Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

Partito Socialista Italiano
XVI Congresso Nazionale
Bologna 5-6-7-8 ottobre 1919

 

Interventi della Frazione Comunista Astensionista
dal Resoconto stenografico

 

Intervento al Congresso
Intervento conclusivo

 
 
 

Intervento al Congresso
 

Relatore: – Siccome sarà indispensabile che i relatori parlino anche alla fine della discussione, io mi propongo di esporvi il programma della frazione comunista del Partito nella maniera più succinta che sarà possibile, allo scopo di non fare avvenire quello che io temevo, e cioè che discorsi troppo lunghi dei relatori, come apertura e come fine della discussione, invadano grande parte del tempo riservato al Congresso. Per conseguenza io dovrò certamente accennare subito ad alcune delle obiezioni che sono state mosse alla nostra tesi; ma mi riservo di rispondere in ultimo a quelle altre obiezioni che potranno venire riprese od esposte nuovamente nel corso della discussione che voi farete.

A voi è noto come da qualche tempo in seno al Partito sia andato affermandosi una corrente, sia pure una corrente di minoranza, la quale si presenta a questo Congresso col proporvi l’astensione dall’intervento nella prossima lotta elettorale politica. A voi è noto come questa nostra frazione astensionista abbia il suo fondamento dottrinale nelle concezioni fondamentali del socialismo marxista, tragga il suffragio al suo punto di vista dalla esperienza delle contemporanee rivoluzioni comuniste; e venga da questo materiale critico a trarre conclusioni tattiche e pratiche per l’astensione elettorale.

Noi non ci dissimuliamo la difficoltà di far trionfare un simile metodo nel seno del nostro Partito e, come diceva il compagno Treves, ormai possiamo già sapere quale sarà l’esito del voto al quale si verrà, poiché le sezioni hanno dato ai rappresentanti mandato imperativo di votare per l’una o per l’altra tendenza. Ciò non toglie che noi veniamo a sostenere il nostro punto di vista e a prospettarne tutte quante le ragioni, poiché noi ci ripromettiamo di ottenere nella vita avvenire del nostro Partito la riconferma della giustezza del metodo che noi vi additiamo, anche se non è per voi giunto il momento di applicarlo.

Il nostro Partito è orami orientato decisamente verso il socialismo massimalista. Il nostro Partito è aderente alla Terza Internazionale, e quando questa mattina il compagno Lazzari, nella sua relazione, ha accennato a questo atto fondamentale della Direzione del Partito, il vostro plauso, lo ha senz’altro sanzionato a nome della grandissima maggioranza del Partito. Io non sarei alieno dall’opinione espressa dal deputato Modigliani, che cioè un atto simile fosse di competenza del Congresso Nazionale, costituente del nostro Partito, anziché di un deliberato dalla Direzione; ma sta di fatto in ogni modo che la Direzione nel prendere quella deliberazione ha sicuramente interpretato la volontà della maggioranza del Partito. Sarebbe stato opportuno che quest’atto fosse compiuto dal Congresso, appunto perché con migliore coscienza fosse accettato quel programma della Terza Internazionale Comunista di Mosca, dal quale noi sostentiamo che discende sicuramente il metodo di raccogliere tutte le energie del Partito alla conquista rivoluzionaria del potere, abbandonando, una volta per sempre, il metodo social-democratico patriottardo della Seconda Internazionale, che consiste nel penetrare negli istituti rappresentativi della borghesia sia pure con questa e con quella altra motivazione.

Noi, o compagni, siamo stati malamente interpretati: da molte parti si è parlato d’anarchismo, di sindacalismo. Noi invece siamo – e ci teniamo ad esserlo – socialisti marxisti: noi teniamo a dimostrare che il nostro atteggiamento presente risponde in modo completo a quelle che sono le basi fondamentali della dottrina del partito, stabilita dal classico manifesto dei comunisti del ’48. Il socialismo come dottrina fu sostanzialmente, attraverso la critica delle concezioni idealistiche borghesi e dei sistemi dell’utopismo, un’interpretazione della storia che faceva dell’emancipazione del proletariato non più un problema di giustizia ideale, ma un complesso svolgimento storico, che veniva studiato in tutti i suoi sviluppi, di cui si constatavano le origini nella storia delle società che ci hanno preceduto e nell’organismo della società presente, e se ne potevano quindi prevedere le prossime conclusioni. Oggi che noi assistiamo ad un effettivo processo di realizzazione socialista, vediamo che esso si adagia perfettamente sulle previsioni del Manifesto, e constatiamo che la via per la quale la classe lavoratrice lotta per emanciparsi e per attuare il comunismo, è appunto quella che Marx ed Engels ed i loro seguaci avevano allora tracciato. Il fulcro della loro opera critica fu sostanzialmente la demolizione dei concetti della scuola filosofica e politica della democrazia borghese uscita dalla rivoluzione dell’89, e che pretendeva che quella rivoluzione avesse stabilito le basi istituzionali sufficienti per l’ulteriore sviluppo della società, asserendo che nel regime democratico il proletariato e tutte le classi della società, e tutti i partiti potessero trovare le condizioni per farsi luce nella storia.

Il concetto fondamentale della democrazia borghese è quello dell’eguaglianza politica degli individui, dell’uguaglianza dei cittadini in qualunque condizione sociale ed economica essi vivono. Tutti i cittadini vengono chiamati alla formazione dello Stato; a tutti i cittadini viene data la stessa sovranità politica. La critica marxista del sistema di democrazia borghese, ne metteva in evidenza il contenuto menzognero ed equivoco, poiché dimostrava che la società essendo divisa in classi in lotta fra di loro per contrasti fondamentali d’interessi, lo Stato democratico non riusciva ad essere mai l’esponente della volontà e dell’interesse della collettività sociale o della sua maggioranza, ma era invece l’esponente, lo strumento degli interessi di una minoranza. Questa minoranza capitalistica e dominatrice, avendo in suo possesso i mezzi di produzione e di scambio, sebbene elargisse alla maggioranza sfruttata il diritto di deporre ogni tanto una scheda nell’urna, restava la padrona e l’arbitro delle sorti della società e teneva il timone dello Stato.

Io non mi dilungo in quest’esposizione perché sarebbe assurdo lo facessi dinnanzi ad un congresso socialista. Vi rammento soltanto come questa critica alla democrazia borghese sia il punto fondamentale di partenza di tutta quanta la democrazia socialista dell’ordinamento presente, e debba quindi essere la base da cui deve scaturire la tattica dell’azione rivoluzionaria verso la ricostruzione della società nuova.

Per conseguenza, o compagni, fin da quando noi ci siamo chiamati socialisti, ci siamo messi al di sopra dell’inganno della democrazia parlamentare ed abbiamo negato che gli istituti rappresentativi della borghesia rappresentassero effettivamente gli interessi collettivi e che attraverso essi il proletariato, sebbene sia la maggioranza, potesse migliorare comunque le sue condizioni e i suoi rapporti sociali e farsi strada, farsi luce verso la propria emancipazione.

Ebbene, da queste linee fondamentali del socialismo si era deviato. I partiti socialisti dei principali paesi erano ritornati sensibilmente indietro, in quanto avevano accettato un metodo che poteva illudere il proletariato sull’utilità di conquistare la rappresentanza elettiva dello Stato borghese, arrivare ad impadronirsi della maggioranza di questi organismi per servirsene ad attuare i postulati dell’emancipazione proletaria. Occorre ricordare che questo metodo non è stato mai compatibile col marxismo, e lo stesso Engels, che nel 1890 scriveva che il Partito Socialista tedesco era ormai ad una distanza dal potere che poteva calcolarsi in base alle statistiche dei successivi risultati elettorali, ha tenuto dopo, in altre sue pubblicazioni, a rettificare ad a dire che non aveva inteso affermare universalmente questo metodo di conquista maggioritaria del potere, ma che occorreva restare fedeli alla visione marxista, alla visione retta e forte secondo cui il proletariato poteva davvero impadronirsi del potere politico solo strappandolo alla minoranza capitalistica con la lotta armata, con l’azione rivoluzionaria, per avvalersi poi di questo potere nella trasformazione economica della società.

