Partito Comunista Internazionale Corpo unitario ed invariante delle Tesi del Partito

Terza Internazionale (Comunista)
2° Congresso - giugno-agosto 1920
 
TESI SUL PARLAMENTARISMO DELLA FRAZIONE COMUNISTA ASTENSIONISTA DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO
 
Appendici:
VIII seduta, 2 agosto 1920
- Intervento della sinistra del PSI sul parlamentarismo
X seduta, 2 agosto 1920, sera
- Replica della sinistra del PSI sulla questione del parlamentarismo
 
 
 1) Il parlamento è la forma di rappresentanza politica propria del regime capitalista. La critica di principio dei comunisti marxisti al parlamentarismo e alla democrazia borghese in genere dimostra che il diritto di voto accordato a tutti i cittadini di tutte le classi sociali nelle elezioni agli organi rappresentativi statali, non può impedire né che tutto l’apparato di governo dello Stato costituisca il comitato di difesa degli interessi della classe dominante capitalistica, né che lo Stato si organizzi come lo strumento storico della lotta della borghesia contro la rivoluzione proletaria.

 2) I Comunisti negano recisamente la possibilità che la classe lavoratrice giunga al potere attraverso la maggioranza dei mandati parlamentari, invece di conquistarlo con la lotta rivoluzionaria armata. La conquista del potere politico da parte del proletariato, punto di partenza dell’opera di costruzione economica comunista, implica la soppressione violenta ed immediata degli organi democratici, e la loro sostituzione con gli organi del potere proletario: i Consigli operai. La classe degli sfruttatori essendo così privata di ogni diritto politico, si realizzerà la dittatura del proletariato, vale a dire un sistema di governo e di rappresentanza di classe. La soppressione del parlamentarismo è dunque un fine storico del movimento comunista. Diciamo di più: la prima forma della società borghese che deve essere rovesciata, prima ancora della proprietà capitalistica, prima ancora della stessa macchina burocratica e governativa, è proprio la democrazia rappresentativa.

 3) Lo stesso vale per le istituzioni municipali o comunali della borghesia, che è teoricamente falso contrapporre agli organi governativi. Infatti, il loro apparato è identico al meccanismo statale borghese: esse devono parimenti essere distrutte dal proletariato rivoluzionario e sostituite dai soviet locali dei deputati operai.

 4) Mentre l’apparato esecutivo, militare e poliziesco dello Stato borghese organizza l’azione diretta contro la rivoluzione proletaria, la democrazia rappresentativa costituisce un mezzo di difesa indiretta, che agisce diffondendo fra le masse l’illusione che la loro emancipazione possa compiersi mediante un pacifico processo e che la forma dello Stato proletario possa anche essere a base parlamentare, con diritto di rappresentanza alla minoranza borghese. Il risultato di questa influenza democratica sulle masse proletarie è stata la corruzione del movimento socialista della II Internazionale nel campo della teoria come in quello dell’azione.

 5) Nel momento attuale il compito dei comunisti, nella loro opera di preparazione ideale e materiale della rivoluzione, è prima di tutto di liberare il proletariato da queste illusioni e da questi pregiudizi, diffusi nelle sue file con la complicità degli antichi leader socialdemocratici, che lo deviano dalla sua rotta storica. Nei paesi in cui il regime democratico esiste già da lungo tempo, e si è profondamente radicato nelle abitudini delle masse e nella loro mentalità, non meno che in quella dei partiti socialisti tradizionali, questo compito riveste una particolare importanza e si presenta al primo piano dei problemi della preparazione rivoluzionaria.

 6) Nel periodo in cui nel movimento internazionale del proletariato la conquista del potere non si presentava come una possibilità vicina e non si poneva ancora il problema della preparazione diretta alla dittatura proletaria, la partecipazione alle elezioni e all’attività parlamentare poteva ancora offrire delle possibilità di propaganda, agitazione e critica. D’altro lato, in quei paesi in cui una rivoluzione borghese è tuttora in corso e crea istituti nuovi, l’intervento dei comunisti in questi organi rappresentativi in formazione può offrire la possibilità di influire sullo sviluppo degli avvenimenti per far giungere la rivoluzione alla vittoria del proletariato.

