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Il partito non nasce dai “circoli” (1980) |
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L’articolo che qui ripubblichiamo fu scritto nel 1980, a poco più di sei anni da una separazione, da un partito nel quale molti di noi avevano militato sin dalla sua nascita, attuata con una manovra, che definimmo sporca, sulla quale l’articolo torna nella parte finale.
L’occasione fu data da una delirante affermazione dei nostri ex compagni, secondo la quale fino a quel momento avremmo attraversato una fase di circoli ed era ormai venuto il momento di costruire il partito vero. Ma l’articolo è una lucida riaffermazione in generale dei cardini dell’esistenza della compagine comunista, del suo modo di lavorare e dei rapporti tra compagni, aspetti vitali della sua stessa esistenza come organo politico rivoluzionario.
Nell’affermazione di cui sopra si parlava di un campo rivoluzionario, da filtrare per così addivenire alla costruzione del grande partito. Ovviamente era funzionale a questa operazione una diminutio del nostro partito a circolo, o accozzaglia di circoli, nei quali sarebbe stata curata soltanto l’elaborazione della teoria.
In questo ci si richiamava all’esperienza bolscevica, che in effetti ebbe a che fare con i circoli. Ma la somiglianza si ferma qui. È vero che alla fine del XIX secolo, a causa della repressione zarista, le organizzazioni più grandi erano state disperse e i socialisti erano costretti a riunirsi solo localmente, senza collegamenti; questo aveva dato luogo a gruppi ovviamente eterogenei, con teorizzazioni le più varie. Si trattava nella maggior parte dei casi di sinceri socialisti, che ambivano a battersi per rovesciare zarismo e capitalismo.
Ma, a differenza di quanto le varie carogne del politicantismo vogliono far credere, Lenin non fece mai filtraggi, compromessi sulla teoria o sulla tattica al fine di costruire il partito, al contrario martellò sempre sull’intransigenza del marxismo originario e monolitico, “granitica base teorica”, scrive nell’”Estremismo”, marxismo che conosceva alla perfezione, come è testimoniato dalla sua produzione teorica e polemica di quegli anni. Si era sì verificata allora l’esistenza di un campo rivoluzionario, che Lenin contribuì grandemente ad accompagnare nella sua maturazione in partito, centralizzato e disciplinato in quanto informato alla unica dottrina e all’unico programma del comunismo, che l’avrebbe guidato alla Rivoluzione d’Ottobre.
Nemmeno precedentemente la teoria rivoluzionaria era sortita da un filtraggio, nelle mediazioni tra gruppi diversi, non nel 1848, non nel 1903. E non è stato così per la nostra corrente di Sinistra nel Partito Socialista Italiano che dalla sua costituzione, alla fine della guerra 1914-18, ha vantato basi teoriche perfettamente in linea con Marx. E anche con Lenin, che ancora non conoscevamo.
Pensare, nel 1980, che si potesse portare sulla corretta dottrina marxista, ammesso che se ne disponesse una qualche primogenitura, gruppi e organizzazioni di aree di ribellismo borghese, che da sempre pullulano intorno al partito del comunismo, di far loro accettare il verbo marxista in virtù di non si sa quali astuzie e manovrette, era solo velleitarismo antimarxista. Era opportunismo: si diceva di voler filtrare, ma il vero proposito era di far filtrare il partito, di farne un circolo fra i circoli.
Di qui l’articolo, che secondo il nostro metodo molto poco offre alla polemica, e ribadisce in positivo le caratteristiche fondamentali del partito comunista di sempre. Già nel 1980 gli anni passati dalla consumata nostra espulsione le dimostravano irrinunciabili per mantenere diritta la barra sul percorso che porta alla rivoluzione del proletariato. E i decenni che da allora sono seguiti non hanno che confermato quelle affermazioni e quelle previsioni.
* * *
(da “Il Partito Comunista”, n. 68, 1980)
La funzione essenziale del partito politico è quella, detta in termini letterali della Sinistra Comunista, di non staccarsi mai dal “partito storico”, dal programma, dalla tradizione. L’organizzazione politica del partito è un’organizzazione speciale, diversa e opposta a tutti gli altri partiti, perché incarna il programma della classe proletaria, del comunismo. Premesso questo, ne discende che la storia del partito politico è la storia della conquista da parte della classe della coscienza del comunismo.
Come sarebbe assurdo e antistorico pensare che il proletariato adotti oggi la tecnica militare delle barricate, così è altrettanto assurdo e antistorico ritenere che il partito politico debba passare dalla “fase di circolo” prima di diventare un partito “compatto e potente”. Ciò equivarrebbe, in campo teorico, ad ammettere che prima di oggi non è esistita alcuna attività storica della classe e che bisogna riscrivere il Capitale, che la classe non ha “memoria storica”.
La “fase del circolo” è tipica della Russia fine Ottocento e non ha riscontro nell’Europa occidentale, a forte sviluppo industriale capitalistico, tanto è vero che Lenin prende a “modello” di partito la Socialdemocrazia tedesca per unificare i circoli socialisti russi in un unico partito politico nazionale.
Il proletariato mondiale ha ormai dietro di sé una storia formidabile in ogni campo per cui non ha bisogno di ripartire da zero ogni volta che subisce una sconfitta. D’altronde ciò sarebbe incompatibile, tra l’altro, con lo sviluppo, la concentrazione e la centralizzazione delle forze produttive, da cui sorge quasi meccanicamente la necessità di un partito mille volte più centralizzato non solo come organizzazione ma anche come attività teorica.
