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Tracciato di impostazione
[Con il Tracciato d’impostazione si apre nel luglio 1946 la nostra rivista Prometeo].
[Il marxismo non è una scelta tra opinioni]
Questo scritto per evidenti motivi non contiene la dimostrazione di quanto afferma. Ha il compito di stabilire con la maggior chiarezza l’indirizzo della pubblicazione. Enuncia soltanto, in modo da fissare i cardini principali, e col fine di evitare confusione ed equivoci, involontari o organizzati.Prima di convincere l’ascoltatore si tratta di fargli bene intendere la posizione di chi espone. La persuasione la propaganda il proselitismo vengono dopo.
[In che senso i marxisti si collegano ad una tradizione storica]
Ogni movimento politico nel presentare le sue tesi si richiama a precedenti storici ed in certo senso a tradizioni recenti o remote, nazionali o internazionali.Sono accettabili per denominare questo orientamento i termini di marxismo, socialismo, comunismo, movimento politico della classe proletaria. Il male è che di tutti i termini si è fatto ripetutamente impiego abusivo. Lenin considerò nel 1917 richiesta fondamentale il mutamento del nome del partito, ritornando a quello comunista del Manifesto del ’48. Oggi l’immenso abuso fatto del nome di comunisti da partiti che sono fuori di ogni linea rivoluzionaria e classista crea ancor maggiore confusione; movimenti squisitamente conservatori degli istituti borghesi osano dirsi partiti del proletariato; il termine di marxisti è impiegato a definire i più assurdi agglomerati di partiti quali quelli dell’antifranchismo spagnolo.
Anche il movimento di cui questa rivista è l’organo teorico si richiama a ben determinate origini. Ma a differenza di altri non parte da un verbo rivelato che si attribuisca a fonti sopraumane, non riconosce l’autorità di testi scritti immutabili, e nemmeno ammette canoni giuridici filosofici o morali a cui risalire nello studio di ogni questione, che si pretendano comunque insiti o immanenti nel modo di pensare e sentire di tutti gli uomini.
[1. Incardinamento del metodo dialettico marxista]
Base di ogni ricerca deve essere la considerazione di tutto il processo storico che fin qui si è svolto e l’esame obiettivo dei fenomeni sociali presenti.Questo metodo è ben definito dalle espressioni di Materialismo storico, Materialismo dialettico, Determinismo economico, Socialismo scientifico, Comunismo critico.
Il metodo è stato più volte enunciato, ma molto spesso si travia nel corso della sua applicazione. Il fondamento dell’indagine viene portato sull’esame dei mezzi materiali con cui gli aggregati umani provvedono alla soddisfazione dei loro bisogni, la tecnica produttiva, quindi, e con lo sviluppo di essa i rapporti di natura economica.
Questi fattori determinano nelle varie epoche la sovrastruttura degli istituti giuridici politici militari e i caratteri delle ideologie dominanti.
[2.
Il contrasto tra le forze produttive e le forme sociali]
Le forze produttive, che consistono principalmente negli uomini adibiti a produrre e nei loro aggruppamenti, e inoltre negli utensili e mezzi meccanici di cui sono in grado di avvalersi, agiscono nel quadro delle forme della produzione.Il metodo dialettico marxista trova, applica e convalida le sue soluzioni alla scala dei grandi fenomeni collettivi con metodo scientifico e sperimentale (quello stesso metodo che i pensatori dell’epoca borghese applicarono al mondo naturale con una lotta che era il riflesso della lotta sociale rivoluzionaria contro i regimi teocratici e assolutisti, ma che non potevano osare di spingere alle applicazioni sociali). Esso deduce dai risultati acquisiti in tale campo le soluzioni del problema del comportarsi dell’individuo singolo, mentre invece tutte le scuole avversarie, religiose, giuridiche, filosofiche, economiche, procedono in senso inverso. Costruiscono cioè le norme del comportamento collettivo sulla base inconsistente di questo mito dell’Individuo, sia esso presentato come anima personale immortale, sia affermato come soggetto di diritto e Cittadino, sia studiato come Monade immutabile della prassi economica, e via via (oggi che la scienza fisica ha proseguito oltre la sua fecondissima ipotesi degli individui materiali, indivisibili, gli atomi, li ha definiti come ricchi complessi, e ridotti non tanto ad ulteriori monadi-tipo incorruttibili, quanto a punti di incontro di tutta la dinamica radiante dei campi energetici esteriori, sicché schematicamente si può dire che non è il cosmo funzione degli uni, ma qualunque uno è funzione di tutto il cosmo).