 7) Nel periodo storico attuale, aperto dalla fine della guerra mondiale con le sue conseguenze sull’organizzazione sociale borghese, dalla rivoluzione russa come prima realizzazione della conquista del potere da parte del proletariato, e dalla costituzione della nuova Internazionale in opposizione al socialdemocratismo dei traditori, e in quei paesi in cui il regime democratico ha completato da tempo la sua formazione, non esiste invece alcuna possibilità di utilizzare per l’opera rivoluzionaria dei comunisti la tribuna parlamentare; e la chiarezza della propaganda non meno che l’efficacia della preparazione alla lotta finale per la dittatura del proletariato esigono che i comunisti conducano un agitazione per il boicottaggio delle elezioni da parte dei lavoratori.

 8) In queste condizioni storiche, il problema centrale del movimento essendo divenuto la conquista rivoluzionaria del potere, tutta l’attività politica del partito di classe deve essere consacrata a questo scopo diretto. È necessario spezzare la menzogna borghese secondo cui ogni scontro fra partiti politici avversi, ogni lotta per il potere, debba svolgersi nel quadro del meccanismo democratico, attraverso campagne elettorali e dibattiti parlamentari; e non vi si potrà riuscire senza rompere col metodo tradizionale di chiamare gli operai alle elezioni – alle quali i proletari sono ammessi fianco a fianco coi membri della classe borghese – e senza smetterla con la spettacolo di delegati del proletariato che agiscono sullo stesso terreno parlamentare di quelli dei suoi sfruttatori.

 9) La pratica ultraparlamentare dei partiti socialisti tradizionali ha già troppo diffuso la pericolosa concezione che ogni azione politica consista nelle lotte elettorali e nell’attività parlamentare. D’altra parte, il disgusto del proletariato per questa pratica di tradimento ha preparato un terreno favorevole agli errori sindacalisti e anarchici, che negano ogni valore all’azione politica e alla funzione del partito. Perciò i Partiti Comunisti non otterranno mai un largo successo nella propaganda del metodo rivoluzionario marxista, se non poggeranno il lavoro diretto per la dittatura del proletariato e per i Consigli operai sull’abbandono di ogni contatto con l’ingranaggio della democrazia borghese.

 10) La grandissima importanza che si attribuisce in pratica alla campagna elettorale e ai suoi risultati, il fatto che, per un periodo abbastanza lungo, il partito consacri ad essa tutte le sue forze e le sue risorse in uomini, in stampa, in mezzi economici, concorre da un lato, malgrado ogni discorso da comizio e ogni dichiarazione teorica, a rafforzare l’impressione che si tratti della vera azione centrale per i fini del comunismo, dall’altro conduce all’abbandono quasi completo del lavoro di organizzazione e di preparazione rivoluzionaria, dando all’organizzazione del partito un carattere tecnico affatto contrastante con le esigenze del lavoro rivoluzionario tanto legale quanto illegale.

 11) Per quei partiti che per decisione maggioritaria sono passati alla III Internazionale, il fatto di continuare a svolgere l’azione elettorale impedisce la necessaria selezione dagli elementi socialdemocratici, senza l’eliminazione dei quali l’Internazionale Comunista mancherebbe al suo compito storico e non sarebbe più l’armata disciplinata ed omogenea della rivoluzione mondiale.

 12) La natura stessa dei dibattiti che hanno per teatro il parlamento e gli altri organi democratici esclude ogni possibilità di passare dalla critica della politica dei partiti avversi ad una propaganda contro il principio stesso del parlamentarismo, ad una azione che oltrepassi i limiti del regolamento parlamentare; allo stesso modo che non è possibile ottenere il mandato che dà il diritto alla parola se ci si rifiuta di sottomettersi a tutte le formalità stabilite per la procedura elettorale.
     Il successo nelle schermaglie parlamentari sarà sempre e soltanto funzione dell’abilità nel maneggio dell’arma comune dei principi sui quali l’istituzione poggia e dei cavilli del regolamento; così come il successo della lotta elettorale si giudicherà sempre e soltanto dal numero dei voti o dei seggi ottenuti.
Ogni sforzo dei partiti comunisti per dare un carattere del tutto diverso alla pratica del parlamentarismo non potrà non condurre al fallimento le energie che si dovranno spendere in questo lavoro di Sisifo, e che la causa della rivoluzione comunista chiama senza indugio sul terreno dell’attacco diretto al regime dello sfruttamento capitalistico.

