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7 novembre 1917-1957 Quaranta anni di una organica valutazione degli eventi in Russia nel drammatico svolgimento sociale e storico internazionale (Il Programma Comunista, n. 21, 1957)
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A) | La Russia contro l’Europa nell’Ottocento |
1 - 2 - 3 - 4 - 5 | |
B) | Le prospettive del tramonto dell’ultimo feudalismo |
6 - 7 | |
C) | L’incancellabile epopea russa della rivoluzione proletaria mondiale |
8 - 9 - 10 - 11 | |
D) | Parabola sinistra della rivoluzione stroncata |
12 - 13 - 14 - 15 - 16 |
2. Come per tutti i paesi europei il marxismo attese
e propugnò la grande rivoluzione borghese che seguisse le orme di quelle
di Francia e di Inghilterra, e il cui incendio nel 1848 scosse tutta l’Europa
centrale. Il rovesciamento del modo feudale di produzione in Russia fu
tanto più previsto, atteso e rivendicato in quanto la Russia degli zar
assunse per Marx la funzione di cittadella della reazione europea antiliberale
e anticapitalistica. Nella fase delle guerre di sistemazione borghese nazionale
dell’Europa che si chiuse al 1871 ogni guerra fu prospettata di utile sviluppo
nel senso che potesse condurre ad una sconfitta e ad un disastro di Pietroburgo.
Marx fu detto per questo agente pangermanista antirusso! Per lui la resistenza
in piedi dello zarismo era barriera non solo all’ondata della rivoluzione
borghese, ma a quella successiva della rivoluzione operaia europea, e i
moti di liberazione delle nazionalità oppresse dallo zar, classicamente
della Polonia, furono sostenuti in pieno dalla Prima Internazionale operaia.
3. La dottrina storica della scuola marxista chiude
con il 1871 il periodo dell’appoggio socialista alle guerre di sistemazione
d’Europa in Stati moderni e alle lotte interne di rivoluzione liberale
e risorgimenti nazionali. Campeggia all’orizzonte l’ostacolo russo che,
restando in piedi, sbarrerà sempre il passo all’insurrezione operaia contro
«gli eserciti nazionali confederati», ed invierà i cosacchi a difesa
non solo di santi imperi, ma anche di democrazie parlamentari capitaliste,
a ciclo chiuso di sviluppo in occidente.
4. Il marxismo si occupa ben presto delle cose sociali
della Russia, studiandone la struttura economica e il decorso dei contrasti
di classe, il che non toglie che il ciclo delle rivoluzioni sociali vada
cercato tenendo in primo luogo conto dei rapporti di forza internazionale,
come nella costruzione gigante di Marx sulle tappe della marcia della rivoluzione
e delle sue condizioni, che si manifestano nell’ordine detto sopra quanto
a maturità della struttura sociale. Sorse subito il problema se si poteva
abbreviare il corso russo che attendeva ancora di fare i passi europei
del principio del secolo e del 1848. Marx dà una risposta nel 1882 nella
prefazione alla traduzione russa fatta dalla Sassulich del
Manifesto
e nel 1877 in una lettera a un periodico. È possibile in Russia il salto
del modo capitalistico? La prima risposta era in parte positiva:
«Se la rivoluzione russa dà il segnale ad una rivoluzione operaia
in occidente, in modo che l’una completi l’altra». Ma la seconda risposta
dichiarava già perduta questa occasione, e si riferiva alla riforma borghese
della terra del 1861, con la abolizione della servitù della gleba, che
fu piuttosto la finale dissoluzione del comunismo primitivo del villaggio
rurale, e che Bakunin apologizzò, stigmatizzato fieramente da Marx ed
Engels. «Se la Russia segue la via che ha presa dopo il 1861 perderà
la più bella occasione che la storia abbia mai offerta ad un popolo di
saltare oltre tutte le alternative fatali del regime capitalistico. Dovrà
come gli altri popoli sopportare le inesorabili leggi di questo sistema».