Questa revisione social-democratica della concezione marxista che aveva condotto verso il riformismo, che aveva condotto la massa a credere al miraggio dei vantaggi che potevano derivare da una azione parlamentare, questa concezione è stata smentita dalla storia, che ci fa assistere allo sviluppo della rivoluzione socialista in Russia ed in altri paesi, Baviera ed Ungheria, nei quali essa è stata sopraffatta, ma ove l’esperienza ne resta, come fondamentale testimonianza.

Non m’indugerò ad esaminare la teorica delle altre revisioni del metodo rivoluzionario socialista. Ciò che caratterizza ogni scuola socialista e proletaria è il modo in cui questa scuola concepisce il processo che dall’ordine presente conduce al nuovo ordine: al comunismo; perché, quando quel processo viene determinandosi nella storia, l’opera rivoluzionaria la compie quel partito le cui concezioni programmatiche si adagiano sul percorso storico della emancipazione proletaria quale esso effettivamente viene esplicandosi. Quindi non mi indugio a dimostrare come la nostra concezione fondamentale sia dottrina completamente diversa e completamente opposta alla concezione anarchica e libertaria; come essa sia diversa ed opposta alla concezione sindacalista, che anziché vedere, per la emancipazione del proletariato, la necessità di passare attraverso la conquista del potere politico per farsene un’arma per foggiare il nuovo ordinamento economico, vedeva tutto chiuso nella semplice presa di possesso diretta dei mezzi di produzione da parte di gruppi proletari organizzati nei sindacati, i quali avrebbero costituito le basi della nuova società comunista, in modo tale che meglio si poteva chiamarla società sindacale.

Né mi addentro nella revisione delle due correnti teoriche: mi basta stabilire che la concezione dottrinale della nostra tendenza risale alla dottrina fondamentale del marxismo, che nella rivoluzione russa e nelle altre rivoluzioni sovietiste ha trovato la sua luminosa conferma ed è così entrata completamente nel dominio della realtà. Lasciamo ai rinnegati del socialismo, riuniti alla Conferenza di Berna, affermare che il bolscevismo è la forma neo-bakuniniana o forma anarchico-sindacalista: rivendichiamo invece che il bolscevismo non è altro che quella dottrina della quale sempre siamo stati seguaci, anche prima della rivoluzione russa, ed è per questo che ricusiamo l’epiteto di mimetisti del fenomeno russo. Perché se nella realizzazione i gloriosi compagni di Russia ci hanno di tanto distanziati, se la loro vittoria è tanto più bella e più alta del nostro sforzo quotidiano ancora lontano dal successo, ciò non toglie che il nostro orientamento politico sia stato e sia tale che se la rivoluzione noi facessimo, se la conquista del potere da parte del proletariato avesse potuto già avvenire in Italia, indipendentemente da ciò che essi hanno fatto, anche il Partito Socialista Italiano avrebbe seguito gli stessi metodi e adoperate le stesse forme di azione che il bolscevismo ha avuto la fortuna di attuare in Russia. (Applausi).

Le notizie sulla grandiosa lotta del proletariato russo non ci facevano apparire questa, come a qualcuno, una nuova via, ma venivano a confermare tutte le nostre idee, venivano a ribadire tutto quanto il nostro orientamento e venivano a suggellare tutta la posizione polemica, che noi avevamo assunto in tanti congressi ed in tante discussioni contro l’interpretazione riformistica del socialismo; venivano a distruggere quella interpretazione che l’ala riformistica del nostro Partito e di altri partiti socialisti aveva dato allo sviluppo della storia nei rapporti politici, nei rapporti fra le classi nell’interno della nostra nazione o di altre nazioni, come venivano a distruggere tutta l’interpretazione riformista del grandioso fenomeno della guerra.

Vorrei addentrarmi in questa disamina, ma mi riserbo di farlo dopo che avrò inteso il compagno Treves venire qui a ribadire i concetti esposti nella sua relazione ch’io ho letto sull’Avanti!. Mi riserbo di fare la critica all’indirizzo che i riformisti vogliono fare seguire al proletariato italiano e di altri paesi, prefiggendogli altri compiti che non sia quello della conquista immediata del potere. Una caratteristica del riformismo è stata sempre quella di frapporre tra la nostra azione e la conquista decisiva della rivoluzione qualche conquista parziale. Mi riserbo inoltre di intrattenervi come sia nel metodo riformista immaginare ostacoli di ogni forma fra il proletariato e le sue finali conquiste: ricordiamo – a mo’ di esempio – come una volta uno di questi ostacoli era, anche per i nostri riformisti, la presenza dell’imperialismo teutonico che bisognava sparisse per sgombrare la strada alle rivendicazioni rivoluzionarie socialiste: oggi, secondo il compagno Treves, ciò che si è eretto fra noi e la conquista rivoluzionaria sociale sarebbe la pace di Versailles, ossia l’opera di quella parte della borghesia che è perfettamente l’opposto di quella che ieri si voleva contribuire ad abbattere, nell’imperialismo della Germania e dell’Austria. (Applausi).

Ricorrendo a queste argomentazioni opposte il riformismo rivela la sua natura, natura equivoca e che io definisco equivoca non perché voglia fare il processo alla psicologia dei suoi esponenti, ma il processo al metodo ed alle direttive in se stesse. La sua natura è quella di ricorrere ai più svariati mezzi, ai più contrastanti, pure di potere sostenere che il proletariato deve ancora lasciare sopravvivere, per certi suoi pretesi sviluppi, gli attuali rapporti e l’attuale ordinamento della società borghese.

Appunto la diversità di argomenti a cui l’ala destra del nostro Partito ha sempre ricorso nel lungo cammino della polemica che abbiamo condotto con essa in seno a questo partito, dimostra come invece la nostra tendenza abbia avuto la sua riprova dalla storia, in quanto la rivoluzione russa è venuta a suggellare il metodo da noi propugnato, in quanto le stesse rivoluzioni cadute, come la rivoluzione tedesca, hanno dimostrato che la parte riformista, quando ha perduto tutte le sue ragioni, tutti i suoi argomenti da congresso o da giornale, quando non ha più altro mezzo per dissuadere la massa proletaria dalla lotta decisiva, molte volte passa a mano armata dalla parte della controrivoluzione. (Vivi Applausi).

