Partito Comunista Internazionale Indice La Teoria marxista della Conoscenza


 
Necessità del comunismo
Conferenza a Bolzano
Il Partito Comunista - 1983, n. 105

1. Forze ostili al comunismo
2. Il Partito Comunista sola salvezza e custodia dell’energia storica del proletariato
3. Marx sul Comunismo

  

La necessità del comunismo non deriva solo da «profonde riflessioni storiche», ma é ormai evidente per chi voglia obiettivamente esaminare gli stessi fatti quotidiani. Tutti sono costretti a riconoscere che il Capitalismo é guerra e scellerata distruzione delle risorse umane e naturali. Basti pensare che secondo stime ufficiali ci sono nel mondo dai venti ai trenta milioni di individui in età dai 20 ai 30 anni quotidianamente impegnati a maneggiare armi, per le quali si spendono circa 600 miliardi di dollari all’anno. La guerra é sempre più cronaca quotidiana perfino sotto forma della minaccia di una nuova e più micidiale delle due passate guerre generalizzate; e non c’è bisogno di sottolineare gli ormai quotidiani «disastri ecologici» causati dalle leggi del profitto in tutto il mondo.

Oggi tuttavia non é sufficiente sostenere, come rimedio a tali disastri, la necessità del comunismo in maniera generica. Bisogna essere molto precisi e dire chiaramente che cosa intendiamo per comunismo, visto che negli ultimi 150 anni di storia con tale termine si sono indicati i più svariati programmi politici. Una prima delimitazione va fatta con quelle idee che traggono la loro esistenza dalla tradìzione utopistica, invero molto più rispettabile delle attuali correnti più fetentemente opportunistiche. Il marxismo, di cui noi sosteniamo di essere gli unici continuatori, non ha mai nascosto di riconoscere in molti utopisti delle idee geniali ed anticipatrici del futuro corso storico; tuttavia se ne distanzia in maniera irrevocabile da quando ha trasformata l’antica ed ingenua visione del comunismo come sviluppo di un’idea da propagandare ed il cui successo era assicurato dalla sua intrinseca bontà, in scienza storica che viceversa vede il comunismo come necessaria meta della convivenza umana.

In effetti l’umanità, nonostante tutte le apparenze contrarie, va verso il comunismo; sola alternativa si manifesta sempre più la totale distruzione della vita sulla terra. Ciò che dimostra la tendenza oggettiva ed inevitabile verso il comunismo è la continua centralizzazione delle attività economiche: tutti gli Stati, nonostante dichiarino la loro ferrea volontà di «riprivatizzare» l’economia come rimedio allo ingigantimento della spesa pubblica, sono costretti a sempre più massicci interventi, dimostrando proprio così che la tendenza verso una totale centralizzazione delle attività umane è una necessità obiettiva.

La completa pianificazione, alla quale mai il Capitalismo arriverà, sarà una delle caratteristiche fondamentali del comunismo. È falso, come molti ritengono, che il programma comunista preveda il ritorno dei produttori al possesso dei loro mezzi di produzione. Quello che per molti sarebbe il massimo delle realizzazioni comuniste, in realtà non sarebbe che un ritorno al Medio Evo: se la borghesia ha diviso la proprietà dal lavoro, il comunismo non sarà la loro riunificazione ma la fine definitiva della proprietà borghese e del lavoro salariato.

Tutti i commentatori di Marx, cogliendo il destro del centenario della sua morte, si affannano a «dimostrare» che il marxismo come scienza è solo quello che descrive l’attuale società, e che sarebbe vuota metafisica la pretesa di prevedere cosa sarà il comunismo. Si tratta del loro Marx. Il nostro Marx, quello che ha armato il proletariato della forza della teoria e gli permetterà di risultare finalmente vittorioso nello scontro storico delle classi, si oppone decisamente a quel Marx fatto ad uso e consumo del professorume universitario ed esistente solo nelle loro zucche vuote. Il nostro Marx non é il freddo catalogatore dei fatti storici; é il combattente per il comunismo, di cui ha dato poderose anticipazioni nelle sue opere che ne costituiscono la vera forza, invincibile in un arco di tempo di cui è inutile misurare la lunghezza.

