Partito Comunista Internazionale Sulla questione sindacale


I sindacati nell’epoca del declino dell’imperialismo


(L. Trotzki, 1940)








Il manoscritto di questo articolo fu ritrovato sulla scrivania di Trotskij, si trattava di una bozza ancora da rivedere per un articolo sull’argomento esposto nel titolo. Trotskij lo stava scrivendo poco prima di essere assassinato da un sicario stalinista il 20 agosto 1940.

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C’è un aspetto comune nello sviluppo, o più correttamente nella degenerazione, delle moderne organizzazioni sindacali a livello mondiale: è il fatto che sempre più si avvicinano e si fondono con il potere statale. Questo processo è presente sia nei sindacati “indipendenti”, che in quelli socialdemocratici, comunisti e “anarchici”. Questo fatto da solo dimostra che la tendenza verso la fusione con lo Stato è implicita non in questa o quella dottrina in quanto tale, ma è causata dalle condizioni sociali che sono comuni a tutti i sindacati.

Il capitalismo monopolista non si fonda sulla competizione e sulla libera iniziativa privata, ma sul comando centralizzato. Le cricche capitaliste a capo dei trust onnipotenti, dei cartelli, dei consorzi bancari, ecc., vedono la vita economica dalle stesse altezze del potere statale e hanno bisogno ad ogni loro passo dell’assistenza e della collaborazione di quest’ultimo. A loro volta le organizzazioni sindacali dei principali settori industriali si trovano private della possibilità di trarre vantaggio dalla rivalità tra le diverse imprese. Si trovano invece ad affrontare un avversario capitalista centralizzato e intimamente legato al potere dello Stato.

Da qui si deduce la necessità dei sindacati – fino a quando questi rimangano su posizioni riformiste, cioè di mantenersi nei limiti della proprietà privata – di adattarsi allo Stato capitalista e di porsi in competizione coi capitalisti per ottenere la sua collaborazione.

Secondo la burocrazia sindacale il compito fondamentale consiste nel “liberare” lo Stato dalla stretta del capitale, indebolire la sua dipendenza dai trust e spingerlo a passare dalla propria parte. Tale posizione è in totale armonia con gli interessi sociali dell’aristocrazia e della burocrazia operaia, che lottano per le briciole della torta dei superprofitti del capitalismo imperialista. I burocrati delle organizzazioni operaie fanno del loro meglio, con le parole e con i fatti, per dimostrare allo Stato “democratico” quanto siano affidabili ed indispensabili in tempo di pace e, soprattutto, in tempo di guerra. Trasformando i sindacati in organi del potere statale il fascismo non ha inventato nulla di nuovo, ha solo sviluppato fino in fondo le tendenze già implicite nel capitalismo imperialista.

I paesi coloniali e semicoloniali sono sottoposti al giogo dell’imperialismo straniero, più che del capitalismo indigeno. In ogni caso, lungi dall’indebolire, ciò non fa che rendere più forte il bisogno di legami diretti, nella pratica quotidiana, tra i magnati del capitale e i governi che in ultima analisi sono da essi assoggettati: i governi dei paesi coloniali e semicoloniali, per l’appunto. Nella misura in cui l’imperialismo capitalista crei in tali paesi uno strato privilegiato di aristocrazia operaia e di burocrazia, queste ultime hanno bisogno del sostegno dei governi coloniali e semicoloniali in qualità di patrono, protettore, ed in alcuni casi anche di arbitro. Questa è appunto la principale base sociale della natura bonapartista e semibonapartista dei governi nelle colonie e nei paesi arretrati in generale e, per le stesse ragioni, è anche la ragione della dipendenza dei sindacati riformisti dallo Stato.

In Messico i sindacati sono stati trasformati dalla legge in istituzioni parastatali e, logicamente, hanno assunto un carattere semitotalitario. La statalizzazione delle principali organizzazioni sindacali venne introdotta, secondo l’intendimento dei legislatori, per difendere gli interessi dei lavoratori assicurando loro un’influenza sulle scelte del governo e sulla vita economica. Ma fintanto che il capitalismo straniero imperialista domini lo Stato nazionale e fino a quando sarà in grado, con l’aiuto di forze reazionarie interne, di rovesciare i regimi democratici instabili e di sostituirli con dittature apertamente fasciste, in questa misura la legislazione sui sindacati può facilmente convertirsi in un’arma nelle mani della dittatura imperialista.