Ora noi ci preoccupiamo – e parecchi di voi per questo ci chiamano dottrinali o teorici – di una simile prossima situazione di fatto in Italia. Noi ci preoccupiamo che nel momento in cui anche qui si dovrà passare all’azione rivoluzionaria con quel metodo del quale noi siamo fautori, con quel metodo attraverso il quale il proletariato russo ha trionfato, sorga questa formidabile opposizione al nuovo metodo, e sorga nelle stesse file del nostro Partito da parte di uomini e gruppi i quali, coerentemente a quanto sempre hanno detto e pensato, non potranno che schierarsi contro il nuovo processo che li condanna, distrugge il loro atteggiamento e li obbliga a scomparire dalla storia. Ed allora non si tratterà più soltanto di dubitare, di sottilizzare e di dimostrare che la rivoluzione non è possibile o imminente. Dinnanzi al fatto della rivoluzione che prorompe attraverso quel metodo, essi passeranno all’altra riva, adottando quel contegno che hanno tenuto le note frazioni socialiste russe, che pure erano molto vicine a noi. Fra gli stessi zimmerwaldisti, uomini e partiti si sono messi in Russia attraverso il cammino della rivoluzione: lo stesso atteggiamento hanno tenuto in Germania i riformisti (parliamo di quei socialisti come Haase e Kautsky che furono pure fieramente avversi alla guerra, ma rimasero sul terreno molto affine a quello dei nostri riformisti). Ed allora la nostra disamina teorica tende ad anticipare la prospettiva di questa tragica situazione e quindi a permetterci di rimediare ad inconvenienti fatali, evitando maggiore spargimento di sangue proletario e il pericolo di vedere distrutto il successo della stessa rivoluzione. Noi vogliamo anticipare questo momento e vogliamo che fino da adesso il Partito affermi nel suo contenuto programmatico il metodo rivoluzionario, massimalista, bolscevico – parole tutte sinonimi fra loro che esprimono la stessa cosa – e, diciamo noi, come volontà della maggioranza, ne faccia patrimonio del programma del Partito col preciso intendimento che il programma del Partito, tale quale è, ognuno di noi deve accettarlo e che di fronte al programma del Partito non vi è solo la disciplina dei fatti, ma la stessa disciplina del pensiero, in quanto che chi non accetta completamente il programma non ha altra via che uscire dalle file della nostra organizzazione. (Approvazioni, Applausi).

E in questo sono anche sul terreno di molti compagni massimalisti elezionisti. Ecco perché noi siamo per la revisione del programma del 1892, ecco perché, a chiare note, vogliamo che il nostro programma della rivoluzione proletaria si compia come gloriosamente il bolscevismo russo, gli spartachiani tedeschi, i comunisti bavaresi e ungheresi hanno tentato di fare, con diversa fortuna; per quella traccia formidabile che il nostro programma comunista riassume, non con pretesa di dire cose nuove, ma per sintetizzare l’esperienza storica del nostro partito, della nostra frazione, attraverso l’insurrezione, la lotta armata per la conquista del potere politico, la formazione di un nuovo organismo rappresentativo, nel quale il diritto politico sia riservato solo alle classi lavoratrici con la esclusione severissima di tutti gli sfruttatori, con la costituzione cioè della dittatura proletaria, la quale passa ad attuare i provvedimenti economici che trasformano il mondo della economia privata. (Applausi).

Si riprodurrà in Italia una situazione analoga a quella che si produsse allorché i bolscevichi sciolsero la Costituente. Una crociata contro questo storico atto venne da ogni parte d’Europa, contro questo grandioso fatto che aprì una nuova era e suggellò la prima grandiosa realizzazione delle previsioni massimaliste. È venuta da un doppio ordine d’idee l’opposizione a questo atto, e c’è stata l’opposizione democratica e l’opposizione anarcoide, e sarebbe troppo lungo qui spiegarne le ragioni dottrinali dell’una e dell’altra e darne la confutazione. Si è detto che il socialismo era dottrina di libertà; falsa, definizione del socialismo che si è elaborata attraverso i fornicamenti col liberalismo borghese, ma che non può trovar posto nella nostra dottrina perché la definizione del socialismo è nella dinamica della lotta di classe, perché esso non riconosce idealismi superiori alle classi, comuni a tutti gli uomini, ma vuole giustizia libertà solo ed unicamente per le classi lavoratrici, e sa che ciò vuol dire spezzare i diritti e la libertà delle classi dominanti. (Vivissimi applausi).

All’ombra di questi concetti filosofici che avrebbero dovuto trattenere le baionette delle guardie rosse dal puntarsi sul petto dei delegati della Costituente eletti col pacifico suffragio della nazione; all’ombra di quest’opposizione, vi era la concezione libertaria che mette la libertà dell’individuo al di sopra di tutto, e vi era la concezione democratica riformista del socialismo che si era assimilata il liberalismo democratico borghese.

Il gesto dei comunisti russi contiene invece tutta la più grande, la più bella, la più suggestiva parte del nostro programma. Quando si tratterà domani di fare lo stesso, non per scimmiottare la Russia, ma perché quella è l’unica via che la storia lascia aperta all’emancipazione proletaria, poiché il mezzo della conquista della maggioranza degli istituti borghesi è ormai sfatato e smentito, perché il metodo di poggiarsi esclusivamente sui sindacati economici è smentito, poiché smentito è anche il metodo di affidarsi ad audaci individui o a slegate iniziative di gruppi, e poiché resta in piedi e grandeggia questo solo metodo, questa sola via di salvazione: la conquista del potere da parte della collettività lavoratrice, conquista che si svolge con la violenza e si mantiene escludendo da ogni diritto politico la classe degli sfruttatori fino a quando essa non sarà eliminata dall’opera graduale di espropriazione; quando saremo a questa svolta della storia una parte del Partito si volgerà contro di noi in nome dell’addentellato delle accennate teorie borghesi, e sarà questo un grandissimo inconveniente per la causa nostra, per la battaglia che il proletariato avrà dovuto ingaggiare.

Noi domandiamo alla lealtà dei compagni riformisti di non sfuggire questa discussione col pretesto che una situazione simile non è nelle prospettive del domani immediato, e che quindi abbiamo altro da pensare, perché questa situazione, vicina o lontana che essa sia, essendo essa decisiva per le sorti del proletariato, in quel tragico momento, è molto al di sopra delle prospettive di una qualunque campagna elettorale. (applausi). Noi domandiamo dunque alla frazione che non è massimalista, né comunista nel senso del nostro programma di partito, di dichiararsi e di discutere con noi sull’accettabilità – permettete la parola – dell’adozione di questo metodo della conquista rivoluzionaria del potere, della insurrezione e della dittatura del proletariato da parte del nostro partito. Questa discussione è indispensabile perché non avvenga domani che uomini che siano nelle file della nostra organizzazione facciano eventualmente il gioco della borghesia, sconfessando quel metodo che è carne della nostra carne. (Applausi).

Ed allora speriamo di sfuggire all’accorta pregiudiziale riformista, secondo cui si deve discutere solo di ciò che è possibile oggi e tutt’al più domani mattina e si deve evitare di lanciare uno sguardo nell’avvenire. Non è possibile accettare quell’abile pregiudiziale, secondo cui il Congresso dovrebbe chiudersi in un’indagine di quella che è oggi la situazione italiana e, dopo avere eventualmente accertato che oggi o la settimana prossima non è possibile dare alla borghesia l’assalto insurrezionale, rinunziare a discutere sul metodo di ingaggiare la lotta armata e di proclamare dopo di essa la dittatura del proletariato. Uscendo da quest’ostacolo frapposto alla discussione, e nel quale credo che molti compagni rivoluzionari incespicheranno perché essi temono si faccia dell’accademia dimenticando l’azione, dimostreremo, attraverso la storia del Partito, che, grazie alla dottrina del socialismo rivoluzionario massimalista, siamo stati capaci di tenere in piedi nella tempesta quella piccola bandiera rossa del nostro partito per fare sì che essa resistesse al vento che tentava di travolgerla, come altrove purtroppo è avvenuto.

Ed oggi mi ricordava il compagno Lazzari l’importanza della delibera di altro Congresso a proposito della massoneria. Era una discussione dottrinaria l’esaminare se la filosofia massonica fosse in contrasto con la dottrina e col patrimonio ideale del nostro Partito: ma intanto avere risolto quel problema in quel momento, nonostante l’accusa di mettersi fuori dalla realtà e correre dietro alle chimere, fu fecondo di bene perché, come diceva Lazzari, l’avere ritardato la grave operazione, ha indotto il Partito socialista francese a tradire i suoi impegni verso di noi e verso i compagni rivoluzionari di Russia e di Ungheria, ed avrebbe potuto da noi distruggere quell’atteggiamento di opposizione implacabile, che il nostro Partito ha tenuto in quella guerra nella quale fu la massoneria la principale artefice dell’intervento italiano. (Approvazioni).

