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Il rifiuto del metodo della delega primo passo per il ritorno al sindacato di classe (da “Il Partito Comunista”, n.29, 1977)
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Il metodo dell’iscrizione per delega è veramente caratteristico, è il cavallo di battaglia di un sindacato che non è più un organo di lotta ma si avvia a diventare un organo “legale” dello Stato. La delega è il centro del meccanismo disciplinare e burocratico messo in piedi dai vertici sindacali contro i lavoratori. Il rifiuto di questo infame meccanismo è, perciò, importante: costituisce l’inizio di una battaglia che non si conclude in un giorno e che può finire soltanto in due modi: o con l’abbattimento dei vertici attuali e la riconquista del sindacato ai metodi della lotta di classe, o con la sua definitiva immissione, anche formale, nel meccanismo statale, previa esclusione, naturalmente, dei lavoratori più combattivi e coscienti dall’organizzazione. I sindacati operai, gli organismi che i lavoratori avevano creato per la difesa delle loro condizioni di vita, stanno inesorabilmente facendo questa strada se i lavoratori non reagiscono con forza. La delega è uno degli aspetti di questo percorso. Essa è ben altro che un mezzo tecnico: è una necessità per la politica dei vertici sindacali tricolore che tende all’inserzione dei sindacati nell’apparato statale.
La politica dei vertici sindacali tricolore si può sinteticamente qualificare nel modo seguente: difesa ad ogni costo dell’economia nazionale e delle istituzioni dello Stato borghese, intese come bene comune a tutto il popolo, di fronte al quale devono tacere gli “interessi particolari” delle categorie sociali e della classe operaia. È la tesi di Mussolini e della Carta del Lavoro fascista. Gli operai hanno il diritto di difendere le loro condizioni di vita solo ed in quanto questa difesa non urta contro le “superiori esigenze” della nazione, della patria, dello Stato. Quando l’economia nazionale va male essi hanno il dovere di “fare dei sacrifici”.
Da questa politica deriva, come conseguenza necessaria, lo svolgimento della prassi e della struttura del sindacato stesso: durante il periodo del Boom economico, come i minimi miglioramenti delle condizioni operaie non urtavano necessariamente contro le esigenze di sopravvivenza del regime capitalistico, così era possibile far ricorso allo sciopero, sebbene in forme “legali” e la struttura organizzativa del sindacato poteva essere relativamente libera e relativamente collegata alla base. Ma, man mano che la crisi si profila all’orizzonte e le condizioni dei lavoratori cominciano a peggiorare, la politica della “patria innanzi tutto” porta logicamente a un irrigidimento delle strutture sindacali.
Siccome i lavoratori reagiscono istintivamente allo schiacciamento padronale, la struttura sindacale, diretta da questa politica, deve per forza diventare un meccanismo di controllo e di soffocamento anche delle minime spinte operaie. Diventa perciò pericoloso anche quel minimo di “libertà” che era ammessa nel periodo precedente: bisogna fare in modo che nessun operaio combattivo raggiunga il vertice dell’organizzazione. Perciò viene intensificata la creazione di dirigenti “di carriera” (sempre più funzionari preparati nelle scuole, “esperti”, “legulei”, sempre meno operai disposti alla lotta ai vertici dell’organizzazione).
Bisogna fare in modo che i lavoratori, spinti sempre più a battersi, non riescano ad influenzare il vertice sindacale, e allora si instaura il metodo della delega. Prima gli umori della base arrivavano al vertice immediatamente: il collettore costituiva un collegamento naturale fra il vertice territoriale, a cui versava le quote, e i lavoratori da cui le raccoglieva. Il tesseramento e la raccolta delle quote, essendo volontaria, era occasione di propaganda, di discussione, di scontro fra i lavoratori. Con la delega l’organismo sindacale non ha più contatti diretti con i lavoratori sui posti di lavoro. Il rapporto fra i lavoratori di un’azienda, per esempio, e il loro sindacato diventa un rapporto indiretto, burocratico. In pratica possono passare anni senza che un lavoratore veda un attivista sindacale.