La più decisa di tali vere e proprie descrizioni della futura società comunista, sempre vista come gioiosa e fraterna armonia, è la fine ignominiosa di ogni concetto di proprietà della terra e degli impianti industriali, ma anche dei prodotti del lavoro e perfino del proprio corpo individuale. La nozione stessa di proprietà infatti é legata a quella di persona: si afferma che, essendo dalla fine dello schiavismo ogni individuo padrone di sé stesso, così é proprietario dei beni materiali, considerati accessori della sua persona. Si tratta di un’idea direttamente collegata alla fine dell’epoca schiavistica, ma la condizione di schiavo di altri o di sé stesso non è qualitativamente diversa. E a volte è un pessimo affare.

Il nostro comunismo non significa una insulsa “liberazione” dell’individuo dai legami sociali, ma controllo sociale, e non solo della produzione, ma della riproduzione. La specie umana non vive solo nella società dei viventi, ma anche in quella dei morti e dei nascituri: ecco perché nemmeno la società sarà proprietaria né della terra, né degli impianti industriali, né de i beni prodotti, né dei corpi fisici degli individui. La nostra tesi é che non vi sarà più alcuna proprietà, ma solo usufrutto delle risorse naturali ed umane allo scopo di conservare e migliorare ciò che una generazione riceve per consegnarlo alle nuove generazioni. Così ogni individuo sarà perfettamente integrato non solo nella società in cui vive, ma nella stessa specie umana, che non é transuente come gli individui, ma immortale. Nel Comunismo dunque non vi saranno proprietari ma solo usufrutto sociale di tutti i beni, della natura e di tutti gli individui che compongono il Corpo Sociale.

 

1. Forze ostili al comunismo

Il fine che ci ripromettiamo non é solamente la distruzione del capitalismo. A differenza di ogni piano, seppure elaborato genialmente, tipico dell’utopismo, il nostro programma di comunisti corrisponde ad una meta verso cui oggettivamente si muove l’umanità. Ciò non toglie che si tratta di un risultato storico che non sarà né automatico né indolore: sarà viceversa il risultato dello scontro più feroce che mai abbia sostenuto l’umanità, lo scontro tra la forza del proletariato e quella degli innumerevoli elementi ostili al comunismo. Si tratterà di un parto doloroso, ma solo a questa condizione potrà aver fine la preistoria dell’umanità, fondata sulla dissociazione tra individuo e specie, e iniziare l’era felice delle maggiori grandi conquiste umane.

Nel variopinto arco opportunistico non mancano i sostenitori della inutilità del Partito per raggiungere un tale risultato e i sostenitori delle più svariate ridicole tesi sul «comunismo che verrà da sé» e che quindi potremmo andare tutti nella direzione individualmente più gradita sciogliendo quello che resta del Partito Comunista. Si tratta dell’ennesimo e più pericoloso aspetto assunto dai nemici del comunismo: senza la guida del Partito il proletariato è già stato battuto e sarebbe nuovamente battuto. Di qui la ragione della esistenza e della difesa la più accanita del Partito. Nel Partito infatti e solo nel Partito si condensa non solo l’esatta consapevolezza di tutto il processo storico che porterà al comunismo, ma anche delle ragioni delle sconfitte subite dal proletariato nel passato. E non vi potrà essere futura vittoria se le lezioni delle sconfitte subite non saranno trasformate in arma fondamentale contro il nemico.

Il Capitale infatti, come ogni organismo morente, opporrà tutta la sua resistenza prima del definitivo crollo; mobiliterà tutte le sue risorse, da quelle economiche a quelle militari. Ma soprattutto utilizzerà l’arma che già ha utilizzato proficuamente durante la più grave crisi che lo abbia finora colpito: l’arma dell’opportunismo e della corruzione di vasti strati della classe operaia occidentale, che gli ha permesso di vincere la battaglia di classe degli anni venti. L’opportunismo è il peggior nemico del comunismo perché cambia abilmente fisionomia a seconda delle necessità: si é tinto di riformismo nel primo Novecento, di nazionalismo allo scoppio della Prima Guerra mondiale, di stalinismo dopo la magnifica vittoria in Russia del 1917, e non esita oggi a vestire i panni del “terrorismo” per distogliere i pochi proletari disposti a ritrovare i veri principi del comunismo. Tutte le sfumature dell’opportunismo sono già oggi presenti, pronte ad ingabbiare le prime lotte proletarie, come già in Polonia è risultato chiaro. Nell’acutizzarsi di un nuovo scontro sociale tutte le razze dell’opportunismo dovranno essere riconosciute e combattute dal proletariato come tentacoli dell’idra capitalistica che non vuol morire e solo attraverso l’esperienza storica del Partito una tale operazione di vitale importanza per la vittoria della Rivoluzione sarà possibile.


