ai Matteotti d’Austria ai casi esemplari di eroismo, ai Weisel, Walisch, i quali trascinati nel vortice degli avvenimenti, hanno, sacrificando la loro vita, rinnegando tutto il loro passato politico e si sono gettati nel turbine della lotta a lato e alla testa dei proletari che avevano preso le armi. A questi eroi l’omaggio entusiasta dei proletari di tutti i paesi non manca oggi, così come non mancherà domani la celebrazione del loro ricordo al fuoco delle battaglie e della vittoria rivoluzionaria. Ma questi eroi "socialisti", gli eroi proletari d’Austria appartengono al proletariato, appartengono al suo partito, a quel partito che rivendica la necessità della lotta armata e violenta, non appartengono alla socialdemocrazia che preconizza l’abbandono delle masse nelle braccia del capitalismo che le assassina.
L’epilogo degli avvenimenti d’Austria si piazza sullo stesso quadro delle situazioni che hanno conchiuso gli avvenimenti d’Italia e di Germania. Nel 1919 l’Austria può rappresentare il punto di congiunzione delle battaglie rivoluzionarie di Germania di Ungheria, d’Italia. In quest’epoca l’austro-marxismo, la socialdemocrazia austriaca, prenderà il suo posto: essa si metterà all’avanguardia delle forze della reazione, essa rappresenterà la forza centrale, l’unica forza che potrà salvare il capitalismo internazionale ed austriaco. E se la Comune ungherese cade, un grande titolo di gloria può essere attribuito, dal capitalismo, alla socialdemocrazia austriaca: i Noske di Vienna sono alla testa di tutte le amministrazioni della nuova repubblica, non per congiungere il proletariato alle lotte rivoluzionarie che si scatenano nei diversi paesi, ma per canalizzare il proletariato verso la difesa del regime capitalista.
Nel 1927, in Austria il fascismo fa la sua apparizione: i proletari, ammoniti dall’esperienza italiana, si orientano immediatamente verso la forma di lotta possibile contro il fascismo e invadono il Palazzo di Giustizia, insorgono per passare all’attacco rivoluzionario del potere del capitalismo. E la socialdemocrazia è là, come nel 1919, per assumere la direzione dello sciopero e canalizzare l’insurrezione verso il suo schiantamento. Dipoi, sulle orme del capitalismo italiano e tedesco, comincia la manovra della borghesia austriaca per annientare ogni forma d’organizzazione operaia. L’Austria, come nel 1919, sebbene in una direzione opposta, ridiviene il punto di congiunzione dei fascismi ungherese, italiano, tedesco, il perno della preparazione della guerra nell’interesse del capitalismo di tutti i paesi. E la socialdemocrazia, come nel 1919, come nel 1927, è ancora una volta al suo posto: il proletariato non deve muoversi, esso deve "comporre" con Dollfuss perché l’appoggio gli sarà dato dalla "Francia democratica", dal ministro Paul-Boncour.
E quando Dollfuss, per conto della borghesia austriaca ed internazionale, passerà all’attacco, come Bauer lo ha brutalmente scritto, gli operai di Linz dapprima, quelli di Vienna in seguito, quelli di tutta l’Austria infine, brandiscono le armi, quelle stesse armi che nel dopo guerra erano state messe a disposizione della socialdemocrazia per fronteggiare l’estensione della rivoluzione ungherese, e si barricano nelle case del popolo, negli edifici, per fronteggiare l’attacco, per resistere, per dare la loro vita, la vita delle loro donne e dei loro fanciulli, piuttosto che abbandonare, nelle mani del capitalismo, le loro istituzioni, la loro classe. E, come Bauer lo ha detto, il partito socialista non poteva fare altro che seguire il movimento.
La battaglia degli operai austriaci non poteva concludersi in una vittoria che alla condizione di diventare il punto centrale della lotta del proletariato mondiale per la ripresa della lotta rivoluzionaria. Nell’Ottobre 1917 gli operai russi avevano vinto in nome del proletario mondiale. Nel 1934 gli operai austriaci si sono battuti nel nome del proletariato internazionale, ma quest’ultimo doveva abbandonarli, lasciarli isolati, preda del capitalismo austriaco e di tutti i paesi.