Per tali forme si intendono gli ordinamenti, i rapporti di dipendenza nei quali si svolge l’attività produttiva e sociale. In tali forme si comprendono tutti i sistemi costituiti di gerarchie (familiari, militari, teocratiche, politiche), lo Stato e tutti i suoi organismi, il diritto e i tribunali che lo applicano, le regole e gli ordinamenti tutti, di natura economica e giuridica, che oppongono resistenza ad essere trasgrediti.
Un tipo di società vive fin quando le forze produttive restano costrette nei quadri delle forme della produzione. In dati momenti della storia questo equilibrio tende a rompersi. Svariate cause, tra cui i progressi della tecnica, il crescere delle popolazioni, l’estendersi delle comunicazioni, incrementano le forze produttive. Queste vengono in contrasto con le forme tradizionali, tendono a spezzare il cerchio, e quando vi riescono si ha una rivoluzione: la comunità si ordina in nuovi rapporti economici, sociali e giuridici, forme nuove prendono il posto delle antiche.
[3. Classe, lotta di classe, partito]
Il contrasto tra le forze produttive e le forme sociali si manifesta come lotta tra le classi aventi opposti interessi economici; questa lotta nelle fasi culminanti diviene contesa armata per la conquista del potere politico.Classe nel senso marxista non è fredda constatazione statistica, ma forza organica operante, ed appare quando la semplice concomitanza di condizioni economiche e di interessi sfocia in una azione e in una lotta comune.
[Conformismo, riformismo, antiformismo]
Al fine di una presentazione di princìpi e direttive, la quale, malgrado la tremenda difficoltà e complessità delle questioni, non può farsi senza ricorrere a schemi semplificativi, si ravvisano tre tipi storici di movimenti politici nei quali possiamo classificarli tutti.Ogni schematizzazione presenta pericoli di errore. Si può domandare se la dialettica marxista non conduca a sua volta a costruire un artificioso modello generale delle vicende storiche, riducendo tutto lo sviluppo ad una successione nel dominio di classi che nascono rivoluzionarie, vivono riformiste e finiscono conservatrici. Il termine suggestivo posto a tale vicenda dall’avvento, con la classe proletaria e la sua vittoria rivoluzionaria, della società senza classi (la nota uscita dalla preistoria umana di Marx) può apparire un costrutto finalistico e quindi metafisico come quelli delle fallaci ideologie del passato. Hegel, come appunto Marx denunziò, ridusse il suo sistema dialettico ad una costruzione assoluta, ricadendo inconsciamente in quella metafisica che nella parte demolitrice della sua critica (riflesso filosofico della lotta rivoluzionaria borghese) aveva superata. Con ciò Hegel, a coronamento della filosofia classica dell’idealismo tedesco, e del pensiero borghese, collocava la tesi assurda che la storia dell’azione e del pensiero doveva fermarsi cristallizzata nel suo perfetto sistema, nella conquista dell’Assoluto. Un simile punto statico di arrivo è dalla dialettica marxista eliminato.
Conformisti sono quei movimenti che combattono per conservare integre le forme e gli istituti vigenti, vietandone ogni trasformazione, e richiamandosi ad immutabili princìpi, siano essi presentati in veste religiosa, filosofica o giuridica.
Riformisti sono i movimenti che, pur non chiedendo di sconvolgere bruscamente e violentemente gli istituti tradizionali, avvertono che le forze produttive premono troppo fortemente, e propugnano graduali e parziali modificazioni nell’ordine vigente.
Rivoluzionari (e adotteremo il termine provvisorio di Antiformisti) sono i movimenti che proclamano ed attuano l’assalto alle vecchie forme, ed anche prima di saper teorizzare i caratteri del nuovo ordine, tendono a spezzare l’antico, provocando il nascere irresistibile di forme nuove.
Conformismo -Riformismo -Antiformismo.
