Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

Partito Socialista Italiano
Frazione Comunista Astensionista
 
 
PER LA COSTITUZIONE DEI CONSIGLI OPERAI IN ITALIA
(Il Soviet, 1920)
 
 I  -  n. 1, 4 gennaio
II  -  n. 2, 11 gennaio
     I Consigli e il programma bolscevico 
     Il programma di Bologna e i Consigli 
     I Consigli e la mozione Leone
     I Consigli e l’iniziativa dell’Ordine Nuovo di Torino
III  -  n. 4, 1 febbraio
 IV  -  n. 5, 8 febbraio
V  -  n. 7, 22 febbraio
PRENDERE LA FABBRICA O PRENDERE IL POTERE ?
     n.7, 22 febbraio

 
 

I - Il Soviet, n. 1, 1920
 

Intorno alle proposte ed alle iniziative per la costituzione dei Soviet in Italia abbiamo raccolto alquanto materiale, e ci riserviamo di esporre ordinatamente i termini dell’argomento. Vogliamo ora premettere alcune considerazioni di ordine generale a cui già accennammo nei nostri ultimi numeri.

Il sistema di rappresentanza proletaria, quale è stato per la prima volta introdotto in Russia, esercita un doppio ordine di funzioni: politiche ed economiche. Le funzioni politiche consistono nella lotta contro la borghesia fino alla totale sua eliminazione. Quelle economiche nella creazione di tutto il nuovo meccanismo della produzione comunista.

Con lo svolgersi della rivoluzione, con la graduale eliminazione delle classi parassitarie, le funzioni politiche vanno diventando sempre meno importanti di fronte a quelle economiche: ma in un primo tempo, e soprattutto quando ancora si tratta di lottare contro il potere borghese, l’attività politica è in prima linea.

Il vero istrumento della lotta di liberazione del proletariato, e anzitutto della conquista del potere politico, è il partito di classe comunista. I consigli operai, in potere borghese, possono essere solo organismi entroi quali lavora il partito comunista, motore della rivoluzione. Dire che essi sono gli organi di liberazione del proletariato, senza parlare della funzione del partito, come nel programma approvato dal Congresso di Bologna, sembraci errore.

Sostenere, come i compagni dell’Ordine Nuovo di Torino, che i consigli operai prima ancora della caduta della borghesia sono già organi non solo di lotta politica, ma di allestimento economico-tecnico del sistema comunista, è poi un puro e semplice ritorno al gradualismo socialista: questo, si chiami riformismo o sindacalismo, è definito dall’errore che il proletariato possa emanciparsi guadagnando terreno nei rapporti economici, mentre ancora il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico.

Svolgeremo la critica delle due concezioni cui accenniamo.

* * *

Il sistema di rappresentanza proletaria deve aderire a tutto il processo tecnico di produzione.

Questo criterio è esatto, ma corrisponde allo stadio in cui il proletariato, già al potere, organizza la nuova economia. Trasportatelo senz’altro in regime borghese e non avrete fatto nulla di rivoluzionario.

Anche nel periodo in cui si trova la Russia, la rappresentanza politica Soviettista – ossia la scala che culmina nel governo dei commissari del popolo – non comincia già dalle squadre di lavorazione o dai reparti di officina, ma dal Soviet locale amministrativo, eletto direttamente dai lavoratori (aggruppati, se è possibile, per comunità di lavoro).

Il Soviet, per fissare le idee, di Mosca, viene eletto dai proletari di Mosca in ragione di 1.000 per ogni delegato. Tra questo e gli elettori non vi è nessun organo intermedio. Da questa prima designazione partono le successive, al congresso dei Soviet, al comitato esecutivo, al governo dei commissari.

Il consiglio di fabbrica prende posto in un ingranaggio ben diverso: in quello del controllo operaio sulla produzione.

In conseguenza il consiglio di fabbrica, costituito di un rappresentante per ogni reparto, non designa il rappresentante della fabbrica nel Soviet comunale amministrativo-politico: questo rappresentante è eletto direttamente e indipendentemente.