(Dal Protokoll des II. Weltkongresses der Kommunistische Internationale, Hamburg, 1921 pp. 430-34. Si è però tenuto presente anche il protocollo francese)
 
 
 
 
 
 
 
 

Appendici


VIII seduta, 2 agosto 1920

Intervento della sinistra del PSI sulla questione del parlamentarismo



Compagni !

La frazione di sinistra del Partito Socialista Italiano è antiparlamentare per ragioni che non riguardano soltanto l’Italia, ma hanno un carattere generale.

Si tratta qui di una discussione di principio? Certamente no. In principio noi siamo tutti antiparlamentari, poiché ripudiamo il parlamentarismo come mezzo di emancipazione del proletariato e come forma politica dello Stato proletario. Gli anarchici sono antiparlamentari per principio, poiché si dichiarano contro ogni delegazione di potere da un individuo ad un altro; lo stesso i sindacalisti, avversari dell’azione politica del partito ed aventi una concezione del tutto differente del processo dell’emancipazione proletaria.

Quanto a noi, il nostro antiparlamentarismo si riallaccia alla critica marxista della democrazia borghese.

Non ripeterò qui gli argomenti del comunismo critico, smascheranti la menzogna borghese dell’eguaglianza politica, posta al di sopra dell’ineguaglianza economica e della lotta di classe.

Questa concezione mette capo all’idea di un processo storico, nel quale la lotta di classe termina con la liberazione del proletariato dopo una lotta violenta sostenuta per la dittatura proletaria.

Questa concezione teorica esposta nel "Manifesto dei Comunisti" ha trovato nella rivoluzione russa la prima realizzazione storica.

Un lungo periodo è trascorso tra questi due fatti, e lo sviluppo del mondo capitalista, in questo periodo, è stato molto complesso.

Il movimento marxista ha degenerato in movimento socialdemocratico ed ha creato un terreno d’azione comune ai piccoli interessi corporativi di certi gruppi operai ed alla democrazia borghese. Questa degenerazione si manifestò simultaneamente nei sindacati e nei partiti socialisti.

Si dimenticò quasi completamente il compito marxista del partito di classe, che avrebbe dovuto parlare in nome della classe operaia nel suo insieme e richiamare il suo compito storico rivoluzionario; si creò un’ideologia del tutto differente, che scartava la violenza ed abbandonava la dittatura del proletariato per sostituirvi la illusione di una trasformazione sociale pacifica e democratica.

La rivoluzione russa ha confermato in modo evidente la teoria marxista, dimostrando la necessità di impiegare il metodo della lotta violenta e di instituire la dittatura del proletariato.

Ma le condizioni storiche nelle quali la rivoluzione russa si è sviluppata non rassomigliano alle condizioni nelle quali la rivoluzione proletaria si svilupperà nei paesi democratici dell’Europa occidentale e dell’America. La situazione russa ricorda piuttosto quella della Germania nel 1848, poiché vi si sono svolte due rivoluzioni, una dopo l’altra, la rivoluzione democratica e la rivoluzione proletaria.

L’esperienza tattica della rivoluzione russa non può essere trasportata integralmente negli altri paesi, nei quali la democrazia borghese funziona da lungo tempo e dove la crisi rivoluzionaria non sarà che il passaggio diretto da questo regime politico alla dittatura del proletariato.