[Interpretazione dei caratteri della fase storica contemporanea; criterio dialettico di valutazione di istituti e di soluzioni sociali passati e presenti]
Il movimento rivoluzionario comunista di quest’epoca convulsa dev’essere caratterizzato non solo dalla demolizione teorica di ogni conformismo e di ogni riformismo del mondo contemporaneo: ma anche dalla posizione pratica e come suol dirsi tattica che non vi è più strada da fare insieme con qualunque movimento, conformista o riformista, nemmeno in settori e tempi limitati. Soprattutto esso si deve fondare sulla acquisizione storica irrevocabile che il capitalismo borghese ha ormai esaurito ogni slancio antiformista, ossia non ha più alcun compito storico generale di demolizione di forme precapitalistiche e di resistenza a loro minacciati ritorni.Una differenza essenziale tra il metodo metafisico e quello dialettico nella storia sta in questo.
Con ciò non si nega che, fino a quando le possenti forze del divenire capitalistico, che hanno accelerato a ritmo inaudito la trasformazione del mondo, agivano in tali rapporti, il movimento della classe proletaria potesse e dovesse, dialetticamente, condannarle in dottrina ed appoggiarle nell’azione.
[La valutazione dialettica delle forme storiche – Esempio economico: mercantilismo]
Incominciando dalle forme economiche, non ha alcun senso il parteggiare in modo generale per una economia comune o privata, liberistica o monopolistica, individuale o collettiva, e vantare i pregi di ciascun sistema ai fini del benessere generale: così facendo si cadrebbe nell’utopia, che è l’esatto rovescio della dialettica marxista.L’economia mercantile, per cui gli oggetti suscettibili di soddisfare i bisogni umani cessarono, all’uscita dalla barbarie, di essere direttamente acquisiti e consumati dall’occupante o dal primitivo produttore e divennero suscettibili di essere scambiati dapprima tra loro, nella forma del baratto, e in seguito con un equivalente comune monetario, costituì al suo apparire storico una grandiosa rivoluzione sociale.
È noto in Engels il classico esempio del comunismo come «negazione della negazione». Le prime forme di produzione umana furono comunistiche, indi sorse la proprietà privata, che rappresentò un sistema molto più complesso ed efficiente. Da questa la società umana ritorna al comunismo. Questo comunismo moderno sarebbe irrealizzabile se il comunismo iniziale non fosse stato superato, sconfitto e distrutto dal sistema della proprietà privata. Il marxista considera un vantaggio e non un danno questo trapasso iniziale. Ciò che si dice del comunismo si può dire di tutte le altre forme economiche come lo schiavismo, la servitù della gleba, il capitalismo manufatturiero, industriale, monopolistico, e così via.
[Esempio sociale: la famiglia]
I vari tipi di aggregati sociali successivamente apparsi, attraverso i quali la vita collettiva si è differenziata dal primitivo individualismo animale, percorrendo un immenso ciclo che ha sempre più complicato i rapporti nei quali vive e si muove il singolo, non possono, singolarmente presi, venir giudicati favorevolmente o sfavorevolmente, ma debbono essere considerati in rapporto alla successione e allo svolgimento storico che ha dato ad essi un compito mutevole nelle successive trasformazioni e rivoluzioni.L’istituto della famiglia appare come prima forma sociale quando, nella specie umana, il legame tra i genitori e la prole si sposta molto più oltre dell’epoca in cui esiste per necessità fisiologica. Nasce la prima forma di autorità, che la madre e poi il padre esercitano sui discendenti, anche quando questi sono fisicamente individui completi e forti. Siamo anche qui in presenza di una rivoluzione, poiché appare la prima possibilità di un’organizzazione di vita collettiva e si stabilisce la base degli ulteriori sviluppi che condurranno alle prime forme di società organizzata e di Stato.
Ciascuno di tali istituti sorge come una conquista rivoluzionaria, si svolge e si riforma in lunghi cicli storici, diviene infine un ostacolo reazionario e conformista.
[Esempio politico: monarchia e repubblica]
Le varie forme di Stati, come monarchia e repubblica, si avvicendano nella storia in modo complicato e possono entrambe aver rappresentato energie rivoluzionarie, progressive e conservatrici nelle varie situazioni storiche. Pur potendosi ammettere in modo generale che probabilmente il regime capitalistico prima della sua caduta perverrà a liquidare i regimi dinastici oggi superstiti, anche in questa questione non si giudica per assoluti che stanno fuori dello spazio e del tempo.Possono esservi stati movimenti e partiti repubblicani con carattere rivoluzionario, altri con carattere riformista, altri con carattere nettamente conservatore.