In Russia i consigli di officina sono il punto di partenza – subordinatamente sempre alla rete politica dei Soviet – di un altro sistema di rappresentanze: quello del controllo operaio e dell’economia popolare.

La funzione di controllo dell’officina ha valore rivoluzionario ed espropriatore solo dopo che il potere centrale è passato nelle mani del proletariato. Quando la protezione statale borghese è in piedi ancora, il consiglio di fabbrica non controlla nulla: le poche funzioni che consegue sono il risultato della tradizionale pratica: a) del riformismo parlamentare; b) della azione sindacale di resistenza che non cessa di essere un arrampicamento riformista.

Concludiamo: non ci opponiamo alla costituzione dei consigli interni di fabbrica se li chiedono le maestranze stesse o le loro organizzazioni. Ma affermiamo che l’attività del Partito Comunista deve impostarsi su altra base: sulla lotta per la conquista del potere politico.

Questa lotta può trovare campo opportuno nella creazione di una rappresentanza operaia: ma questa deve consistere nei consigli operai di città o di distretto rurale, direttamente eletti dalle masse per essere pronti a sostituire i consigli municipali e gli organi locali del potere statale nel momento del tracollo delle forze borghesi.

Affacciata così la nostra tesi, ci ripromettiamo di darne un’ampia documentazione e dimostrazione, salvo a compendiare il nostro lavoro in una relazione al prossimo convegno della frazione comunista.
 
 
 
 

II - Il Soviet, n. 2, 11 gennaio 1920
 

Prima di addentrarci nella discussione del problema pratico della costituzione dei Consigli Operai, Contadini e Soldati in Italia, e dopo le considerazioni generali contenute nell’articolo che pubblicammo nel numero scorso, vogliamo trattenerci ad esaminare le linee programmatiche del sistema Soviettista quali si rintracciano nei documenti della rivoluzione russa, e nelle dichiarazioni di principio di alcune correnti massimaliste italiane, quali il programma approvato al Congresso di Bologna, la mozione presentata allo stesso Congresso da Leone ed altri compagni, le pubblicazioni dell’Ordine Nuovo, intorno al movimento dei consigli di fabbrica torinesi.
 

I Consigli e il programma bolscevico

Nei documenti della Terza Internazionale e del Partito Comunista Russo, nelle magistrali relazioni di quei formidabili dottrinari che sono i capi del movimento rivoluzionario russo, Lenin, Zinoviev, Radek, Bukarin, ricorre il concetto che la rivoluzione russa non ha inventate forme nuove ed impreviste ma ha confermato le previsioni della teoria marxista sul processo rivoluzionario.

Ciò che è sostanziale nel grandioso sviluppo della rivoluzione russa è la conquista mediante una vera guerra di classe del potere politico da parte delle masse operaie, e la instaurazione della loro dittatura.

I Soviet – non occorre ricordare che la parola soviet significa semplicemente consiglio e può essere adoperata per indicare qualunque corpo rappresentativo – i Soviet nella loro significazione storica sono il sistema di rappresentanza di classe del proletariato giunto al possesso del potere. Essi sono gli organi che sostituiscono il parlamento e le assemblee amministrative borghesi, e man mano vanno sostituendo tutti gli altri ingranaggi dello Stato.

Per dirla con le parole dell’ultimo congresso comunista russo, citate dal compagno Zinoviev, i Soviet sono le organizzazioni di Stato della classe operaia e degli agricoltori poveri le quali effettuano la dittatura del proletariato durante la fase in cui si estinguono gradualmente tutte le vecchie forme dello Stato.

Il sistema di queste organizzazioni di Stato tende a dare la rappresentanza a tutti i produttori come membri della classe lavoratrice, ma non come partecipanti ad una categoria professionale o ad un ramo d’industria: secondo l’ultimo manifesto della Terza Internazionale, i Soviet sono un nuovo tipo di organizzazione vasta la quale abbraccia tutte le masse operaie indipendentemente dal loro mestiere e dal livello della loro cultura politica. La rete amministrativa dei Soviet ha come organismi di primo grado i consigli di città o di distretto rurale, e culmina nel governo dei commissari.