2. Il Partito Comunista sola salvezza e custodia dell’energia storica del proletariato

Se il proletariato ha bisogno della guida non é un partito qualunque per vincere il Capitalismo. Deve prima di tutto aver tratto la lezione che tutti gli altri partiti rappresentano interessi della borchesia e della piccola borghesia e di doverli combattere tutti in un solo blocco. Da ciò deriva la tesi fondamentale che il vero Partito Comunista non dialoga né “culturalmente” né tanto meno elettoralmente con altri partiti o gruppi: la sua funzione é quella di distruggere i nemici del comunismo, funzione nettamente “anticulturale”. La scuola dei proletari può essere solo la lotta rivoluzionaria vittoriosa.

Lo svolgimento di una tale funzione presuppone l’aver saputo trarre dalla esperienza storica la lezione che il riformismo storico, e peggio quello attuale, è passato totalmente nel campo della borghesia fin dal 1914; che tale riformismo si trasforma nello spazio di un mattino in nazionalismo quando gli eventi minacciano la crisi bellica. Dunque ogni forma di pacifismo, se non é strettamente collegata alla prospettiva della rivoluzione comunista, vale aperto sostegno agli interessi della conservazione capitalistica mondiale. Presuppone l’aver saputo trarre la lezione che il prevalere dello stalinismo nella Russia fin dal 1926 ha significato aperta controrivoluzione, come ha dimostrato la sua partecipazione alla Seconda Guerra mondiale come potenza imperialistica e la politica di contesa imperialistica dal dopoguerra ad oggi. Presuppone infine l’aver saputo trarre la lezione che l’opportunismo anarchico significa antistorica esaltazione dell’individuo, visione del processo storico totalmente contrapposta a quella comunista, che ha già manifestato la sua essenza contro-rivoluzionaria nella rivolta di Kronstadt  del 1921 contro la Russia di Lenin, che è naufragata nella disfatta durante la guerra civile di Spagna nel 1936, che inutilmente, nel migliore dei casi, si agita attualmente nei mille rivoli del terrorismo.

Solo il nostro Partito, unico che ha mantenuta nella sua integrità la tradizione della Sinistra Comunista, può sostenere di aver tratto sino in fondo tali lezioni storiche. Lo prova il fatto che resta l’unico a sostenere non solo la necessità della dittatura del proletariato come fase transitoria verso il comunismo, ma anche che l’organo di tale dittatura sarà solo il Partito Comunista, che dovrà esercitare contro tutti gli altri partiti, anche sedicenti comunisti e rivoluzionari. Tale decisa affermazione, insieme alla costante riproposizione della interezza del programma comunista, sono i migliori antidoti contro le storiche ondate opportunistiche e contro le degenerazioni burocratiche e bonziste caratteristiche di tutti gli altri partiti. Lavorare pertanto nel Partito Comunista, mettere ogni forza a disposizione del Partito Comunista, abbandonando ogni remora e resistenza individualistica, è dunque indispensabile per preparare l’organo necessario per la vittoria della rivoluzione comunista mondiale.            



3. Marx sul Comunismo

Il pezzo di Marx che brevemente presentiamo, preso dal capitolo Forme precedenti la produzione capitalistica dei Lineamenti fondamentali della critica della economia politica, serve magnificamente a sbarazzarsi di due formidabili tesi controrivoluzionarie innalzate dall’opportunismo in una opera trentennale.

La prima tesi demolita è che il socialismo sia “scientifico” in quanto rifuggerebbe dal descrivere i caratteri distintivi della società per la quale lotta e verso la quale tende; ogni tentativo di descrivere la società nostra sarebbe pertanto utopia, mossa questa che ha permesso allo stalinismo, al maoismo ed alle loro varianti di spacciare per socialisti Stati e società schiettamente borghesi, alle prese – per giunta – con difficili accumulazioni nazionali di capitale.