L’importanza marxista della rivoluzione russa è che la sua fase finale (scioglimento dell’Assemblea costituente e presa del potere ad opera dei Soviet) poteva comprendersi e difendersi solo sulla base del marxismo, e dava vita allo sviluppo di un nuovo movimento internazionale: quello dell’Internazionale Comunista, che la rompeva definitivamente con la socialdemocrazia, vergognosamente fallita durante la guerra.

Per l’Europa occidentale, il problema rivoluzionario impone dapprima la necessità di uscire dai limiti della democrazia borghese, di dimostrare che l’affermazione borghese: doversi ogni lotta politica svolgere nel meccanismo parlamentare, è menzognera, e che la lotta deve essere portata su di un nuovo terreno: quello dell’azione diretta, rivoluzionaria, per la conquista del potere.

Occorre una nuova organizzazione tecnica del partito, cioè una organizzazione storicamente nuova. Questa nuova organizzazione storica è realizzata dal partito comunista, che, come lo precisano le tesi del Comitato Esecutivo sulla questione dei compiti del partito, è suscitato dall’epoca delle lotte dirette in vista della dittatura del proletariato (Tesi 4).

Ora, la prima macchina borghese che bisogna distruggere, prima di passare all’edificazione economica del comunismo, prima ancora di costruire il nuovo meccanismo di Stato Proletario che deve sostituire l’apparato governativo, è il Parlamento.

La democrazia borghese agisce fra le masse come un mezzo di difesa indiretta, mentre l’apparato esecutivo dello Stato è pronto a far uso dei mezzi violenti e diretti, tosto che gli ultimi tentativi di attirare il proletariato sul terreno democratico sono falliti.

È dunque di una importanza capitale lo smascherare questo giuoco della borghesia, il mostrare alle masse tutta la doppiezza del parlamentarismo borghese.

La pratica dei partiti socialisti tradizionali aveva già prima della guerra mondiale determinato una reazione antiparlamentare tra le file del proletariato: la reazione sindacalista anarchica, che negò ogni valore alla azione politica per concentrare l’attività del proletariato sul terreno delle organizzazioni economiche, diffondendo la falsa idea che non ci possa essere azione politica fuori dell’attività elettorale e parlamentare. Contro questa illusione, non meno che contro l’illusione socialdemocratica, è necessario reagire; questa concezione è ben lontana dal vero metodo rivoluzionario e porta il proletariato su una falsa via nel corso della sua lotta per l’emancipazione.

La massima chiarezza è indispensabile nella propaganda: bisogna dare alle masse delle parole d’ordine semplici ed efficaci.

Partendo dai principi marxisti, noi proponiamo dunque che l’agitazione per la dittatura proletaria, nei paesi in cui il regime democratico è da lungo tempo sviluppato, sia basata sul boicottaggio delle elezioni e degli organi democratici borghesi.

La grande importanza che in pratica si dà all’azione elettorale comporta un duplice pericolo: da una parte essa dà l’impressione che questa è l’azione essenziale, dall’altra assorbe tutte le risorse del partito e conduce al quasi completo abbandono dell’azione di preparazione negli altri campi del movimento. I socialdemocratici non sono i soli ad accordare una grande importanza alle elezioni: le stesse tesi proposte dal Comitato [Esecutivo] ci dicono che è utile servirsi nelle campagne elettorali di tutti i mezzi d’agitazione (Tesi 15). L’organizzazione del partito che esercita l’attività elettorale riveste un carattere tecnico del tutto particolare, che contrasta fortemente con il carattere d’organizzazione che risponde alla necessità dell’azione rivoluzionaria, legale ed illegale.

Il Partito diviene (o resta) un ingranaggio di comitati elettorali che si incarica soltanto della preparazione e della mobilitazione degli elettori.

Quando si tratta di un vecchio partito socialdemocratico che passa al movimento comunista, è un grande pericolo quello di perseguire l’azione parlamentare come la si praticava prima. Ci sono numerosi esempi di questa situazione.

* * *

Per ciò che concerne le tesi presentate e sostenute dai relatori, osserverò che esse sono precedute da una introduzione storica, con la prima parte della quale io concordo quasi interamente.

