|
|||
Partito Comunista Internazionalista |
|||
PIATTAFORMA DEL PARTITO (1945) |
Il postulato
della ricostruzione in Italia del partito politico della classe lavoratrice,
capace di assumere la continuazione della politica rivoluzionaria nelle
sue tradizioni internazionali e nazionali, potrà costituire un fatto
di contenuto storico effettivo solo se le forze di avanguardia del proletariato
si orienteranno con rapidità e decisione intorno ad un programma
di propaganda, di organizzazione e di battaglia compiuto e coerente.
Le linee e i cardini di
tale programma, perfettamente intonati alle esigenze internazionali del
movimento e con speciale applicazione alla situazione della presente lotta
politica in Italia, sono i seguenti:
1) La teoria del partito, ossia la concezione sua propria del mondo e della società, è quella del socialismo scientifico marxista, così come fu restaurato contro le tendenze revisionistiche della ricostituita Internazionale rivoluzionaria che si accompagnò alla vittoria della rivoluzione bolscevica in Russia.
2) La concezione storica del partito è quella del Manifesto dei Comunisti di Marx ed Engels dal 1848 e delle classiche applicazioni alla storia delle lotte di classe dovute a Marx e ad Engels: la sua teoria economica è quella del "Capitale" di Carlo Marx completato per l’analisi della più recente fase del capitalismo dalle fondamentali valutazioni dell’"Imperialismo" di Lenin; la sua politica programmatica è quella sviluppata, coerentemente alla dottrina fondamentale, nello "Stato e Rivoluzione" di Lenin e nei testi costitutivi della Internazionale di Mosca.
3) La valutazione storica che il partito dà dei principali eventi della storia mondiale verificatisi dopo la fine delle prima guerra imperialistica e la costituzione della III Internazionale riposa sui seguenti principi:
a) Il fascismo è un fenomeno storico mondiale, espressione della politica della classe borghese dominante nella sua fase in cui l’economia capitalistica assume i caratteri monopolistici ed imperialistici. Caratteristica essenziale del movimento fascista è l’attacco demolitore alla esistenza di autonome organizzazioni ed inquadramenti di classe dei lavoratori. In tale attacco il fascismo utilizza, oltre alle forze del nuovo partito borghese di classe da esso costituito, quelle dello Stato e di tutti gli altri partiti borghesi, con esso conniventi in questo compito contro-offensivo e di contro-rivoluzione preventiva per il mantenimento dei privilegi di classe. È respinta come antistorica la tesi che il fascismo consista in una reazione feudalistica o assolutistica medievale, tendente a distruggere le conquiste sociali e politiche della borghesia capitalistica industriale.
b) Il regime rivoluzionario russo, con la vittoria dell’ottobre 1917, assunse un nettissimo carattere proletario che superava storicamente il contenuto borghese della Rivoluzione antizarista del febbraio e rompeva spietatamente con tutte le menzogne del liberalismo democratico e dell’opportunismo socialistoide. Esso iniziava inseparabilmente e nello stesso tempo la battaglia per realizzare il rovesciamento violento degli stati nei paesi già completamente capitalistici, e la trasformazione in senso comunistico dell’economia sociale russa. Questi due obbiettivi non potevano essere conseguiti che in maniera parallela: entrambi non sono stati raggiunti. Le forze conservatrici del mondo borghese, difendendo e rafforzando il potere nei grandi paesi evoluti, hanno anche sabotato la costruzione del socialismo in Russia. Il Regime russo, dopo le prime realizzazioni socialiste, ha subito una progressiva ma decisiva involuzione. L’economia ha riassunto caratteri di privilegio e di sfruttamento dei salariati; nel campo sociale hanno ripreso influenza i ceti abbienti; nel campo giuridico sono ricomparse forme e norme di tipo borghese; nel campo politico interno la corrente rivoluzionaria che continuava le tradizioni bolsceviche della Rivoluzione d’Ottobre e del Leninismo è stata sopraffatta e dispersa, ed ha perduto il controllo del partito e dello Stato; nel campo internazionale la forza dello Stato russo è divenuta non più un’alleata di tutte le classi sfruttate combattenti sul terreno della guerra civile per la rivoluzione in tutti i paesi, ma una delle colossali forze di stato militari del moderno quadro imperialistico, collaborante nel gioco delle alleanze e delle guerre con i vari aggruppamenti delle unità statali militari borghesi, al servizio di esigenze storiche non più classiste, ma nazionali ed imperiali, ossia secondo una politica estera dettata non dagli interessi della classe operaia mondiale, ma da quelli di uno stato dirigente privilegiato nazionale.
c) La III Internazionale non sistemò coerentemente alla possente inquadratura teorica e programmatica, in modo altrettanto rivoluzionario e definitivo, le questioni dell’organizzazione e della tattica. Per l’accettazione di troppi gruppi e strati opportunistici, e per una prassi troppo corriva ad improvvise e disorientanti manovre tattiche, il postulato di arrivare più presto al largo controllo delle masse lavoratrici per guidarle alla rivoluzione si è invertito nella ricaduta in un processo opportunistico, analogo e più grave di quello della vecchia Internazionale. Lo svolgersi in senso antiproletario della situazione mondiale e di quella interna russa ha riportato questa erronea impostazione di manovra tattica sul terreno assai più grave di un progressivo abbandono dei principi, dei programmi e della politica rivoluzionaria. L’atteggiamento attuale dei partiti comunisti, i quali, essendo ufficialmente liquidata la III Internazionale, si richiamano tuttora a Mosca, è di aperta solidarietà coi regimi borghesi, di effettiva collaborazione e conservazione sociale e fa di essi i palesi strumenti della mobilitazione sociale e politica delle classi lavoratrici al servizio dell’ordine costituito della proprietà e del capitale.