L’Internazionale socialista, per bocca del suo presidente, ha scritto una lettera alla Società delle Nazioni; l’Internazionale Comunista, giacché l’occasione non si presentava di glorificare il piano quinquennale in Russia e di magnificare "i vincitori del piano quinquennale", non ha detto una parola. E gli operai austriaci sono stati battuti.
Di già le conseguenze di questa gloriosa battaglia si fanno sentire e si precisano le formazioni imperialiste che si affrontano in Austria. Il proletariato austriaco rappresentava un bastione che il capitalismo doveva abbattere prima di potere procedere nel suo piano per fare sboccare la crisi economica nella guerra. E, per abbattere questo bastione, Hitler, come Mussolini, Mac-Donald e Doumergue, il capitalismo di ogni paese era solidamente coalizzato giacché sul fronte della preparazione della guerra tutte le borghesie sono d’accordo.
Il carattere grandioso della resistenza del proletariato austriaco può diventare un elemento, un fattore di primissimo ordine per permettere al proletariato mondiale di riprendere la lotta rivoluzionaria, per opporre l’unica soluzione proletaria, l’insurrezione, all’altra soluzione capitalista delle situazioni, la guerra.
Gli operai russi vinsero e sulla loro vittoria fu costituita l’Internazionale
proletaria, l’Internazionale Comunista che divenne il fulcro delle lotte
rivoluzionarie del proletariato mondiale. Dopo la morte dell’Internazionale
Comunista, morte che ha permesso alla borghesia di imbrancare apertamente
la via della guerra, solo incamminandosi verso la ricostruzione della nuova
Internazionale si porrà permettere il successo delle lotte del proletariato.
Come i proletari russi potettero vincere senza una Internazionale, così
i proletari austriaci hanno potuto battersi senza una Internazionale. Ma
i proletari russi vinsero perché l’Internazionale fu costruita sulle
basi della loro vittoria, i proletari austriaci e le loro battaglie esigono
imperiosamente che sullo stesso cammino si lotti fin d’oggi. Spetta alle
frazioni di sinistra, sulle indicazioni di principio fornite dai bolscevichi
russi e dai proletari di tutti i paesi, soprattutto sulla base delle esperienze
delle lotte del dopo-guerra, spetta alle frazioni di sinistra di raccogliere
l’eredità della settimana sanguinante d’Austria, per ristabilire
i quadri dei partiti comunisti, condizione essenziale e pregiudiziale alla
formazione della nuova Internazionale della rivoluzione.
Furono le Heimwehren, queste formazioni militari armate e pagate dall’imperialismo italiano, che il 30 gennaio occuparono la capitale del Tirolo Innsbruck reclamando la trasformazione "in senso autoritario" del governo provinciale, la creazione di un comitato di sicurezza costituito dalle formazioni fasciste, e lo scioglimento di tutti i partiti politici, a cominciare da quello socialdemocratico. Nei giorni seguenti le stesse richieste vengono presentate alle autorità delle rimanenti provincie ed al governo federale.
Mentre la socialdemocrazia, come vedremo in seguito, continua a farneticare di "antagonismi insanabili" fra governo e fascisti, ecco il 7 febbraio il vice cancelliere Fey emana un decreto sulla incorporazione delle formazioni militari fasciste nei servizi di sicurezza. Con l’accordo successivo tra governo e Heimwehren per quanto concerne la trasformazione dei governi provinciali, e di quello federale poi, si raggiunge il completo saldamento delle formazioni extra-legali con l’azione statale cristiano-sociale.