Ora, compagni, noi domandiamo questa dichiarazione; noi pretendiamo che il Congresso dica se, chi nega questa arma della lotta violenta per la conquista del potere, può essere un cittadino del nostro Partito, e se Partito e proletariato possono essere esposti al pericolo di vedere domani persone aderenti al Partito Socialista che abbiano in tasca la tessera di questo Partito, mettere quel pezzo di carta, che ha il suo valore, attraverso le sorti della rivoluzione.

Ecco la domanda che poniamo ai massimalisti elezionisti. Questa anticipazione teorica, ma che in realtà corrisponde alla più saggia tattica socialista, non è possibile appunto perché, la maggioranza dei compagni massimalisti, pure essendo entusiasti dello svolgimento della rivoluzione russa, pure essendo completamente d’accordo colla Terza Internazionale, non vogliono seguirci su quel terreno in cui la tattica d’oggi può diventare la tattica di domani. Domani, innanzi all’imminente battaglia fra il proletariato e i suoi sfruttatori, ci divideremo nettamente in due campi, in due scuole socialiste, perché l’accademia sarà diventata realtà ed i discorsi saranno diventati schioppettate. Pensate, compagni massimalisti elezionisti, quale responsabilità vi assumete nel gettare un ponte fra i due metodi e cercare la sintesi delle due tendenze che rappresentano nettamente le opposte concezioni.

Pensate che dinnanzi alla storia avrete la responsabilità di aver creduto oggi compatibile, nell’attuale situazione, ingaggiare il proletariato nella lotta elettorale; avere creduto compatibile colla partecipazione all’istituto stato della democrazia rappresentativa borghese, la lotta che noi dobbiamo fare per arrivare a travolgerla e per istituire al suo posto i nuovi istituti della società comunista. Questo compito grandioso, che sta dinanzi al nostro Partito e che ne esige tutta l’attenzione, è un compito assai difficile e che si presenta con ostacoli di non lieve natura. Noi dobbiamo, in mezzo alla massa proletaria, con maggiore precisione di quanto finora si è fatto, con maggiori mezzi, con maggiore intensità portare la definizione magari schematica e dogmatica del comunismo, e dire ad essa quale deve essere l’arma da usare per debellare l’avversario borghese. Questo metodo, che conduce il proletariato alla sua emancipazione, occorre farlo penetrare nella coscienza della massa operaia; occorre che essa abbia la convinzione che quella è la sola via della emancipazione, perché solamente quando il proletariato vedrà quella sola via, e tutte le altre sbarrate e chiuse, si deciderà con tutte le sue forze e con tutto il suo slancio a travolgere l’ostacolo. Occorre quindi fare entrare nella massa la visione di questo nuovo metodo che ha contro di sé tutta la propaganda borghese, tutto l’avvelenamento fatto fra noi dal metodo democratico e parlamentare, dedicare tutte le nostre forze al debellamento di questo istituto parlamentare della odierna borghesia, sottrarre oggi all’inganno la coscienza dei proletari per domani condurli all’assalto delle difese borghesi. Questo compito così delicato, difficile e complesso non può farsi che prendendo al più presto possibile un netto atteggiamento, che separi il vero e classico metodo rivoluzionario socialista dall’insidia di altri metodi che corrono il rischio di mantenere il proletariato incatenato nella sua oppressione.

Ecco perché, compagni, proponiamo l’astensione dalla lotta elettorale: perché obbligando il Partito a rispondere su questo terreno, speriamo anticipare oggi quella situazione che domani si delineerà tragica; perché noi riunendo lo sforzo del Partito e della sua propaganda per la creazione della coscienza del nuovo processo, che deve delinearsi nella storia, vediamo che per far ciò è indispensabile sfatare dinnanzi alla massa l’istituto parlamentare. Ora i compagni massimalisti sono d’accordo con noi nella necessità di demolire quest’Istituto: essi sono d’accordo con noi nella critica al parlamentarismo borghese e nella definizione del nuovo sistema, del nuovo organismo rappresentativo della società comunista; solamente credono di poter fare questa propaganda nei comizi elettorali o nella stessa Camera del Parlamento. Ma quella discussione che possiamo fare nei congressi, non possiamo farla nei comizi. La massima propaganda che facciamo alla massa non la facciamo con le nostre parole, ma col nostro atteggiamento.

Fare invito al voto per nominare i rappresentanti al Parlamento ci metterà in una posizione sommamente equivoca. La propaganda che avremo fatta con i nostri discorsi sarà spazzata via dalla situazione che avremo creato invitando la massa a partecipare ancora all’organismo democratico borghese.

Qui viene la massa delle vostre obiezioni che in fondo si riducono ad una sola: all’obiezione del tradizionalismo, strana per un partito rivoluzionario. Ma dovrà pur venire il momento in cui questo vecchio metodo sarà abbandonato. Si tratta di vedere quale è questa ora storica. Noi diciamo che questa ora è già scoccata dal momento in cui il proletariato russo ha inaugurato il metodo della dittatura proletaria per la soppressione del regime borghese, dal momento in cui l’eroico sforzo degli spartachiani tedeschi, dei comunisti bavaresi o ungheresi, coronato da un attimo di successo, ha ceduto sotto la prepotenza sanguinaria della borghesia. Oggi che la lotta proletaria è internazionalmente diretta contro il capitalismo borghese, oggi che la lotta è già cominciata, è già stato posto mano alle armi, è corso il sangue, è giunto il momento di scavare quest’abisso fra noi e le menzogne dell’organismo borghese. (Applausi).

Alle vostre obiezioni mi riserbo di rispondere e vi risponderanno anche i compagni della mia frazione. Un’obiezione vi sarebbe ed è quella, suggestiva per questo Congresso, che cioè i metodi, i programmi, gli stessi suggerimenti della Terza Internazionale e del suo Comitato direttivo, autorizzano la partecipazione parlamentare, dei partiti aderenti. Ebbene, noi lo neghiamo e diciamo che la vostra adesione alla Terza Internazionale non è logica se essa non è accompagnata dall’abbandono di ogni concetto di compartecipazione alla rappresentanza parlamentare. Noi attendiamo per esserne sicuri il giudizio dei nostri compagni, un pronunciato che possa essere dato in base alla tesi prospettata da una parte e dall’altra in questo Congresso del Partito Socialista Italiano. Ma noi aggiungiamo qualche cosa ancora. Il nostro Partito ha dietro di sé una storia di cui può essere orgoglioso: è un’esperienza rivoluzionaria, anche se in essa non è stata scritta alcuna frase insurrezionale (perché noi non siamo feticisti della barricata, dell’insurrezione, che verrà a tempo opportuno, e non vediamo solo in ciò la rivoluzione); l’opera fin qui svolta dalla corrente di sinistra del nostro Partito è opera rivoluzionaria anche se non abbiamo avuto la fortuna di giungere al momento della lotta armata. Abbiamo un’esperienza che vale qualche cosa, che può anche essere di peso sulle opinioni della Terza Internazionale. I bolscevichi russi parteciparono alle elezioni della Duma? Essi vi parteciparono, quando ancora nella Russia non si era determinata l’apertura di quel grande periodo rivoluzionario che ci prospetta come possibile la conquista del potere. Se voi aderite alla Terza Internazionale non potete dimenticare che uno degli articoli del programma di Mosca dice che, a differenza della Seconda Internazionale, che era un’accozzaglia informe di partiti nazionali, se non nazionalisti, nella Terza Internazionale vi è un partito unico, che non può concepire una rivoluzione nazionale; lavora per la rivoluzione internazionale comunista. La rivoluzione russa non è stata che la prima battaglia data dal proletariato internazionale al mondo capitalista. Ecco perché noi, seguaci della Terza Internazionale, crediamo che la tattica dell’astensione dall’azione parlamentare debba essere seguita dai partiti che aderiscono a Mosca, per non ricadere ancora nel mendacio della Seconda Internazionale, nella quale si riunivano in congresso colla stessa ospitalità e più diversi metodi e tendenze.