L’angustia del “circolo” è attributo tipicamente piccolo borghese, dove domina l’incapacità alla elaborazione dottrinale, l’assenza di principi e di programma, dove l’aspirazione massima è quella dell’associazione federativa, come presso gli anarchici.
Con l’avvento della Terza Internazionale Comunista, con centro unico mondiale, avviata verso il Partito Comunista Internazionale, la classe operaia ha acquisito quella che Lenin chiamava “coscienza organizzativa”, il contenuto programmatico, tattico, la dimensione planetaria, la struttura piramidale della sua organizzazione politica.
La Sinistra Comunista, dopo la distruzione del Comintern, ne è la depositaria.
Dalla fine della Seconda Guerra imperialista, incarnata nel piccolo Partito
Comunista Internazionale, svolge il compito di raccordo tra l’ieri fecondo
ed eroico e il domani rivoluzionario e vittorioso, in una incessante opera
di restauro della dottrina e di ricostruzione dell’organizzazione politica.
Tenace e coerente lavoro di Partito
Lenin usava l’espressione “embrione di partito”, la Sinistra “piccolo partito”, a significare che per arrivare al “grande partito” non occorreva stravolgere le prerogative e le forme del partito tout court. Per passare dal partito-embrione al partito adulto non v’è bisogno di “svolte”.
L’organizzazione politica in embrione merita l’appellativo di partito solo ed in quanto svolge le sue funzioni proprie con coerenza e fedeltà alla dottrina e al programma. Da un diverso “embrione” non si passa al grande partito, ma la partito nemico. L’embrione, come si sa in biologia, contiene, alcune in potenza altre meno o più delineate, le funzioni essenziali e fondamentali dell’organo maturo ed adulto.
La riprova di questa considerazione è la vita e il lavoro svolto dal “piccolo partito” lungo l’arco dei trent’anni. Un lavoro non solo nel campo della teoria e della dottrina, ma anche in quello economico-sindacale, della propaganda e del proselitismo, dell’organizzazione e della vita interna.
Sono le nostre Tesi sul centralismo organico del 1965-66, impegnative per tutti coloro che si professano comunisti rivoluzionari, che confermano queste asserzioni. Ricordano «che il partito non può non risentire dei caratteri della situazione reale che lo circonda», situazione oggi nettamente sfavorevole, ma per questo «non deve rinunciare a resistere, ma deve sopravvivere e trasmettere la fiamma lungo lo storico “filo del tempo”. È chiaro che sarà un partito piccolo, non per nostro desiderio ed elezione, ma per ineluttabile necessità».
Quanto alla struttura di questo piccolo partito, «non vogliamo un partito di setta segreta o di élite, che rifiuti ogni contatto con l’esterno per mania di purezza. Respingiamo ogni formula di partito operaio e laburista (...) Non vogliamo ridurre il partito ad un’organizzazione di tipo culturale, intellettuale e scolastico (...) Nemmeno crediamo, come certi anarchici e blanquisti, che si possa pensare ad un partito di azione armata cospirativa e che tessa congiure».
Il fatto che si sia dovuto impiegare le maggiori energie per l’azione
storica contro «le falsificazioni e la distruzione della teoria e della
sana dottrina», «non per questo dobbiamo calare una barriera fra teoria
ed azione pratica; poiché, oltre un certo limite, distruggeremmo noi stessi
e tutte le nostre basi di principio». «Rivendichiamo, dunque, tutte le
forme d’attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in cui i
rapporti reali di forze lo consentono». E non solo le rivendichiamo ma,
là dove le condizioni materiali ce lo permettono, le pratichiamo. «La
vita del partito si deve integrare ovunque e sempre senza eccezioni in
uno sforzo incessante di inserirsi nella vita delle masse ed anche nelle
sue manifestazioni influenzate dalle direttive contrastanti con le nostre
(...) In molte regioni il partito ha ormai dietro di sé una attività
notevole [nel campo economico-sindacale], sebbene debba sempre affrontare
difficoltà gravi e forze contrarie, superiori almeno statisticamente».
“Attività” notevole, dunque e “Azione” teorica, sentenziano le nostre tesi. Finché dura questo già lungo, e per la nostra passione rivoluzionaria troppo lungo, periodo sfavorevole, il partito sarà costretto, non per sua scelta, alla “attività” politica, di propaganda, di proselitismo, di polemica, e alla “azione” teorica. Il campo di intervento non può che essere circoscritto e i suoi strumenti limitati prevalentemente alla stampa per la diffusione del programma rivoluzionario.
Malgrado questo limite, relativo e temporale, il partito si sforza sempre di passare dall’attività all’azione, dalla propaganda e dal proselitismo all’agitazione alla mobilitazione, per esercitare la sua influenza sugli operai. Guai, però, a credere che basti la mera volontà per rovesciare le proporzioni del nostro lavoro, perché, per dirla con Lenin, «quando più grande è la spinta spontanea delle masse, quanto più il movimento si estende, tanto più aumenta – in modo più incomparabilmente più rapido – il bisogno di coscienza nell’attività teorica, politica organizzativa» del partito.
Il passaggio dall’attività all’azione è atteso dal partito, è cercato dai suoi militanti come l’elemento naturale in cui finalmente si può dispiegare tutta l’energia per lungo tempo contenuta e repressa per forza della superiore pressione nemica. Se così non fosse, se il partito dovesse apprendere con un “comunicato” ufficiale e con decisione improvvisa, inattesa, che è giunta l’ora di passare all’azione, allora l’organizzazione subirebbe un trauma mortale.