Questo
è tutto, conclude duramente Marx. Era tutto: mancata e tradita
la rivoluzione proletaria in Europa la Russia di oggi è caduta nella barbarie
capitalista. Scritti di Engels circa il primitivo
mir comunista
russo mostrano che la partita, nel 1875 e più nel 1894, appare vinta per
il modo capitalista di produzione, che ormai domina nelle città e in certa
parte delle campagne russe sotto il potere zarista.
5. Con l’industria capitalista in Russia, che sorse non tanto da una accumulazione iniziale ma da investimenti diretti dello Stato, sorge il proletariato urbano e sorge il partito operaio marxista, e questo viene posto innanzi al problema della duplice rivoluzione, lo stesso cui i primi marxisti erano davanti in Germania prima del 1848. La linea teorica di un tal partito, rappresentata per un primo periodo da Plechanov e poi da Lenin e dai bolscevichi, è del tutto coerente al marxismo europeo e internazionale e soprattutto nella questione agraria, rilevantissima in Russia. Quale sarà il contributo alla duplice rivoluzione delle classi della campagna, dei servi della gleba e dei miserrimi contadini legalmente emancipati, ma le cui condizioni sono peggiorate rispetto a quelle del feudalismo puro? I servi della gleba e i piccoli contadini hanno dovunque sostenuto le rivoluzioni borghesi, e sempre si levarono contro il privilegio della nobiltà terriera. In Russia vi è questo di caratteristico: il modo feudale non è centrifugo come in Europa e Germania, ma il potere statale centrale e lo stesso esercito nazionale sono centralizzati da secoli; è una condizione progressiva nel senso storico fino all’ottocento. Ciò è vero non solo politicamente per la storia delle origini di esercito, monarchia e Stato, importati dall’esterno, ma anche nella struttura sociale: Stato, Corona (ed enti religiosi non meno accentrati) detengono più terra e più servi della gleba che la nobiltà feudale; di qui la definizione di un feudalismo di Stato, che ben sopportò l’urto delle democratiche armate francesi, e contro il quale Marx invocò per lunghi anni perfino l’urto di armate europee turche e tedesche.
In sostanza la via dal feudalismo di Stato al capitalismo di Stato è
risultata meno lunga in Russia di quella dal feudalismo molecolare agli
Stati unitari capitalisti e dal primo capitalismo autonomista a quella
concentrato e imperialista cui ha assistito l’Europa.
B. Le prospettive del tramonto dell’ultimo
feudalismo
6. Queste forme secolari spiegano come una classe borghese potente al pari di quelle occidentali non si sia mai formata in Russia, e l’innesto delle due rivoluzioni atteso dai marxisti si presentava ancora più difficile che in Germania. Quando Engels affronta la deficienza della tradizione rivoluzionaria tedesca esauritasi, ben diversamente da quella inglese, nella riforma religiosa, egli fa ricorso ai contadini e ne illustra la storica guerra del 1525, schiacciata terribilmente per la viltà dei borghesi urbani, del clero riformato e anche dei piccoli nobili.
Per la Russia la prima contesa fra i marxisti e tutti gli altri partiti, in dottrina e nella lotta reale, fu sul punto se la classe borghese, politicamente assente, come la stessa piccola nobiltà ed un clero ribelle, poteva trovare un sostituto nella classe contadina. La formula storica a noi avversa era quella che la rivoluzione russa non sarebbe stata né borghese né operaia, ma contadina. Definimmo la rivoluzione contadina solo una controfigura della rivoluzione borghese cittadina. In tutto il lungo corso di polemiche e di guerre di classe per cento anni il marxismo ha rifiutata la prospettiva mostruosa di un socialismo contadino, che sarebbe uscito in Russia da una riscossa dei minimi lavoratori sulla terra per averne godimento proprietario in forme utopistiche egualitarie, giungendo a controllare lo Stato più delle classi urbane, la impotente borghesia ed il nuovo proletariato, di cui non si supponeva la tremenda energia attinta come sezione del proletariato europeo. La borghesia nasce nazionale e non si trasmette energie traverso le frontiere. Il proletariato nasce internazionale ed è, come classe, presente in tutte le rivoluzioni "straniere". Il contadiname è perfino sottonazionale.