Ecco perché quando parliamo di lotta rivoluzionaria, di periodo rivoluzionario, intendiamo sempre riferirci alla situazione internazionale, e il periodo rivoluzionario, di cui parliamo nel programma nostro, l’intendiamo internazionalmente aperto appunto quando al proletariato russo, al partito dei bolscevichi russi – che fino allora era stato una piccola minoranza – si è prospettata la possibilità della presa del potere e ha saputo far trionfare la formula: "Tutto il potere ai soviet".

Ebbene i compagni bolscevichi hanno avuto poco da fare col metodo parlamentare, ed appena lo hanno guardato in faccia lo hanno spazzato via con le baionette della guardia rossa. (Rumori, interruzioni).

Ora essi vogliono che dalla loro esperienza noi possiamo trarre il nostro insegnamento, ed io aggiungo che v’è l’esperienza storica del nostro Partito che ha questo vantaggio: di essere la esperienza di un partito che da decenni vive nel regime della democrazia parlamentare borghese, l’esperienza di un partito che nell’ultimo decennio ha dovuto fare una lotta speciale contro l’addentellato nelle sue file del metodo democratico borghese. Tutte le precedenti nostre campagne, che furono per il ritorno all’intransigenza classista e all’integrale metodo rivoluzionario del socialismo contro la partecipazione al Ministero borghese, contro i blocchi politici ed amministrativi dei partiti borghesi, contro la partecipazione alla massoneria, sono altrettante fasi dell’esperienza storica da noi conquistata negli ultimi anni, che ci ha permesso di eludere più volte gli inganni della democrazia la quale al tempo dell’impresa coloniale libica, attraverso il ministero Giolitti elargì il suffragio universale tentando di avvincere il nostro Partito alla politica di collaborazione; e di eludere nel maggio 1915 il tentativo dei partiti interventisti di volerci avvincere nella politica massonica della Triplice Intesa. Questa nostra esperienza storica deve farci trarre una conclusione ed è questa: che questa intransigenza che abbiamo sempre perseguito, potette allora affermarsi in quel periodo anche attraverso l’eventuale partecipazione all’istituzione parlamentare; ma oggi questa intransigenza è inconciliabile con la partecipazione agli istituti della democrazia borghese. Oggi non si tratta – ve lo dicono tutti gli scritti della Terza Internazionale – non si tratta più di criticare semplicemente l’ordinamento capitalistico della società e di contrapporre la società socialista come qualche cosa che sarà in un lontano avvenire e che sta scritta nella nostra mente e nel nostro cuore: oggi si tratta di fare qualche cosa di più: indicare la via precisa attraverso la quale si giunge dalla società attuale alla società avvenire, e cominciare a scegliere il primo bersaglio su cui dare il nostro colpo. Questo primo bersaglio, prima ancora dei privilegi, degli istituti economici, che attaccheremo dopo, questo primo bersaglio è il sistema democratico rappresentativo che bisogna sfatare prima e poi distruggere.

Oggi qui siamo nel campo della realizzazione comunista e nel campo in cui è imminente il processo rivoluzionario. Oggi la partecipazione alle elezioni vuole dire collaborazione con la borghesia... (Rumori, denegazioni vivissime).

Per essere breve, o compagni, io passerò subito da questa dimostrazione, diremo così teorica, alla dimostrazione pratica, e vi dico che urge voi prendiate atto che la prossima lotta elettorale condurrà alla collaborazione con la borghesia (rumori). Ci smentiscano gli avvenimenti e noi ne saremo lieti (conversazioni nella sala che interrompono l’oratore). Voi conoscete come si sono svolti gli ultimi episodi dell’attività parlamentare del Partito. Io non voglio fare il processo a persone perché ho sulla coscienza di avere inveito troppe volte contro i deputati del Partito, e poi qualche volta ho dovuto riconoscere nella loro azione una certa logica; ma voglio indicare il metodo. Oggi la situazione è particolarmente stridente, oggi l’organismo borghese è in condizioni di crisi e di decomposizione, e se le diverse parti si urtano, i rappresentanti parlamentari socialisti non possono restare indifferenti al conflitto dei partiti borghesi: ecco perché hanno difeso il ministero Nitti contro i fascisti. (Applausi).

Un congressista lancia una frase che non si riesce a comprendere che provoca un tumulto violentissimo nella sala.

Relatore: – Urlate, fate tutto il baccano che volete, ma io vi posso dire anche qualche cosa si più, e cioè che il governo di Nitti appoggerà certo alcune liste del partito nelle prossime elezioni. (Rumori indiavolati).

Voce: – A Napoli! A Napoli! (Applausi, rumori).

Altra voce: – Labriola! Labriola!

Relatore: – E concludo. Avevo ragione di volere fare la questione teorica perché, a quanto pare, la lasciate discutere molto più tranquillamente di quel tale esame della situazione a cui ci chiamano continuamente i compagni dell’altra ala. Ma a conclusione di questa nostra esposizione dottrinale, era necessario volgere uno sguardo attorno a noi per rispondere a quelli che dicono che siamo fuori della realtà. Io l’ho fatto e credo di aver guardato coraggiosamente questa realtà (Applausi, rumori). Se avete un momento di pazienza vi porterò una semplice prova di quello che ho detto, perché non lasciandomi parlare potrebbe restare l’impressione che abbia detto tali assurdità da avervi fatti insorgere contro di me. Vi prego di ascoltarmi, poiché mi preme dimostrare per un momento a che cosa appoggio quanto ho affermato. Non mi trattengo sulla dimostrazione che, ad uso e consumo dei soli corridoi di Montecitorio, è stata creata tutta una situazione nazionale e internazionale fittizia che, non esisteva: cioè una pretesa minaccia di guerra o di dittatura militare che è un assurdo in questo senso: che se dittatura militare ci deve essere essa c’è già (rumori vivaci e prolungati). Se dittatura militare ci deve essere essa c’è già perché la borghesia non ha bisogno di cambiare ministero per cambiare la sua politica, perché borghesie democratiche e rivoluzionarie non esistono: esiste la classe borghese che fa la politica che le conviene. Nitti, salvato ieri contro il pericolo della dittatura militare, vi ha regalato la censura per le vostre elezioni. (Applausi vivissimi).

Voce: – quel caro Nitti!

Relatore: – Quindi la situazione politica è la stessa qualunque sia il partito borghese che sta al potere; ma quando voi avrete mandato i vostri rappresentanti a fare quelle accademie che si compiono nei corridoi e nell’aula parlamentare, nell’ambiente della democrazia borghese avrete che questo gruppo deve agire ed agisce parlamentarmente sia dando il suo voto al ministero, se comprende che il suo voto è necessario per ottenere qualche cosa, sia facendo opposta azione; in ogni modo non può sfuggire alla responsabilità delle situazioni che il suo voto determina, e però cade sempre nella collaborazione con la borghesia. Per conseguenza, o compagni, noi sosteniamo che l’attuale situazione del proletariato internazionale, che l’attuale situazione politica italiana sono di tale natura che partecipare alle elezioni ed alla vita parlamentare significa tradire la lotta di classe. Questa la conclusione che noi vi sottoponiamo.