Vi è detto che la prima Internazionale si serviva del parlamentarismo allo scopo di agitazione, di propaganda e di critica. Più tardi, nella seconda Internazionale si verificò l’azione corruttrice del parlamentarismo, che condusse al riformismo ed alla collaborazione di classe.

L’introduzione trae la conclusione che la terza Internazionale deve ritornare alla tattica parlamentare della prima, allo scopo di distruggere il parlamentarismo stesso dall’interno.

Ma la terza Internazionale, al contrario, se accetta la stessa dottrina della prima, data la grande diversità delle condizioni storiche, deve servirsi di tutt’altra tattica e non partecipare alla democrazia borghese.

Così nelle tesi che seguono, c’è una prima parte che non è affatto in contraddizione con le idee che io sostengo.

È soltanto quando si parla della utilizzazione della campagna elettorale e della tribuna parlamentare per l’azione delle masse che incomincia la differenza. Noi non ripudiamo il parlamentarismo perché si tratti di un mezzo legale. Non si può proporne l’impiego allo stesso titolo della stampa, della libertà di riunione, ecc.

Qui si tratta di mezzi d’azione, là di una istituzione borghese che deve essere sostituita dalle istituzioni proletarie dei Consigli operai. Noi non pensiamo affatto di non far uso dopo la rivoluzione della stampa, della propaganda, ecc., ma contiamo bensì di spezzare l’apparato parlamentare e sostituirlo con la dittatura del proletariato.

E tanto meno è da noi portato il solito argomento dei “capi” del movimento. Non si può fare a meno di capi. Noi sappiamo benissimo, e l’abbiamo sempre detto agli anarchici fin da prima della guerra, che non è sufficiente rinunziare al parlamentarismo per fare a meno dei “capi”. Ci sarà sempre bisogno di propagandisti, di giornalisti, ecc.

Certamente occorre alla rivoluzione un partito centralizzato che diriga l’azione proletaria. Evidentemente occorrono dei leaders a questo partito, ma la funzione di questi capi ha un valore del tutto differente dalla tradizionale pratica socialdemocratica. Il partito dirige l’azione proletaria nel senso che assume su di sé tutto il lavoro più pericoloso e che esige i maggiori sacrifici. I capi del partito non sono solamente i capi della rivoluzione vittoriosa. Saranno essi che in caso di disfatta per primi cadranno sotto i colpi del nemico. La loro situazione è del tutto differente da quella dei capi parlamentari, che prendono i posti più vantaggiosi nella società borghese.

Ci si dice: dalla tribuna parlamentare si può fare della propaganda. A ciò risponderò con un argomento... del tutto infantile: ciò che si dice dalla tribuna parlamentare è ripetuto dalla stampa. Se si tratta della stampa borghese, tutto è falsificato; se si tratta della nostra stampa, allora è inutile passare dalla tribuna per dover poi stampare quello che si è detto.

Gli esempi dati dal relatore non toccano la nostra tesi.

Liebknecht ha agito al Reichstag in una epoca in cui noi riconoscevamo la possibilità dell’azione parlamentare, tanto più che si trattava non di sanzionare il parlamentarismo, ma di dedicarsi alla critica del potere borghese.

Se d’altronde si mettessero in un piatto della bilancia Liebknecht, Hoeglund e gli altri casi poco numerosi di azione rivoluzionaria in Parlamento e nell’altro tutta la lunga serie di tradimenti dei socialdemocratici, il bilancio sarebbe molto sfavorevole al “parlamentarismo rivoluzionario”.

La questione dei bolscevichi nella Duma, nel Parlamento di Kerensky, nell’Assemblea Costituente non si pone affatto nelle condizioni nelle quali noi proponiamo l’abbandono della tattica parlamentare, ed io non ritorno sulla differenza fra lo sviluppo della rivoluzione russa e lo sviluppo che presenteranno le rivoluzioni negli altri paesi borghesi.

Tanto meno io accetto l’idea della conquista elettorale degli istituti comunali borghesi. C’è in questo un importantissimo problema da non passare sotto silenzio.