4) La parola politica centrale del partito comunista internazionale in tutti i paesi (come già durante la guerra e durante l’apparente lotta dei regimi borghesi che si definiscono democratici contro le forme fasciste di governo capitalistico, così durante l’attuale periodo postbellico in cui gli stati vincitori della guerra erediteranno e adotteranno questa stessa politica fascista dopo una più o meno brusca e più o meno abile conversione propagandistica) non sarà quella di attendere, di propugnare, di reclamare con parole di agitazione il ricostituirsi dell’ordinamento borghese proprio del sorpassato periodo di transitorio equilibrio liberale e democratico. Il partito respinge quindi ogni politica di collaborazione con gruppi di partiti borghesi e pseudoproletari che agitino il falso ingannevole postulato di sostituire al fascismo regimi di "vera" democrazia. Tale politica anzitutto è illusoria perché il mondo capitalistico per tutto il tempo della sua sopravvivenza non potrà più ordinarsi in forme liberali, ma sarà sempre più incardinato su mostruose unità statali, spietata espressione della concentrazione economica del padronato, e sempre più armate di una polizia repressiva di classe; in secondo luogo e disfattista, perché al raggiungimento di questo postulato, (anche quando per un breve ulteriore periodo in qualche secondario settore del mondo moderno potesse avere una sopravvivenza) sacrifica le molto più importanti caratteristiche vitali del movimento della dottrina, nella autonomia organizzativa di classe, nella tattica capace di preparare e di avviare la lotta rivoluzionaria finale, scopo essenziale del partito; in terzo luogo è controrivoluzionaria in quanto avvalora agli occhi del proletariato ideologie, gruppi sociali e partiti sostanzialmente scettici e impotenti ai fini della stessa democrazia che professano in astratto, e di cui la sola funzione ed il solo scopo, concomitanti in pieno con quelli dei movimenti fascisti, è di scongiurare a qualunque costo la marcia indipendente ed il diretto assalto delle masse sfruttate ai fondamenti economici e giuridici del sistema borghese.
5) Esigenza di prim’ordine nella presente situazione mondiale è la riunione in un organismo politico internazionale di tutti i movimenti locali e nazionali che non hanno alcun dubbio ed alcuna esitazione nel porsi al di fuori dei blocchi per la libertà borghese e per la lotta generica antifascista, che sono al di fuori di tutte le suggestioni della propaganda di guerra borghese dalle due parti del fronte, che decidono di ricostruire l’autonomia di pensiero, di organizzazione e di lotta delle masse proletarie internazionali, e che intendono per unità del proletariato non l’ibrido contatto fra gruppi di dirigenti, che esprimono programmi disordinatamente discordanti, ma il superamento sicuro ed organico di tutte le particolari spinte destate dall’interesse di gruppi proletari, distinti per categorie professionali e per appartenenze nazionali, in una forza sintetica agente nel senso della rivoluzione mondiale.
6) La situazione storica
italiana presente non significa la chiusura di un periodo di governo fascista
borghese e l’apertura di un opposto periodo di politica borghese liberale
che ritorni al ciclo e ai rapporti del periodo precedente il 1922. Essa
significa il crollo dell’apparato di governo e di potere della classe dominante
in Italia, determinato non da crisi politiche interne e da divergenze di
metodo e neppure da attacchi decisi sociali e politici dall’esterno, ma
dalla sconfitta militare e dal prevalere del gruppo di stati contro il
quale lo stato borghese italiano si trovava schierato.
La situazione che si è
determinata non presenta la conquista anche parziale del potere politico
da parte di strati proletari o piccolo borghesi. La ricostituzione dell’apparato
centrale di controllo politico e di polizia al servizio degli interessi
economici capitalistici avviene a cura e sotto lo stretto indirizzo dei
grandi stati vincitori della guerra, sotto forma di un compromesso accettato
dalla medesima classe dominante indigena con la riduzione del suo privilegio
e della sua sovrana autonomia di governo pur di continuare a sfruttare
le classi lavoratrici nella veste di borghesia e di Stato satellite nella
nuova organizzazione mondiale. Si costituisce così un sistema di
forze controrivoluzionarie ancora più efficienti di quelle fasciste
formalmente sostituite.
7) La classe proletaria
italiana non ha alcun interesse, né particolare né generale,
né immediato, né storico, ad appoggiare la politica dei gruppi
e dei partiti che, approfittando non di forza propria, ma della rovina
militare del governo fascista impersonano oggi l’esercizio del simulacro
di potere che il vincitore in armi crede di lasciare ad una impalcatura
statale italiana. Il partito, espressione degli interessi proletari, deve
rifiutare a questi gruppi non solo la collaborazione nel governo, ma ogni
consenso alle loro comuni proclamazioni dottrinarie, storiche e politiche,
che parlano di solidarietà nazionale delle classi, di lotta unita
di partiti borghesi e sedicenti proletari sulle parole della libertà,
della democrazia, della guerra al fascismo ed al nazismo.