È bensì vero che a lato di questo sistema sorgono nella fase della trasformazione economica altri organi, come il sistema del controllo operaio e dell’economia popolare; è anche vero come più volte abbiamo detto che questo sistema tenderà ad assorbire in sé il sistema politico, quando la espropriazione della borghesia sarà completa e cesserà la necessità del potere statale.

Ma nel periodo rivoluzionario il problema essenziale, come risulta da tutti i documenti dei russi, è quello di subordinare all’interesse generale, nello spazio e nel tempo, del movimento rivoluzionario, gli interessi e le esigenze locali e di categorie.

Quando la fusione dei due organismi sarà avvenuta, allora la rete della produzione sarà completamente comunista ed allora si realizzerà quel criterio, che ci sembra si vada esageratamente valutando, di una perfetta articolazione della rappresentanza con tutti i meccanismi del sistema produttivo.

Prima di allora, quando ancora la borghesia resiste, sopra tutto poi quando è ancora al potere, il problema è di avere una rappresentanza nella quale prevalga il criterio dell’interesse generale; e quando l’economia è ancora quella dell’individualismo e della concorrenza l’unica forma in cui quel superiore interesse collettivo può esplicarsi è una forma di rappresentanza politica nella quale agisca il partito politico comunista.

Nel ritornare sulla questione mostreremo come il voler concretare e tecnicizzare troppo la rappresentanza soviettista, specie ove è ancora al potere la borghesia, significa porre il carro avanti ai buoi e ricadere nei vecchi errori del sindacalismo e del riformismo.

Citiamo per ora le non equivoche parole di Zinoviev.

«Il partito comunista riunisce quell’avanguardia del proletariato che lotta, consapevolmente, per l’effettuazione pratica del programma comunista. Esso si sforza specialmente di introdurre il suo programma nelle organizzazioni dello Stato, i Soviet, e di ottenervi un completo dominio».
In conclusione la repubblica soviettista russa è diretta dai Soviet che riassumono in sé dieci milioni di lavoratori su ottanta circa di abitanti. Ma sostanzialmente le designazioni per i comitati esecutivi dei Soviet locali e centrali avvengono nelle sezioni e nei congressi del grande partito comunista, che domina nei Soviet. Ciò corrisponde alla vibrata difesa fatta da Radek delle funzioni rivoluzionarie delle minoranze. Sarà bene non creare un feticismo maggioritario-operaista che andrebbe a tutto vantaggio del riformismo e della borghesia.

Il partito è in prima linea nella rivoluzione in quantoché potenzialmente è costituito da uomini che pensano ed agiscono come membri della futura umanità lavoratrice, nella quale tutti saranno produttori armonicamente inseriti in un meraviglioso ingranaggio di funzioni e di rappresentanze.
 

Il programma di Bologna e i Consigli

È deplorevole che nell’attuale programma del partito non si rintracci la proposizione marxista, che il partito di classe è lo strumento della emancipazione proletaria; e vi sia solo l’anodino codicillo: «delibera (chi? Nemmeno la grammatica fu salvata nella fretta di deliberare... per le elezioni) di informare la organizzazione del Partito Socialista Italiano ai su esposti principi».

Vi è da discutere sul comma che nega la trasformazione di qualsiasi organo dello Stato in organo per la lotta di liberazione del proletariato, ma di ciò ad altra trattazione, previa la indispensabile chiarificazione dei termini.

Ma dissentiamo ancora più dal programma là dove esso dice che i nuovi organi proletari funzioneranno da prima, in dominio borghese, quali strumenti della violenta lotta di liberazione, e poi diverranno organismi di trasformazione sociale ed economica, poiché si specificano tra tali organi non solo i consigli dei lavoratori contadini e soldati, ma perfino i consigli dell’economia pubblica, organi inconcepibili in regime borghese.

Anche i consigli politici operai possono dirsi piuttosto istituti entro i quali si esplica l’azione dei comunisti per la liberazione del proletariato.