Io penso di usufruire delle campagne elettorali per l’agitazione e la propaganda della rivoluzione comunista, ma questa agitazione sarà tanto più efficace se noi sosterremo davanti alle masse il boicottaggio delle elezioni borghesi.

D’altronde non si può definire esattamente quale potrà essere il lavoro di distruzione che i deputati comunisti potranno effettuare in Parlamento. Il relatore ci presenta a questo proposito un progetto di regolamento concernente l’azione comunista nel Parlamento borghese. Questo è, se mi è permesso, puro utopismo. Non si arriverà mai ad organizzare un’azione parlamentare che si opponga ai principi stessi del parlamentarismo, che esca “dai limiti stessi del regolamento parlamentare”.

* * *

E ora due parole sugli argomenti portati dal compagno Lenin nell’opuscolo sul “comunismo di sinistra”.

Io credo che non si possa giudicare la nostra tattica antiparlamentare alla stessa stregua di quella che preconizza l’uscita dai Sindacati.

Il Sindacato, anche quando è corrotto, è sempre un centro operaio. Uscire dal Sindacato socialdemocratico corrisponde alla concezione di certi sindacalisti che vorrebbero costituirsi degli organi di lotta rivoluzionaria di tipo non politico, ma sindacale.

Dal punto di vista marxista, questo è un errore che non ha nulla di comune con gli argomenti sui quali poggia il nostro antiparlamentarismo.

Le tesi del relatore dichiarano del resto che la questione parlamentare è secondaria per il movimento comunista; non lo è altrettanto quella dei Sindacati.

Io credo che dall’opposizione all’azione parlamentare non bisogna dedurne un giudizio decisivo su compagni o partiti comunisti. Il compagno Lenin, nel suo interessante lavoro, ci espone la tattica comunista difendendo un’azione molto agile, corrispondente molto bene all’analisi attenta del mondo borghese, ed egli propone di applicare a questa analisi nei paesi capitalisti, i dati dell’esperienza della rivoluzione russa.

Egli sostiene anche la necessità di tener conto nel più alto grado delle differenze tra i diversi paesi.

Non discuterò qui questo metodo.

Osserverò soltanto che un movimento marxista nei paesi democratici occidentali esige una tattica molto più diretta di quella che è stata necessaria alla rivoluzione russa.

Il compagno Lenin ci accusa di voler scartare il problema dell’azione comunista in parlamento, perché
la soluzione appare troppo difficile, e di preconizzare la tattica antiparlamentare perché implica uno sforzo minore.

Noi siamo perfettamente d’accordo su questo punto: che i compiti della rivoluzione proletaria sono molto complessi e molto ardui. Siamo perfettamente convinti che, dopo aver risolto, come ci si propone, il problema dell’azione parlamentare, gli altri problemi molto più importanti ci resteranno sulle braccia e la loro soluzione non sarà certamente così semplice.

Ma è proprio per questa ragione che noi pensiamo di portare la maggior parte degli sforzi del movimento comunista su un terreno d’azione molto più importante di quel che non sia quello del Parlamento.

E ciò non perché le difficoltà ci spaventano. Noi osserviamo soltanto che i parlamentari opportunisti, che adottano una tattica più comoda ad applicare, non sono affatto assorbiti meno completamente nella loro azione dall’attività parlamentare.

Ne concludiamo che, per risolvere il problema del parlamentarismo comunista secondo le tesi del relatore (ammettendo questa soluzione), occorrono sforzi decuplicati e resteranno minori risorse ed energie al movimento per l’azione veramente rivoluzionaria.

* * *

Nell’evoluzione del mondo borghese, le tappe che si devono necessariamente osservare anche dopo la rivoluzione, nella trasformazione economica dal capitalismo al comunismo, non si trasportano sul terreno politico.

Il passaggio del potere dagli sfruttatori agli sfruttati porta con sé il cambiamento istantaneo dell’apparecchio rappresentativo. Il parlamentarismo borghese deve essere sostituito dal sistema dei consigli operai.

Questa vecchia maschera che tende a celare la lotta di classe deve dunque essere strappata, perché si possa passare all’azione diretta rivoluzionaria.