Le prime monarchie sorsero come espressione politica di una divisione di compiti materiali: taluni elementi dell’aggregato di famiglie o tribù primitive si assunsero – mentre gli altri attendevano alla caccia, alla pesca, all’agricoltura, al primo artigianato – la difesa con le armi contro altri gruppi o altri popoli, o anche la preda armata dei beni di questi ultimi, e i primi guerrieri e re fondarono su maggiori rischi il privilegio del potere. Si tratta anche qui dell’avvento di forme più sviluppate e complesse, che altrimenti erano impossibili, e quindi di una delle vie che condussero ad una rivoluzione nei rapporti sociali.
In fasi successive l’istituto monarchico rese possibile la costituzione e lo sviluppo delle vaste organizzazioni statali nazionali contro il federalismo di satrapi e signorotti, ed ebbe funzione innovatrice e riformatrice. Dante è il grande riformista monarchico allo schiudersi del tempo moderno.
Più recentemente la monarchia si è prestata in molti paesi – ma non meno vi si è prestata la repubblica – a rivestire le forme più strette del potere di classe della borghesia.
[Esempio ideologico: la religione cristiana]
I riflessi delle crisi delle forme economiche si hanno non solo negli istituti sociali e politici, ma anche nelle credenze religiose e nelle opinioni filosofiche.Antiformista e rivoluzionario per eccellenza fu il movimento che porta il nome di Cristo.
Ogni posizione giuridica, confessionale o filosofica, va considerata in relazione alle situazioni storiche ed alle crisi sociali, ed è stata volta a volta bandiera rivoluzionaria, progressiva o conformista.
[4. Il ciclo capitalistico Fase rivoluzionaria]
La borghesia capitalistica moderna ha già presentato nei principali paesi tre fasi storiche caratteristiche.La classe capitalistica appare nella storia come una forza antiformista e le sue energie imponenti la conducono ad infrangere tutti gli ostacoli, materiali e ideali; i suoi pensatori rovesciano gli antichi canoni e le antiche credenze nella maniera più radicale.
La borghesia appare come classe apertamente rivoluzionaria e conduce una lotta armata per rompere le forme dell’assolutismo feudale e clericale, vincoli che legano le forze lavoratrici dei contadini alla terra e quelle degli artigiani al corporativismo medioevale.
L’esigenza della liberazione da questi vincoli coincide con quella dello sviluppo delle forze produttive che, con le risorse della tecnica moderna, tendono a concentrare i lavoratori in grandi masse.
Per dare un libero sviluppo a queste nuove forme economiche, occorre abbattere con la forza i regimi tradizionali. La classe borghese non solo conduce la lotta insurrezionale, ma attua dopo la prima vittoria una ferrea dittatura per impedire la riscossa di monarchici, feudatari e gerarchie ecclesiastiche.
[Fase evoluzionista e democratica]
Nella seconda fase, stabilizzatosi ormai il sistema capitalistico, la borghesia si proclama esponente del migliore sviluppo e del benessere di tutta la collettività sociale e percorre una fase relativamente tranquilla di svolgimento delle forze produttive, di conquista al proprio metodo di tutto il mondo abitato, di intensificazione di tutto il ritmo economico. Questa è la fase progressiva e riformista del ciclo capitalistico.Il meccanismo democratico parlamentare in questa seconda fase borghese vive parallelamente all’indirizzo riformista, interessando alla classe dominante di far risultare il proprio ordinamento come suscettibile di esplicare e manifestare gli interessi e le rivendicazioni delle classi lavoratrici. I suoi governanti sostengono di poterli soddisfare con provvidenze economiche e legislative che tuttavia lascino sussistere i cardini giuridici del sistema borghese. Parlamentarismo e democrazia non hanno più il carattere di parole d’ordine rivoluzionarie, ma assumono un contenuto riformista che assicura lo sviluppo del sistema capitalistico, scongiurando urti violenti ed esplosioni della lotta di classe.
[Fase imperialistica e fascista]
La terza fase è quella del moderno imperialismo, caratterizzato dalla concentrazione monopolistica dell’economia, dal sorgere dei sindacati e trusts capitalistici, dalle grandi pianificazioni dirette dai centri statali. L’economia borghese si trasforma e perde i caratteri del classico liberismo, per cui ciascun padrone d’azienda era autonomo nelle sue scelte economiche e nei suoi rapporti di scambi. Interviene una disciplina sempre più stretta della produzione e della distribuzione; gli indici economici non risultano più dal libero gioco della concorrenza, ma dall’influenza di associazioni fra capitalisti prima, di organi di concentrazione bancaria e finanziaria poi, infine direttamente dello Stato. Lo Stato politico, che nell’accezione marxista era il comitato di interessi della classe borghese e li tutelava come organo di governo e di polizia, diviene sempre più un organo di controllo e addirittura di gestione dell’economia.L’avvento di questa terza fase capitalistica non può essere confuso con un ritorno di istituti e forme precapitalistici, poiché si accompagna ad un incremento addirittura vertiginoso della dinamica industriale e finanziaria, ignoto qualitativamente e quantitativamente al mondo preborghese.