Quando ho detto quella tale frase sul contegno del Governo, mi appoggiavo al linguaggio della stampa ministeriale, mi appoggiavo al linguaggio ispirato direttamente dal presidente del Consiglio, il quale parlava della riforma elettorale come mezzo di difesa della borghesia, come garanzia per i partiti borghesi; come fu pel suffragio universale al momento della guerra libica. L’attuale governo democratico, come ha elargito la riforma elettorale vuole che la riforma elettorale abbia la sua esplicazione, e la nuova Camera sia costituita da partiti organizzati e disciplinati, e non da quei rappresentanti indipendenti che non rappresentano partiti e che facilmente oscillano dalla maggioranza alla opposizione, facendoci assistere al fatto del "Fascio parlamentare" composto di nazionalisti, socialisti, radicali ecc. Perché interessa questo ad un ministero borghese? Per la conservazione dell’istituto delle classi dominati occorre potere contare sul funzionamento dell’istituto parlamentare in modo da non avere sorprese ed il signor Nitti preferisce avere una opposizione precisa e definita ed una maggioranza sicura e costante anziché una situazione analoga a quella della precedente legislatura.

Ecco quindi che la lotta fra i fascisti e il Ministero Nitti, presa sul serio dai nostri deputati, non era contro il pericolo di una dittatura militare e il pericolo di una guerra. Se convenisse all’interesse dell’industrialismo una nuova guerra, farebbe la guerra anche il signor Nitti. (Rumori).

ZIRARDINI: – E chi ci andrebbe a farla questa guerra?

Relatore: – Era un gioco quello, un escamotage parlamentare. Era una lotta che i fascisti facevano al Ministero per far sì che il potere cadesse nelle loro mani alla vigilia delle elezioni, per manipolare così le elezioni. I fascisti possono stare sicuri. Oggi, col meccanismo elettorale del ministro Nitti, pochissimi di essi potranno tornare alla Camera perché non hanno alle spalle un partito organizzato; mentre nessun pericolo pel governo se esso lascerà esplicare questo meccanismo della riforma elettorale, e esso lascerà avere il suo completo gioco all’insidia democratica nell’anima del proletariato, che vedrà aumentato il numero dei suoi rappresentanti socialisti. La più abile arte del governo della democrazia parlamentare borghese è appunto questa di aver trovato il modo non solo di avere una maggioranza, ma di fabbricarsi un’opposizione.

Ecco il perché del nostro dissenso da voi: ecco perché noi vogliamo trascinarvi via da quell’ambiente per ricondurvi vicino al nostro proletariato a fare la propaganda tenace del metodo sovietista, per la preparazione dell’urto finale, che permetterà al proletariato di costruire sulle rovine di questo fracido istituto della democrazia borghese, il nuovo ordine sociale, suprema conquista della rivoluzione comunista. (Applausi fragorosi).
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Intervento conclusivo della Frazione Comunista Astensionista
 

Relatore: – Compagni! Poiché sono alla tribuna credo poter approfittare per esprimere a nome del Congresso l’augurio che i rivoluzionari di Francia, rappresentati dal compagno Paul Faure, vengano con noi nella Terza Internazionale di Mosca. (Applausi).

Ed entriamo nell’argomento.

Abbiamo finalmente dinanzi a noi le conclusioni delle diverse frazioni. La frazione massimalista elezionista ha elaborato le proprie conclusioni che divergono in parte da quel programma pubblicato sull’Avanti! e sul quale le sezioni avevano votato. Io constato subito che gli sviluppi programmatici contenuti in quell’elaborazione sono sostanzialmente gli stessi che sono contenuti sul programma da noi proposto sotto il nome di "Programma della frazione comunista astensionista". Io non mi addentro, perché non ne sarebbe assolutamente il caso, nell’esame di certi dettagli e di certi rilievi che possono differenziare i due programmi, né mi fermo sulla opportunità di dare al Partito un programma affrettatamente compilato, in poche ore, dal momento che anche le parole, come dimostra la discussione sull’antico programma del ’92, possono avere il loro valore allorché sono inserite in un documento di tale importanza per la vita e la storia del Partito.

Quindi dichiaro a nome dei compagni della frazione astensionista che, mentre il voto ci dividerà nettamente da tutti, poiché non è possibile pretendere da un Congresso che si facciano due votazioni, noi intendiamo, che nel suo significato politico il nostro voto, per la parte programmatica contenuta nelle conclusioni della frazione massimalista elezionista, non si debba ritenere contraddicente con quelle conclusioni. (Applausi).

Il programma della frazione massimalista non parla affatto della tattica elettorale. Vi è una mozione che accompagna quel programma, così come una mozione accompagna il nostro. Soltanto che queste due mozioni divergono. E qui verrà la divergenza del voto. Le due mozioni divergono non soltanto per la questione elettorale che tanto vi ha appassionato nel dibattito di due giorni: esse divergono su di un’altra questione sostanziale: quella della unità del Partito.

Da parte dei sostenitori del vecchio programma del 1892 di Genova, è stato detto che in fondo potrebbe rintracciarsi nella dizione letteraria di quel programma la non esclusione del metodo rivoluzionario che forma oggetto del programma dei massimalisti; ma il Treves e gli altri rimproverano ai compagni della frazione massimalista elezionista appunto il contenuto esclusivo del loro programma fondato su quel solo metodo della conquista violenta del potere, che noi vorremmo rafforzato e suggellato ancora di più. Il programma di Genova del 1892 letteralmente potrebbe lasciare adito all’interpretazione rivoluzionaria, all’interpretazione dell’effettuazione della dittatura del proletariato; ma lucidamente il compagno Verdaro ha messo nella sua luce storica quel programma, ed ha dimostrato come in fondo esso sia impregnato del movimento sociale democratico dal quale vuole, e per sempre, uscire il movimento della Terza Internazionale. E la esclusività contenuta ed affermata teoricamente nel programma Gennari, è affermata molto più chiaramente nella nostra mozione, in base alle conclusioni tattiche approvate dal Congresso di Mosca. Quell’esclusività è il centro, è il nocciolo dell’affermazione politica e storica della Terza Internazionale e vuole segnare appunto la separazione definitiva dei due metodi: metodo social-democratico e metodo comunista, e segnare la condanna definitiva, nella coscienza del proletariato, dinanzi all’esperienza della storia, di quella teoria che per tanti anni insegnò che era possibile la penetrazione graduale per la conquista del potere da parte del proletariato negli organismi borghesi, che attraverso la maggioranza in questi organismi, con la presa di possesso di quel potere, potessero stabilirsi le condizioni per la trasformazione della società.

Noi vogliamo dunque non solo affermare il metodo nuovo, ma escludere il vecchio. Vogliamo ritornare alla genuina interpretazione marxista.

È stato giustamente detto che il nostro programma non contiene cose nuove; ma questo l’abbiamo dichiarato nella prima parte della nostra relazione, ed il compagno Gennari ha formulata, da parte sua, questa mia medesima affermazione. Noi non sosteniamo cose nuove, ma vogliamo il ritorno al socialismo classico marxista, che altri ha creduto trasformare in un metodo democratico legalitario, evoluzionistico d’emancipazione proletaria. Noi vogliamo affermare la divergenza di quelle due vie storiche: porre dinanzi al Partito Socialista Italiano il problema che si sono posti dinanzi altri partiti, che lo hanno risolto. Gli altri partiti e noi per primi, dobbiamo risolvere nell’Europa occidentale capitalistica il problema di scegliere fra le due vie: abbandonare il metodo della conquista social-democratica per andare incontro alla lotta rivoluzionaria ed alla conquista rivoluzionaria del potere. (Applausi).