Tutto il lavoro svolto dal partito, all’esterno e soprattutto all’interno, ha teso e tende a preparare la sua piccola organizzazione ad abilitarsi per tradurre in precisi e specifici atti politici il suo formidabile programma storico, nelle condizioni date. In questo consiste la preparazione del partito, nel saggiare le ancora avverse condizioni materiali alla penetrabilità dell’azione del partito. Non ricorrendo a facili escamotage o a dubbie manovre, che alla fine ci porterebbero noi ad essere penetrati dall’azione avversaria, inquinatrice della organizzazione e distruttrice delle nostre basi programmatiche, ma con assoluta aderenza alle radici della tradizione e del programma.
Per disorientare il partito ci vuole poco, basta metterlo dinanzi ad una manovra brusca, investirlo con una “scoperta” dell’ultima ora, come per esempio la bubbola dell’esistenza di un “campo rivoluzionario” al di fuori del partito, per l’innanzi negato, e di conseguenza la sollecitazione a tendere le mani della organizzazione agli squinternati “rivoluzionari” che pullulano nello studentame e nel professorame, negli ambienti delle smidollate mezze classi. Basta questo per demolire il lavoro di decenni, o, comunque, ammesso che l’errore possa essere rettificato, per ritardare o compromettere la preparazione del partito e la sua dilatazione.
Il “bisogno di coscienza” nel partito è un imperativo categorico. È necessario che il partito sappia con anticipo, abbia la consapevolezza radicata di quello che fa e di quello che si accinge a fare, delle conseguenze che comporta ogni impresa ogni “passaggio”, dei riflessi che ne derivano all’organizzazione.
La “azione teorica” del partito è per un verso anche “attività politica”, nel senso che ci si è serviti dell’elaborazione teorica come un’arma, i cui organi di diffusione sono il giornale e i militanti stessi, per il cui mezzo il partito si è messo in contatto fisico con la classe e in contrasto diretto con le false ideologie e i falsi partiti e sindacati operai. La superficie di contatto con la classe e con il nemico, ammoniscono le nostre tesi, si dilata per effetto di quest’azione incessante, combinata con la maturazione della crisi del capitalismo.
Il giornale, organo del partito, non ha fatto che riflettere l’attività e l’azione del partito. Mano mano che la prassi del partito si svilupperà ed estenderà, anche il giornale politico si svilupperà ed estenderà la sua penetrazione e la sua influenza nella classe. Se così non fosse ci troveremmo dinanzi ad un giornale che va per conto suo rispetto alla reale attività del partito, che non riflette la reale condizione dell’organizzazione, sarebbe mera espressione di volontà, e cadrebbe nel volontarismo e nell’attivismo. Al contrario, si cadrebbe nello “accademismo” se ci si rifiutasse di dilatare l’attività politica e di intraprendere l’azione politica là dove possibile. Ma questo nel vero partito non si è mai verificato e non può verificarsi, almeno che non perda il giusto orientamento.
Per questo non si deve dar credito alla teoria della “fase di circolo”
che il nostro partito avrebbe attraversata e non ancora compiuta, comoda
teoria per giustificare i passi falsi dei nostri detrattori – con i quali
non si è esitato a spezzare il piccolo partito, gettandolo nella incomprensione
e nell’imbarazzo – le brusche “svolte” e gli improvvisi ritorni, negando
la sua antica invidiabile efficienza organizzativa nei campi dell’attività
e dell’azione.
È troppo comodo sostenere: “ormai è avvenuto, e anche se abbiamo sbagliato non si può tornare indietro”. Teorizzare la “fase di circolo” e poi darsi l’aria di costruire il “grande partito” porta diritto a ritenere che il partito si dilaterà e si potenzierà oltre il perimetro attuale, non in forza della sua attività propria, ma in virtù dei “circoli”, cioè con l’intrallazzo con gli ambienti piccolo-borghesi nei quali e dai quali nascono i “circoli”. Dare ad intendere queste false costruzioni serve a giustificare il burocratismo nell’organizzazione e la coartazione nella vita interna del partito, a trasformare la disciplina in un dominio dall’alto sul partito, senza il quale appunto, i “circoli” non possono essere tenuti insieme.
Il vero partito non è nato dai circoli né crescerà passando per la “fase di circolo”. Tutta la storia della Sinistra Comunista lo dimostra e lo conferma.
È altrettanto falso ritenere che la “fase di circolo”, ammesso e non concesso che il partito l’abbia percorsa o stia ancora percorrendola, sia superabile con espedienti organizzativi, con il ricorso alla disciplina, con invenzioni del tipo “il giornale politico”, come se Lenin avesse operato nel campo della organizzazione, del lavoro, della disciplina, senza prima battere in breccia le falsificazioni del socialismo diffuse dagli “economicisti” dell’epoca e dai vari gruppi socialisti. Se questo credessimo al 1980, nell’area della rivoluzione univoca, si falsificherebbe Lenin, se ne mistificherebbero le potenti lezioni. Scimmiottando l’esperienza russa per la costruzione del partito si perverrebbe al risultato opposto a quello cui pervennero il bolscevismo e la Sinistra Comunista italiana, ci troveremmo un partito composto da “gruppi” o “circoli”, la cui vita sarebbe sottoposta a continue lotte politiche e conseguenti lacerazioni al suo interno, nulla opponendo il delirante “filtraggio” di micro-organizzazioni politiche, di natura opposta a quella del vero partito.
(da “Il Partito Comunista”, n. 69, 1980)
L’organizzazione e la disciplina come formula magica, come “apriti sesamo” nella questione della costruzione del partito politico, è derivata dagli automatismi militareschi e burocratici. Il partito ha una concezione opposta a quella della borghesia rispetto all’organizzazione, alla struttura e ai percorsi ordinativi della disciplina alle disposizioni centrali.