Il rifiuto del partito
ad ogni collaborazione politica non riguarda soltanto gli organi del governo,
ma anche i comitati di liberazione, e qualunque altro organismo o combinazione
somigliante, con medesima o diversa base politica.
I comitati di liberazione
nazionale storicamente e politicamente si richiamano a finalità
e scopi contrari alla politica e agli interessi proletari. Di fatto, non
possono nemmeno vantarsi dell’abbattimento del fascismo. L’azione clandestina
svolta contro il regime fascista ha avuto per coefficienti effettivi le
reazioni spontanee ed informi di gruppi proletari e di scarsi intellettuali
disinteressati, nonché l’azione e l’organizzazione che ogni stato
ed esercito crea ed alimenta alle spalle del nemico, e solo in minima parte
l’influenza dei caporioni politici, vecchi politicanti svuotati o nuovi
avventurieri a disposizione di qualunque forza appaia lanciata al successo,
venuti fuori come mosche cocchiere subito dopo l’arrivo dei vincitori per
il pronto accaparramento delle posizioni di beneficio. In realtà,
la rete che i partiti borghesi o pseudoproletari hanno costituito nel periodo
clandestino non aveva come scopo l’insurrezione partigiana nazionale e
democratica, ma solo la creazione di un apparato di immobilizzazione di
ogni movimento rivoluzionario che avrebbe potuto determinarsi al momento
del collasso della difesa fascista e tedesca.
La fondamentale impotenza
e mancanza d’iniziativa del governo italiano resta la stessa, anzi si aggrava,
nei comitati di liberazione. La parola di trasferire ad essi il potere
è illusoria nella realtà, e disfattista dal punto di vista
proletario; essa costituisce un esempio squisito di quel massimalismo vaniloquente,
che, impotente e disfattista nell’azione, nulla ha appreso dalla tragica
lezione che impartì la vittoria fascista.
8) Il partito proletario rivoluzionario deve respingere ogni minima corresponsabilità nella politica di questi gruppi, che hanno fatta propria tutta l’impostazione ideologica propagandistica del gruppo statale vincitore, che hanno inscenato la stolta manovra non di un riconosciuto disarmo di un apparato statale e militare debellato per sempre, ma di una conversione nel campo della guerra borghese che non ha danneggiato seriamente uno dei gruppi, e non ha avvantaggiato e neppure ingannato l’altro; deve respingere la responsabilità politica dell’armistizio segnato dagli strati dominanti tradizionali del paese al solo fine di continuare nei loro privilegi e nel loro sfruttamento; deve abbandonarli alla loro sorte nel trattamento che il vincitore riserberà loro, nel gioco delle forze di ristrettissima minoranza sociale, le quali detteranno e sistemeranno la pace.
9) Il problema della
liquidazione del fascismo non ha alcun senso, in quanto il fascismo è
il moderno contenuto del regime borghese, e si può superarlo storicamente
ed annientarlo solo rovesciando il potere della classe capitalistica ed
i suoi istituti, compito che non può essere assolto da coalizioni
politiche tanto ibride quanto impotenti e per nulla intenzionate a demolire
il fascismo, ma solo dall’azione rivoluzionaria del proletariato. Per conseguenza,
il partito squalifica e respinge tutto l’armamentario di repressione del
fascismo, inscenato dagli attuali governi d’Italia. L’unica seria lotta
contro il fascismo non consiste nel rintracciare e perseguitare i militanti,
gli squadristi, i gerarchi del periodo fascista, in gran numero già
annidati nelle presenti gerarchie, con metodo e stile immutati, ma nello
scoprire e colpire gli interessi di classe e gli strati sociali che compirono
quella mobilitazione, e che sono i medesimi che tentano oggi di serbare
il controllo dello Stato. Questi colpi possono essere portati solo da forze
di classe; e quando saranno per esserlo, tutti gli organismi più
diversi e le gerarchie più disparate che oggi parlano di sradicare
il fascismo (chiesa, monarchia, burocrazia civile e militare, strati dei
professionisti della politica e del giornalismo ecc.) faranno blocco dalla
parte controrivoluzionaria della barricata.
Il proletariato politicamente
riorganizzato respinge quindi la parola dell’epurazione dell’organismo
statale che interessa soltanto la conservazione borghese. I comunisti perseguono
il progressivo disfacimento di questo organismo, la sua demolizione, e
il seppellimento dei suoi infetti residui, nel senso della frase marxista
sul capitalismo che crea i suoi affossatori.
La ipocrita profilassi
dell’epurazione va quindi abbandonata ai reazionari. Viene anche respinta
e derisa la politica delle sanzioni antifasciste che, nel suo apparato
giuridico, si apre col 3 Gennaio 1925 (accettando come storica una delle
abusate date mussoliniane) e tradisce la precisa tesi che il fascismo fu
ben accetto e benemerito finché picchiò sulle correnti rivoluzionarie
e sugli organismi indipendenti del proletariato estremista, mentre andrebbe
chiamato delinquente solo per i colpi che successivamente, con evidente
logica storica, fu in grado di assestare ai suoi complici necessari della
prima fase, capi e gerarchi politici del rancido parlamentarismo borghese.