Ma anche recentemente il compagno Serrati ha svalutato, in barba a Marx e a Lenin, il compito del partito di classe nella rivoluzione.

«Con la massa operaia – Lenin dice – il partito politico, marxista, centralizzato, avanguardia del proletariato, guiderà il popolo sulla giusta via, per la dittatura vittoriosa del proletariato, per la democrazia proletaria invece di quella borghese, per il potere dei consigli, per l’ordine socialista».
L’attuale programma del partito risente di scrupoli libertari e di impreparazione dottrinale.
 

I Consigli e la mozione Leone

Questa mozione si riassumeva in quattro punti esposti nel suggestivo stile dell’autore.

Il primo di questi punti è mirabilmente ispirato alla constatazione che la lotta di classe è il reale motore della storia ed ha spezzato le unioni social-nazionali.

Ma poi la mozione esalta nei Soviet gli organi della sintesi rivoluzionaria, che essi avrebbero virtù di creare quasi pel meccanismo stesso della loro costituzione, ed afferma che i Soviet soli possono condurre al trionfo le grandi iniziative storiche al di sopra delle scuole, dei partiti, delle corporazioni.

Questo concetto di Leone, e dei molti compagni che firmarono la sua mozione, è ben diverso dal nostro, che desumiamo dal marxismo e dalle direttive della rivoluzione russa. Si tratta di sopravalutare una forma invece di una forza, analogamente a quanto i sindacalisti facevano del sindacato, attribuendo alla sua pratica minimalista la taumaturgica virtù di risolversi nella rivoluzione sociale.

Come il sindacalismo è stato demolito prima dalla critica dei veri marxisti, poi dall’esperienza dei movimenti sindacali che ovunque hanno collaborato col mondo borghese fornendogli elementi di conservazione, così il concetto di Leone cade dinanzi all’esperienza dei consigli operai socialdemocratici controrivoluzionari, che sono appunto quelli nei quali non vi è stata vittoriosa penetrazione del programma politico comunista. Solo il partito può riassumere in sé le energie dinamiche rivoluzionarie della classe.

Sarebbe pettegolo obbiettare che anche i partiti socialisti hanno transatto, dal momento che noi non esaltiamo la virtù della forma partito, ma quella del contenuto dinamico che è nel solo partito comunista. Ogni partito si definisce dal proprio programma e le sue funzioni non trovano campo di analogia con quelle di altri partiti, mentre necessariamente le funzioni accomunano tra loro tutti i sindacati e nel senso tecnico anche tutti i consigli operai.

Il danno dei partiti socialriformisti non fu di essere dei partiti, ma di non essere comunisti e rivoluzionari. Questi partiti hanno condotto la controrivoluzione, mentre in lotta con essi i partiti comunisti dirigevano ed alimentavano l’azione rivoluzionaria.

Non vi sono dunque organismi rivoluzionari per virtù formale; vi sono solo forze sociali rivoluzionarie per la direzione nella quale agiscono, e queste forze si risolvono in un partito che lotta con un programma.
 

I Consigli e l’iniziativa dell’Ordine Nuovo di Torino

Più oltre ancora vanno secondo noi i compagni dell’Ordine Nuovo. Essi non sono nemmeno contenti della dicitura del programma del Partito, perché pretendono che i Soviet, compresi quelli d’indole tecnico-economica (i consigli di fabbrica), non solo esistano e siano organi della lotta di liberazione proletaria in regime borghese, ma siano persino già organi della ricostruzione dell’economia comunista. Essi infatti stampano nel loro giornale il brano del programma del partito da noi più su citato, coll’omissione di alcune parole che ne trasformano il significato, secondo il loro punto di vista: «Dovranno essere opposti organi nuovi proletari (consigli dei lavoratori contadini e soldati, consigli dell’economia pubblica, ecc.)... Organismi di trasformazione sociale ed economica e di ricostruzione del nuovo ordine comunista».