Soltanto nel campo dell’organizzazione militare di partito si esige dalla organizzazione complessiva disciplina anche meccanica, ma il meno possibile inconscia, come si trova anche in Lenin. Il che presuppone una preparazione del partito tale che nulla appare improvvisato e inatteso. Non a caso i celebri “commissari politici” dell’armata rossa altro non erano che la voce del partito, superiore in linea gerarchica e politica ai “comandanti” militari. Per loro tramite il partito non solo controllava la struttura e l’apparato di classe, ma instillava soprattutto nei proletari combattenti la passione e la coscienza comunista.
Non è mai stata posizione della Sinistra nel campo dell’organizzazione quella di ripartire i militanti in “specialisti”, “esperti” nelle specifiche funzioni dell’articolata attività del partito. Uno dei mezzi per ridurre al minimo le conseguenze negative della “routine” nel partito, è quello di sollecitare i compagni a svolgere il loro lavoro in ogni funzione e organo, perché già nel partito attuale vogliamo sforzarci di tendere a spezzare concretamente la divisione tecnica del lavoro. Il partito deve essere in grado di forgiare compagni capaci di rispondere ad ogni funzione, di scoraggiare nei singoli ogni personale “vocazione” che non sia quella di lavorare per il partito, nel partito, agli ordini del partito.
Ci soccorre in questo la storia della Sinistra Comunista, che ci ricorda come tutti i compagni, in qualsiasi nodo della struttura organizzativa il partito li avesse ordinati, si occupavano delle lotte rivendicative e sindacali del proletariato, non pensando minimamente di invadere campi di “competenza” altrui né di non essere alla “altezza” per mancanza di “specializzazione”. La nostra antica ed aspra polemica con i futuri rinnegati circa l’organizzazione del partito sulla base delle “cellule”, come organi strutturali aziendali, anziché su base territoriale, ribadisce la necessaria aspirazione a lavorare e progredire per rompere specializzazioni, tecnicismi, limitazioni, chiusure, bagaglio allora di gerarchie “di ferro”, con cui l’opportunismo stritolava il partito, contrabbandando per “bolscevismo” stupide esercitazioni burocratiche e gerarchiche, anziché sostenerlo con l’organico impiego di tutte le forze militanti.
Il trasporto all’oggi delle potenti lezioni di Lenin, nel campo della costruzione dell’organizzazione politica, non può prescindere dal processo storico intercorso, segnato dalle pietre miliari della Rivoluzione d’Ottobre e della Terza Internazionale Comunista, cuspidi dell’esperienza storica del proletariato rivoluzionario mondiale. Se per la ricostruzione del partito non si usassero i materiali migliori selezionati dalla storia, ma si impiegassero quelli superati e scaduti non lavoreremmo ad edificare il partito comunista internazionale come potente forza sociale, ma a costruire un aborto di partito, una organizzazione politica che ostacolerebbe la rinascita del partito. Trasferita la questione nel campo della tattica, sarebbe come se applicassimo i moduli operativi propri dell’azione del partito nella fase di rivoluzione doppia, alla fase della rivoluzione univoca.
Seguendo questo corretto criterio di determinismo storico-dialettico, abbiamo lottato per più di 56 anni al fine di costruire un partito comunista unico e mondiale, non per una riedizione della Lega dei Comunisti o della Associazione Internazionale dei Lavoratori, organi rivoluzionari di classe nel 1848 e nel 1866, utopie nel 1980, se non proprio reazionarie almeno di dubbia provenienza.
I falsificatori della Sinistra sostengono che se non viene superata la “fase di circolo”, durante la quale – si badi bene! – sarebbero stati ripristinati il programma e la teoria, non si potrà ricostruire il partito politico. Bella scoperta quella di ricostruire programma e teoria senza nel contempo, giorno dopo giorno, ricostruire l’organizzazione! Come se il ripristino delle basi fondamentali, programmatiche e teoriche, non fosse attività, lotta, azione di una organizzazione, magari piccola, ma sempre di una organizzazione politica.
Uno dei nostri opuscoli più significativi porta il titolo “In difesa della continuità del programma comunista”. In esso sono contenute le Tesi della Sinistra, da quelle della Frazione Comunista Astensionista del 1920 al corpo di Tesi del 1965-66, dette del Centralismo organico. Queste Tesi cristallizzano le nostre posizioni fondamentali nell’arco di ben 46 anni, in perfetta continuità tra di loro. Racchiudono le fasi salienti della lotta rivoluzionaria dei comunisti per la costruzione, la ricostruzione e la difesa del partito alla scala mondiale, dell’organo fondamentale primario per un nuovo “assalto al cielo”. È proprio nelle Tesi del luglio 1965 che si legge espressamente, correggendo chi voleva che ci riducessimo ad un setta di marxologhi e negava la qualifica di partito alla nostra piccola organizzazione: «Prima di lasciare l’argomento della formazione del partito dopo la seconda grande guerra, è bene riaffermare alcuni risultati che oggi valgono come punti caratteristici per il partito in quanto sono risultati storici di fatto, malgrado la limitata estensione quantitativa del movimento, e non scoperte di inutili genii o solenni risoluzioni di congressi sovrani». Segue l’elenco dei “risultati storici, di fatto”, acquisiti dal “piccolo partito”, tra cui primeggia quello di «non concepire il movimento come una mera attività di stampa propagandistica e di proselitismo politico», ma «in uno sforzo incessante di inserirsi nella vita delle masse», con il che «va respinta la posizione per cui il piccolo partito si riduce a circoli chiusi senza collegamento con l’esterno»; ed infine, il perentorio richiamo a non frazionare l’organizzazione, a non «suddividere il partito o i suoi raggruppamenti locali in compartimenti stagni che siano attivi solo in uno dei campi di teoria, di studio, di ricerca storica, di propaganda, di proselitismo e di attività sindacale, che nello spirito della nostra teoria e della nostra storia sono assolutamente inseparabili e in principio accessibili a tutti e a qualunque compagno».