Questa concentrazione di attribuzioni economiche nelle mani dello Stato può essere scambiata per un avviamento dall’economia privata a quella collettiva solo se si ignori volutamente che lo Stato contemporaneo esprime unicamente gli interessi di una minoranza e che ogni statizzazione svolta nei limiti delle forme mercantili conduce ad una concentrazione capitalistica che rafforza e non indebolisce il carattere capitalistico dell’economia. Lo svolgimento politico dei partiti della classe borghese in questa fase contemporanea, come fu chiaramente stabilito da Lenin nella critica dell’imperialismo moderno, conduce a forme di più stretta oppressione, e le sue manifestazioni si sono avute nell’avvento dei regimi che sono definiti totalitari e fascisti. Questi regimi costituiscono il tipo politico più moderno della società borghese e vanno diffondendosi attraverso un processo che diverrà sempre più chiaro in tutto il mondo. Un aspetto concomitante di questa concentrazione politica consiste nell’assoluto predominio di pochi grandissimi Stati a danno dell’autonomia degli Stati medi e minori.
[La strategia proletaria nella fase della rivoluzione borghese]
Corrispondentemente al ciclo del mondo capitalistico ne abbiamo uno del movimento proletario.Una prima impostazione della strategia di classe del nascente proletariato è la prospettiva di realizzare moti anti-borghesi sullo slancio della stessa lotta insurrezionale condotta al fianco della borghesia, raggiungendo in modo immediato la liberazione dall’oppressione feudale e dallo sfruttamento capitalistico.
Fin dall’inizio del formarsi di un grande proletariato industriale si comincia a costruire una critica delle enunciazioni economiche, giuridiche e politiche borghesi e si teorizza la scoperta che la classe borghese non libera ed emancipa l’umanità, ma sostituisce il proprio dominio di classe ed il proprio sfruttamento a quello di altre classi che la precedettero.
Tuttavia i lavoratori in tutti i paesi non possono non combattere a fianco della borghesia per il rovesciamento degli istituti feudali e non cadono nelle suggestioni di un socialismo reazionario che, con lo spettro del nuovo spietato padrone capitalistico, chiama gli operai ad una alleanza con le classi dirigenti monarchiche e terriere.
Anche nelle lotte che i giovani regimi capitalistici svolgono per rintuzzare i ritorni reazionari, il proletariato non può rifiutare il proprio appoggio alla borghesia.
[Tendenze del movimento socialista nella fase democratico-pacifista]
Nella seconda fase, in cui il riformismo nei quadri dell’economia borghese si accompagna al più largo impiego dei sistemi rappresentativi e parlamentari, si pone per il proletariato un’alternativa di portata storica.Nell’intermezzo idilliaco del mondo capitalistico (1871-1914) si sviluppano le correnti revisionistiche del marxismo, di cui si falsificano gli indirizzi e i testi fondamentali, e si costruisce una strategia nuova, secondo la quale vaste organizzazioni economiche e politiche della classe operaia permeano e conquistano le istituzioni con mezzi legali, preparando una graduale trasformazione di tutto l’ingranaggio economico.
Sotto l’aspetto teorico sorge il quesito interpretativo della dottrina rivoluzionaria costruitasi come una critica degli istituti borghesi e di tutta la loro difesa ideologica: la caduta del dominio di classe capitalistico e la sostituzione ad esso di un nuovo ordine economico avverrà con un urto violento, ovvero può raggiungersi con graduali trasformazioni e con l’utilizzazione del meccanismo legalitario parlamentare?
Sotto l’aspetto pratico sorge il quesito se il partito della classe proletaria debba o meno associarsi non più alla borghesia contro le forze dei regimi precapitalistici, ormai scomparse, ma ad una parte avanzata e progressiva della borghesia stessa, meglio disposta a riformarne gli ordinamenti.