Ma l’articolo è già lungo e rimandiamo al numero prossimo la esposizione del nostro profondo dissenso da questo criterio che a parer nostro offre il pericolo di risolversi in un puro esperimento riformista con la modificazione di certe funzioni dei sindacati e forse la promulgazione di una legge borghese per i consigli operai.
 
 
 
 

III - Il Soviet, n. 4, 1 febbraio 1920
 

Nel conchiudere il secondo articolo intorno alla costituzione dei Soviet in Italia accennavamo al movimento torinese per la costituzione dei consigli di fabbrica.

Non condividiamo il punto di vista a cui si ispirano i compagni dell’Ordine Nuovo e, pur apprezzando la loro tenace opera per una migliore coscienza dei capisaldi del comunismo, crediamo che siano incorsi in errori non lievi di principio e di tattica.

Secondo essi il fatto essenziale della rivoluzione comunista sta appunto nella costituzione dei nuovi organi di rappresentanza proletaria destinati alla gestione diretta della produzione, il cui carattere fondamentale è quello di aderire strettamente al processo produttivo.

Abbiamo già detto che ci sembra si esageri molto su questo concetto della coincidenza formale fra le rappresentanze della classe operaia e i diversi aggregati del sistema tecnico-economico di produzione. Questa coincidenza tenderà a verificarsi in uno stadio molto avanzato della rivoluzione comunista, quando la produzione sarà socializzata e tutte le particolari attività che la costituiscono saranno armonicamente subordinate ed ispirate agli interessi generali e collettivi.

Prima di allora, e durante il periodo di transizione dall’economia capitalistica a quella comunista, gli aggruppamenti di produttori attraversano un periodo di continua trasformazione, ed i loro interessi, possono venire a cozzare con quelli generali e collettivi del movimento rivoluzionario del proletariato.

Questo troverà il suo vero strumento in una rappresentanza della classe proletaria nella quale ogni singolo entri in quanto membro di questa classe, interessato a un radicale mutamento dei rapporti sociali, e non come componente di una categoria professionale, di una fabbrica o di un qualsiasi gruppo locale.

Finché poi il potere politico ancora trovasi nelle mani della classe capitalistica, una rappresentanza degli interessi generali rivoluzionari del proletariato non può ottenersi che sul terreno politico, in un partito di classe che raccolga le adesioni personali di coloro che hanno superato, per dedicarsi alla causa della rivoluzione, la stretta visione dell’interesse egoistico, dell’interesse di categoria, e talvolta perfino dell’interesse di classe, nel senso che il partito ammette nel suo seno anche i disertori della classe borghese fautori del programma comunista.

È grave errore credere che trasportando nell’ambiente proletario attuale, tra i salariati del capitalismo, le strutture formali che si pensa potranno formarsi per la gestione della produzione comunista, si determinino forze di per se stesse e per intrinseca virtù rivoluzionarie.

Questo fu l’errore dei sindacalisti e questo è anche l’errore dei troppo caldi fautori dei consigli di fabbrica.

Opportunamente il compagno C. Niccolini in un articolo di "Comunismo" avverte che in Russia, anche dopo il passaggio del potere al proletariato, i consigli di fabbrica hanno spesso creato ostacoli alle misure rivoluzionarie, contrapponendo ancora più dei sindacati le pressioni di interessi limitati allo svolgimento del processo comunista.

I consigli di fabbrica non sono nemmeno, nell’ingranaggio dell’economia comunista, i gestori principali della produzione.

Negli organi che hanno tale compito (consigli dell’economia popolare) i consigli di fabbrica hanno rappresentanze di minor peso che quelle dei sindacati di mestiere e quelle primeggianti del potere statale proletario, che col suo ingranaggio politico centralizzato è lo strumento e il fattore primo della rivoluzione, non solo in quanto è lotta contro la resistenza politica della classe borghese, ma anche in quanto è processo di socializzazione della ricchezza.

Al punto in cui noi siamo, quando cioè lo Stato del proletariato è ancora un’aspirazione programmatica, il problema fondamentale è quello della conquista del potere da parte del proletariato, e meglio ancora del proletariato comunista, cioè dei lavoratori organizzati in partito politico di classe e decisi ad attuare la forma storica del potere rivoluzionario, la dittatura del proletariato.