Le posizioni complessive, enunciate in forma di tesi, cioè in modo
positivo, non costituiscono un bel libro finemente rilegato da collocare
in libreria, ma regole di vita pratica, con cui la piccola organizzazione
in tanto si forma e si irrobustisce in quanto lotta per affermarle, attuarle
e per difenderle dai nemici e da falsi amici.
L’organizzazione politica del partito, quindi si forgia e si struttura per mezzo dell’aderenza perfetta delle sue funzioni e dei suoi compiti specifici e complessivi al programma e alla tradizione del marxismo rivoluzionario. Non vi si surroga con espedienti organizzativi e disciplinari.
Detrattori della Sinistra ripetono da sette anni che sinora il partito ha vissuto “una fase di circolo” e che per uscirne è necessario prendere delle misure organizzative e financo disciplinari.
In 35 anni nessuno si era accorto di aver vissuto nei circoli e tra i circoli. Soltanto i teorici della “fase di circolo” hanno avuto questa potente illuminazione. Così falsamente teorizzando, i “dottrinari” dell’ultima ora accreditano la menzogna che il partito politico nasce dopo aver superato la “fase di circolo”, nella quale avrebbe avuto la sua incubatrice. Così assistiamo ad una nuova serie storica: prima “i circoli”, poi, con operazione organizzativa e disciplinare, “il vero partito”.
“I circoli”, in realtà, sono una invenzione dei detrattori della Sinistra, per giustificare i loro falsi teoremi politici, le loro bizzarrie interpretative, le loro insane misure organizzative e disciplinari per “dominare” la “fase di circolo” della organizzazione.
Con lo stesso fine furono inventate dall’Esecutivo di Mosca in degenerazione le “frazioni” dell’Internazionale, per “combatterle” e per annientare la Sinistra. Quante volte, e con forza incomparabilmente maggiore della nostra, le vecchie generazioni di comunisti di sinistra ripeterono queste stesse considerazioni nei congressi nazionali e internazionali ai dirigenti massimi e minimi del movimento comunista. Quante volte ci siamo sentiti ripetere che erano ubbìe di visionari, che eravamo dei “frazionisti” e tanto bastava per essere cacciati dal partito con l’accusa infamante di traditori.
È facile oggi constatare la fine ignobile di quei “bolscevichi di ferro”, ma è molto più difficile capire fino in fondo per quale strada gli usurpatori della rivoluzione hanno tradito il comunismo, hanno distrutto il partito. Anche allora ci sentivamo ripetere la dottrina borghese del “fine che giustifica i mezzi”, attribuita ignobilmente a Lenin, come se fosse indifferente il mezzo rispetto al fine, come se non ci fosse invece, uno stretto rapporto dialettico tra i mezzi da impiegare e i fini da raggiungere. Quando (Tesi di Roma, Lione, ecc.) abbiamo svolto questi temi centrali, ci siamo sentiti accusare di “dottrinari”, “accademici”, di voler un partito “disincarnato”.
L’aspetto più vergognoso di questa falsa dottrina è che si tenta di gettare un velo di silenzio su 35 anni di lavoro e di lotte, nei quali si è forgiato una piccola organizzazione, come se durante un terzo di secolo non si fosse faticato per preparare il partito, ma un mucchio di “circoli”.
A rafforzare questa tesi si è artificiosamente separato il lavoro di
“ricostruzione della dottrina” da quello della ricostruzione del partito
politico, attribuendo il primo non alle forze del partito, ma al “genio”,
al quale è stata fatta la traditrice riverenza di pubblicare le “opere”
post-mortem, con tanto di nome e cognome.
La conservazione delle forze, soprattutto in questa fase negativa che perdura da 54 anni, è funzione organizzativa di prim’ordine del piccolo partito. È una consegna che data dai tempi di Marx ed Engels ed ha permesso la trasmissione dell’intatta dottrina da una generazione all’altra di comunisti rivoluzionari. Guai a rompere questa consegna con pretestuose “fasi” e “svolte”. Si è nel partito non per effetto di una adesione formale, né per una disciplina quale che sia, ma per fedeltà incrollabile al programma e alla organizzazione che la esprime, pratica, difende.
Non è un unitarismo formale, nocivo quanto il frazionismo, ma neppure la sciocca e vile presunzione di essere un nucleo di eletti, baciati dalla storia, cui tutto sia permesso, di negare oggi quello che si è affermato ieri.
La decantata “selezione delle forze” non è una premessa ma una conseguenza della lotta rivoluzionaria. Quando viene invocata per reprimere le forze del partito, che non si “trovano a disagio” dinanzi all’arduo compito di marciare contro corrente, dobbiamo pensare di trovarci in presenza di una degenerazione mortale, non di una pratica che irrobustisca l’organizzazione.
Non sono considerazioni morali né estetiche, ma patrimonio della Sinistra. Sostenere che non sono mature le “condizioni” per realizzarle, equivale a negarle e di conseguenza a preparare, alla lunga, la sconfitta della rivoluzione.