Su queste basi si costruì da Lenin la dottrina marxista della rivoluzione russa, in cui come protagonisti furono scartate le classi della borghesia indigena e del contadiname, e fu eletta la classe operaia.
Lo svolgimento di questa impostazione è documentata nella nostra trattazione:
Russia e rivoluzione nella teoria marxista, numeri dal 21 del 1954
all’8 del 1955.
7. Due sono le grandi questioni, l’agraria e la politica. Per la prima i populisti-socialisti rivoluzionari sono per la spartizione, i menscevichi sono per la municipalizzazione, i bolscevichi per la nazionalizzazione. Tutti, Lenin dice, sono postulati di una rivoluzione borghese democratica, e non socialista. Tuttavia il terzo è il più spinto e crea le migliori condizioni per il comunismo proletario. Ci limitiamo a citare di nuovo da Due Tattiche: «L’idea della nazionalizzazione della terra è dunque una categoria della società mercantile e capitalistica». Nella Russia di oggi solo la parte dei Sovcos, la minore è a questa altezza, e il resto ancora più indietro.
Per la questione del potere, i menscevichi sono per lasciarlo prendere alla borghesia, e poi stare all’opposizione (nel 1917 collaboreranno al governo coi borghesi); i populisti sono per il fantoccio del governo contadino, e con Kerensky faranno la stessa fine; i bolscevichi sono per la presa del potere ed una dittatura democratica del proletariato e dei contadini. L’aggettivo democratico e il sostantivo contadini si spiegano con le parole di Lenin: «Questa vittoria non farà affatto della nostra rivoluzione borghese una rivoluzione socialista. Le trasformazioni diventate per la Russia una necessità non soltanto non implicano il crollo del capitalismo, ma al contrario sbarazzeranno effettivamente il terreno per uno sviluppo largo e rapido, europeo e non asiatico, del capitalismo. Questa vittoria ci aiuterà a sollevare l’Europa, e il proletariato socialista europeo, abbattuto dal giogo della borghesia, ci aiuterà a sua volta a fare la rivoluzione socialista».
Che fare allora degli alleati contadini? Lenin lo disse anche chiaramente. Marx aveva detto che i contadini sono «i naturali alleati della borghesia». Lenin scrive: «Nella lotta vera e decisiva per il socialismo, i contadini, come classe di proprietari terrieri, avranno la stessa funzione di tradimento e di incostanza che la borghesia ha oggi in Russia nella lotta per la democrazia».
Nella fine della indicata trattazione (n. 8 del 1955) abbiamo mostrato
come Lenin sosteneva la sua formula: presa del potere dittatoriale nella
rivoluzione borghese, contro la borghesia stessa e con l’appoggio dei soli
contadini, con un doppio argomento: per giungere alla rivoluzione proletaria
europea, sola condizione per la vittoria del socialismo in Russia, e per
evitare la restaurazione zarista, che sarebbe stato il ripristino della
guardia bianca di Europa.
C. L’incancellabile epopea russa della
rivoluzione proletaria mondiale
8. Nel 1914 venne la guerra prevista da Marx della Germania contro le razze unite degli slavi e dei latini, e dai rovesci dello zar nacque come egli aveva profetizzato la rivoluzione russa.
La Russia era ora alleata delle potenze democratiche Francia, Inghilterra ed Italia. Capitalisti e democratici, insieme ai socialisti traditori che avevano abbracciata la causa della guerra antitedesca, giudicarono lo zar divenuto, perché imbelle o perché segreto alleato di domani dei tedeschi, un nemico da eliminare, e la prima rivoluzione russa del febbraio 1917 fu osannata da tutti i demopatrioti e socialpatrioti, che l’attribuirono non alla stanchezza delle masse e dei soldati bensì ad abile opera delle ambasciate alleate. Benché i socialisti russi di destra nella maggioranza non avessero aderito alla guerra, essi si orientarono subito verso un governo provvisorio che, d’accordo che le potenze estere, l’avrebbe continuata, e su tale base si delineò un compromesso con i partito borghesi.