10) Primo compito del partito proletario di classe, rivolto alla meta storica della conquista del potere politico nei paesi più progrediti dell’Europa e del mondo, deve essere, sulla base del suo sicuro orientamento nella dottrina e nel programma, la ricostituzione della propria inquadratura organizzativa. In essa dovranno confluire: le forze intatte dei vecchi militanti rivoluzionari che non hanno abbandonato la linea della tradizione classista; gli elementi più maturi e decisi dei lavoratori delle città e delle campagne, che per le dure esperienze degli ultimi periodi sentono l’antitesi di classe con la borghesia lanciata alla contro-offensiva reazionaria e con l’enorme inganno politico della sua odierna mascheratura antifascista, ed avvertono un progressivo insanabile disagio a restare sotto l’influenza dei falsi partiti proletari di oggi; infine (evitando la stretta concezione laburista del partito respinta dai marxisti) quegli elementi di classe non puramente proletari, ai quali però sarà richiesto in modo inesorabile il superamento di qualunque esitazione sugli specifici postulati teorici e politici del movimento.
11) Le norme di organizzazione del partito sono coerenti alla concezione dialettica della sua funzione, non riposano su ricette giuridiche e regolamentari, superano il feticcio delle consultazioni maggioritarie. La loro stretta connessione con la rivendicata chiarezza teorica e con la rettilinea tattica di classe nell’azione politica, devono pervenire a garantire il partito contro la dannosa influenza di quadri inadeguati, degenerati a gerarchie opportuniste, sul tipo di quelle dei partiti della II e della III Internazionale nelle fasi di disfacimento.
12) In prima linea
tra i compiti politici del partito è il lavoro nell’organizzazione
economica sindacale dei lavoratori per il suo sviluppo e potenziamento.
Deve essere combattuto il criterio, ormai comune alla politica sindacale
sia fascista che democratica, di attrarre il sindacato operaio fra gli
organismi statali, sotto le varie forme del suo disciplinamento con impalcature
giuridiche. Il partito aspira alla ricostruzione della Confederazione sindacale
unitaria, autonoma dalla direzione di Uffici di Stato, agente coi metodi
della lotta di classe e dell’azione diretta contro il padronato, dalle
singole rivendicazioni locali e di categoria a quelle generali di classe.
Nel sindacato operaio entrano lavoratori appartenenti singolarmente ai
diversi partiti o a nessun partito; i comunisti non propongono né
provocano la scissione dei sindacati per il fatto che i loro organismi
direttivi siano conquistati e tenuti da altri partiti, ma proclamano nel
modo più aperto che la funzione sindacale si completa e si integra
solo quando alla dirigenza degli organismi economici sta il partito politico
di classe del proletariato. Ogni diversa influenza sulle organizzazioni
sindacali proletarie non solo toglie ad essi il fondamentale carattere
di organi rivoluzionari dimostrato da tutta la storia della lotta di classe,
ma le rende sterili agli stessi fini dei miglioramenti economici immediati,
e strumenti passivi degli interessi del padronato.
La soluzione data in Italia
alla formazione della centrale sindacale con un compromesso non già
fra tre partiti proletari di massa, che non esistono, ma fra tre gruppi
di gerarchie, di cricche extra-proletarie pretendenti alla successione
del regime fascista, va combattuta incitando i lavoratori a rovesciare
tale opportunistica impalcatura di controrivoluzionari di professione.
Il movimento sindacale italiano deve ritornare alle sue tradizioni di aperto
e stretto fiancheggiamento del partito proletario di classe, facendo leva
sul risorgere vitale dei suoi organismi locali, le gloriose Camere del
Lavoro, che tanto nei grandi centri industriali quanto nelle zone rurali
proletarie furono protagoniste di grandi lotte apertamente politiche e
rivoluzionarie.
13) La politica del partito nella questione agraria, coerente alla impostazione marxista di questa, deve mirare a creare alleati del proletariato industriale nelle campagne, non dimenticando che già da tempo in Italia tali alleati esistono e sono rappresentati dai lavoratori diretti della terra, salariati e braccianti. Gli altri gruppi di lavoratori diretti della terra a carattere non salariale devono essere incitati e spinti a scorgere le antitesi dei loro interessi sociali con quelli della borghesia cittadina e terriera, ma non per questo si deve elevare all’altezza di compito storico l’abolizione di un preteso superstite feudalismo in talune regioni d’Italia, né si deve giungere all’apologia del frammentamento delle aziende rurali determinato in altre zone da condizioni materiali e tecniche, e che non può non essere considerato come un elemento controrivoluzionario. La conquista della terra da parte dei contadini non è un postulato proponibile ed attuabile da un regime borghese, fascista o liberale, e non è la giusta espressione del compito economico di un regime proletario nelle campagne, che, pur spezzando i privilegi fondiari di natura strettamente parassitaria gravanti sulle piccole aziende, imposterà le sue misure economico-sociali e la sua politica nel senso di togliere il più rapidamente che sia possibile al lavoratore dei campi il carattere borghese di proprietario della terra e dei prodotti di essa.