È così che noi riassumiamo il nostro punto di vista sul parlamentarismo, punto di vista che si connette completamente al metodo rivoluzionario marxista.

Posso concludere con una considerazione che ci è comune con il compagno Bucharin. Questa quistione non può e non deve dar luogo ad una scissione nel movimento comunista.

Se l’Internazionale comunista decide di assumere su di sé la creazione di un parlamentarismo comunista, noi ci sottometteremo alla sua risoluzione. Non crediamo che ci si riesca, ma dichiariamo che non faremo nulla per far fallire quest’opera.

Ed io mi auguro che il prossimo Congresso dell’Internazionale comunista non abbia a discutere i risultati dell’azione parlamentare, ma piuttosto registrare le vittorie della Rivoluzione comunista in un gran numero di paesi.

Se ciò non sarà possibile, io auguro al compagno Bucharin di poterci presentare un bilancio del parlamentarismo comunista meno triste di quello con il quale ha dovuto oggi incominciare la sua relazione.
 

(Rassegna Comunista, Anno I, n.8, 15 agosto 1921)

 
 
 
 
 
 
 



X seduta, 2 agosto 1920, sera

Replica della sinistra del PSI sulla questione del parlamentarismo

 
 
Le obiezioni del compagno Lenin alle tesi da me presentate e ai miei argomenti, sollevano questioni di grande interesse, che non intendo qui nemmeno sfiorare e che si riallacciano al problema generale della tattica marxista.

Senza dubbio, gli avvenimenti parlamentari e le crisi ministeriali sono in stretto rapporto con lo sviluppo della rivoluzione e la crisi dell’ordinamento borghese. Ma, per giungere a stabilire con quali mezzi l’azione politica proletaria possa esercitare un’influenza sugli avvenimenti, bisogna rifarsi a considerazioni di metodo dell’ordine di quelle che, già prima della guerra, portarono la sinistra marxista del movimento socialista internazionale ad escludere la partecipazione ministeriale e l’appoggio parlamentare ai ministeri borghesi, benché questi siano senza dubbio dei mezzi per intervenire nello sviluppo degli avvenimenti.

È la necessità stessa dell’unificazione delle forze rivoluzionarie del proletariato e della loro organizzazione nel senso dell’obiettivo finale del comunismo, che impone una tattica basata su certe regole generali di azione, anche se apparentemente troppo semplici e troppo poco elastiche.

Io credo che la nostra missione storica attuale ci detti una nuova tattica, quella del rifiuto della partecipazione ai parlamenti – che è, senza dubbio, un mezzo di intervento diretto nelle situazioni politiche, ma, nello sviluppo della lotta di classe, è divenuto privo di efficacia rivoluzionaria.

L’argomento che bisogna risolvere il problema pratico di un’azione parlamentare comunista e disciplinata al partito perché, in periodo post-rivoluzionario, bisognerà sapere e potere organizzare istituzioni di ogni sorta con materiale umano tratto da ambienti borghesi e semiborghesi, potrebbe essere invocato allo stesso titolo per sostenere l’utilità di avere dei ministri socialisti in regime di dominazione borghese.

Ma non è il momento di approfondire questo tema e io mi limito a dichiarare che mantengo le mie idee sulla questione che ci occupa. Sono più che mai convinto che l’Internazionale comunista non riuscirà a concretare un’azione che sia nello stesso tempo parlamentare e veramente rivoluzionaria.

Infine, poiché si è riconosciuto che le tesi da me presentate poggiano su principii puramente marxisti e non hanno nulla in comune con gli argomenti anarchici e sindacalisti contro il parlamentarismo, spero che siano votate soltanto dai compagni antiparlamentari che le accettano in blocco e nel loro spirito, condividendo le considerazioni marxiste che ne formano la base.
 
 
(I discorsi che precedono sono tratti dal Protokoll des II WeltKongresses der Kommunistische Internationale, pp. 404-416, 451-455 e 455-456, confrontato col Resoconto stenografico ed in parte con quanto su Il Soviet del 3 ottobre 1920).