Da questo momento si delinea sempre più chiaro l’obiettivo cui si tende: lo schiacciamento della classe operaia austriaca. Si accentuano a Vienna, ed in tutto il resto del paese, le perquisizioni ed il rastrellamento delle armi; disarmo che deve precedere l’attacco a fondo. Il 10 febbraio, rassicurato dalla passività criminale della socialdemocrazia, [si] inferisce un colpo mancino contro la municipalità socialista di Vienna: vengono tolti al borgomastro Seitz i poteri di polizia. Il partito socialdemocratico aveva sempre dichiarato che al primo attentato contro le prerogative della municipalità di Vienna, avrebbe risposto con lo sciopero generale: l’attacco viene, ma la socialdemocrazia non se ne dà per inteso. Il 12 febbraio la polizia ripete le perquisizioni a Linz, nella sede del partito socialdemocratico. È la scintilla che determina il sollevamento spontaneo della massa operaia al di sopra e contro la volontà dei suoi dirigenti. Lo stesso giorno scioperano infatti gli operai delle officine elettriche e municipali paralizzando il servizio tranviario e segnando l’inizio dello sciopero generale. La lotta armata incomincia inquadrata dalla Schutzbund repubblicana, organizzazione che, pur avendo alla testa alcuni elementi repubblicani di sinistra, raggruppa sovrattutto larghi strati di operai. Linz è occupata, poi è la volta di Bruck in Stiria, di Steyr, di Judenburg ed in breve, dal Burgerland, sulla frontiera ungherese, a Krems, su quella cecoslovacca, gli operai si impadroniscono delle località e delle officine. A Vienna stessa, i quartieri operai che ne formano le periferie, Florisdorf, Simmering, Ottakring, fino a Favoriten più nel centro della vasta metropoli, sono occupate dalle forze operaie.
I dirigenti socialdemocratici che, in un primo momento, erano stati trascinati, loro malgrado, dalla irresistibile volontà di lotta del proletariato, ben presto, favoriti sovrattutto dal fatto che, al posto di un vero partito di classe, non esisteva che una triste parodia di esso, corrono ai ripari, frenano l’offensiva operaia, permettono così al governo di riprendersi, di rinforzare le truppe federali, tra le quali non si è verificata nessuna defezione, la polizia e la gendarmeria, con gli scherani fascisti delle Heimwehren e dei corpi d’assalto della Marca orientale (cristiano-sociale). Gli operai si barricano nei grandi caseggiati operai come il Goethe-Hof, il Karl-Marx-Hof, che saranno più tardi battuti in breccia e fatti crollare a colpi di cannone. È la vecchia strategia rivoluzionaria del ’48 o giù di lì che quanto più la sollevazione dura, tanto più aumentano le possibilità di successo. La strategia della guerra civile dell’oggi s’impernia invece sul capo-saldo che quanto più si ritarda nell’occupare – ciò che si dovrebbe fare all’inizio e possibilmente di sorpresa – i gangli vitali del potere statale disorganizzandone così le possibilità repressive, tanto più il successo diviene problematico.
Le cinque giornate di eroica lotta del proletariato di Vienna se sono una luminosa riprova. Il governo, anche in Austria, dove gli operai, dal punto di vista della preparazione tecnica, hanno lottato in condizioni più favorevoli di altri casi di sollevazione operaia, hanno finito con venire soverchiati dalle forze e dai mezzi superiori del regime che vanno dai cannoni alle mitragliatrici ai gaz asfissianti degli aeroplani.
La borghesia austriaca ha dimostrato ancora una volta come tutte le borghesie siano degne continuatrici delle tradizioni di quella di Versaglia. Proclamato immediatamente lo stato d’assedio, il cannone è stato adoprato senza dare la possibilità di mettere in salvo donne e fanciulli perché altrimenti, come cinicamente ha confessato il governo, la resistenza degli operai avrebbe durato più a lungo. Cinque tribunali speciali hanno funzionato emanando venti condanne al capestro: dall’operaio Munichreiter, trasportato gravemente ferito al supplizio, all’ingegnere Weissel, capo di un reparto di pompieri, a Kbec che comandava alla Goethe-Hof, al deputato Walisch che aveva diretto la lotta in Stiria, a Stanek il segretario della Camera del Lavoro di Graz.
Il partito socialdemocratico è stato messo fuori legge. Disciolto il municipio di Vienna e di altri 360 dove i socialisti avevano la maggioranza, annullati tutti i mandati elettivi: 23 consiglieri federali, 71 deputati al Consiglio nazionale (parlamento), 171 Diete, 4121 municipi. Sono stati disciolti anche tutti i sindacati e tutte le società ginnastiche e culturali a carattere operaio.
Qual è stato l’atteggiamento della socialdemocrazia nello svolgersi di questi avvenimenti?
Sino alla vigilia dello scoppio dell’insurrezione essa, fedele alla sua funzione storica, ha cercato di frenare l’impeto di lotta del proletariato e stornarne l’attenzione con un diversivo: quello della minaccia nazista e della difesa delle istituzioni democratiche del paese.