14) Il partito proletario
denunzia, nel periodo della ricostruzione dell’apparato produttivo devastato,
all’opposto dell’esigenza anche temporanea di una collaborazione fra datori
di lavoro e prestatori d’opera, il sicuro prevalere di un inasprimento
dei contrasti di classe e di un raddoppiato sfruttamento dei salariati
per riaccumulare la ricchezza nelle mani degli imprenditori padronali e
delle gerarchie burocratiche statali cointeressate con essi. La politica
economica dello Stato, riprendendo e sviluppando le direttive sociali fasciste,
presenterà come concessioni alle classi operaie la formazione di
un capitalismo statale, ribadita fortezza della classe economica padronale
e della polizia borghese di cui le insulse parole di socializzazione dei
monopoli non sono che un complice travestimento. Attraverso questa i potenti
organi di monopolio industriale e bancario faranno pagare dalla collettività,
ossia dai loro stessi dipendenti, il passivo della ricostruzione dei loro
impianti e dei loro patrimoni.
La rivendicazione dei
partiti ufficiali comunista, socialista e cattolico per la socializzazione
del latifondo, dei monopoli finanziari e di quelli industriali, significa
tutto l’opposto di una confisca dei profitti per restituirli e distribuirli
agli sfruttati - conquista che non è una piccola frazione di quelle
socialiste - perché significa praticamente la socializzazione delle
passività dell’economia padronale italiana, sfiancata dalla sconfitta,
in quanto il suo debito fallimentare sarà fatto pagare da tutti
i lavoratori con ribadite condizioni sfavorevoli della loro retribuzione.
Il partito proletario
si schiera decisamente contro le parole dello Stato-padrone, che non ha
nulla in comune con le rivendicazioni della economia socialista, attuabili
soltanto dal potere rivoluzionario contendendo il campo all’economia privata
mercantile e monetaria su cui si basa lo sfruttamento capitalistico.
15) Tutte le forze centrifughe e dissolvitrici della compattezza dello Stato borghese, come le tendenze separatistiche, autonomistiche, regionalistiche, possono facilitare l’abbattimento rivoluzionario dello stesso. Ma i concetti astratti di decentramento e di autonomie periferiche non sono accettati dal partito proletario, il quale in primo luogo sa che la tendenza moderna è per la concentrazione totalitaria della gestione amministrativa non solo nazionale ma internazionale; in secondo luogo prevede che nella sfera borghese gli organi locali presenterebbero debolezze e bilanci fallimentari più disastrosi di quelli dell’organo centrale, e non riserberebbero alcun sollievo neanche contingente al trattamento dei lavoratori; infine proclama che la superiore e nuova economia proletaria si fonderà su piani razionali di intreccio e collegamento unitario di tutte le attività produttive, affidato non alla borghesia monopolistica, né ad illusori governi di compromesso, ma al regime della dittatura del proletariato, stabilito attraverso la terza offensiva di classe, e garantito nel prorompere mondiale della rivoluzione dalle degenerazioni burocratiche e di privilegio.
16) La cosiddetta
questione istituzionale, ossia quella della sostituzione della repubblica
alla monarchia, non rappresenta per sé stessa un apporto a nuove
soluzioni sociali, più che non l’abbia rappresentata nel regime
italiano del Nord. Il proletariato rivoluzionario ha interesse ad inchiodare
la dinastia sabauda alla sua responsabilità storica nella controffensiva
borghese fascista esattamente come ha interesse a inchiodare alla stessa
responsabilità tutti i gruppi sociali delle classi privilegiate
italiane e tutte le gerarchie dei partiti che oggi si pongono, per servire
quella classe dominante, sul terreno della collaborazione e della unità
nazionale.
Il proletariato rivoluzionario,
quando sarà in grado di mandare in pezzi l’apparato di Stato borghese,
riserverà pari sorte al suo convenzionale vertice giuridico, re
o presidente. I caratteri reazionari e disfattisti della dinastia in Italia,
appunto in quanto sono palesi a tutti i gruppi proletari coscienti rendono
inadeguata ogni tattica di blocco politico che voglia creare la frattura
fra i partiti che intendono salvare la monarchia e quelli che chiedono
di abolirla. Tale linea infatti non è oggi esattamente definibile;
e come l’andamento militare della guerra ha fatto oscillare quella fra
fascisti e antifascisti, così le decisioni degli Stati vincitori
faranno oscillare fra i politicanti opportunisti italiani nelle maniere
più impreviste la separazione tra monarchici e repubblicani, tra
avversari della monarchia per principio, di quella sabauda in particolare,
e coloro che si ridurranno alla bizantina scelta fra il nonno, il padre
ed il figlio.
Il partito proletario
ammonirà la massa contro l’avveduta politica conservatrice delle
correnti monarchiche italiane, le quali, proseguendo la interminabile serie
di conversioni tra la destra e la sinistra, non solo sanno presentarsi
come perfettamente autonome di fronte alle eredità delle inquadrature
fasciste, ma oppongono realisticamente alla falsa retorica democratica
l’antitesi fra pretesi regimi liberi e monarchici come l’Inghilterra e
regimi fascisti e repubblicani come la Germania.
17) Come la sostituzione
della repubblica alla monarchia non rappresenta un punto d’arrivo per l’incandescente
problema sociale italiano, così non può essere accettato
come tale quello della convocazione di un’assemblea elettiva rappresentativa
con poteri costituenti.