Nello stesso tempo la iscrizione non è più realmente volontaria, il sindacato si presenta sempre più ai lavoratori non come un loro organo a cui essi partecipano attivamente tutti i giorni con le loro forze, la loro volontà, il loro denaro, un organo mantenuto da loro stessi e subordinato a loro stessi. Il lavoratore che si sentiva scontento della politica sindacale reagiva immediatamente, prima, con il collettore: era libero di non dargli i quattrini per quel mese. Il collettore, a sua volta, si presentava alla Camera del Lavoro con pochi soldi e doveva riferire il malcontento ecc. Oggi il lavoratore sceglie una volta per sempre di pagare la delega; può revocarla solo con un atto formale di deroga che è lungo e complicato. La trattenuta sindacale si presenta a lui come un fatto legale, burocratico: è una trattenuta come tutte le altre e passa attraverso l’ufficio contabile del padrone.
E questo è il secondo aspetto: il finanziamento del sindacato è nelle mani degli uffici padronali e statali. È un formale trattato di pace tra sindacati e padroni. Perché soltanto un sindacato che non ha nessuna intenzione di combattere realmente contro il padronato e contro lo Stato può permettere che i suoi mezzi finanziari vengano riscossi dal padrone.
Soltanto un sindacato che trae la sua forza sempre di più non dalla combattività dei lavoratori e dalla sua influenza su di essi in quanto loro organo di combattimento, ma dai diritti legali e giuridici che lo Stato gli attribuisce, cioè che diventa sempre più un organo legale dello Stato, può pensare al suo finanziamento non più come sforzo e iniziativa di lotta dei lavoratori che spontaneamente sostengono la loro organizzazione, ma come “diritto legale” da far valere, all’occorrenza, contro i lavoratori stessi. È chiaro che, se si dovesse condurre uno sciopero vero, come battaglia e non come pacifica dimostrazione, un sindacato del genere non potrebbe condurlo, anzi, proprio istituendo il metodo del finanziamento per delega esso dichiara di non volerlo condurre.
Il sindacato dunque si presenta sempre più ai lavoratori come un ente estraneo che trae la sua forza non dalla lotta e dall’iniziativa dei lavoratori, bensì dalle leggi dello Stato e dai diritti che esso gli attribuisce. La sua forza non deriva più dalla fiducia che i lavoratori hanno verso di esso, in quanto, bene o male, vi riconoscono la loro utile organizzazione di battaglia, ma dal “diritto” che lo Stato e il padronato gli riconoscono, di “rappresentare” i lavoratori anche loro malgrado, anche contro la loro volontà. È questa la prassi a cui il sindacato è sospinto inesorabilmente dalla sua politica di collaborazione di classe e di subordinazione degli interessi proletari a quelli della produzione e della nazione. È il percorso inesorabile dei sindacati tricolore, percorso che il Partito descrisse fin dal 1945 e che li porterà, se non si innesta una violenta reazione proletaria, a divenire dei veri e propri organi dell’apparato statale. Questa prassi procederà sempre più man mano che la crisi avanza, perché la politica a cui si sono votati i vertici sindacali li porterà a predisporre strumenti sempre più rigidi di compressione delle spinte dei lavoratori, che da parte loro, diverranno sempre più forti.
Ecco perché il Partito lancia a tutti i lavoratori, coscienti e decisi a riconquistare con tutti i mezzi le loro organizzazioni sindacali alla difesa esclusiva dei loro interessi di classe, l’appello a rifiutare il metodo infame della iscrizione per delega e a rivendicare l’iscrizione al sindacato secondo il metodo del tesseramento diretto. Si tratta di recidere uno dei legami ormai innumerevoli che imprigionano l’organismo sindacale alle dipendenze della borghesia e del suo Stato e che lo rendono impotente a combattere per la difesa degli interessi proletari. Uno dei legami più caratteristici e più vergognosi! È l’inizio di una battaglia che tutta la classe proletaria dovrà condurre per ricostituire i suoi veri sindacati di classe, organi indispensabili e insostituibili, sotto la guida del Partito rivoluzionario comunista, della battaglia per la distruzione violenta del regime borghese e per la dittatura proletaria.