Sino all’ultimo la socialdemocrazia si dichiarava disposta per una collaborazione tendente a risolvere "pacificamente e legalmente" la crisi politica.
Di fronte all’azione delle Heimwehren del Tirolo e l’intensificazione dei prepa [...] la protezione dell’imperialismo francese implorando dall’ambasciatore di questo paese perché intervenisse presso Dollfuss contro questa minaccia che gravava contro la socialdemocrazia. L’occupazione del Tirolo e l’intensificazione dei preparativi della guerra civile, colla tolleranza prima ed il pieno accordo poi col governo di Dollfuss, furono qualificate come "misure di difesa contro i nazisti". L’"Arbeiter-Zeitung" scriveva nel suo editoriale: "Se il parlamento sarà aperto noi voteremo le leggi repressive – contro i nazisti – e non rifiuteremo al governo i pieni poteri necessari per la sua lotta contro il terrorismo nazionale-socialista".
Quando l’attacco contro la classe operaia si fa sempre più palese il partito socialdemocratico lancia un appello in cui si denuncia l’ipotetica minaccia di un putch nazista per mascherare la minaccia reale dell’azione governativa.
Quando ormai gli ultimi brandelli della costituzione a loro tanto cara erano già calpestati e mentre le forze combinate del capitalismo internazionale si apprestavano al grande salasso, Bauer e consorti cercavano di mobilitare il proletariato per fronteggiare una minaccia ancora da venire, contro la costituzione della democrazia austriaca. Anche in Austria, sovrattutto in Austria la socialdemocrazia ripete la manovra che avrebbe permesso di abbandonare successivamente tutte le posizioni della classe operaia chiamando il proletariato non alla lotta armata per l’abbattimento della propria borghesia, qualunque siano i suoi istituti, unico mezzo efficace per scartare definitivamente il pericolo fascista, ma alla difesa di quella "democrazia" che dappertutto ha rappresentato e rappresenterà il ponte verso l’aperta dittatura di classe della borghesia: il fascismo.
Dove va l’Austria? Realizzerà Dollfss lo Stato austriaco, "cristiano ed autoritario", o lascerà il campo aperto all’hitlerismo tedesco? Lascerà l’Italia cadere la sua influenza o cercherà di opporsi ad un’eventuale incorporazione dell’Austria alla Germania che porrebbe di nuovo il pretesto della sicurezza alle frontiere? Tutte incognite cui la guerra imperialista si incaricherà di dare una risposta, guerra imperialista verso la quale Dollfuss, con lo troncamento delle possibilità di lotta – almeno per il momento – del proletariato austriaco, ha determinato una nuova tappa in avanti.
La socialdemocrazia internazionale specula sul generoso sangue versato dagli operai austriaci, come se per il fatto stesso di impugnare le armi contro il regime capitalista, l’operaio socialdemocratico non spezzasse il nesso che lo lega a quella funzione storica che incombe al suo partito, per ridiventare il proletariato che si riallaccia alla funzione storica della propria classe.
La socialdemocrazia belga, ad esempio, ha sfruttato a scopo demagogico questa lotta eroica del proletariato austriaco, proprio essa che aveva stroncato lo slancio operaio nello sciopero del ’32 e non rifuggiva, l’indomani stesso del verbalismo rivoluzionario dei Vandervelde e degli Spaak, dal profondersi in uno smaccato lealismo verso il nuovo sovrano.
Resterebbe a precisare quale è stata l’attitudine del partito comunista nello svolgersi di questi avvenimenti. La stampa centrista ha ripetuto il bluff che tende a rappresentare la massa operaia orientata dalla sua azione, mentre ciò che resta d’acquisito, traverso la dolorosa esperienza di un decennio di disfatte proletarie, gli è che quando manca alla classe lavoratrice il suo partito, che tale non può qualificarsi quello centrista, quando l’Internazionale Comunista è morta, quando lo Stato proletario ha rinunciato alla missione cui l’Ottobre 1917 l’aveva chiamato, quando insomma la lotta dei lavoratori si sviluppa sotto la direzione della socialdemocrazia, dell’agente cioè della classe nemica in seno al movimento operaio, il risultato è suggellato in precedenza.
Ne hanno fatto la più cruenta esperienza gli operai socialdemocratici
austriaci, e quelli comunisti con essi.