Partito Comunista Internazionale Indice studi africani


Africa amara

(Il Programma Comunista, n.8 del 1961)



In un articolo pubblicato nel n.6 di quest’anno, avevamo presagito – illustrando i rapporti di produzione e di lavoro vigenti nelle colonie portoghesi in Africa - che nessun cordone sanitario avrebbe impedito alla rivolta negra di estendersi entro i confini dell’Angola o del Mozambico. Le recentissime sommosse e la loro feroce repressione ne hanno dato una pronta conferma.

Del resto, la autorità coloniali di Lisbona non sono nemmeno riuscite a impedire che, in senso inverso, le notizie sulla tensione sociale nei territori d’oltremare (considerate dai dirigenti portoghesi come “provincie metropolitane”, i cui abitanti è loro cristianissimo dovere di proteggere, educare e... incivilire) varcassero i confini e giungessero sia in Europa, sia alle N.U., dove 39 Paesi afro-asiatici – ancora illusi di potersi servire di questo strumento ai fini della “decolonizzazione” – hanno presentato il 21 marzo una mozione affinché il problema delle colonie portoghesi e del loro aperto disprezzo dei “diritti fondamentali dell’uomo” sia discusso pubblicamente e con urgenza (campa cavallo!).

Non è da oggi, infatti, che S.M. cristianissima il fucile porta la... civiltà fra i negri soggetti a Lisbona. Citiamo alcune tappe di quest’opera gloriosa:
  3 agosto 1959: a Pidjiguiti, nella Guinea portoghese, i lavoratori negri del porto entrano in sciopero; alcune decine vengono uccisi a colpi di mitraglia.
  Luglio 1960: a Cabinda, nell’Angola: massacro di operai manifestanti per rivendicazioni economiche.
  Settembre 1960; a Mavue, nel Mozambico: più di 100 africani uccisi dalle forze dell’ordine durante una manifestazione a favore di due arrestati negri.
  Ottobre 1960; a ĺcolo e Bengo, sempre nell’Angola: 30 morti e 200 feriti, e i villaggi rasi al suolo, per una analoga manifestazione di protesta.
  Novembre 1960; a Luanda, nell’Angola: 8 prigionieri della prigione militare fucilati sul posto, senza processo.
  Febbraio 1960; sempre a Luanda, nell’Angola: i morti in seguito alla repressione di una sommossa risultano – secondo un corrispondente della Radio-TV francese (forse lieto di poter scaricare sui portoghesi un po’ delle... glorie di cui il suo esercito si è coperto in Algeria) – circa 800. E, si badi, sono sommosse più o meno “urbane”, che prescindono dalla guerriglia in corso nella boscaglia o ai margini delle grosse piantagioni europee.

È proprio sul terreno dei rapporti di lavoro (per i quali rimandiamo al primo sommario in un articolo da noi pubblicato nel n.6 di quest’anno), che tali sommosse sono perlopiù avvenute, o direttamente, o indirettamente, cioè per solidarietà verso arrestati e torturati.

Le colonie portoghesi sono uno di quei casi di cui parlava Marx, in cui l’impianto di rapporti di produzione capitalistici in continenti extra-europei non esclude la persistenza di un’economia schiavista, ma si sovrappone e intreccia ad essa: qui il Capitale si serve sia della bandiera del “lavoro libero”, sia di quella della schiavitù e del servaggio; diventa negriero nel modo e nelle forme classiche. Ed è, naturalmente, benedetto dagli zelantissimi preti metropolitani...