* * *

Lo stesso compagno A. Tasca nel n. 22 dell’ Ordine Nuovo espone chiaramente il suo dissenso dal programma della maggioranza massimalistica del Congresso di Bologna, e ancora più da noi astensionisti, nel seguente brano che vale la pena di riportare.

     «Un altro punto del nuovo programma del partito merita di essere considerato: gli organi nuovi proletari (consigli dei lavoratori, contadini e soldati, consigli dell’economia pubblica, ecc.) funzionanti da prima (in dominio borghese) quali strumenti della violenta lotta di liberazione divengono poi organismi di trasformazione sociale ed economica, di ricostruzione del nuovo ordine comunista.
     «Noi avevamo insistito, in seduta di commissione, sull’errore di tale formulazione, che affidava agli organi nuovi funzioni diverse secondo un prima e un poi, separati dalla conquista del potere da parte del proletariato.
     «Il Gennari aveva promesso di modificare con un "da prima prevalentemente quali strumenti ecc" ma poi si vede che ne abbandonò l’idea, ed io, assente per forza maggiore all’ultima seduta, non potei fargliela riprendere.
     «C’è però in questa formulazione un vero e proprio punto di dissidio che, mentre avvicina il Gennari, il Bombacci ecc. agli astensionisti, li allontana da quanti credono che i nuovi organi operai non possano essere "strumenti della violenta lotta di liberazione" se non in quanto sono subito (non poi) "organismi di trasformazione sociale ed economica". La liberazione del proletariato si attua precisamente mediante la esplicazione della sua capacità a gestire in modo autonomo ed originale le funzioni della società da sé e per sé creata: la liberazione è nella creazione di tali organi che, se sono vivi e funzionano, per ciò solo provocano la trasformazione sociale ed economica che ne costituisce il fine.
     «Non è questa una questione di forma, ma di sostanza ed essenziale. Nella formulazione attuale, ripetiamo, i compilatori vengono ad aderire alla concezione di Bordiga, che dà più importanza alla conquista del potere che non alla formazione dei Soviet, cui riconosce per ora più una funzione "politica" stricto sensu che non una organica di "trasformazione economica e sociale".
     «Come il Bordiga ritiene che il Soviet integrale sarà creato solo durante il periodo della dittatura proletaria, così Gennari, Bombacci ecc. ritengono che solo la conquista del potere (che quindi prende un carattere politico, e cioè ci riconduce ai già sorpassati "pubblici poteri") possa dare ai Soviet le loro vere e compiute funzioni. È proprio qui, secondo noi, il punto centrale che ci deve condurre, tosto o tardi, a una nuova revisione del programma testé votato».
Secondo il Tasca la classe operaia può dunque costruire le tappe della sua liberazione, prima ancora di strappare alla borghesia il potere politico.

Più oltre il Tasca lascia intendere che tale conquista potrà anche avvenire senza violenza, quando il proletariato abbia espletato l’opera di preparazione tecnica, e di educazione sociale, che costituirebbe appunto il metodo rivoluzionario concreto propugnato dai compagni dell’Ordine Nuovo.

Non ci dilunghiamo a dimostrare come questo concetto tenda a quello del riformismo, e si allontani dai capisaldi del marxismo rivoluzionario secondo i quali la rivoluzione non si determina per la educazione, la cultura, la capacità tecnica del proletariato, ma per le intime crisi del sistema di produzione capitalistico.

Così come Enrico Leone, Tasca e i suoi amici sopravvalutano nella rivoluzione Russa l’apparizione di una nuova rappresentanza sociale, il Soviet, che per le virtù insite nella sua formazione costituirebbe una originale soluzione storica della lotta proletaria contro il capitalismo.

Ma i Soviet – ottimamente definiti dal compagno Zinoviev come le organizzazioni di Stato della classe operaia – non sono altro che gli organi del potere proletario che esercitano la dittatura rivoluzionaria della classe lavoratrice, cardine del sistema marxista, il cui primo esperimento positivo fu la Comune di Parigi del 1871. I Soviet sono la forma, non la causa della rivoluzione.