In questo metodo vi è la violenza. Tutti hanno illustrato il concetto della violenza. Io sono assai vicino ad un accenno fatto da Bombacci, che poi, nella passionale improvvisazione l’ha trascurato. La violenza è di tutti e di tutto. E non parlo dei temperamenti e delle persone, parlo dei movimenti delle collettività e delle folle. Tutti i movimenti economici e politici adottano il metodo della violenza.

Lazzari: – Ma adottano anche l’opposizione!

Relatore: – Anche l’opposizione sotto garanzie particolari. Tutti adottano questo metodo, anche i fautori di quel socialismo dei placidi tramonti, tramontato – come diceva il compagno Graziadei – per sempre. Io non ho bisogno di farvi una lunga illustrazione storica. Ricordatevi le decise proposte di insurrezione quando pareva che l’Italia fosse per intervenire in guerra a fianco degli Imperi Centrali. Non si discusse affatto allora su quello che sarebbe successo. In piazza fin all’ultimo uomo! Si disse. (Applausi).

Ricordatevi quell’inverno, quando l’esercito nemico minacciava sul Grappa e sul Piave: non si esitò a seguire quel metodo, ad incitare i soldati a rispondere alla violenza con la violenza e a farsi massacrare fino all’ultimo per la difesa della patria borghese. (Applausi).

E non han fatto altrettanto i campioni di questo metodo graduale, evoluzionistico pacifista in Germania? Coloro, ossia i revisionisti tedeschi, quando si è trattato di difendere contro l’avanzata della rivoluzione, l’istituto borghese, hanno commesso le violenze canagliesche di Noske al quale più volte è andata la nostra imprecazione in questo Congresso. (Applausi).

L’altro giorno in una simile occasione, per una crisi, per un conflitto che divideva le forze della borghesia italiana, la Camera del Lavoro di Milano proclamava l’insurrezione, la scesa in piazza, senza discutere, fin all’ultimo uomo.

Ebbene: in tutti questi casi non sono state studiate tutte le ipotesi: non è stato considerato con tanto impaccio l’eventualità di una sconfitta e l’inutile sacrificio, e non è stato guardato ai cannoni ed alle mitragliatrici che si schieravano contro lo slancio della folla. Perché? Perché in questi casi, quei movimenti collettivi e politici, che invocavano l’uso della violenza, sentivano che quella violenza si svolgeva su un terreno non contraddittorio ai loro interessi di natura storica e politica: mentre all’avvicinarsi di quei grandi cataclismi della storia che per sempre condannano il metodo graduale di evoluzione e di collaborazione borghese, sorgono tutti i dubbi e le esitazioni sull’uso della violenza, poiché allora proprio il proletariato deve essere adoperato esclusivamente per sé, non per fare prevalere nella vita del mondo borghese una frazione contro un’altra. Il proletariato deve lottare per sé e soltanto per sé e cacciare lontano da sé tutti i sofismi, tutto l’armamento che dovrebbe servire a trattenerlo dallo slancio finale. (Applausi).

Lazzari: – È giusto che sia così!

Relatore: – È giusto. Non vogliamo la violenza per la violenza e l’insurrezione per l’insurrezione. È giusto che venga considerato se è il momento di muovere all’assalto rivoluzionario. Ma vi sono momenti decisivi nella storia in cui la soluzione di questo problema si impone, come si imponeva ad altri movimenti aventi diverso contenuto programmatico, in quali, nei casi che ho accennati, in poche ore risolsero la necessità dell’impiego della forza.

E noi diciamo, ed ecco dove viene la questione dell’unità del Partito, che avverrà della compagine del Partito quando verrà il determinato momento? Perché tutti saranno per la violenza, ma non tutti dalla stessa parte. Ecco il problema che noi prospettiamo dinanzi al Partito Socialista Italiano: e, poiché parecchie volte si è accennato all’Ungheria comunista, gloriosamente caduta, parecchie volte si è accennato all’insuccesso di altri movimenti, come il movimento bavarese, e ne sono state prospettate diverse cause di alto valore politico, io vi ricordo che è stato forse dimenticato il fatto più saliente: che i Governi comunisti di Baviera e di Ungheria avevano nel loro seno rappresentati del partito social-democratico. Orbene, questi elementi al governo bavarese erano sempre inclini verso il Governo maggioritario di Berlino e furono la cagione di debolezza per le sorti della rivoluzione comunista in Baviera. Chi veramente era d’accordo con l’Intesa per la restaurazione ungherese? Erano i social-democratici che formarono il primo Governo, al quale fu poi imposto, in sostituzione, malgrado Versailles... (applausi), il Governo dell’arciduca. E questo fu imposto con la forza delle baionette rumene che la democratica Francia la democratica Inghilterra e la democratica America cercarono di arrestare, perché per loro era sufficiente aver sostituito al regime comunista il dominio della sociale democrazia.

Ecco la situazione quale è, e Lenin nella sua logica (qui è stato detto che Lenin è illogico, come altra volta Carlo Marx), in un telegramma ammonitore faceva le sue riserve alla costituzione del nuovo Governo ungherese in cui era annunziata la fusione dei comunisti e dei social-democratici.

E purtroppo la causa precipua, che il Congresso ha dimenticato quasi, dell’insuccesso ungherese, è stata questa: non essersi messo in tempo, in luce netta, quel metodo che è il patrimonio della Terza Internazionale, e cioè la separazione assoluta delle due tendenze fra cui non vi può essere forma di collaborazione. Al momento decisivo della sua storia, la borghesia non si difende attraverso i partiti borghesi. Sarebbe spazzata via. Essa si difende attraverso i campioni del metodo sociale democratico nell’ultima battaglia contro l’avanzare della rivoluzione. È questo il problema che noi portiamo dinanzi a questo Congresso. Cosa è avvenuto in Russia? La rivoluzione russa è stata opera del proletariato. Ma è avvenuta quando il proletariato ha potuto stringersi attorno ad un metodo preciso, esclusivo, netto e sicuro. E non era nemmeno il metodo di un partito, ma di una frazione che, attraverso una linea di ferrea intransigenza, arrivò a raccogliere tanta concordia di forze, di intenti attorno ai capisaldi del suo programma. E appunto perché quella frazione era depositaria di un programma e di una concezione degli avvenimenti storici, che coincideva con la realtà, tutte le altre forze caddero dinanzi ad essa, la verità del programma dei bolscevichi venne presto vista e le folle accorsero attorno alla loro bandiera. (Applausi).

Ecco perché noi vogliamo l’esclusivo. Ecco perché la nostra mozione contiene una dichiarazione di incompatibilità dettata da Lenin a Mosca, incompatibilità del permanere nel Partito Socialista e Comunista (perché non è questione di nomi ma di fatti) di quegli elementi che credono ancora all’efficacia del metodo social-democratico e negano la violenza, non in teoria, ma applicata nel momento storico in cui il proletariato strappa dalle mani della borghesia il potere politico. Se non si stabilisce questa incompatibilità, tra noi una situazione terribile si determinerà al momento dell’azione. Non è forse possibile anticipare questa situazione: il Congresso non la sente e noi siamo abbastanza marxisti per accorgercene. Crediamo però di non avere inutilmente portato dinanzi a voi questo problema. Nel nostro concetto l’unico modo di anticipare quel momento decisivo, l’unico modo di risolvere quel terribile problema dell’imminente domani è quello di tagliare ogni punto di contatto fra i due metodi, fra il criterio comunista ed il criterio sociale democratico, metodi fra i quali invece si è voluto gettare un ponte, che io auguro che la realtà venga a spezzare per sempre per fare posto all’avanzata delle classi lavoratrici. (Applausi).