[5. Tattica proletaria nella fase del capitalismo imperialistico e del fascismo]
Nella terza fase il capitalismo – per la necessità di continuare a sviluppare la massa delle forze produttive e nello stesso tempo di evitare che esse rompano l’equilibrio dei suoi ordinamenti – è costretto a rinunziare ai metodi liberali e democratici, conducendo di pari passo la concentrazione in potentissimi agglomerati statali tanto del dominio politico quanto di uno stretto controllo della vita economica. Anche in questa fase si pongono al movimento operaio due alternative.
Nel campo teorico bisogna affermare che queste forme più strette del dominio di classe del capitalismo costituiscono la necessaria fase più evoluta e moderna che esso percorrerà per arrivare alla fine del suo ciclo ed esaurire le sue possibilità storiche. Esse non sono un transitorio inasprimento di metodi politici e di polizia, dopo il quale si possa e debba ritornare alle forme di pretesa tolleranza liberale.
Nel campo tattico, il quesito se il proletariato debba iniziare una lotta per ricondurre il capitalismo alle sue concessioni liberali e democratiche è falso e illusorio, non essendo più necessario il clima della democrazia politica all’ulteriore incremento delle energie produttive capitalistiche, indispensabile premessa alla economia socialista.
Tale quesito nella prima fase rivoluzionaria borghese non solo era posto dalla storia, ma anche si risolveva in una concomitanza nella lotta delle forze del terzo e quarto stato, e l’alleanza tra le due classi era una indispensabile tappa del cammino verso il socialismo.
Nella seconda fase il quesito di una concomitante azione tra democrazia riformista e partiti operai socialisti andava legittimamente posto, e se la storia ha dato ragione alla soluzione negativa sostenuta dalla sinistra marxista rivoluzionaria contro quella della destra revisionista e riformista, questa, prima delle fatali degenerazioni del 1914-18, non poteva essere definita un movimento conformista. Essa credeva infatti plausibile un giro lento della ruota della storia, non tentava ancora di girarla a rovescio. Sia questo riconosciuto ai Bebel, ai Jaurès, ai Turati.
Nella fase odierna del più avido imperialismo e delle feroci guerre mondiali il quesito di una azione parallela tra la classe proletaria socialista e la democrazia borghese non si pone più storicamente; il sostenerne una risposta affermativa non rappresenta più un’alternativa, una versione, una tendenza del movimento operaio, ma copre il passaggio totale al conformismo conservatore.
La sola alternativa da porre e risolvere è divenuta un’altra. Dato che lo sviluppo e lo svolgimento del mondo e del regime capitalista si attuano nel senso centralistico, totalitario e «fascista», deve il movimento proletario alleare le sue forze con questo movimento, divenuto il solo aspetto riformista dell’ordine e del dominio borghese? Può sperare di inserire il sorgere del socialismo in questo inesorabile avanzare dello statalismo capitalistico, aiutandolo a disperdere le ultime resistenze passatistiche di liberisti e liberali, borghesi conformisti della prima maniera?
Ovvero il movimento proletario, duramente colpito e disperso per non aver potuto, nella fase delle due guerre mondiali, realizzare la sua autonomia dalla pratica della collaborazione di classe, deve ricostituirsi fuori da questo metodo, fuori dalla illusione del ripresentarsi di pacifici ordinamenti borghesi penetrabili con mezzi legali, o più vulnerabili dall’assalto delle masse (due forme, queste, egualmente pericolose del disfattismo di ogni movimento rivoluzionario)?
Il metodo dialettico marxista conduce alla conclusione negativa del quesito dell’alleanza con le nuove moderne forme borghesi accentratrici, per le ragioni che storicamente si svolgono da quelle stesse che conducevano ieri a combattere l’alleanza con il riformismo della fase democratica e pacifista.
Il capitalismo, premessa dialettica del socialismo, non ha più bisogno di essere aiutato a nascere (affermando la sua dittatura rivoluzionaria) né a crescere (nella sua sistemazione liberale e democratica).
Esso inevitabilmente concentra nella fase moderna il suo patrimonio economico e la sua forza politica in unità mostruose.
Il suo trasformismo e il suo riformismo assicurano il suo sviluppo e difendono la sua conservazione al tempo stesso.