Parole d’ordine per liberare i sindacati

Da quello che abbiamo detto fin qui sembrerebbe – a prima vista – semplice trarre la conclusione che i sindacati cessino di essere sindacati nell’epoca dell’imperialismo. Non viene lasciato quasi nessuno spazio alla democrazia operaia che, nei bei tempi andati in cui il libero mercato dominava la scena economica, costituiva la linfa della vita interna delle organizzazioni operaie. In assenza della democrazia operaia non può esserci alcuna libera lotta per l’influenza politica sulla massa degli iscritti ai sindacati. A causa di ciò sparisce l’arena principale per il lavoro dei rivoluzionari nelle organizzazioni sindacali. Una simile analisi, comunque, porterebbe a conclusioni completamente false. Non possiamo sceglierci lo scenario e le condizioni per il nostro lavoro più confacenti ai nostri gusti e preferenze. È infinitamente più difficile lottare per conquistare l’influenza sulle masse nel quadro di uno Stato totalitario o semitotalitario, rispetto alla democrazia. La stessa identica cosa vale anche per i sindacati il cui destino riflette il diverso destino degli Stati capitalisti. Non possiamo rinunciare a lottare per l’influenza sui lavoratori in Germania semplicemente per il fatto che il regime totalitario rende estremamente difficile questo lavoro. Allo stesso modo non possiamo rinunciare a lottare dentro le organizzazioni sindacali ad adesione obbligata create dal fascismo. Tantomeno possiamo rinunciare al lavoro sistematico dentro i sindacati di tipo totalitario o semitotalitario per il semplice fatto che questi dipendano direttamente o indirettamente dallo Stato operaio o perché la burocrazia impedisca ai rivoluzionari la possibilità di lavorare liberamente dentro questi sindacati. È necessario condurre la lotta sotto tali condizioni concrete, causate da precedenti sviluppi, inclusi gli errori della classe operaia e i crimini commessi dai suoi dirigenti. Nei paesi sottoposti a regimi fascisti o semifascisti è impossibile condurre alcuna attività rivoluzionaria che non sia clandestina, illegale e cospiratoria. All’interno di sindacati totalitari o semitotalitari è impossibile, o quasi, portare avanti qualsiasi attività che non sia cospiratoria. Non abbiamo altra scelta che adattarci alle condizioni concrete esistenti nei sindacati di ogni singola nazione per poter mobilitare le masse non soltanto contro la borghesia, ma anche contro il regime totalitario vigente all’interno di queste organizzazioni e contro i dirigenti che impongono tale regime. Lo slogan principale in questa lotta è: completa e incondizionata indipendenza dei sindacati dallo Stato capitalista. Questo implica una lotta per trasformare i sindacati in organi che esprimano gli interessi delle larghe masse sfruttate e non in quelli dell’aristocrazia operaia.

La seconda parola d’ordine deve essere: democrazia nei sindacati. Questo secondo slogan deriva direttamente dal primo e presuppone per essere realizzato la completa libertà delle organizzazioni sindacali dallo Stato capitalista, imperialista o coloniale che sia.

In altre parole i sindacati nell’attuale epoca non possono semplicemente essere organismi democratici come erano nell’epoca del libero mercato capitalista e non possono più mantenersi politicamente neutrali, cioè limitarsi a rispondere alle esigenze quotidiane della classe operaia. Non possono più essere anarchici, nel senso che non possono più ignorare l’influenza decisiva dello Stato sulla vita delle masse e delle classi. Non possono più rimanere riformisti, perché le condizioni oggettive non lasciano alcuno spazio a riforme minimamente serie e durevoli. I sindacati al giorno d’oggi possono solo servire o, da un lato, come strumento ausiliario nelle mani del capitalismo imperialista per subordinare e disciplinare le masse operaie e sbarrare il passo alla rivoluzione, oppure – al contrario – i sindacati possono diventare uno strumento del movimento rivoluzionario del proletariato.

La neutralità delle organizzazioni sindacali è ormai relegata irrevocabilmente al passato, passata a miglior vita insieme alla democrazia borghese.