Da molti compagni ho inteso che essi vogliono fare un ultimo esperimento. Ebbene, sia. Serrati però ha detto che noi siamo fuori della realtà. Non è un’obiezione nuova, compagno Serrati, che mi trovo di fronte, ma è la prima volta che essa non viene, al tempo stesso, rivolta a te e alle tue direttive. Fuori della realtà, ci hanno sempre detto tutti; ma la realtà poi non ha mancato di riconfermare la nostra dottrina ed il nostro metodo. Ma il compagno Serrati ha dato qui, con argomentazione poderosa, la dimostrazione che oggi la realtà è la rivoluzione. E se la realtà è la rivoluzione e nella rivoluzione è la realtà, perché noi, che solo in essa vogliamo credere, siamo, compagno Serrati, fuori della realtà? Io pongo questa domanda. Si veda dov’è la contraddizione. Noi siamo fra due realtà, e Graziadei lo disse nella sua acuta distinzione fra periodo rivoluzionario e momento rivoluzionario. Tutti riconoscono che siamo nel periodo rivoluzionario, ma il momento non è venuto. Il momento non è venuto, ma tuttavia è per esso che bisogna provvedere. Vi sono momenti in cui la realtà si trasforma, e si è fra due realtà, e questo momento, caro Serrati, è quello in cui tieni un piede ancora sull’altra riva. Vi sono dei momenti nella storia in cui i partiti, le folle, tagliano i ponti alle proprie spalle per lottare e vincere senza esitazioni. (Applausi).

Vi è la possibilità che dopo aver tagliati questi ponti non giunga il momento della battaglia e dobbiamo ritornare sui nostri passi e trovarci senza quei ponti. E questa è la difesa della rappresentanza parlamentare. Ebbene: permettetemi a mia volta un ragionamento schematico. Se esiste una possibilità contro mille di realizzare la conquista col metodo comunista che cosa importa di perdere la catena di tutti i successi social-democratici? Il compagno Bombacci, ha adoperato un altro paragone. Tu, permettimi compagno Bombacci, dici che andrai in Parlamento per demolire la casa che già minaccia di cadere. Io completo in questo senso il tuo paragone: la casa si demolisce in due modi, o sostituendo pezzo per pezzo tutte le sue parti senza causarne il crollo disastroso, ed allora si può operare al di dentro. O facendo crollare la casa con una mina, e allora si sta fuori per non restare sotto le macerie dopo aver posto la mina. (Applausi). Un esercito, compagni, può avere un Pietro Micca, ma guai per quell’esercito che avesse un stato maggiore di Pietro Micca. Oh, altro cha auto-evirazione: sarebbe il suicidio!

Che cosa avverrà – permettetemi che io sviluppi ancora un poco il paragone – allorquando i nostri amici e compagni saranno entrati nella casa col loro mandato di demolizione? Cominceranno a riflettere che è più logico, ora che si è dentro, il metodo di cambiare un pezzo alla volta, ed a poco a poco saranno ripresi nelle spire del riformismo e della collaborazione borghese. (Applausi).

Quel metodo fu giusto una volta perché si trattava di criticare il mondo borghese ed il capitalismo: oggi che ci schieriamo di fronte ad esso col programma dell’ultima battaglia, quel metodo non può essere più adottato. Esso è transazione ed equivoco. Eppure esso oggi deve sopravvivere per volontà di questo Congresso. Può essere logico e marxista che sopravviva, ma noi lo abbiamo voluto fin da adesso denunciare e, ripeto, non inutile compito è stato questo nostro, o compagni!

Quindi due punti sostanziali ci dividono dalla frazione massimalista elezionista: il concetto dell’unità del Partito, che noi vogliamo infrangere, e l’altro punto della partecipazione elettorale. Il compagno Bombacci ha avuto slanci sentimentali, per la parte del Partito che noi vogliamo ripudiare, e io ho ammirato come ardeva entro di lui la fiamma che anima e sospinge al più alto impeto della nostra battaglia; ma non condivido il suo sentimentalismo. Il sentimento può essere colpevole. Nei momenti dell’azione bisogna passarvi sopra. Si possono riconoscere in uomini e in gruppi utili funzioni, ma si può anche dichiarare che queste funzioni si compiono fuori dei quadri delle nostre forze politiche. Noi non diciamo che certe funzionalità della società borghese siano già oggi finite: diciamo che il Partito Comunista esiste per questo suo preciso e specifico compito: realizzare il comunismo. E quando l’ora si avvicina, il Partito si prepara ad arrivare alle condizioni che meglio possano mettere in grado di affrontare il supremo cimento, e non si preoccupa dell’intrinseco valore degli altri movimenti.

Quindi, o compagni, ecco perché col nostro voto noi resteremo distinti dai compagni della frazione massimalista.

Non ho volontà di scendere ancora un po’ nella pratica, perché vedo che dovrei dire cose troppo spiacevoli se volessi fare una disamina pratica delle conseguenze elettorali. Altri compagni l’hanno fatta e voi vi addentrerete in questa discussione nel comma successivo, quando si tratterà di discutere le modalità e le garanzie dell’azione elettorale.

Noi dal canto nostro non possiamo scendere su tal terreno perché denunziamo l’incoerenza del metodo e non la maggiore o minore corruttibilità degli uomini, e perché siamo convinti che si elaborerà una soluzione equivoca del problema dell’unità del Partito. Vi sarà una minoranza che resterà in esso a cui si negherà di ricevere i mandati elettorali. Io non parlo della minoranza nostra, parlo dell’altra (denegazione di Serrati). Se a questo criterio si rinuncia tanto di guadagnato: anche per un articolo del nostro statuto non devono esservi esclusioni, perché quando il Partito si prepara a presentarsi alle lotte per le cariche pubbliche, tutti i cittadini del Partito hanno uguali diritti di essere designati a questi mandati. (Applausi).

Noi vorremmo invece che il problema fosse risolto altrimenti. Vorremmo che fosse escluso dal Partito chi non accetta il programma di domani, quello che voi medesimi avete stampato, e distribuito al Congresso stamane. La logica, la necessità stessa vuole che possano esservi minoranze disciplinate ad una mozione, ad un ordine del giorno deliberato dal Congresso, ma non ammette che nel Partito siano tollerati coloro che negano il programma. Ecco perché dovrebbe, per la selezione del Partito, bastare la vostra formulazione teorica, ma non basterà. È facile prevedere che non basterà, non solo perché non avete voluto, ma perché effettivamente non c’era la possibilità che bastasse quell’affermazione, nella situazione attuale, dal momento che avete deciso di ingolfarvi nella azione elettorale.

La conclusione sarà questa: che da questo Congresso uscirà vincitrice una grande frazione elezionista che condurrà il Partito all’imminente battaglia. Ora, compagni, l’ora tarda e non voglio tediarvi. Il Partito vuole nella sua maggioranza andare a questa battaglia, ed esso vi andrà. Noi siamo fermamente convinti che questa battaglia rappresenta una condizione d’inferiorità di fronte alle esigenze dell’azione rivoluzionaria, di fronte alla nostra adesione alla Terza Internazionale. Noi una volta tanto facciamo i profeti (e ci auguriamo d’essere falsi profeti) prevenendo che queste forze, che andranno unite al cimento elettorale, dovranno domani scindersi su un altro terreno. Ebbene, quando questa crisi avverrà, questa crisi che la nostra affermazione dottrinale non ha valso a precipitare, valga almeno un augurio: che essa non attraversi le supreme fortune del proletariato, non attraversi le vie grandiose della rivoluzione sociale. (Applausi).