Il partito bolscevico, prima con esitazione, e finalmente con ogni vigore dopo il ritorno di Lenin e dei capi bolscevichi del 1917, e l’adesione integrale di Trotski, si indirizzò all’obiettivo di rovesciare tale governo, con i suoi sostenitori menscevichi e populisti.
Nella nostra trattazione successiva sulla Struttura economica e sociale
della Russia d’oggi, e specie nella Prima Parte, abbiamo esposto sui
documenti la storica vicenda che condusse, nell’Ottobre di cui oggi si
celebra il quarantesimo anniversario, alla seconda rivoluzione, e abbiamo
confrontata la lotta per il potere nel 1917 alle questioni dottrinali che
prima erano sorte nella vita del partito.
9. La conquista del potere da parte del partito comunista si espresse come disfatta nella guerra civile di tutti gli altri partiti, sia borghesi che sedicenti operai e contadini, fautori della continuazione della guerra a fianco degli alleati. Essa si completò con la vittoria contro questi partiti nel Soviet pan-russo, che integrava la loro disfatta e quella dei loro alleati extra-soviet nella lotta per le strade; nella dispersione dell’Assemblea costituente che il governo provvisorio aveva convocata e finalmente nella rottura con l’ultimo alleato, il partito dei socialisti rivoluzionari di sinistra, forte nelle campagne e fautore della guerra santa contro i tedeschi.
Questo svolto gigante non passò senza gravi lotte all’interno del partito, né si concluse storicamente se non quando ebbe fine, dopo circa quattro terribili anni, la lotta contro le armate controrivoluzionarie, che avevano tre origini: le forze della nobiltà feudale e monarchica – quelle sorrette nel 1918 dalla Germania, prima e dopo la pace di Brest – quelle mobilitate con grande impegno dalle potenze democratiche, tra cui l’esercito polacco.
Frattanto nei paesi europei non si succedevano che tentativi sfortunati
di presa del potere da parte della classe operaia, entusiasticamente solidale
con la rivoluzione bolscevica; ed in sostanza fu decisiva la sconfitta
dei comunisti tedeschi nel gennaio 1919, dopo la sconfitta militare della
Germania e la caduta del potere kaiserista. La linea storica di Lenin fino
a questo punto realizzata in modo formidabile, e soprattutto con la decisiva
soluzione della accettazione della pace nel marzo 1918, che la insana democrazia
mondiale chiamò tradimento, subì la prima rottura. Gli anni successivi
confermarono che non vi sarebbero stati aiuti di un proletariato europeo
vincitore alla economia russa, caduta in un pauroso dissesto. Il potere
in Russia fu solidamente, nel seguito, difeso e salvato; ma da allora non
fu possibile sistemare secondo le previsioni di tutti i marxisti la questione
economica e sociale russa, ossia con la dittatura del partito comunista
internazionale sulle forze produttive, ridondanti anche dopo la guerra
in Europa.
10. Lenin aveva sempre esclusa ed escluse fino a che visse, e con lui gli autentici marxisti bolscevichi, che, mancando la ripercussione della rivoluzione russa in Europa, potesse la struttura sociale russa trasformarsi con caratteri socialisti restando capitalista l’economia europea. Tuttavia egli mantenne sempre la sua tesi che in Russia il potere dovesse essere preso e tenuto, in forma dittatoriale, dal partito proletario appoggiato dai contadini. Sorgono due quesiti storici. Può definirsi socialista una rivoluzione che, come Lenin prevedeva, crea un potere che, in attesa di nuove vittorie internazionali, amministri forme sociali di economia privata, quando queste vittorie non sono venute? Il secondo quesito riguarda la durata ammissibile per una tale situazione, e se vi erano alternative che non fossero l’aperta controrivoluzione politica, il ritorno al potere di una borghesia nazionale a viso aperto.
