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La teoria marxista della conoscenza
(Resoconti brevi di tredici rapporti, 1985‑1993)
Il 3° Rapporto proseguiva la trattazione del tema Teoria della Conoscenza, esposto da due compagni, l’uno piemontese l’altro toscano. Il primo si era incaricato di svolgere una presentazione sintetica dell’insieme del lavoro teorico sull’argomento, come appare sulla stampa del partito nell’arco di più di un decennio da metà degli anni ’50. La trattazione puntava a negare le tesi base della ideologia borghese, che il nostro marxismo non accetta o migliora, ma capovolge, nega, abbatte.
Si rivalutavano piuttosto, contro le pose dell’eterno annaspare modernista borghese, le forme di scienza precedenti il razionalismo, i metodi intuitivi di conoscenza e perfino gli approcci religiosi alla natura. Si accusava di conservatorismo la scienza ufficiale, ormai monopolio di ristretti specialisti, e si sfatava la menzogna della oggettività delle scienze anche naturali. Si distingueva fra leggi naturali osservabili e misurabili e teorie scientifico-sociali, incommensurabili e indimostrabili, storiche e caduche, ma non per questo non utilizzate dall’umanità.
Il metodo scientifico, che rivendichiamo insieme ai veri rivoluzionari del pensiero scientifico del passato, parte dal Particolare per giungere al Generale e quindi tornare al Particolare, opposto al metodo idealista che parte dal generale, dall’Idea, per scendere al particolare ma solo per risalire ancora ad un’altra Idea. Si rinfacciava alla borghesia di forzare e deformare lo stesso sperimentalismo a scopi bassamente mercantili e si denunciava l’uso moderno dello scientismo come nuova droga contro il proletariato.
La borghesia si è avvicinata solo per un attimo alla verità, per poi subito tradirla per non tradirsi come classe: solo il marxismo risolse l’enigma millenario della contrapposizione Individuo-Specie, trovando la soluzione non nel pensiero ma nell’azione sociale, nella rivoluzione vittoriosa. Riguardo la contesa fra spiritualismo e materialismo la risposta marxista è ugualmente rivoluzionaria e superiore a quelle banali negativiste anche dell’ateismo borghese in quanto nella nostra visione il cosiddetto spirito è compreso, come una parte, nel materiale, sono un tutt’uno, in potenza ugualmente conoscibili.
È stato ricordato che nello stesso partito di classe l’adesione al programma da parte dei militanti è fatto non razionale o intellettuale ma principalmente intuitivo e sentimentale e, usando una parola che non ci spaventa, mistico, prodotto di fede. Il rapporto concludeva con illuminanti citazioni dai nostri classici che descrivono il comunismo vivente oggi nel partito, non come intelligenza del domani ma, appunto, come sua potente Intuizione.
Dopo questa prima parte del Rapporto nella tarda serata del sabato, si
interrompeva la seduta per recarci tutti nel luogo fissato per consumare la
cena.
Domenica mattina si dava inizio alla riunione prima del solito data la necessità
di completare l’ampio programma stabilito. Si riprendeva con la continuazione
del tema conoscitivo, con una critica diretta dei più moderni e “ingaggiati”
teorici borghesi, che ormai in pienissima decadenza, trovano stretto non solo il
concetto di Verità scientifica, ma anche quello, ben più “elastico”, di
Probabilità d’evento, che nel nostro linguaggio molto spesso sostituiamo con
quello di Approssimazione e di Asintoto.
Ci si dilungava poi circa la polemica di moda sulla possibilità di “intelligenza” da parte delle macchine, riconducendo la volgare discussione contemporanea al vecchio nesso contraddittorio fra l’uomo e la sua creazione, che tocca il suo apice con la forma capitalistica che assume il prodotto del lavoro umano. La nostra critica, al contrario del tecnologismo borghese, non parte dalla macchina ma dai rapporti sociali e quindi il problema è risolubile non tecnicamente ma socialmente e rivoluzionariamente; la questione delle macchine deve quindi inquadrarsi con metodo storico.
Riunione n. 31 - Firenze, 25‑26 maggio 1985
Il Partito Comunista n.130 del 1985
Seguiva il compagno incaricato di trattare gli aspetti più generali del nostro modulo di intendere la realtà sociale e di sistematizzarla, mantenerne la nozione e trasmetterla nel tempo attraverso tecniche e strumenti del pensiero che utilizzano e hanno utilizzato anche gli stessi procedimenti tipici delle scienze post‑rinascimentali.