* * *

Oltre a questo dissidio v’è un altro punto che ci separa dai compagni torinesi.

I Soviet, organizzazioni di Stato del proletariato vittorioso, sono ben altra cosa che i consigli di fabbrica, né questi costituiscono il primo grado, il primo scalino del sistema Soviettista politico. L’equivoco è in realtà contenuto anche nella dichiarazione di principio votata alla prima assemblea dei Commissari di Reparto delle officine torinesi, che comincia proprio così:

     «I commissari di fabbrica sono i soli e veri rappresentanti sociali (economici e politici) della classe proletaria, poiché eletti a suffragio universale da tutti i lavoratori sul posto stesso di lavoro.
     «Nei diversi gradi della loro costituzione i commissari rappresentano l’unione di tutti i lavoratori quale si realizza negli organismi di produzione (squadra di lavorazione - reparto - officina - unione delle officine di una determinata industria - unione degli stabilimenti di produzione dell’industria meccanica ed agricola di un distretto, di una provincia, di una nazione, del mondo) dei quali i consigli e il sistema dei consigli rappresentano il potere e la direzione sociale».
Questa dichiarazione è inaccettabile, poiché il potere proletario si forma direttamente nei Soviet municipali di città o di campagna senza passare per il tramite dei consigli e comitati di fabbrica, come più volte abbiamo detto, e come risulta dalle chiare esposizioni del sistema Soviettista russo pubblicate dallo stesso «Ordine Nuovo».

I consigli di fabbrica sono organismi destinati a rappresentare gli interessi di aggruppamenti di operai nel periodo della trasformazione rivoluzionaria della produzione, ed essi rappresentano non soltanto l’aspirazione di quel gruppo a liberarsi con la socializzazione dell’azienda dal capitalista privato, ma anche la preoccupazione pel modo in cui gli interessi del gruppo saranno fatti valere nel processo stesso di socializzazione, disciplinato dalla volontà organizzata di tutta la collettività lavoratrice.

Gli interessi dei lavoratori nel periodo in cui il sistema capitalista appare stabile e si tratta quindi soltanto di influire sulla migliore retribuzione del lavoro sono stati finora rappresentati dai sindacati di mestiere. Questi seguitano a vivere durante il periodo rivoluzionario, ed è naturale che vengano in contrasti di competenza con i consigli di fabbrica, che sorgono quando l’abolizione del capitalismo privato s’annunzia prossima, come è avvenuto anche a Torino.

Non è però una grande questione di principio rivoluzionario il sapere se alle elezioni dei commissari debbano o meno partecipare gli operai non organizzati. Se è logico che questi vi partecipino, data l’indole stessa del consiglio di fabbrica, non ci pare però altrettanto logico il miscuglio che a Torino si è voluto fare di organi e di funzioni fra consigli e sindacati con l’imporre alla Sezione torinese della Federazione metallurgica di fare eleggere il proprio consiglio direttivo dall’assemblea dei commissari di reparto.

Ad ogni modo i rapporti fra consigli e sindacati quali esponenti di speciali interessi particolari di gruppi operai seguiteranno ad essere molto complessi, e potranno assestarsi ed armonizzarsi soltanto in uno stadio molto avanzato dell’economia comunista, quando sarà ridotta al minimo la possibilità di contrasti fra gli interessi di un gruppo di produttori e l’interesse generale dell’andamento della produzione.

* * *

Ciò che importa stabilire è che la rivoluzione comunista viene condotta e diretta da una rappresentanza politica della classe operaia, la quale prima dell’abbattimento del potere borghese è un partito politico, dopo è la rete del sistema dei Soviet politici, eletti direttamente dalle masse col proposito di designare rappresentanti che abbiano un dato programma generale politico, e non siano già esponenti degli interessi limitati di una categoria o di una azienda.

Il sistema russo è così congegnato che il Soviet municipale di una città si compone di un delegato per ogni aggruppamento di proletari, che votano un solo nome.