Per noi l’Ottobre fu socialista, e l’alternativa alla vittoria controrivoluzionaria armata, che non vi fu, lasciava due altre strade aperte e non una sola: la degenerazione interna dell’apparato di potere (Stato e partito) che si adattava ad amministrare forme capitaliste dichiarando di abbandonare l’attesa della rivoluzione mondiale (come è stato); o una lunga permanenza al potere del partito marxista, direttamente impegnato a sostenere la lotta proletaria rivoluzionaria in tutti i paesi esteri, e che con il coraggio che ebbe Lenin dichiarasse che le forme sociali interne restavano largamente capitaliste (e precapitaliste).
Va data la precedenza al primo quesito, mentre il secondo si collega
all’esame della struttura sociale russa presente, falsamente vantata come
socialistica.
11. La rivoluzione di Ottobre va considerata dapprima non in rapporto a mutamenti immediati o rapidissimi delle forme di produzione e della struttura economica, ma come fase della lotta politica internazionale del proletariato. Essa presenta infatti una serie di potenti caratteri che esorbitano totalmente dai limiti di una rivoluzione nazionale e puramente antifeudale, e che non si limitano al fatto che il partito proletario ne fu alla testa.
a) Lenin aveva stabilito che la guerra europea e mondiale avrebbe avuto carattere imperialista «anche per la Russia» e che quindi il partito proletario doveva, come nella guerra russo-giapponese che provocò le lotte del 1905, tenere attitudine aperta di disfattismo. Ciò non per la ragione che lo Stato non era democratico, ma per le stesse ragioni che dettavano a tutti i partiti socialisti degli altri paesi lo stesso dovere. Non vi era in Russia abbastanza economia capitalista e industriale da dare base al socialismo, ma ve ne era abbastanza da dare alla guerra carattere imperialista. I traditori del socialismo rivoluzionario, che avevano sposata la causa dei briganti borghesi imperialisti sotto pretesto di difendere una democrazia "di valore assoluto" contro pericoli di là tedeschi, di qua russi, sconfessarono i bolscevichi per la liquidazione della guerra e delle alleanze di guerra, e cercarono di pugnalare Ottobre. Ottobre vinse contro di loro, la guerra, e l’imperialismo mondiale; e fu conquista solo proletaria e comunista.
b) Nel trionfare dell’attentato di costoro, Ottobre rivendicò le carte dimenticate della rivoluzione e restaurò la rovina dottrinale del marxismo da loro tramata; ricollegò la via per qualunque nazione della vittoria sulla borghesia all’impiego della violenza e del terrore rivoluzionario, al laceramento delle "garanzie" democratiche, alla applicazione senza limiti della categoria essenziale del marxismo: la dittatura della classe operaia, esercitata dal partito comunista. Chiamò per sempre bestia chi dietro la dittatura legge un uomo, quasi quanto chi, tremebondo al pari delle meretrici democratiche di quella tirannide, vi legge una classe amorfa e non organizzata, non costruita in partito politico, come nei nostri testi di un secolo.
c) Quando fittiziamente la classe operaia si presenti sullo scenario politico, o peggio parlamentare, divisa tra diversi partiti, la lezione di Ottobre, indistrutta, mostrò che la via non passa per un potere gestito in comune da tutti insieme, ma per la liquidazione violenta successiva di quella collana di servitori del capitalismo, fino al potere totale del partito unico.
La grandezza dei punti che abbiamo indicato nella triplice serie sta nel fatto che forse proprio in Russia la speciale condizione storica della sopravvivenza dispotica e medioevale poteva spiegare una eccezione in rapporto ai paesi borghesi sviluppati; mentre all’opposta la via russa martellò, tra lo sbalordimento di terrore o di entusiasmo del mondo, la via unica e mondiale tracciata dalla dottrina universale del marxismo, da cui mai Lenin si distaccò in nessuna fase, nel pensiero e nell’azione; e con lui il mirabile partito dei bolscevichi.