Di fronte agli attacchi, oscurantisti e di vera involuzione sociale, ma a volte apparentemente sottili, degli avversari di classe, che pretendono invalidare la dottrina rivoluzionaria del proletariato in base alla insufficienza logico-formale di quel metodo scientifico, il marxismo tranquillamente risponde che tale insufficienza storica degli strumenti del pensiero che la classe degli schiavi moderni è costretta ad utilizzare non l’ha mai negata, anzi la presuppone e in una certa misura la prevede e la conosce.
È vero che il marxismo estende ai fatti sociali i metodi, prodighi di buoni risultati, applicati dalla scienza post‑feudale al campo dei fatti della natura. Resta però la nostra scienza di una classe, di una umanità ancora oppressa: non pretende dimostrare in modo assoluto, con strumenti solo propri del pensiero, la verità oggettiva del suo pensiero stesso. Ritiene anche che, almeno finché la società sarà storicamente divisa in classi, prima e meglio della ragione arrivino ad approssimarsi alla verità intuizione e sentimento.
Compito del pensiero rivoluzionario comunista non può ancora essere la conoscenza del mondo con strumenti superiori a quelli che la storia ha prodotti, ma la critica delle dottrina del nemico di classe, nei loro tanti schieramenti, non per convincere ma per “uccidere”, con tutte le armi disponibili. E questo non è fatto intellettuale ma di partito politico contro altri partiti.
Riunione n. 32 - Ivrea, 7‑8 settembre 1985
Il Partito Comunista n. 134 del 1985
L’ultimo esposto ha riguardato le questioni conoscitive. Lo studio, che comprendeva anche la lettura di alcune citazioni di Marx e di Lenin sulla conferma della base oggettiva della nostra dottrina materialistica dialettica, da un lato tendeva a controbattere ogni impostazione semplicisticamente “relativistica” della dialettica marxista, secondo la quale, speculando sul fatto che ogni legge storica è afferente e propria di una data situazione temporale, se ne discende della relatività assoluta di ogni legge, arrivando quindi a negare l’esistenza di ogni rapporto di causa-effetto.
Dal riconoscere che le equazioni dei fenomeni sociali sono funzione di molte variabili indipendenti, e che fra esse sempre è presente quella temporale, non deduciamo né che tali equazioni non esistono nei fatti, dai quali col nostro linguaggio scientifico le deriviamo, né che tali complesse equazioni della storia non siano dal marxismo già descritte e dal partito vivente conoscibili e conosciute.
Il proletariato rivoluzionario è in questo senso il solo applicatore al campo storico dei più alti risultati del razionalismo anti‑dogmatico già applicato alle scienze naturali.
Ciò non toglie che il partito, organo non di pensiero astratto ma compagine organizzata per il combattimento sociale, non escluda, anzi ritenga indispensabile strumento di conoscenza quello basato sul misticismo, fino alla “cieca fede”, secondo la formula di Marx del comunismo «che salda la nostra coscienza con la nostra ragione».
Riunione n. 33 - Firenze, 18‑19 gennaio 1986
Il Partito Comunista n.138 del 1986
Data l’ora inoltrata si dava solo un sunto dell’ultimo rapporto, sulla teoria della conoscenza, che verrà ripreso alle prossime riunioni e che i compagni potranno conoscere per esteso nella pubblicazione a stampa.
A raccordo con le precedenti esposizioni si leggeva un brano ricavato da una delle ultime pagine della appena distribuita rivista, per una puntualizzazione generale e di metodo: lo sviluppo della specie umana, come è giunto alla soglia che divide preistoria e storia con la rivoluzione comunista uni‑classista, così è possibile capovolgere, sul piano del pensiero, la “piramide della conoscenza” reinventando, a partire dalla “politica”, cioè dall’uomo sociale, tutta la struttura gerarchica del sapere precedente. Primo passo di tale rivoluzione l’ha già intrapreso il marxismo riscrivendo in forma capovolta la storia intera della umanità; una volta consolidata rivoluzionariamente questa riscrittura nella vita sociale si potrà riscrivere la biologia, l’astrofisica, la fisica e la chimica, e infine, per ultimo, emergeranno nuove novità, nuovi strumenti del linguaggio sintattici, della geometria e della matematica che supereranno i precedenti, niente affatto sovrastorici ma forgiati dalle prime società di mercanti e di proprietari di terra.