Il movimento della classe operaia non soggiacerà al suo dominio solo se si porrà fuori dal terreno dell’aiuto alle pur necessarie evoluzioni del divenire capitalistico, riorganizzando le sue forze fuori da queste prospettive superate, scrollandosi di dosso il peso delle tradizioni del vecchio metodo, denunziando – già con un’intera fase storica di ritardo – il suo concordato tattico con ogni forma di riformismo.
[6. La rivoluzione russa, errori e deviazioni della Terza Internazionale, involuzione del regime proletario russo]
All’uscita dalla Prima Guerra Mondiale, il più
scottante problema della storia contemporanea passa nella fase attuale:
la crisi del regime zarista russo, superstite struttura statale feudale
in pieno sviluppo capitalistico.
La posizione della sinistra marxista (Lenin, bolscevichi)
era già da molti decenni stabilita nella prospettiva strategica
di condurre il combattimento per la dittatura proletaria contemporaneamente
a quello di tutte le forze antiassolutistiche per il rovesciamento dell’impero
feudale.
La guerra permise di realizzare questo piano grandioso
e di concentrare nell’acceleratissimo ciclo di nove mesi il passaggio dal
potere della dinastia, dell’aristocrazia e del clero, traverso una parentesi
di governi di partiti borghesi democratici, alla dittatura del proletariato.
Le questioni e gli schieramenti mondiali relativi
alla lotta di classe, alla guerra per il potere e alla strategia della
rivoluzione operaia ricevettero un impulso potentissimo dal grandioso evento.
Nel breve ciclo la strategia e la tattica del partito
proletario vissero tutte le fasi: lotta a fianco della borghesia contro
il vecchio regime; lotta contro di questa non appena, crollato lo Stato
feudale, cercò di costruire il proprio; rottura e lotta contro tutti
i partiti riformisti e gradualisti dello stesso movimento operaio, pervenendo
al monopolio esclusivo del potere da parte della classe lavoratrice e del
partito comunista.
I riflessi storici sul movimento operaio ebbero
il carattere di una sconfitta clamorosa per le tendenze revisioniste e
collaborazioniste, e in tutti i paesi i partiti proletari furono spinti
a portarsi sul terreno della lotta armata per il potere.
Ma false interpretazioni ed applicazioni si ebbero
nel trasportare la strategia e la tattica russa negli altri paesi, ove
si volle attendere un regime kerenskiano raggiunto con una politica di
coalizione per vibrargli con audace conversione il colpo mortale.
Si dimenticò così che quella successione
di movimenti era in relazione strettissima con la ritardata nascita dello
Stato politico proprio del capitalismo, quale invece esisteva con stabilità
di decenni o di qualche secolo negli altri paesi europei, tanto più
forte quanto più evidente era la sua struttura giuridica democratico-parlamentare.
Non si vide che le alleanze nelle battaglie insurrezionali
tra bolscevichi e non bolscevichi ed anche quelle volte a scongiurare alcuni
tentati ritorni della restaurazione feudale erano l’ultimo possibile esempio
su scala storica di simili rapporti di forze politiche; che la rivoluzione
proletaria, ad esempio, di Germania avrebbe avuto l’andamento tattico di
quella russa se fosse uscita, come Marx attendeva, dalla crisi del 1848,
mentre nel 1918 poteva riuscire solo se il partito rivoluzionario comunista
avesse avuto forze bastevoli a sopraffare il blocco dei Kaiseristi, dei
borghesi e dei socialdemocratici al potere nella repubblica di Weimar.
Quando il primo esempio del tipo di governo totalitario
borghese si ebbe in Italia col fascismo, la fondamentale falsa impostazione
strategica di dare al proletariato la consegna della lotta per la libertà
e le garanzie costituzionali nel seno di una coalizione antifascista manifestò
il fuorviarsi totale del movimento comunista internazionale dalla giusta
strategia rivoluzionaria.
Il confondere Mussolini ed Hitler, riformatori del
regime capitalistico nel senso più moderno, con Kornilov o con le
forze della restaurazione e della Santa Alleanza del 1815, fu il più
grande e rovinoso errore di valutazione e segnò l’abbandono totale
del metodo rivoluzionario.
La fase imperialistica, matura economicamente in
tutti i paesi moderni, nella sua forma politica fascista apparve ed apparirà
con una successione determinata dai contingenti rapporti di forza fra Stato
e Stato e tra classe e classe nei vari paesi del mondo.