È ignobile che questi nomi siano sfruttati da quelli che, vergognosi in modo schifosissimo di quelle glorie che ostentano teatralmente di voler celebrare, si scusano che quelle vie la Russia abbia "dovuto", per speciali circostanze e condizioni locali, percorrere, e promettono o concedono, come se fosse tanto loro missione o potere, di far pervenire i paesi dall’estero al socialismo per altre e disperate vie nazionali, lastricate dal tradimento e dall’infamia con tutti i materiali che il fango da fogna dell’opportunismo vale ad impostare: libertà, democrazia, pacifismo, coesistenza ed emulazione.
Per Lenin il socialismo in Russia aveva bisogno, come dell’ossigeno,
della rivoluzione occidentale. Per questi, che il 7 novembre sfilano davanti
al suo stolto mausoleo, l’ossigeno è che nel resto del mondo gavazzi il
capitalismo, con cui coesistere e coire.
D. Parabola sinistra della rivoluzione
stroncata
12. I cardini dell’altro quesito sulla struttura economica della Russia alla vittoria di Ottobre sono stabiliti da testi fondamentali di Lenin, a cui nel modo più esteso ci siamo riferiti, non con quelle citazioni staccate che si possono introdurre in scritti generici e brevi, ma con una illustrazione che pone in rapporto tutte le formule con le storiche condizioni dell’ambiente e i rapporti delle forze, nella seriazione storica.
Una di quelle che chiamiamo "rivoluzioni duplici" porta sul teatro delle operazioni tre dei modi storici di produzione, come era per la Germania prima del 1848. Nella classica veduta di Marx si trattava dell’impero medioevale e aristocratico-militare, della borghesia capitalistica, e del proletariato, ossia del servaggio, del salariato, e del socialismo. Lo sviluppo industriale in Germania, in quantità se non in qualità, era allora limitato, ma se Marx introdusse il terzo personaggio fu perché le condizioni tecnico-economiche ne esistevano in pieno in Inghilterra, mentre quelle politiche sembravano presenti in Francia. Nel campo europeo la prospettiva socialista era ben presente; e l’idea di una rapida caduta del potere assolutista tedesco a beneficio della borghesia, e poi dell’attacco a questa del giovane proletariato, era legato alla possibilità di una vittoria operaia in Francia, dove, caduta la monarchia borghese del ’31, il proletariato di Parigi e della Provincia desse battaglia, che generosamente diede ma perdette.
Le grandi visioni rivoluzionarie sono feconde anche quando la storia ne rinvia l’attuazione. La Francia avrebbe dato la politica, fondando a Parigi un potere dittatoriale operaio come tentò nel ’31 e nel ’48 e realizzò nel ’71, gloriosamente sempre soccombendo armi alla mano. L’Inghilterra avrebbe dato l’economia. La Germania avrebbe dato la dottrina, che piacque a Leone Trotski richiamare per la Russia nel nome classico di rivoluzione in permanenza. Ma la rivoluzione permane, in Marx e in Trotski, nel quadro internazionale, non in un misero quadro nazionale. Gli stalinisti hanno condannato la rivoluzione permanente nel loro terrorismo ideologico: ma sono essi che l’hanno scimmiottata in una vuota parodia, e imbrattata di patriottismo.
Lo sguardo di Lenin, e dietro lui di noi tutti, nel 1917 vedeva la Russia rivoluzionaria – industrialmente indietro come la Germania del 1848 – offrire la fiamma della vittoria politica, e riaccendere in modo supremo quella grande dottrina cresciuta nell’Europa e nel Mondo. Alla sconfitta Germania sarebbero state attinte le forze produttive, il potenziale dell’economia. Sarebbe seguito il resto del tormentato centro-Europa. Una seconda ondata avrebbe travolto le "vincitrici" Francia, Italia (che sperammo invano di anticipare fin dal 1919), Inghilterra, America, Giappone.