In opposizione alle contemporanee reazionarie involuzioni del pensiero borghese che oscilla fra il “fascismo” di “pensieri forti” e il pessimismo piccolo borghese di “pensieri deboli”, contrapponevamo l’invarianza storica del marxismo.
Prendendocela intanto col “pensiero debole” – che pretende che nulla, o quasi, è possibile conoscere e prevedere, ben rispondente alla vita sociale e al pensiero della classe borghese, in tutti i campi, non solo filosofico ma in economia e in politica principalmente – contrapponevamo la nozione che ogni teoria scientifica si basa sul concetto delle costanti universali, costanti, di enti misurabili e riproducibili e costanti delle loro relazioni. La stessa galileiana, e rivoluzionaria, teoria relativista viene oggi manipolata per dedurne non che il moto di un corpo è da pensarsi come moto di due, di tutti i corpi, anche di quelli che stanno fermi, ma per concluderne che si muovono senza nessuna regola, perlomeno conoscibile al di sopra dell’individuo-cittadino. Lo stesso nome dato alla moderna teoria einsteiniana della materia-energia, alla quale, contro il parere dello stesso primo formulatore, fu socialmente imposto il nome di Teoria della Relatività, in realtà nei primi appunti era, giustamente, Teoria degli Invarianti.
Congedati nelle prime ore del pomeriggio i compagni costretti a partire, ci si intratteneva ancora con gli altri anche per perfezionare gli ultimi accordi di lavoro.
Riunione n. 34 - Ivrea, 17‑18 maggio 1986
Il Partito Comunista, n. 142 del 1986
Passando al tema conoscitivo, altro compagno dava lettura della continuazione della nostra polemica, la cui prima parte fu esposta a gennaio a Firenze, contro le apparenti opposte coscienze borghesi del mondo: quella cosiddetta “forte” e quella “debole”, entrambe scuole di antiche e coerenti tradizioni, ma la cui moda oggi si alterna secondo l’andamento delle quotazioni di borsa e della generale fiducia nel mondo presente.
Costretta la borghesia a prendere atto del catastrofico suo divenire, della
sua economia nel senso più ampio di rapporto produttivo e riproduttivo con
l’ambiente, per tamponarne lo sgomento viene ad ammettere un catastrofismo
sociale e naturale, ma che non travolge con sé le stesse leggi che quelle
catastrofi hanno prodotto e non ne genera di nuove. Nella generale fuga dalla
realtà della crisi di borghesi e piccolo borghesi si diffonde il pensiero “debole”
che sostituisce al principio di causalità scientifico le fumisterie già derise
della religione, delle superstizioni, della astrologia, della magia, in un uso
cabalistico di matematica e geometria.
Potremmo catalogare fra il “debolismo” filosofico le correnti dell’opportunismo
politico fin dal Bernstein col suo «il Movimento è tutto, il fine nulla».
Opposto ad entrambi gli errori, il nostro materialismo dialettico vede nel fatto economico, nella vita materiale della specie, nei suoi rapporti di fatto col mondo, e al suo interno fra le classi sociali, nei bisogni degli uomini e nei loro determinati sensi, il primo motore della loro attività e, poi, della loro coscienza. Negando la tesi dell’esistenza autonoma dell’individuo, soggetto di volontà e coscienza, superata “ipotesi di lavoro” del pensiero preistorico umano, il marxismo sostituisce al soggetto individuo un Partito di classe e alla coscienza monocranica una Dottrina di classe.
Riunione n. 47 - Bolzano, 29‑30 settembre 1990
Il Partito Comunista, n.186 del 1990
Proseguiva quindi un altro compagno nella nostra polemica contro le ideologie difensive della classe dominante circa la “naturalità” del suo modo di produzione, fra le quali è da enumerare il cosiddetto ambientalismo, in sé una delle tante mode, mostriciattoli piccolo-borghesi, forse già oggi in fase calante di seguito.
L’inadeguatezza degli “ecologisti” a risolvere il rapporto Uomo‑Natura è
quella della borghesia in generale.
La borghesia è arrivata al darwinismo, che spiega la evoluzione delle specie
viventi. Il marxismo lo apprezza nel suo campo, ma non lo estende alla società
di individui umani, che evolvono secondo leggi storiche molto più complesse. Non
condividiamo l’evoluzione umana per graduale selezione individuale, e nemmeno
questa gioca fra le classi sociali.