Tale passaggio poteva essere accolto ancora una
volta come un’occasione per assalti rivoluzionari del proletariato; non
però nel senso di schierare e dilapidare le forze della sua avanguardia
comunista nell’obbiettivo illusorio di arrestare la borghesia nel suo movimento
di uscita dalle forme legali con l’assurda rivendicazione del ripristino
delle garanzie costituzionali e del sistema parlamentare, ma all’opposto
accettando la fine storica di questo strumento dell’oppressione borghese
e l’invito alla lotta fuori della legalità per tentare di infrangere
tutte le altre impalcature, poliziesche, militari, burocratiche, giuridiche
del potere capitalista e dello Stato.
[7. Impostazione attuale del problema della strategia proletaria. Denunzia storica definitiva di ogni fiancheggiamento alle rivendicazioni liberali-democratiche. Soluzione negativa alla tesi del fiancheggiamento delle forze che conducono il capitalismo a svolgere la sua modernissima fase monopolistica in economia, totalitaria e fascista in politica]
Il passaggio dei partiti comunisti alla strategia del grande blocco antifascista, esasperato con le parole della collaborazione nazionale nella guerra antitedesca del 1939, dei movimenti partigiani, dei comitati di liberazione nazionale, fino alla vergogna della collaborazione ministeriale, ha segnato la seconda disastrosa disfatta del movimento rivoluzionario mondiale.
Questo non può essere ricostituito, nella teoria nell’organizzazione e nell’azione, senza portarlo fuori e contro quella politica che oggi accomuna i partiti socialisti e quelli comunisti ispirati a Mosca. Il nuovo movimento deve incardinarsi su direttive che siano l’antitesi precisa delle parole diffuse da quei movimenti opportunisti, le cui posizioni – come riesce chiaro alla luce di una critica dialettica – nello stesso tempo sono il segnacolo – a parole – del movimento mondiale che si richiama all’antifascismo, e si inseriscono invece pienamente – di fatto – nel divenire in senso fascista della organizzazione sociale.
Il nuovo movimento rivoluzionario del proletariato, caratteristico della epoca imperialista e fascista, si incardina sulle seguenti direttive:
1) Negazione della prospettiva che, dopo la sconfitta dell’Italia, della Germania e del Giappone, si sia aperta una fase di ritorno generale alla democrazia; affermazione all’opposto che alla fine della guerra si accompagna una trasformazione nel senso e col metodo fascista del governo borghese negli Stati vincitori, anche e soprattutto se vi partecipano partiti riformisti e laburisti. Rifiuto di presentare come rivendicazione interessante la classe proletaria quel ritorno – illusorio – alle forme liberali.
2) Dichiarazione che il regime attuale russo ha perduto i caratteri proletari, parallelamente all’abbandono della politica rivoluzionaria da parte della III Internazionale. Una progressiva involuzione ha condotto le forme economiche, sociali e politiche in Russia a riprendere strutture e caratteri borghesi. Questo processo non viene giudicato come un ritorno a forme pretoriane di tirannide autocratica o preborghese, ma come il raggiungimento, per una diversa via storica, dello stesso tipo di organizzazione sociale progredita presentato dal capitalismo di Stato nei paesi a regime totalitario, e in cui le grandi pianificazioni offrono la via di imponenti sviluppi e danno un potenziale imperialistico elevato. Dinanzi a tale situazione non va presentata quindi la rivendicazione del ritorno della Russia alle forme di democrazia parlamentare interna, in dissoluzione in tutti i paesi moderni, ma quella del risorgere anche in Russia del partito rivoluzionario comunista totalitario.
3) Rifiuto di ogni invito alla solidarietà nazionale delle classi e dei partiti, chiesta ieri per rovesciare i cosidetti regimi totalitari e per combattere gli stati dell’Asse, oggi per la ricostruzione con pratica legalitaria del mondo capitalista rovinato dalla guerra.
4) Rifiuto della manovra e della tattica del fronte unico, ossia dell’invito ai partiti sedicenti socialisti e comunisti, i quali non hanno ormai nulla di proletario, ad uscire dalla coalizione governativa per creare la cosidetta unità proletaria.
5) Lotta a fondo contro ogni crociata ideologica che tenda a mobilitare in fronti patriottici le classi operaie dei diversi paesi nella nuova possibile guerra imperialistica, e chieda loro sia di battersi per una Russia rossa contro il capitalismo anglosassone, sia di appoggiare la democrazia di occidente contro il totalitarismo stalinista, in una guerra presentata come antifascista.