Nel nucleo Russia-Europa centrale lo sviluppo delle forze produttive
nella direzione del modo socialista non avrebbe avuto ostacoli, e bisogno
soltanto della dittature dei partiti comunisti.
13. Interessa a questo scorcio grezzo delle nostre ricerche l’altra alternativa, quella della Russia rimasta sola, con in mano la folgorante vittoria politica. Situazione di enorme vantaggio rispetto al 1848, in cui tutte le nazioni combattenti rimasero nelle mani del capitalismo, e la Germania più indietro ancora.
Riassumiamo duramente la prospettiva interna di Lenin, quella in attesa della rivoluzione ad ovest. Nell’industria, controllo della produzione e più tardi gestione dello Stato, che significava sì distruzione della borghesia privata e quindi vittoria politica, ma amministrazione economica nel modo mercantile e capitalista, sviluppando le sole "basi" per il socialismo. Nell’agricoltura distruzione di ogni forma di servitù feudale, e gestione cooperativa delle grandi tenute, tollerando il meno possibile la piccola produzione mercantile, forma nel 1917 dominante ed inevitabilmente incoraggiata dalla distruzione – questa sì economica quanto politica – del modo feudale. Gli stessi braccianti senza terra, i soli "contadini poveri" veramente cari a Lenin, erano statisticamente diminuiti e trasformati in proprietari per la espropriazione della terra dei contadini ricchi.
Nella grande discussione del 1926 sorse la questione dei tempi, che abbiamo fondamentalmente chiarita, Stalin diceva: se qui il pieno socialismo è impossibile, allora dobbiamo lasciare il potere. Trotski gridò di credere nella rivoluzione internazionale, ma di doverla attendere al potere anche per 50 anni. Gli fu risposto che Lenin aveva parlato di venti anni «di buoni rapporti con i contadini», dopo dei quali, anche in una Russia economicamente non socialista, si sarebbe scatenata la lotta di classe tra operai e contadini per stroncare la microproduzione rurale e il microcapitale privato agrario, tabe della rivoluzione.
Ma nell’ipotesi della rivoluzione operaia europea il micropossesso della
terra – che oggi vive non sradicabile nel "Colcos" – sarebbe
stato trattato con drastica rapidità, senza rinvii.
14. La scienza economica marxista vale a documentare che lo stalinismo è rimasto più indietro ancora di quanto prevedeva Lenin come lontano risultato. Non sono passati 20, ma 40 anni, e i rapporti con i contadini colcosiani sono tanto "buoni", quanto "cattivi" quelli con gli operai dell’industria, gestita dallo Stato in regime salariale con condizioni mercantili finora peggiori di quelle dei capitalismi non mascherati. Il contadino colcosiano è trattato bene come cooperatore nell’azienda Colcos, forma capitalista privata e non statale, e più che bene come piccolo gestore di terra e capitale scorte.
Sarebbe inutile ricordare le caratteristiche borghesi dell’economia sovietica, che vanno dal commercio, alla eredità, al risparmio. Come essa non è affatto avviata all’abolizione dello scambio per equivalente monetario e alla remunerazione non pecuniaria del lavoro, così i suoi rapporti tra operaio e contadino vanno in senso opposto alla comunista abolizione della differenza tra lavoro agricolo e industriale, lavoro mentale e manuale.
Non è venuta, per quaranta anni dal 1917, e circa 30 da quando Trotski
ne valutò come tollerabili al potere 50, andando la 1975 circa, la rivoluzione
proletaria di occidente. Gli assassini di Leone, e del bolscevismo, hanno
largamente costruito capitalismo industriale, ossia basi del socialismo,
ma limitatamente nelle campagne, e sono di altri venti anni in ritardo
su quelli di Lenin nel farla finita colla forma gallinesca del colcosianismo,
degenerazione dello stesso capitalismo libero classico, che oggi coloro,
in un sotterraneo accordo coi capitalisti di oltre frontiera, vorrebbero
infettare nell’industria e nella vita. Verranno anche prima del 1975 crisi
di produzione, che travolgeranno ambo i campi di emulazione, a far volare
via pagliai, pollai, microautorimesse e tutte le istallazioni pitocche
del sozzo, moderno ideale domestico colcosiano per una illusoria arcadia
di capitalismo populista.