Anzitutto tale assemblea
avrà limiti ristrettissimi alla sua influenza, per il permanere
nel territorio su cui dovrebbe avere piena sovranità prima di forze
militari di occupazione e poi di quelle forze armate che saranno definite
e predisposte dalla organizzazione di pace che seguirà il conflitto
attuale e vigerà negli Stati satelliti. La futura costituzione dello
Stato italiano sarà dettata dai grandi vincitori e non dalla consultazione
dei cittadini. La lista dell’assemblea sarà stabilita in partenza
nei retroscena dell’intrigo e del compromesso politico. Comunque, quale
che possa essere la tattica del partito, questa si dovrà ispirare
non solo ai principi programmatici di esso, ma all’aperta proclamazione
che in nessun caso la consultazione col meccanismo elettivo può
consentire alle classi sfruttate di dare adeguata espressione ai loro bisogni
e ai loro interessi e tanto meno di pervenire alla gestione del potere
politico. Il partito si differenzierà da tutti gli altri partiti
italiani del momento, non solo perché non si porterà sul
mercato delle combinazioni ed aggruppamenti elettorali, ma per la sostanziale
posizione che, mentre tutti gli altri proclameranno che il programma politico
da attuare ed accettare senza ulteriore resistenza sarà quello incognito
che prevarrà nella maggioranza numerica dell’assemblea, il partito
rivoluzionario respinge in partenza tale abdicazione e, nella ipotesi astratta
(ma pratica certezza) che la vittoria elettorale confermi la sopravvivenza
costituzionale dei fondamentali istituti capitalistici, pur essendo minoranza
ai sensi democratici, continuerà la sua lotta per abbatterli dall’esterno.
Soltanto la contingenza storica ed il valore dei rapporti di forza, e non
già l’autorità di maggioranze costituzionali, determinerà
la portata di questa lotta, che va, secondo le possibilità della
dinamica di classe, dalla critica teorica alla propaganda di opposizione
politica, alla incessante agitazione anti-istituzionale, all’assalto rivoluzionario
armato.
Soprattutto il partito
sbugiarderà come controrivoluzionario ogni movimento che proclami
utile simulare ai fini di più facile agitazione e di successo elettorale
il preventivo ossequio alla sovrana validità della consultazione
parlamentare, pretendendo di essere suscettibile di passare da questa equivoca
politica - i cui molteplici esperimenti storici hanno tutti segnato la
corruzione e il disarmo delle energie rivoluzionarie - ad un attacco contro
il regime costituito.
Nelle elezioni locali
il partito non può astrarre, per considerazione di interessi contingenti,
dalla finalità generale di separare le responsabilità e l’impostazione
delle forze proletarie da tutte le altre, e di continuare in piena coerenza
l’agitazione delle sue rivendicazioni storiche generali.
In fasi più mature
della situazione, che prevedibilmente non possono svolgersi se non secondo
strette connessioni intereuropee, il partito si prepara e prepara le masse
alla costituzione dei Soviet, organi rappresentativi su base di classe
che sono nello stesso tempo organi di combattimento, e alla distruzione
di ogni diritto rappresentativo per le classi sociali economicamente sfruttatrici.
Il partito, nella costruzione
degli organi proletari di ogni natura, pre e post-rivoluzionari, non fa
alcuna distinzione tra lavoratori dei due sessi; la questione della concessione
del voto alla donna nel presente regime rappresentativo è per esso
una questione secondaria, poiché non può porsi al difuori
del terreno critico che l’esercizio del diritto di voto è una pura
finzione giuridica in un ambiente in cui la disparità economica
crea insuperabili soggezioni, una delle quali è quella del sesso
femminile, la cui emancipazione non è concepibile che in un’economia
di tipo non personale e non familiare.
18) Il partito respinge
ogni parola di armamento nazionale e di guerra, esso considera lo Stato
borghese autonomo italiano e il suo esercito come distrutti senza appello
dalla sconfitta. Il proletariato, sottratto al dissanguamento cui fu condotto
dalla politica fascista di guerra, rifiuta ulteriori sacrifici invocati
da classi privilegiate e ceti politicanti al solo fine di procacciarsi
servili benemerenze. Il partito proletario deve porsi contro la partecipazione
alla guerra vicina e lontana, i richiami alla armi, e la coscrizione. Per
quanto riguarda la lotta partigiana e patriota contro i tedeschi e i fascisti,
il partito denunzia la manovra con la quale la borghesia internazionale
e nazionale, con le parole che sa vuote di sostanza, di ridare vita ufficiale
al militarismo di Stato, perviene a disciogliere e liquidare queste organizzazioni
volontarie, che in molti paesi si sono viste aggredite dalla repressione
armata. Questi movimenti, non dotati di sufficiente orientamento politico,
esprimevano per lo più la tendenza di gruppi locali proletari ad
organizzarsi ed armarsi per conquistare e conservare il controllo delle
situazioni locali, e quindi del potere, tendenza imprigionata da una doppia
illusione: la prima, che gli Stati in guerra con l’Asse intendessero per
la promessa libertà un regime in cui le masse popolari conservavano
il diritto non solo alla scheda elettorale, ma all’armamento diretto; la
seconda che, dopo aver profittato in questo senso degli aiuti tecnici dell’organizzazione
militare ufficiale, fosse possibile forzarle la mano e non riconsegnare
sopravvenute gerarchie e polizie le armi della sognata liberazione.