Da quello che si è detto si può ricavare chiaramente che, nonostante la progressiva degenerazione dei sindacati e il loro intrecciarsi con lo Stato capitalista, il lavoro all’interno di queste organizzazioni non solo non perde alcunché della sua importanza, ma mantiene quella di prima e in un certo senso acquista un’importanza ancora più decisiva per qualsiasi partito rivoluzionario. La questione in gioco è essenzialmente la lotta per l’influenza sulla classe operaia. Ogni organizzazione, ogni partito, ogni tendenza che si conceda una posizione ultimatista sui sindacati, cioè in ultima analisi volti le spalle alla classe operaia per il semplice motivo che non è di suo gradimento l’organizzazione di questa classe, è destinata a perire e – dobbiamo dirlo – non si merita altro.

Dato che il potere principale nei paesi coloniali non ce l’ha il capitalismo nazionale, ma quello straniero, la borghesia nazionale occupa – nel senso della posizione sociale – una posizione di minor influenza di quella che le corrisponderebbe per via dello sviluppo industriale. Nella misura in cui il capitale straniero non importa operai, ma proletarizza le popolazioni indigene, il proletariato nazionale ben presto incomincia a rivestire un ruolo sempre più decisivo nella vita del paese. In tali condizioni il governo nazionale, nella misura in cui tenti di opporre resistenza al capitale straniero, si trova costretto ad appoggiarsi in modo più o meno marcato sul proletariato. D’altro canto quei governi di paesi sottosviluppati che considerano inevitabile o addirittura più conveniente marciare spalla a spalla col capitalismo straniero, distruggono senz’altro le organizzazioni operaie e istituiscono un regime più o meno totalitario. Così l’inconsistenza della borghesia nazionale, l’assenza di tradizioni di autogoverno cittadino, la pressione del capitalismo straniero e la crescita relativamente rapida del proletariato, tutto ciò toglie il terreno su cui si basa la stabilità di ogni regime democratico.

I governi dei paesi arretrati, cioè quelli coloniali e semicoloniali in generale assumono una natura bonapartista o semibonapartista e si differenziano tra di loro nel fatto che alcuni cercano di orientarsi verso un’immagine democratica, cercando l’appoggio dei lavoratori e dei contadini, mentre altri instaurano una forma vicina alla dittatura militar-poliziesca. Questo determina allo stesso modo il destino dei sindacati, che possono a seconda dei casi essere patrocinati e tutelati dallo Stato oppure subire feroci persecuzioni. Il patrocinio da parte dello Stato è reso inevitabile a causa di due compiti che questo ha di fronte a sé: per prima cosa avvicinare allo Stato la classe operaia e così ottenere una base d’appoggio per resistere alle eccessive pretese dell’imperialismo e, allo stesso tempo, disciplinare gli stessi lavoratori ponendoli sotto il controllo di una burocrazia.


Il capitalismo monopolista e i sindacati

Il capitalismo monopolista è sempre meno incline ad accettare l’indipendenza dei sindacati. Pretende che la burocrazia riformista e l’aristocrazia operaia, che raccolgono le briciole dalla sua mensa bandita, si trasformino nella sua polizia politica sotto gli occhi del proletariato. Se questo non viene raggiunto la burocrazia operaia viene rimossa e rimpiazzata dai fascisti. Tra parentesi tutti gli sforzi della burocrazia operaia al servizio dell’imperialismo non possono, nel lungo periodo, salvarla dalla distruzione.

L’acutizzarsi dei conflitti tra le classi all’interno di ciascun paese, l’inasprirsi dell’antagonismo tra le nazioni producono una situazione in cui il capitalismo imperialista possa tollerare (questo fino ad un certo punto) l’esistenza di una burocrazia riformista solo se quest’ultima sia in maniera diretta un attivo, seppur piccolo custode delle sue aziende imperialiste, dei suoi piani e dei suoi progetti nel paese e a livello mondiale. Il socialriformismo si trasforma necessariamente in socialimperialismo per poter prolungare la propria esistenza, ma solo prolungare, niente di più poiché questa strada è in generale un vicolo cieco.