15. Un recente studio di economisti borghesi americani sulla dinamica mondiale degli scambi calcola un punto critico dell’attuale corsa alla conquista dei mercati, incardinata sul bieco puritanismo della soccorritrice America dopo la fine del secondo conflitto mondiale, al 1977. Venti anni ancora ci separerebbero dal lanciarsi della nuova fiammata di rivoluzione permanente concepita nel quadro internazionale, e ciò collima colle conclusioni del lontano dibattito del 1926, come con quelle delle nostre ricerche degli ultimi anni (vedi il riassunto nei nn. 15 e 16 del 1955, alla fine).
La condizione perché possa evitarsi un nuovo rovescio proletario è quella che la restaurazione teorica non debba farsi, come nello sforzo gigante di Lenin dal 1914, dopo che già il terzo conflitto mondiale abbia schierato i lavoratori sotto le sue tutte maledette bandiere, ma possa svolgersi ben prima, con l’organizzazione di un partito mondiale che non esiti a proporre la propria dittatura. Una tale esitazione liquidatrice è nella debolezza di quanti rimpiangono l’assaggio imbecille di un pezzetto di quella personale, e possono accodarsi a quanti spiegano la Russia con colpi di palazzo ad omoni e omacci, demagoghi o traineurs de sabre che siano.
Nel corso dei venti anni delibati, una grande crisi della produzione industriale mondiale e del ciclo commerciale del calibro di quella americana 1932, ma che non risparmierà il capitalismo russo, potrà essere di base al ritorno di decise ma visibili minoranze proletarie su posizioni marxiste, che saranno ben lontane dall’apologia di pseudo rivoluzioni antirusse di tipo ungherese dove, alla stalinista maniera, combattano abbracciati contadini, studenti ed operai.
Può azzardarsi uno schema della rivoluzione internazionale futura? La sua area centrale sarà quella che risponde, con una potente ripresa di forze produttive, alla rovina della seconda guerra mondiale, e soprattutto la Germania, compresa quella dell’est, la Polonia, la Cecoslovacchia. La insurrezione proletaria, che seguirà l’espropriazione ferocissima di tutti i possessori di capitale popolarizzato, dovrebbe avere il suo epicentro tra Berlino ed il Reno e presto attrarre il nord d’Italia e il nord-est della Francia.
Una simile prospettiva non è accessibile ai minorati che non vogliono concedere un’ora di relativa sopravvivenza a nessuno dei capitalismi, per loro tutti eguali e da giustiziare in fila, anche se invece di missili atomici si impugnano siringhe a retrocarica.
A dimostrazione che Stalin e successori hanno rivoluzionariamente industrializzato la Russia, mentre controrivoluzionariamente castravano il proletariato del mondo, la Russia sarà per la nuova rivoluzione la riserva di forze produttive, e solo in seguito di eserciti rivoluzionari.
Alla terza ondata l’Europa continentale comunista politicamente e socialmente esisterà – o l’ultimo marxista sarà scomparso.
Il capitalismo inglese ha già bruciate le sue riserve di imborghesimento
laburista dell’operaio che Marx ed Engels gli rinfacciarono. In quel tempo
anche quello dieci volte più vampiro ed oppressore del mondo che si annida
negli Stati Uniti le perderà nello scontro supremo. Alla lurida emulazione
di oggi si sostituirà il mors tua vita mea sociale.
16. È per questo che noi non abbiamo commemorato i quarant’anni che sono passati, ma i venti che attendono di passare, e il loro scioglimento.