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Preti o pastori sempre al servizio del capitale (Il Programma Comunista, 1966/15) |
In un’era che dovunque puzza di sacrestia, accade ai proletari (per esempio in Piemonte ma anche altrove) di essere bombardati dai sermoni non solo dei preti cattolici, ma anche dei pastori protestanti o addirittura dei valdesi che passano per i più “progressisti” di tutti.
È vero che il progressismo dei valdesi, dal punto di vista storico, appartiene al regno dei sogni. Federico Engels, nella sua La Guerra dei contadini in Germania, dimostra che, mentre il protestantesimo luterano svolgeva nel 1500 una sia pur parziale funzione rivoluzionaria, i valdesi erano già allora dei puri e semplici reazionari. Dopo di allora sono trascorsi quattro secoli. Il movimento operaio si è sviluppato, e tutte le religioni sono divenute reazionarie. Oggi i preti protestanti non sono più progressisti dei cattolici, poiché entrambi sono al servizio del Capitalismo.
Tuttavia i preti valdesi si vantano di essere più democratici e addirittura “più amici degli operai” dei preti cattolici. Le prove che essi portano a tal riguardo sono semplicemente spassose. Prima di tutto, non hanno l’obbligo del celibato, come i reazionari preti cattolici: un prete valdese è infatti di norma regolarmente e felicemente sposato, magari con eletta figliolanza, e dimostra con ciò di dare fruttuosamente la sua opera nella vigna del Signore. Inoltre egli non è contrario al “controllo delle nascite”, come il reazionario prete cattolico; ma ne è fervido sostenitore e propagandista.
Tutto ciò rappresenterebbe un progresso utile al proletariato e conciliabile con la teoria marxista! Noi diciamo al contrario che le posizioni della Chiesa Valdese intorno al celibato e al controllo delle nascite non solo non costituiscono un progresso, ma sono vecchie di secoli, sono state aspramente combattute da Marx più di cento anni fa, sono più reazionarie di quelle della Chiesa cattolica, e rappresentano lo stigma antioperaio anticomunista e controrivolu-zionario che caratterizza il protestantesimo fin dalla sua origine.
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Qui giunti, non ci resta che citare una pagina di Marx, e precisamente alcuni estratti della Nota 75 contenuta nel Paragrafo 1 del Capitolo 23° del Libro I de Il Capitale:
«Il grande scalpore destato da questo opuscolo [si tratta dello Essay on population di Malthus] fu dovuto unicamente a interessi di partito. La rivoluzione francese aveva trovato nel regno britannico degli appassionati difensori; il “principio della popolazione”, elaborato lentamente nel sec. XVIII, annunciato poi a suon di tromba nel bel mezzo di una grande crisi sociale come antidoto infallibile contro le dottrine del Condorcet e di altri, fu salutato entusiasticamente dall’oligarchia inglese come il grande sterminatore di tutte le voglie di progresso umano... Inoltre, benché Malthus fosse prete dell’Alta chiesa anglicana, aveva fatto il voto monastico del celibato. Questa è infatti una delle condizioni del fellowship dell’università protestante di Cambridge, “Non permettiamo che i membri dei collegi siano sposati, quindi, non appena qualcuno prenda moglie, cessa con ciò di essere membro del collegio”.
«Questa circostanza distingue favorevolmente il Malthus dagli altri preti protestanti i quali si sono scrollati di dosso il comandamento cattolico del celibato e hanno rivendicato il “Fruttate e moltiplicatevi” come loro missione biblica specifica, in modo tale da contribuire ovunque all’aumento della popolazione in una misura veramente indecente, mentre allo stesso tempo predicano agli operai il “principio della popolazione”.
«È caratteristico che il peccato originale economico travestito, la mela di Adamo, l’“appetito che urge”, “gli intralci che cercano di spuntare le frecce di Cupido”, come si esprime allegramente il prete Townsend, che questo punto scabroso sia stato e sia ancora monopolizzato dai signori della teologia della chiesa protestante. Ad eccezione del monaco veneziano Ortes... la maggior parte dei maestri della teoria della popolazione sono preti protestanti. Così Bruckner, Theorie du système animal, Leida, 1767, in cui è esaurita tutta la moderna teoria della popolazione e al quale la passeggera lite fra Quesnay e il suo scolaro Mirabeau père ha fornito idee sullo stesso tema, poi il prete Wallace, il prete Townsend, il prete Malthus e il suo scolaro, il pretissimo Th. Chalmers, per non parlare di minori scribacchini preteschi in this line. In origine di economia politica si occupavano filosofi come Hobbes, Locke, Hume, persone d’affari e statisti come Tommaso Moro, Temple, Sully, de Witt, North, Law, Vanderlint, Cantillon, Franklin e, specialmente per la parte teorica e con il maggior successo, medici come Petty, Barbon, Mandeville, Quesnay... Più tardi e precisamente con il “principio della popolazione” venne l’ora dei preti protestanti.