Dinanzi a queste tendenze,
che, pur tenendo conto delle esagerazioni propagandistiche di comodo, costituiscono
un fatto storico di primo ordine, è compito del partito rivoluzionario
porre in chiara evidenza i postulati sociali e di classe, e l’esigenza
centrale della tattica proletaria che gli elementi più combattivi
e risoluti dopo il lungo e sanguinoso ciclo della loro offerta a battersi
per cause altrui trovino finalmente la impostazione politica e l’inquadramento
che consentirà loro di battersi soltanto per la propria stessa causa
ponendo fine al loro pauroso logorio al servizio di più o meno aperti
nemici di classe.
19) La questione dei
confini territoriali dello Stato italiano, quali saranno stabiliti dopo
la pace ad arbitrio dei vincitori, ed il manifestarsi di un neo-irredentismo
dinanzi alla minacciata sottrazione di province al confine orientale, non
possono creare rivendicazioni che meritino l’appoggio del proletariato
e del suo partito. Nella fase in cui la borghesia dominante tenterà
per la prima volta sistemazioni internazionaliste a puri fini di conservazione,
la classe proletaria rifiuterà con maggior rigore ancora del 1914-15
di considerare le sistemazioni territoriali sulla base del principio di
nazionalità, etnografico, linguistico, come tappe da raggiungere
prima di porre la rivendicazione massima dell’internazionalismo in Europa
e fuori.
Come il movimento comunista
europeo deve sconfessare l’irredentismo italiano, così d’altra parte
deve combattere contro quello jugoslavo, che è allo stesso titolo
una sovrastruttura di propaganda del brigantaggio imperialistico. La dinastia
ed il regime borghese italiano sono ben degni di essere passati già
allo stato dei fatti, tra i rifiuti della storia; non meno degni ne sono
la dinastia ed il regime del regno S.H.S.. Se in Italia monarchia e Stato
fecero leva su una delle regioni socialmente più progredite del
paese, giungendo a completo fallimento dell’assunta missione unitaria,
in Jugoslavia il Regime riposa addirittura sulla parte meno progredita
e più incivile, la Serbia. Se i Savoia crebbero attraverso l’inganno
e la truffa politica, i Karageorgevich si affermarono attraverso l’assassinio
politico. L’uno e l’altro militarismo statale arieggiano balordaggini democratiche,
nelle edizioni contemporanee; l’uno e l’altro sono stati tra i più
feroci ed oppressori nella fase succeduta alla prima guerra mondiale, mentre
la eventuale repubblica di Tito non vale meglio o peggio della possibile
repubblica borghese conservatrice italiana.
I proletari rivoluzionari
italiani collaboreranno su questo problema non con la loro borghesia, ma
con i compagni serbi, croati e sloveni per l’abbattimento di tutti i nazionalismi
e per l’azione internazionale rivoluzionaria.
20) Il partito proletario
comunista non può commettere il colossale errore di considerare
la potente organizzazione della chiesa come neutrale nei conflitti di classe,
né lasciarsi indurre a questo dal fatto storico che la chiesa stessa,
fulcro sociale e politico dei regimi pre-borghesi, sia oggi passata alla
solidarietà totale con gli istituti capitalistici succeduti alla
rivoluzione democratica. Anzi proprio per questo la chiesa va considerata
come fattore di primo ordine nella conservazione degli istituti capitalistici,
tanto più in quanto essa, come in Italia, è riconciliata
con lo Stato ed è ispiratrice di partiti che hanno deposto la impostazione
antidemocratica e antisociale in corrispondenza alla parallela rinuncia
dei partiti borghesi all’anti-clericalismo massonico.
Il partito proletario
di classe, dinanzi alla collaborazione senza riserve tra cattolici e sinistra
democratica, non proclama certo il ritorno all’anti-clericalismo borghese
di tipo massonico, fieramente avversato dalle sue migliori tradizioni,
ed alla religione non contrappone un ateismo di antico tipo borghese, ispirato
alla formula anti-marxista secondo cui occorra prima liberare le coscienze
dall’oscurantismo religioso per avere poi il diritto di volere liberare
le classi inferiori dallo sfruttamento sociale.
Il partito, però,
nella sua propaganda pone in evidenza l’antitesi fondamentale fra la sua
teoria del mondo e della storia ed ogni concezione trascendente, mistica,
religiosa e dichiara incompatibile con la appartenenza alle file rivoluzionarie
quella ad associazioni e confessioni religiose di qualunque scuola. Il
regime proletario, dopo la rivoluzione, escluderà programmaticamente
qualunque associazione religiosa, ritenendo che non possa non presentare
caratteri politici e si riprometterà di far sparire progressivamente
ogni credenza religiosa, in quanto le masse, liberate dagli estremi della
depressione economica, saranno condotte sempre più alla conoscenza
scientifica ed alla concezione propria della dottrina del partito.
La stessa campagna di
chiarificazione politica e teorica deve avere di mira la critica, insieme
alle concezioni religiose, di quelle di natura "immanentistica" ossia che
sostengono come direttrici delle attività umane forze e valori immateriali
collocati nella sfera di una pura attività ideale e che oggi rivestono
negli insulsi vaniloqui sui valori supremi della personalità e dignità
umana. Come coefficiente di degenerazione teorica, queste concezioni possono
essere ancor più pericolose di quelle trascendenti che, facendo
salvo un incomprensibile mondo dell’al di là, impediscono meno la
concreta conoscenza dei rapporti reali; sicché ogni ateismo che
ricadesse nell’incredulità di tipo borghese illuministico non va
considerato un progresso verso la concezione dottrinaria comunista.