Si deve concludere forse che nell’epoca dell’imperialismo sia generalmente impossibile avere sindacati indipendenti? Sarebbe profondamente scorretto porre la questione in questi termini. Ciò che sì è impossibile è che esistano sindacati indipendenti a carattere riformista. Interamente possibili sono invece i sindacati rivoluzionari che non si comportino da stampelle della politica imperialista, ma che pongano come proprio obiettivo il compito di rovesciare il dominio capitalista. Nell’epoca del declino imperialista i sindacati potranno essere realmente indipendenti solo nella misura in cui siano coscienti di essere, nell’azione, gli organi della rivoluzione proletaria. In questo senso il programma di rivendicazioni transitorie (Programma di transizione, Ndt) adottato dall’ultimo congresso della Quarta Internazionale non è solo il programma per l’azione del partito, ma anche, nelle sue linee principali, anche il programma per l’attività dei sindacati.

Lo sviluppo del capitalismo nei paesi arretrati è contraddistinto dal suo carattere combinato, in altre parole l’ultima novità della tecnologia, dell’economia e del pensiero politico sono combinati in tali paesi con la tradizionale arretratezza e primitività. Tale legge può essere osservata nei più svariati aspetti dello sviluppo dei paesi coloniali e semicoloniali, incluso lo sviluppo del movimento sindacale. Il capitalismo imperialista agisce qui nella sua forma più cinica e nuda. Trapianta in terreno vergine i metodi più perfezionati del suo dominio tirannico.

Nel movimento sindacale a livello mondiale si deve osservare nell’ultimo periodo una svolta verso destra e verso la soppressione della democrazia interna. In Inghilterra il “Minority Movement” dentro i sindacati è stato schiacciato (non senza la complicità di Mosca); i dirigenti del movimento sindacale, specialmente riguardo la politica estera, sono diventati fedeli agenti del Partito conservatore. In Francia non c’era spazio per l’esistenza indipendente di sindacati stalinisti, questi si sono uniti infatti ai sindacati cosiddetti anarcosindacalisti, sotto la direzione di Jouhaux e, come risultante di questa fusione si è avuto un generale spostamento di tutto il movimento sindacale, ma non a sinistra, piuttosto verso destra. La direzione della Cgt è diventata in modo aperto un’agenzia alle dirette dipendenze del capitalismo imperialista francese.

Negli Stati Uniti il movimento sindacale ha attraversato il periodo più tempestoso della sua storia. L’ascesa del CIO è una prova inconfutabile delle tendenze rivoluzionarie presenti nelle masse operaie. Ad ogni modo è indicativo e degno di nota nel modo più assoluto il fatto che la nuova organizzazione, non ancora formata completamente, è caduta nell’abbraccio mortale dello Stato imperialista. La lotta tra i vertici della nuova organizzazione con quelli della vecchia è riconducibile in larga misura alla lotta per conquistare il favore e l’appoggio di Roosevelt e del suo governo.

Non meno sintomatico, anche se in senso differente, è il quadro dello sviluppo e della degenerazione del movimento sindacale in Spagna. Nel sindacato socialista tutti quei dirigenti che in qualche misura rappresentavano l’indipendenza del movimento sono stati cacciati fuori. Per quello che riguarda i sindacati anarcosindacalisti, questi sono stati trasformati nello strumento dei borghesi repubblicani; i dirigenti anarcosindacalisti dei sindacati sono diventati ministri borghesi. Il fatto che questa metamorfosi sia avvenuta in condizioni di guerra civile non indebolisce il significato di questo avvenimento. La guerra è la continuazione delle stesse identiche politiche: accelera i processi, evidenzia i loro elementi fondamentali, annienta tutto ciò che è marcio, falso, equivoco e lascia scoperto ciò che è essenziale. Lo spostamento dei sindacati a destra è stato causato dall’acutizzarsi delle contraddizioni tra le classi e tra gli Stati. I dirigenti sindacali hanno fiutato o capito, oppure gli è stato fatto capire, che questo non era il momento di mettersi a giocare agli oppositori.

Qualsiasi movimento verso l’opposizione all’interno del movimento sindacale, specialmente se avviene tra i dirigenti, minaccerebbe di provocare enormi convulsioni tra le masse lavoratrici, e ciò metterebbe in difficoltà l’imperialismo. Questa è la ragione dello spostamento a destra della direzione del sindacato e della soppressione della democrazia interna. La caratteristica fondamentale del periodo, la svolta verso regimi totalitari, trafigge il movimento operaio in tutto il mondo.