«Come se avesse presentito quest’interferenza che guastava tutto, e, come Adam Smith, nemico dichiarato dei preti, il Petty, il quale considerava la popolazione base della ricchezza, dice: “La religione fiorisce più rigogliosa quando i sacerdoti vengono più mortificati nella carne, come il diritto fiorisce più rigoglioso là dove gli avvocati muoiono di fame”. Egli consiglia quindi ai preti protestanti che, dal momento che non seguono l’apostolo Paolo e non vogliono “mortificar la carne” con il celibato “per lo meno non mettano al mondo più preti” di quanti ne possano assorbire i benefici; ossia, se in Inghilterra e nel Galles vi sono solo 12.000 benefici, non è saggio metter al mondo 24.000 preti, poiché i 12.000 sprovvisti di un beneficio cercheranno sempre di guadagnarsi il pane in qualche modo, e come potrebbero farlo più agevolmente se non andando fra il popolo a convincerlo che i 12.000 beneficiari avvelenano le anime affamandole e indicando ad esse la via sbagliata per giungere in cielo?... Il prete Th. Chalmers sospetta che A. Smith abbia inventato la categoria dei “lavoratori improduttivi” per pura malizia e appositamente per i preti protestanti, malgrado la loro opera benedetta nella vigna del signore».
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Da questa pagina de Il Capitale si possono trarre le seguenti conclusioni:
1) Il cosiddetto “principio della popolazione”, la pseudo-teoria secondo cui la miseria è generata da un aumento della popolazione superiore all’aumento delle sussistenze e può quindi essere combattuta soltanto dall’“astinenza” sessuale del popolo o, più modernamente, dal cosiddetto “controllo delle nascite”, dalla “pillola”, è una ideologia assolutamente reazionaria, oltre che antiscientifica. Marx dimostra come gli economisti classici della borghesia rivoluzionaria combattessero il “principio della popolazione”, Petty considerando “la popolazione base della ricchezza”, e Smith elaborando la sua geniale categoria dei “lavoratori improduttivi”. Chi erano nel XVIII secolo i “lavoratori improduttivi” contro i quali si scagliava la borghesia rivoluzionaria, atea e filogiacobina? Erano i proprietari fondiari. E quali, in Inghilterra, sempre nel XVIII secolo, i proprietari fondiari più scandalosamente parassiti? Erano i preti protestanti, sperperatori di enormi rendite, non solo, ma non più legati nemmeno all’obbligo del celibato.
2) Il cosiddetto “principio della popolazione” fu dunque l’arma ideologica di cui si servirono i preti protestanti nel XVIII secolo, rappresentanti della classe reazionaria dei proprietari fondiari nella loro lotta contro la borghesia rivoluzionaria.
3) L’atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti della miseria del popolo è tradizionalmente molto più umana dell’atteggiamento delle varie chiesa riformate. Nella pagina citata de Il Capitale Marx parla con simpatia del monaco veneziano Ortes, che definisce “scrittore originale e intelligente”. Sempre ne Il Capitale (Libro I, Capitolo 23°, Paragrafo 4) lo stesso Ortes viene considerato «uno dei grandi scrittori di economia del secolo XVIII». Poco oltre Marx scrive: «Se il monaco veneziano aveva trovato nella deliberazione del destino che rende perenne la miseria il diritto all’esistenza della beneficenza cristiana, del celibato, dei monasteri e delle pie fondazioni, il prebendario protestante vi trova, al contrario, il pretesto per condannare le leggi che concedono al povero il diritto a una misera sovvenzione pubblica».
In questo periodo sintetico e potente Marx esprime la contrapposizione fra due forme storiche di produzione, la forma feudale, che ha come sovrastruttura religiosa il cattolicesimo romano, e la forma borghese, che ha come sovrastruttura religiosa il protestantesimo, il deismo, il culto dell’uomo astratto. Marx vuol dire, e dimostra, che la forma feudale era ancora un ordinamento organico della società, dove il rapporto fra uomo e uomo e fra uomo e natura era mediato in gran parte dalla comunità degli uomini, mentre la forma borghese ha distrutto ogni rapporto organico, umano, naturale, fra gli uomini, e ha imposto come unica mediazione del rapporto fra uomo e uomo, e uomo e natura il capitale, vale a dire la ricchezza astratta, la ricchezza fine a se stessa, la ricchezza che si accumula perennemente, senza fine, l’infinita spirale dell’accumulazione capitalistica, la ricchezza estranea all’uomo, la potenza della specie umana alienata.
Marx può vedere tutto ciò perché è un comunista, perché come comunista considera lo sviluppo storico dell’uomo nella sua totalità, perché la totalità organica dello sviluppo della specie umana ha il suo termine nel comunismo, perché dunque il comunismo è l’enigma alfine svelato della storia umana e la successione delle forme di produzione che la caratterizzano può essere attinta soltanto partendo dalla conoscenza dialetticamente raggiunta della società comunista.