Il Marxismo  ha invece pienamente descritto quello che sarà il socialismo, proprio perchè sceintificamente poggia le sue previsioni, non su idealità di giustizia e di eguaglianza, ma sullo studio accurato dei rapporti di produzione e di proprietà della società borghese e su quello dello sviluppo delle materiali forze di produzione. Dirà Marx lapidariamente, sempre nei Lineamenti:

     «Dall’altra parte se noi non trovassimo già occultate nella società, così com’è, le condizioni materiali di produzione e i loro corrispondenti rapporti commerciali per una società senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero altrettanto sforzi donchisciotteschi».

È l’opportunismo che non può vedere ciò che è occultato sotto la onnipotente impalcatura statale capitalistica; smarrita ogni chiave di lettura, volutamente confonde il socialismo con il capitalismo di Stato, e ne ammette l’esistenza in presenza di mercato e concorrenza e nonostante il mantenersi della schiavitù salariata!

Altra tesi che il brano si Marx demolisce fino alle fondamenta, è quella della pretesa superiorità dei “moderni tempi“ su gli antichi; tesi che ha per corollario l’odierna superstiziosa adorazione dei ritrovati ultimi della “scienza moderna” che tutto potrebbe.

L’è che, la “scienza” e la “tecnica” moderne sono incapaci di controllare il formidabile sviluppo delle forze produttive risultato del modo di produzione capitalistico, il quale, oggi come nel lontano diciannovesimo secolo, continua a trarre forza e vigore dalle periodiche crisi commerciali e produttive con distruzione violenta di capitale, con disoccupazione, guerre, ecc.

Non si tratta quindi di adorare scienza e tecnica, ma di dimostrare il fallimento di un modo di produzione che giunto ad un certo punto del suo ciclo diventa ostacolo allo stesso libero sviluppo delle forze produttive del lavoro, impedito dall’imperativo economico del capitale: la propria autovalorizzazione.

Se quindi, da una parte, il capitalismo produce tutte le condizioni materiali necessarie per la negazione di capitale e lavoro salariato, a loro volta negazioni di precedenti “forme di produzione sociali non libere”, dall’altra, lo “infantile mondo antico”, che nella sua limitatezza non contrapponeva l’individuo singolo alle forme sociali di produzione e alla natura tutta, si eleva di una spanna materialmente e idealmente, al disopra della “volgarità capitalistica”.

     «La ricchezza da una parte é una cosa, si realizza in cose, in prodotti materiali cui l’uomo si contrappone come soggetto; dall’altra, come valore, essa é semplicemente un comando su lavoro altrui, non a scopo di dominio ma per il godimento privato, ecc. In tutte le forme essa si presenta in forma oggettiva, si tratti di una cosa, o di un rapporto mediato da una cosa che si trova al di fuori dell’individuo e casualmente accanto a lui. Perciò l’antica concezione secondo cui l’uomo, quale che sia la sua limitata determinazione nazionale, religiosa, politica, è sempre lo scopo della produzione, sembra molto elevata nei confronti del mondo moderno, in cui la produzione si presenta come scopo dell’uomo e la ricchezza come scopo della produzione. Ma di fatto, una volta cancellata la limitata forma borghese, che cosa è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti, delle forze produttive, ecc, degli individui, creata nello scambio universale?
     «Che cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell’uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cosa é se non l’estrinsecazione assoluta delle sue doti creative, senza altro presupposto che il precedente sviluppo storico, che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato? nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, ma produce la propria totalità? Dove non cerca di rimanere qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire?
     «Nell’economia politica borghese – e nella fase storica di produzione cui essa corrisponde – questa completa estrinsecazione della natura interna dell’uomo si presenta come un completo svuotamento, questa universale oggettivazione come alienazione totale, e la eliminazione di tutti gli scopi determinati unilaterali come sacrificio dello scopo autonomo a uno scopo completamente esterno. Perciò da un lato l’infantile mondo antico si presenta come qualcosa di più elevato; dall’altro lato esso lo é in tutto ciò in cui si cerca di ritrovare un’immagine compiuta, una forma, e una delimitazione oggettiva. Esso é soddisfazione da un punto di vista limitato; mentre il mondo moderno lascia insoddisfatti, o, dove esso appare soddisfatto di sé stesso, è volgare».