Dovremmo citare come esempio anche l’Olanda, dove i riformisti e il movimento sindacale non erano semplicemente un pilastro affidabile del capitalismo imperialista, ma dove anche le organizzazioni cosiddette anarcosindacaliste erano sotto il controllo del governo imperialista. Il segretario di questa organizzazione, Sneevliet, in barba alle sue platoniche simpatie per la Quarta Internazionale, era – in qualità di deputato del parlamento olandese – molto preoccupato che la rabbia del governo si abbattesse sulla sua organizzazione sindacale.

Negli Stati Uniti il “Department of Labor”, con la sua burocrazia sinistrorsa, ha come proprio compito la subordinazione dei movimento sindacale allo Stato democratico e – dobbiamo ammettere – ha assolto questo compito con un certo successo.

La nazionalizzazione delle ferrovie e dei pozzi petroliferi in Messico, naturalmente, non ha nulla a che vedere col socialismo. Si tratta di una misura di capitalismo di Stato in un paese arretrato che in questo modo tenta di difendersi da un lato dal capitalismo straniero, dall’altro dal suo proletariato.

L’amministrazione delle ferrovie, dell’industria petrolifera, ecc., attraverso le organizzazioni dei lavoratori non ha nulla in comune con il controllo operaio sull’industria, dato che tale amministrazione viene effettuata alla fine dei conti dalla burocrazia operaia, che è indipendente dai lavoratori mentre è al contrario assolutamente dipendente dallo Stato borghese. Tale misura da parte della classe dominante persegue l’obiettivo di disciplinare la classe operaia, spingendola ad una maggiore industriosità al servizio dei comuni interessi dello Stato, che in superficie sembrano fondersi con gli stessi interessi della classe operaia. Alla fine dei conti il vero obiettivo della borghesia consiste nel liquidare i sindacati in quanto organi della lotta di classe e sostituirli con la burocrazia sindacale in quanto strumento di direzione da parte dello Stato borghese sulle masse operaie. In tali condizioni il compito fondamentale dell’avanguardia rivoluzionaria è quello di lottare per la completa indipendenza delle organizzazioni sindacali e per l’introduzione di un vero controllo operaio sull’attuale burocrazia sindacale, che è stata trasformata in organo amministrativo delle ferrovie, dell’industria petrolifera, e così via.

Gli avvenimenti dell’ultimo periodo (prima della guerra) hanno rivelato con particolare chiarezza che l’anarchismo, che da un punto di vista teorico è sempre stato liberalismo portato alle sue estreme conseguenze, era in realtà nulla più di propaganda pacifica all’interno della repubblica democratica, della cui protezione aveva bisogno. Se tralasciamo gli atti di terrorismo individuale l’anarchismo, come sistema di movimenti e politiche di massa, consisteva solo di materiale di propaganda sotto la protezione pacifica delle leggi. In condizioni di crisi gli anarchici hanno sempre fatto il contrario di quello che insegnavano in tempi di pace. Questo è stato rilevato da Marx stesso in relazione alla Comune di Parigi, lo stesso si è ripetuto su scala incommensurabilmente più vasta nell’esperienza della Rivoluzione spagnola.

I sindacati democratici nel vecchio senso del termine, cioè organismi dove all’interno della struttura di una e unica organizzazione di massa le diverse tendenze lottavano in modo più o meno libero per l’egemonia, non possono più esistere. Allo stesso modo in cui è impossibile resuscitare lo Stato borghese democratico, è impossibile anche riportare la vecchia democrazia operaia.

Il destino dell’una riflette quello dell’altro. Necessariamente l’indipendenza dei sindacati, nel senso di classe del termine, in relazione allo Stato borghese può, nelle attuali condizioni, essere assicurata soltanto da una direzione assolutamente rivoluzionaria, cioè la direzione della Quarta Internazionale. Tale direzione, naturalmente, deve e può essere razionale ed assicurare ai sindacati il massimo di democrazia concepibile nel quadro delle attuali condizioni, ma al di fuori della direzione politica della Quarta Internazionale l’indipendenza di classe dei sindacati è impossibile.