Non sono gli uomini né le classi gli autori del mondo esterno, del quale nemmeno possiamo oggi produrre una nostra teoria completa. Anche gli interventi umani sul mondo esterno, le “riforme ecologiche”, sono da rimandare alla società monoclassista successiva alla fase di dittatura anti‑borghese. L’ecologismo neo‑malthusiano, che accusa gli alti salari e il “consumismo” di provocare la “distruzione dell’ambiente”, è il nuovo mastice della collaborazione di classe.
Riunione n. 48 - Firenze, 2‑3 febbraio 1991
Il Partito Comunista, n.190 del 1991
Nell’ambizioso piano di riproporre nel lavoro di partito la “spinosa questione sindacale” un terzo compagno ha quindi presentato uno schema che intende inquadrare anche a livello teorico il tema del nesso istinto materiale e fisiologico e conoscenza.
Mentre per il materialismo storico è principio elementare e inequivocabile che la lotta delle classi è determinata dal rapporto tra le forze produttive, alla scala storica, e le forme sociali, e che è quel rapporto la spinta a fare la storia, i movimenti politici e sociali avversari partono al contrario dal polo opposto, proponendo schemi sociali assolutamente incapaci di affrontare il tema dell’emancipazione sociale proletaria, e dunque rivelandosi ostili e antitetici alla coscienza comunista.
Nella nostra visione, dalle spinte fisiologiche che comportano la tendenza alla difesa delle sue condizioni di vita da parte del proletariato moderno, si arriva nella concezione marxista alla possibilità, alla necessità storica del rovesciamento della prassi, cioè all’inevitabile passaggio, nello scontro sociale, alla dittatura del proletariato, alla presa del potere politico e del suo esercizio da parte del partito unico della classe operaia per il trapasso al regime sociale comunista.
Nella presentazione di questa prima parte del lavoro non si è dimenticato di sottolineare come se da un lato la classe proletaria moderna non rinuncia mai, pena la sua impossibilità di vivere, come classe, all’azione economica, nello stesso tempo è spinta dalla lotta storica ad acquistare coscienza di classe, organizzandosi in partito politico, ma esternamente e distintamente dall’azione e dalla lotta economica e sindacale.
Essendo questa distinzione caratteristica, e tale da provocare nel corso della storia, anche recente, molti “mal di testa”, si è insistito sulla questione, mettendo in risalto come tante clamorose rotture storiche si sono consumate, tra l’altro, su questo tema.
Nel nostro schema le spinte fisiologiche si organizzano e diventano conoscenza teorica della lotta, dei suoi tempi e della società in generale, non secondo un labile modulo “lineare”, ma dialettico, per cui i grumi di coscienza, termine che evitiamo di usare il più possibile, portano storicamente al Partito, capace di guidare il rovesciamento dell’azione, cioè la rivoluzione politica.
Abbiamo così potuto dimostrare che il Partito respinge lo schema sociale trascendentalista, proprio del periodo storico feudale, ma persistente in molti partiti politici borghesi della fase attuale, si preoccupa costantemente di tenere presente la lotta anche molecolare della classe contro le spinte reazionarie della organizzazione produttiva capitalistica e gli impulsi ideologici politici dello Stato di classe nemico.
Questo spiega come la “spinosa questione sindacale”, lungi dal costituire un problema risolto una volta per tutte, a differenza del problema politico, codificato nettamente nel concetto di dittatura proletaria, presenta continue contraddizioni che il Partito si sforza di leggere, codificare e soprattutto affrontare nel combattimento assiduo a fianco della classe, cercando di influenzarla, organizzarla, dirigerla.
Riunione n. 49 - Torino, 1‑2 giugno 1991
Il Partito Comunista, n.193 del 1991
All’indomani iniziavamo i lavori con il seguito dello studio sulla dinamica che nel marxismo è tra la funzione del partito e la lotta della classe operaia. Si riferiva dapprima del rovesciamento, nella rivoluzione borghese, dello schema trascendentalista, proprio della scolastica, che opera scendendo dai concetti, premessi, alle conseguenze fisiche, in una gerarchia logica e autoritaria, dall’alto in basso, affermando lo Schema Demoliberale, che sostituisce alle premesse assolute l’esperienza empirica, da tutti riproducibile. Il rovesciamento consiste nel mettere all’apice l’individuo e i suoi sensi al posto dell’autocrate e della rivelazione.