Non permettere mai ad alcuno di attentare all’integrità programmatica e organizzativa del partito è l’altra consegna, derivata dalla prima. Chiunque osi tanto, in alto o “nei ranghi”, deve essere abbandonato alla deriva. Non è da credere che il partito sia nei capi e che i “gregari” siano gli esecutori dei loro indiscutibili ordini. Spesso, molto spesso, la giusta politica rivoluzionaria è stata dettata non dall’alto, come lo prova la formidabile lotta della Sinistra, alla quale si opponeva come prova di verità rivoluzionaria la maggioranza dei consensi, piuttosto che la solidità dottrinaria degli argomenti, allineati al programma e alla tradizione. Che la forma democratica dei consensi, come era costume dell’Internazionale, venga ora scartata, non è una utile giustificazione, ma prova di soperchieria sul partito. Le porcherie restano sempre porcherie con o senza lo spolverino della conta di voti.
Per la stessa ragione per cui siamo conservatori della teoria e del programma, così siamo gelosi dell’organizzazione. I seguaci della falsa dottrina della “fase di circolo”, non possono avere questi scrupoli, trattandosi non del partito, per loro, ma di “circoli”.
Impedire a chicchessia di pontificare propinando soluzioni pescate a caso, con ignoranza crassa della storia nostra e della nostra classe, alla moda dei farisei, dimentichi che i problemi centrali non si presentano mai nella stessa forma, cosicché il partito non sia costretto a subire periodicamente docce ora calde ora fredde, piegandosi agli umori del primo venuto.
Il partito deve essere in grado di controllare ogni aspetto della sua vita, ogni funzione della sua organizzazione; per modo che nulla gli piombi inatteso incompreso misterioso. Andare in giro a spacciare per posizioni della Sinistra quelle che sostengono che il terrorismo è “un raggio di luce” per il proletariato, che il folclore politico dei gruppuscoli a base studentesca intellettuale sottoproletaria è “campo rivoluzionario”, che i “comitati operai” sono ubbìe, per cui lavorarci dentro è “attivismo”, “economicismo”, e poco dopo sostenere il contrario, non per effetto di mutate situazioni ma perché spinti da “impazienza”, delusi che nulla ne sia derivato all’immediato, contrabbandare questo moto pendolare per “tattica” della Sinistra, significa disorientare i militanti, seminare la sfiducia nel partito, sgretolarne l’organizzazione, compromettere decenni e decenni di duro e coerente lavoro.
I teorici dei “circoli” non sono afflitti da tali preoccupazioni, perché tutto rimediano con la “disciplina”, e con le formule organizzative.
Resta per fermo che il Partito Comunista Internazionale non è nato
dai circoli.
(da “Il Partito Comunista”, n. 71, 1980)
Gli argomenti sin qui svolti hanno teso a dimostrare che il partito politico non nasce da “svolte” organizzative né da “cure” disciplinari ma dal corretto lavoro di ripristino del programma. Su questa base è sempre sorto e risorto il partito politico di classe. Le forze che si affasciano attorno alle funzioni, tutte, nelle debite proporzioni, nelle quali si estrinseca la vita del partito, trovano con naturalezza ciascuna il suo posto di lotta e di impegno, nel rispetto, anch’esso naturale, dei principi fondamentali dell’organizzazione che sono il centralismo e la disciplina. Questi principi sono comuni a tutti i partiti politici, anche borghesi, con la sostanziale differenza che nel partito comunista trovano applicazione che la Sinistra definisce con l’aggettivo “organica”.
A scanso di equivoci, l’aggettivo “organico” non significa che ciascun militante può arbitrariamente interpretare le disposizioni del partito; che il partito si struttura senza una gerarchia e che in questa gerarchia chi sta in alto possa altrettanto arbitrariamente lanciare ordini reprimere e condannare. La storia della Sinistra sta a dimostrare che, piuttosto di infrangere le regole fondamentali dell’organizzazione politica di partito, essa ha preferito ”subire in silenzio”, spesso “eroico”. L’esempio delle cosiddette “ritrattazioni” della vecchia guardia bolscevica dinnanzi ai tribunali statali di Stalin conferma la formidabile disponibilità dei comunisti a rinnegare ogni loro personale convincimento, quando debba scontrarsi con il principio dei principi, l’esigenza primaria del partito politico di classe; per non offrire al nemico, il capitalismo, l’argomento di ricatto sulla classe operaia che anche il suo partito viene rinnegato dai rivoluzionari. La lezione di Bucharin, Zinoviev, Kamenev, ecc. è stata proprio quella di non offrire al mondo capitalista lo spettacolo dell’insubordinazione al partito.
Organico significa che il partito non è vincolato ad alcuna forma a priori e che vuol essere in grado di assumere ogni forma che sia funzionale per la micidiale guerra totale del proletariato rivoluzionario alla società capitalistica. In questo senso non esclude dal suo arsenale politico ideologico tattico ed organizzativo alcun mezzo che ritenga efficace per vincere sul nemico storico. Un partito con una organizzazione duttile, in grado di passare da una fase all’altra della lotta di classe, senza uscire dai binari del programma. È quello da sempre sostenuto da Lenin, anche.
I principi della organizzazione
Un partito politico può esistere senza una ideologia, una dottrina, un programma storico suoi propri, ma non può esistere senza organizzazione. Il partito fascista è un esempio lampante. Il partito anarchico ha dovuto rimangiarsi tutti i suoi sofismi per sopravvivere come forza politica.