21) Il partito proletario,
in Italia come in tutto il mondo, deve distinguersi dalle congerie di tutti
gli altri movimenti politici e, meglio, pseudo-partiti di oggi, nella fondamentale
impostazione storica, per l’originale valutazione dell’antitesi tra fascismo
e democrazia come tipi di organizzazione del mondo moderno. Il movimento
comunista alla sua origine (circa 100 anni addietro) doveva e poteva, per
accelerare ogni moto contro le condizioni sociali esistenti, ammettere
l’alleanza con i partiti democratici, perché essi allora avevano
un compito storico rivoluzionario. Oggi tale compito è da lungo
tempo esaurito e quegli stessi partiti hanno una funzione contro-rivoluzionaria.
Il comunismo, malgrado
le sconfitte del proletariato in battaglie decisive, ha compiuto come movimento
passi giganteschi. La sua caratteristica di oggi è di avere storicamente
rotta e denunziata, da quando il capitalismo è diventato imperialistico,
da quando la prima guerra mondiale ha rivelato la funzione antirivoluzionaria
di democratici e socialdemocratici, ogni politica di azione parallela anche
transitoria con le democrazie. Nella situazione succeduta a questa crisi,
il comunismo o si ritirerà dalla storia, inghiottito nelle sabbie
mobili della democrazia progressiva, o agirà e combatterà
da solo.
Nella tattica politica,
il partito proletario rivoluzionario, in Italia come in tutto il mondo,
risorgerà solo in quanto si distinguerà da tutti gli altri
e soprattutto dal falso comunismo che si richiama al regime di Mosca di
oggi per avere spietatamente svelato il disfattismo di tutte le pretese
manovre di penetrazione e di aggiramento presentate come transitoria adesione
ad obbiettivi comuni ad altri partiti e movimenti, e giustificate col promettere,
in segreto o nella cerchia interna degli aderenti, che tale manovra serve
solo ad indebolire ed irretire l’avversario per rompere ad un certo momento
le intese e le alleanze, passando all’offensiva di classe. Tale metodo
si è dimostrato suscettibile di condurre al disfacimento del partito
rivoluzionario, alla incapacità della classe operaia di lottare
per i suoi propri fini, al disperdimento delle sue migliori energie nell’assicurare
risultati e conquiste che avvantaggiano solo i suoi nemici.
Come nel "Manifesto" di
un secolo fa, i comunisti disdegnano di nascondere i loro principi ed i
loro scopi e dichiarano apertamente che il loro fine non potrà essere
raggiunto che con la caduta violenta di tutti gli ordinamenti sociali finora
esistiti.
Nel quadro della presente storia mondiale, se per avventura una
residua funzione competesse a gruppi borghesi democratici per la parziale
ed eventuale sopravvivenza di esigenze di liberazione nazionale, di liquidazione
di isolotti arretrati di feudalesimo e di simili relitti della storia,
tale compito sarebbe svolto in maniera più decisa e conclusiva per
dare luogo all’ulteriore ciclo della crisi borghese, non con un accomodamento
passivo ed abdicante del movimento comunista a quei postulati non suoi,
ma in virtù di una implacabile sferzante opposizione dei proletari
comunisti alla inguaribile fiacchezza ed infingardaggine dei gruppi piccolo-borghesi
e dei partiti borghesi di sinistra.
In corrispondenza a queste
direttive, che hanno validità completa in tutto il campo mondiale,
un movimento comunista in Italia deve significare, nella paurosa situazione
di dissolvimento di tutte le inquadrature sociali e di tutti gli orientamenti
dottrinali e pratici di classi e partiti, un violento richiamo alla spietata
chiarificazione della situazione. Fascisti e antifascisti, monarchici e
repubblicani, liberali e socialisti, democratici e cattolici, che di ora
in ora più si isteriliscono in dibattiti vuoti di ogni senso teorico,
in rivalità spregevoli, in manovre e in mercati ripugnanti, dovrebbero
ricevere una sfida spietata, che costringesse tutti a denudare le posizioni
reali degli interessi di classe nazionali e stranieri, che di fatto rispecchiano,
ed a espletare, se per avventura lo avessero, il loro compito storico.
Se, nella disgregazione
e nella frammentazione di tutti gli interessi collettivi e di gruppo, è
ancora possibile in Italia una nuova cristallizzazione di aperte forze
politiche combattenti, il risorgere del partito proletario rivoluzionario
potrà determinare una situazione nuova.
Quando questo movimento,
che sarà il solo a proclamare i suoi fini massimi di classe, il
suo totalitarismo di partito, la crudezza dei limiti che lo separano dagli
altri, avrà messo la bussola politica nella direzione del nord rivoluzionario,
tutti gli altri saranno cimentati a confessare la loro rotta.
La battaglia politica
potrà essere schiodata dalle influenze delle mascherature retoriche
e demagogiche, liberate dall’infezione del professionismo affaristico politicante,
da cui nella sua storia è stata progressivamente affetta la classe
dominante italiana.
Se questo patologico dissolvimento
fu denunciato come acuto durante il periodo fascista, oggi le masse proletarie
constatano ogni giorno meglio del precedente che nessuno ha arrestato
ne invertito quel processo, che esso anzi continua inesorabile malgrado
la vantata profilassi dei ciarlatani della democrazia, e sentono che sarà
chiuso soltanto dalla radicale chirurgia della rivoluzione.