Rimane però la separazione teoria-azione, socialmente e concettualmente. Il
marxismo risolve il dilemma nella realtà della lotta delle classi, che si
manifesta storicamente diretta da un partito, che è insieme organo di conoscenza
(impersonale, dottrina) e di battaglia sociale contro i partiti delle classi
avverse.
Il partito del proletariato, che infatti nasce prima di Marx, non è la dottrina
del comunismo che diventa azione, ma un risultato dell’affinarsi storico dei
mezzi necessari alla soddisfazione del bisogno di comunismo. Difatti da sempre
sosteniamo che aderisce al partito non chi ha superato esami di marxismo ma chi
è spinto dall’istinto ad allinearsi in una certa trincea.
Attualmente la borghesia rinnega anche i suoi schemi “scientifici”, seppure unilaterali. Ovunque oggi trionfa, all’Est e all’Ovest, lo Schema Demoliberale, nel quale schema, non a caso, la vita fisica occupa l’ultima posizione.
Riunione n. 50 - Firenze, 5‑6 ottobre 1991
Il Partito Comunista, n.196 del 1991
Sul tema rapporto partito-classe-azione sindacale si ascoltarono tre resoconti di altrettanti compagni. Il primo, la cui esposizione era iniziata nella precedente riunione, tende ad illustrare la nostra concezione materialistico-storica dell’inserirsi del fattore partito nella dinamica degli interessi e nell’urto fra le classi sociali, con il sovrapporsi gerarchico di interazioni rappresentato dal diagramma che chiamiamo del “Rovesciamento della prassi”.
Come il metodo scientifico di impianto razionalista accetta di fondarsi su postulati iniziali non dimostrati né dimostrabili ma assunti perché evidenti e intuitivi, così la dottrina sociale marxista, senza rinnegare la sua scientificità di metodo, inserisce nel suo corpo materialistico, senza sminuirlo, i bisogni, il movimento e il sentimento comunistico come congeniti alla natura umana e storicamente espressi. All’inizio è l’azione; è il lavoro che richiede e produce scienza.
Si descrivevano quindi, in contrapposizione allo Schema nostro dialettico,
gli Schemi storici precedenti, nell’ordine, il Trascendentalista-autoritario,
nel quale il flusso delle determinazioni scende da una divinità sugli individui
e sugli Stati.
La illustrazione degli Schemi posteriori, fino al nostro, è attesa nelle
prossime riunioni.
Riunione n. 51 - Bolzano, 11‑12 gennaio 1992
Il Partito Comunista, n.198 del 1992
Seguivano nell’esposizione quattro rapporti coordinati, affidati ad altrettanti compagni, afferenti l’intervento del partito nella lotta per obiettivi contingenti della classe operaia. Il primo taglio espositivo riguardava la impostazione dottrinaria più generale del rapporto Partito-Classe della nostra visione storico-dialettica. Lo si descriveva in negativo nella critica della impostazione unilaterale o capovolta delle classi e scuole che hanno preceduto il marxismo. Il relatore, dando seguito ai precedenti rapporti che si leggono nella nostra rivista semestrale, veniva a descrivere lo schema interpretativo Demoliberale, proprio della borghesia e storicamente successivo al Trascendentalista feudale.
La necessità di accrescere la conoscenza della natura, necessaria al nuovo modo di produzione manifatturiero, spinse anche a ridefinire il rapporto fra esperienza e ragione rivalutando il fatto sperimentale, in opposizione alla tesi scolastica che negava possibilità di conoscere, o ordinare e prevedere il contingente. La borghesia nella sua fase di ascesa arriva ad ammettere la possibilità di conciliare esperienza e scienza, ma lo nega per i fatti della società umana.
È il metodo scientifico nato nel ’600, che il marxismo rivendica. Più in generale al materialismo storico non sono indifferenti le oneste considerazioni del pensiero umano in generale quando sono il frutto di una ponderata e oggettiva ricerca. È vero che la nostra teoria è nata “in un sol blocco”, ma le doglie del parto sono state secolari.
Riunione n. 52 - Genova, 9‑10 maggio 1992
Il Partito Comunista, n.201 del 1992
Seguiva la continuazione dalle scorse riunioni di tre studi circa il rapporto partito-classe e partito-sindacati-classe. Il primo di questi, storia di come le classi hanno visto il legame fra coscienza-volontà-azione-bisogni, ribadiva dapprima che alla base della nostra interpretazione anti‑idealistica rivendichiamo non essere la coscienza all’origine della realtà ma venire dopo ed esserne una parte, non il motore che tutto muove. Semmai diremmo che tale motore è l’Economia, la realtà economica in senso lato.