Il vantaggio che ha il partito comunista è quello che la sua organizzazione non poggia sui principi organizzativi di centralismo e di disciplina svincolati dal programma. In questo l’organizzazione comunista trova continuità, muore e risorge nel tempo, perché trae origine e forza dal suo programma unico e indivisibile. Fermo restando il “partito storico”, cioè il partito-programma che non muore sino a che non morirà la società divisa in classi, il partito politico, cioè effimero nell’espressione di Marx, suscettibile alle fluttuazioni della lotta di classe, opera e si muove organizzando le sue forze sulla base del centralismo e della disciplina.
È ben vero che il partito non nasce dai circoli, ma può dissolversi nei circoli, quando venga meno l’osservanza del programma, della tattica, dei principi organizzativi.
Un altro aspetto che caratterizza la applicazione dei principi organizzativi nel partito comunista è che la disciplina è spontanea, anche quando, per ragioni di forza maggiore, il partito deve darsi una organizzazione militare. Anche qui va ribadito che spontaneo non significa accettazione o repulsa della disciplina a seconda di come uno si alza la mattina.
Uno degli argomenti principali che la Sinistra ha usato nella lotta contro la degenerazione di Mosca e contro lo stalinismo era, ed è, che è mortale per il partito ritenere di correggere le deviazioni con procedimenti organizzativi e disciplinari.
Il partito si crea delle regole di funzionamento che possono variare da fase a fase della lotta di classe, in corrispondenza dell’azione e dell’attività che deve svolgere. Queste regole devono altresì rispondere ad esigenze precise e ai principi organizzativi, in modo tale da non turbare l’assetto del partito. Assicurare che la vita interna e il lavoro del partito si svolgano al meglio non è aspetto secondario, né morale, nel senso deteriore del termine. La travagliata storia dell’Internazionale ha dovuto soffrire l’inquinamento opportunistico anche per queste vie, che la Sinistra, pur denunciandole per tempo e con forza, non poté evitare. Il piccolo partito non può trascurare questi aspetti ritenendoli secondari rispetto ai grandi problemi da affrontare. Il buon funzionamento del partito non è dato soltanto dal rispetto rigoroso del programma, della tattica e della organizzazione, ma anche dall’insieme delle funzioni interne ed esterne.
A tale riguardo la Sinistra ha dato delle indicazioni precise, sotto forma di precetti riferibili, nelle espressioni letterarie, più ai sentimenti che alla ragione, certi di suscitare il sarcasmo dei neo-bolscevichi di ferro, tetragoni ad ogni moto dell’animo. La definizione che il «socialismo è un sentimento» è di Marx e della Sinistra, non di Tolstoi, e non si vede perché questo sentimento debba impregnare l’umanità di domani e non anche la “comunità combattente”, il partito appunto, di oggi. La “fraterna considerazione dei compagni”, che scandalizza gli imbecilli e offre pretesto agli ipocriti per le loro manovre diplomatiche, è uno dei precetti di vita interna di partito. Significa solidarietà dei compagni tra di loro, non compatimento. La solidarietà è una forza materiale, non una debolezza. Si racconta che l’internazionalista Lenin facesse al “romantico”, “bolscevico di ferro”, o “di acciaio” per definizione, Stalin, una potente cazziata napoletana per essersi permesso di mancare di rispetto alla sua compagna Krupskaia, militante del partito.
Un altro precetto di vita di partito, è quello che sembra contraddire il primo, che “non si deve amare nessuno”. Gli isterici, che non possono apprezzare l’alto contenuto di verità del paradosso, danno l’interpretazione che tra compagni non debbano intercorrere sentimenti affettivi, che i compagni debbano essere considerati come meri strumenti, da prendere o buttare, di un partito metafisicamente inteso come un Moloch cui tutto debba essere sacrificato, dimentichi che il partito politico non può esistere senza militanti. Il significato al contrario, del precetto è quello che si devono amare tutti i compagni, e non alcuni ed estromettere altri.
È falsa l’immagine che il partito sia tutto e solo razionalità, scienza militante, freddo organo sociale, come se fosse una macchina. Anche nel partito la razionalità, la scienza non è dei singoli, ma del corpo complessivo della classe, intesa da marxisti, condensata in testi e tesi travalicanti secoli e generazioni. E scienza e razionalità non sarebbero senza le spinte determinanti della passione, del sentimento. Senza fede, istinto, sentimento non esiste rovesciamento della prassi. Non esiste la scienza per la scienza, il marxismo per il marxismo, il partito per il partito. Marxismo e partito sono arma e organo dell’ultima classe rivoluzionaria della storia, il proletariato. Ribadimmo questi concetti in particolare negli ultimi anni di vita dell’Internazionale, quando eravamo costretti ad assistere a velenose lotte interne che laceravano il corpo glorioso del partito internazionale in fiere: quando si formavano fratrie lottanti senza esclusioni di colpi, di cui Stalin fu la macabra sintesi.
La scissione del nostro piccolo partito del novembre 1973 non avvenne perché al partito veniva imposta una disciplina “stalinista”, secondo la versione degli scissionisti, il cui bilancio, peraltro, è tanto grave quanto fu in quegli anni torbidi ed asfissianti la tracotanza con cui si impose al partito la museruola. Le ragioni della scissione riposano in un disegno tattico col quale si voleva spostare il partito sul terreno del pateracchio con il campo dell’estremismo piccolo-borghese, ribattezzato “area rivoluzionaria”, con i “circoli” e le fogne della “contestazione” perenne dello studentame e del sotto proletariato, mente e braccio delle semi-classi sterili e reazionarie. La manovra fu sostenuta dalla falsa dottrina che “forse saranno i Soviet” a sostituire i sindacati, assorbendo il principio che proveniva proprio dal campo dell’estremismo reazionario, della “politique d’abord”, della “politica prima di tutto”, col quale si declassava la lotta economica proletaria, la ricostruzione dell’insostituibile organizzazione di classe.