Così, nella totalità dello sviluppo storico, Marx può considerare la forma feudale molto più vicina al comunismo della forma borghese. Hegel, l’ultimo filosofo, che aveva riassunto tutto il lavoro passato della filosofia come pensiero alienato, e aveva coniato, nella sua Logica, la moneta universale dello spirito, scrisse nell’introduzione alla Filosofia del diritto che la filosofia è come la nottola di Minerva che esce al calare del crepuscolo. Il pensiero umano alienato nella sua forma fllosofica non aveva per Hegel altro compito che quello di registrare passivamente il passato. Il vecchio mondo come base della nuova visione del mondo, così Marx definì la filosofia di Hegel nei suoi appunti del 1843.
Il comunismo proletario spezza per sempre l’incantesimo del pensiero alienato si pone per sempre al di fuori di ogni filosofia, segna la fine di tutte le filosofie, diviene immediatamente una (anzi la prima e unica) teoria scientifica dello sviluppo storico della specie umana, perché fin dall’inizio pone il nuovo mondo come base della nuova visione del mondo. Il comunismo parte dal futuro, dalla società comunista; e alla sua luce svela l’enigma del passato, l’enigma di tutta la storia umana.
Il passato, cioè le forme di produzione che hanno preceduto la presente forma capitalistica in cui viviamo e che vogliamo distruggere, è più vicino al futuro, alla società comunista per il cui avvento lottiamo, che il presente, infame mondo borghese.
E così, Marx può contrapporre dialetticamente Ortes a Malthus, il monaco veneziano al prebendario protestante, il feudalesimo al capitalismo, la beneficenza cristiana, il celibato, i monasteri e le pie fondazioni al principio della popolazione, alle rendite e ai benefici allegramente sperperati dai preti protestanti.
4) L’attuale “controllo delle nascite”, intorno a cui menano tanto chiasso i “progressisti” preti valdesi, l’ONU, la FAO, e il pretume laico-democratico internazionale, Chiesa romana compresa, non è altro che un rigurgito del passato, e del peggiore passato. Esso si lega direttamente al “principio della popolazione” elaborato dai preti protestanti nel secolo XVIII al fine di difendere le loro rendite parassitarie dall’assalto rivoluzionario del capitale industriale.
Tutto ciò non va disgiunto, naturalmente, dalla determinazione economica. Il capitalismo vive oggi la sua fase senile, imperialistica, che Lenin definì putrefazione del capitalismo. La borghesia classica ha subito una patologica degenerazione, e si è trasformata in quella che noi economicamente e socialmente chiamiamo mezza classe, classe parassitaria che vive e prospera non tanto tagliando le cedole del capitale finanziario quanto nutrendosi del profitto che alligna nel raggio di interessi formato intorno ad ogni impresa, statale o privata. Il fenomeno parassitario della rendita, dal campo della proprietà fondiaria, si è trasferito, parallelamente all’ingigantirsi della concentrazione e della centralizzazione del capitale, nel campo della produzione industriale, invadendo contaminando e corrompendo tutta quanta la società capitalistica.
Gli ideologi della borghesia, gli economisti, incapaci di creare alcunché di nuovo, e ridotti a rimasticare gli avanzi del più squallido passato, hanno così abbandonato le concezioni potentemente rivoluzionarie contenute nei classici dell’economia politica a cui Marx attinse, per rifugiarsi nel più reazionario e nel più ammuffito passato, nel prete dell’alta chiesa anglicana Malthus. Come il prebendario protestante del XVIII secolo sperava di difendere la sua rendita parassitaria dall’assalto del capitale industriale inventando il “principio della popolazione” e predicando al popolo l’astensione sessuale, nell’atto stesso in cui rivendicava il “fruttate e moltiplicatevi” come propria missione biblica specifica, così la mezza classe contemporanea spera di difendere il profitto parassitario generato nel raggio di ogni impresa dall’assalto rivoluzionario del proletariato metropolitano e dei supersfruttati popoli dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina, propagandando “il controllo delle nascite”.
Oltre tutto, se mai ci fu utopia, è questa. Tutti si vantano di pianificare la produzione, e nello stesso tempo pongono come conditio sine qua non per la salvezza dell’umanità da indicibili catastrofi, il “controllo delle nascite”. Ma l’uomo è l’unità prima e fondamentale del processo produttivo. Una società che non controlla l’aumento della popolazione, e lo confessa apertamente, tanto meno può pianificare la produzione.
Ed è vero invece che ogni forma storica di produzione genera una sua propria legge della popolazione, e che la legge della popolazione caratteristica della forma capitalistica corrisponde al movimento di espansione e di contrazione del ciclo di accumulazione del capitale, il quale secerne periodicamente l’esercito proletario di riserva, fluttuante latente stagnante.
Il tentativo della mezza classe contemporanea di controllare le nascite e di risolvere in questo modo le contraddizioni esplosive del capitalismo, è ancora più illusorio dell’analogo “principio della popolazione” bandito dal prete dell’Alta chiesa anglicana un secolo e mezzo fà, ed è tanto più reazionario. I figli partoriti dalla affamata donna indiana, insieme ai proletari di occidente, ricacceranno un giorno i versetti della Bibbia nella gola dei preti progressisti del mondo intero.