È nel Seicento che, contro la scolastica feudale, si riconobbe un pensiero, in sé evidente e non “da dimostrare” e capace di descrivere la realtà. Questo vale anche nel marxismo, ma non individualmente e per i fatti sociali solo nel soggetto del partito, depositario della coscienza di classe, che meglio diciamo Dottrina, insegnataci dalla storia della lotta di classe. La borghesia in ascesa credette di poter conoscere perfino la sua economia.
Oggi si teorizza la “inconoscibilità”. Questo lo schema del giochetto ovunque ripetuto: fallimento del “comunismo” russo - sfiducia nel “soggetto” - impotenza della conoscenza e della volontà - “pensiero debole” - “problematizzare” il soggetto - partito inutile - generale sgomento nei proletari del mondo.
Si descriveva quindi il nostro schema dialettico del rovesciamento della prassi. Si parte dalle influenze conservatrici delle Forze e Rapporti di produzione nella loro essenza reale e pratica, dalle Spinte fisiologiche nel singolo lavoratore e dagli Interessi economici della classe lavoratrice. Non a caso Marx, novello Dante, per conoscere il mondo entra nei gironi infernali dell’economia. Alla cuspide intermedia dello schema c’è il partito di classe che “sa” e, in date condizioni, riesce a intervenire, nei rami discendenti dello schema.
Da qui l’attenzione del partito per il sottosuolo economico. Per il partito
l’esperienza sociale è conoscibile, seppure relativamente, non in assoluto. E
neppure individualmente (Questa la turlupinatura, ad esempio, del voto
individuale per gli scioperi).
Il partito si inserisce in un insieme di forze, non le determina.
Riunione n. 53 - Firenze, 3‑4 ottobre 1992
Il Partito Comunista, n.204 del 1992
Seguiva la parte conclusiva dello studio sul nostro concetto di determinismo-coscienza-azione che i lettori hanno potuto apprendere dai precedenti capitoli pubblicati sulla nostra rivista Comunismo. Ha rintracciato la storia di come attraverso i precedenti modi di produzione le diverse classi hanno visto la complessa questione. Per la borghesia rivoluzionaria la scienza, le scienze della natura divengono possibili, in quanto le sono diventate necessarie. Oggi, alla fine della sua parabola, si ricrede, dubita e nella pratica naviga a vista.
La relazione approfondiva il senso della negazione dell’apriorismo scolastico operato dall’affermarsi del metodo scientifico, che comunque non addiviene, nemmeno nel migliore pensiero borghese, a identificare esperienza e ragione.
La formalizzazione dell’esperienza è un processo materiale; e la conoscenza non è una “rivelazione” immediata ed attuale dell’esperienza. Nel campo sociale il partito opera questa funzione di integrazione delle esperienze di lotta proletaria. Per questo dalle correnti della decadenza borghese siamo accusati di “apriorismo” nei confronti della interpretazione che diamo ai fatti contingenti.
Riunione n. 54 - Torino, 23‑24 gennaio 1993
Il Partito Comunista, n.207 del 1993
La domenica mattina riprendevamo i lavori con il resoconto conclusivo dello studio sul tema teoria-azione, classe e partito. Riguardo alla nostra concezione del determinismo dialettico rivendichiamo il metodo scientifico, che non si ferma a rilevare generiche regolarità statistiche ma va oltre e cerca le leggi dei processi e delle interazioni. La teoria della causalità statistica ignora i meccanismi di causalità. Il determinismo afferma che ogni evento è legato al tutto, al “contorno”; la catena delle determinazioni è coerente e razionale.
All’indeterminismo, che afferma esistere eventi non spiegabili in rapporto ad una causa, rispondiamo: non sappiamo ma sapremo.
Il materialismo storico non si riduce alla logica formale e non perde di vista la potenza dell’esperienza sensoriale concreta.
La specie umana ha scritto nei suoi geni un programma, non solo biologico ma anche culturale, che nel nostro tempo postula la necessità della rivoluzione proletaria. Solo il partito della classe operaia è in grado di progettarne il disegno oltre gli impulsi biologici ed economici, partendo da essi, senza negarli, facendo leva su di essi; custode del Programma nei momenti oscuri come nelle esaltanti vittorie.