I provvedimenti organizzativi e disciplinari che furono presi per far passare questa manovra servirono a spezzare le resistenze nel partito e furono coadiuvati da una campagna di denigrazione e di menzogne, degne degli anni bui della Internazionale di Mosca.
Così, nella vita interna del partito, si andava affermando il falso principio che si potesse impunemente passare da una manovra all’altra col semplice ricorso a strumenti organizzativistici e disciplinari, col terrorismo ideologico ed in alcuni casi anche non ideologico. Nei rapporti fra compagni dominò sempre di più la diffidenza, la diplomazia, sino all’odio giustificato dal nuovo verbo della necessità, per il bene del partito, della “lotta politica” nel partito.
Non ci dolemmo, allora, dell’improvviso inasprimento delle misure disciplinari, né del comportamento poliziesco degli emissari del centro, perché è sacrosantamente vero che i comunisti non si dolgono della disciplina, ma perché con questi mezzi, usati inaspettatamente, i comunisti percepiscono che qualcosa di poco chiaro sta mutando nel partito e fanno bene a diffidarne. Malgrado ciò, fu atto coerente e dovuto la sottomissione alla centrale del partito, senza rinunciare alla funzione necessaria per qualsiasi compagno di controllare l’operato della centrale.
Ricordiamo questi fatti dolorosi, ma anche pietosi, indegni della tradizione
della Sinistra, ai compagni seri e giovani di ieri e pure a quelli di oggi,
ai quali la verità non è mai giunta o è giunta distorta, perché possano
valutare obiettivamente che le vie attraverso cui passa la distruzione
del partito sono varie e diverse, ma tutte riconducibili all’esperienza
storica, che il vero partito possiede e che i compagni sinceri hanno il
dovere di ricercare e di difendere, costi quel che costi.
Uno dei percorsi di degenerazione del partito è quello del suo decadimento in “circoli”, di gran lunga assai il peggiore, anzi addirittura infecondo, perché le frazioni possono essere la base da cui ripartire per la ricostruzione del partito, come la storia ha dimostrato. Questo pericolo sussiste soprattutto quando si tratti di un partito nel quale ci sia da dilapidare il prezioso patrimonio complessivo del marxismo rivoluzionario. La via per disperdere questo patrimonio in mille rivoli è esattamente quella per cui si consente che si formino e si cristallizzino ed infine operino nella stessa organizzazione politica di partito indirizzi difformi da quelli che il partito si è dato, coltivando l’illusione che il partito così trasformato in partito di opinioni possa rispondere alle sollecitazioni più impegnative della lotta di classe.
Abbiamo già storicamente constatato quanto sia erronea la generosa pretesa di attrarre forze disomogenee nel momento in cui ci si crede lanciati verso l’attacco rivoluzionario, sperando che la lotta le amalgami almeno fino alla vittoria, nel fermo proposito di distaccarle dopo la vittoria se dovessero ostacolare il mantenimento del potere politico. Abbiamo amaramente constatato che, venuto meno l’attacco e la vittoria, queste forze disomogenee hanno fortemente contribuito ad uccidere il partito. Ripercorrendo questa strada, bocciata dalla storia, il piccolo partito morirà ancor prima di nascere come un grande partito.
A maggior ragione quando si verifica il processo inverso, cioè quando, per effetto di discontinuità organizzativa, oscillazione tattica, difformità di indirizzi, incoerenza verso la tradizione, il partito, unico nominalmente, in realtà è una organizzazione composita, formata di particelle diseguali, tenute insieme da regole disciplinari, che reggono per assenza di veri urti, per la persistente flaccidità dei rapporti sociali.
Le posizioni che esprimiamo sono quelle della Sinistra, del partito di ieri, del 1921, cristallizzato nelle Tesi di Roma 1922, di Lione 1926, nelle posizioni ferme e coerenti tenute nei Congressi dell’Internazionale Comunista, nelle basi caratteristiche del 1952 sino alle tesi 1965-1966.
Lo abbiamo seccamente ricordato anche ai “circoli” cosiddetti “internazionali” e “internazionalisti”, che ci invitavano a congressi paracostituenti del “partito”, i quali svolgevano, e crediamo che ancora svolgano, l’argomento che il partito nasca da una “intesa” da un pateracchio tra circoli, o gruppi, come li chiamano, riunendo le “membra sparse” dei comunisti. Che il pateracchio possa esserci, non lo neghiamo. Escludiamo che generi il partito politico di classe, il partito “compatto e potente”.
Va riconosciuto che i “costituenti” sono coerenti perché fanno seguire le parole dai fatti. Non sono coerenti quelli che predicano la falsa dottrina che il “partito nasce dai circoli” e la praticano soltanto di nascosto, tra le mura di casa, non è dato sapere se per pudore o per opportunità, o anche per tutti e due.
Le posizioni della Sinistra non passano nel mezzo tra “costituenti” spudorati e “costituenti” pudichi, ma si scontrano con gli uni e con gli altri, denigratori della Sinistra e del vero partito.
Il partito cresce e si sviluppa nei modi già conosciuti, sulla base del patrimonio della Sinistra, e non addizionando circoli o gruppi sedicenti rivoluzionari, verso i quali va svolta una politica di svuotamento per liberarne le forze genuinamente proletarie. In altro modo, saranno i circoli che entreranno nel partito e ci porteranno ciò che di più deleterio si possa concepire. Il partito si accrescerà d’effettivi, forse, ma si trasformerà in una serie di circoli e fratrie in lotta tra di loro, sino a degenerare.