I delegati sono però proposti agli elettori dal partito politico, e così avviene per le deleghe di secondo e terzo grado agli organismi superiori del sistema statale.

È sempre dunque un partito politico – il comunista – che chiede ed ottiene dagli elettori il mandato di amministrare il potere. Noi non diciamo certo che gli schemi russi debbano venire senz’altro ovunque adottati, ma pensiamo che si debba tendere ad avvicinarsi, anche più che in Russia, al principio informatore della rappresentanza rivoluzionaria: il superamento cioè degli interessi egoistici e particolari nell’interesse collettivo.

Può essere opportuno per la lotta rivoluzionaria dei comunisti costituire fin da ora l’ingranaggio di una rappresentanza politica della classe operaia? È il problema che esamineremo nel prossimo articolo, discutendo anche il progetto elaborato al riguardo dalla direzione del partito, e ben fermo restando che, come in questo stesso progetto parzialmente si riconosce, questa rappresentanza sarebbe ben altra cosa dal sistema dei consigli e comitati di fabbrica che s’è cominciato a formare a Torino.
 
 
 
 

IV - Il Soviet, n.5, 8 febbraio 1920
 

Crediamo di aver abbastanza insistito sulla differenza tra Consiglio di fabbrica e Consiglio politico-amministrativo degli operai e contadini.

Il Consiglio di fabbrica è una rappresentanza di interessi operai limitata alla ristretta cerchia di un’azienda industriale. In regime comunista esso è il punto di partenza del sistema del "controllo operaio" che ha una certa parte nel sistema dei "consigli dell’economia" destinati alla direzione tecnica ed economica della produzione.

Ma nessuna ingerenza ha il consiglio di fabbrica nel sistema dei soviet politici depositari del potere proletario.

Nel regime borghese non può dunque vedersi nel Consiglio di fabbrica – come non può vedersi nel sindacato di mestiere – un organo per la conquista del potere politico.

Se ci si vedesse poi un organo di emancipazione del proletariato per altra via che non sia la conquista rivoluzionaria del potere, si ricadrebbe nell’errore sindacalista – e i compagni dell’Ordine Nuovo non hanno molta ragione nel sostenere, polemizzando con Guerra di classe, che il movimento dei C.d.F., così come essi lo teorizzano, non sia in un certo senso del sindacalismo.

Il marxismo si caratterizza per la partizione divinatrice della lotta di emancipazione proletaria in grandi fasi storiche, nelle quali diversissimo peso hanno l’attività politica e quella economica: Lotta per il potere - esercizio del potere (dittatura del proletariato) nella trasformazione dell’economia - società senza classi e senza Stato politico.

Portare a coincidere, nella funzione degli organi di liberazione del proletariato, i momenti del processo politico con quelli del processo economico vuol dire credere in quella caricatura piccolo-borghese del marxismo che dir si potrebbe economismo, e classificare in riformismo e sindacalismo – e la sopra valutazione del consiglio di fabbrica non sarebbe che un’altra incarnazione di questo vecchio errore, che lega il piccolo borghese Proudhon ai tanti revisionisti che hanno creduto di oltrepassare Marx.

In regime borghese il Consiglio di Fabbrica è dunque un rappresentante degli interessi degli operai di una azienda, così come lo sarà in regime comunista. Esso sorge quando le circostanze lo richiedono, attraverso modifiche dei metodi di organizzazione economica proletaria. Ma forse più del Sindacato esso presta il fianco ai diversivi del riformismo.

La vecchia tendenza minimalista all’arbitrato obbligatorio, alla cointeressenza degli operai nei profitti del capitale, e quindi al loro intervento nella direzione e amministrazione della fabbrica, potrebbe trovare dei C.d.F. la base per la elaborazione di una legge sociale antirivoluzionaria.

Ciò avviene in Germania attualmente tra la opposizione degli indipendenti, che però non negano il principio ma le modalità della legge – differenziandosi dai comunisti pei quali il regime democratico non può dar vita a un qualsiasi controllo del proletariato sulle funzioni capitalistiche.

Resti dunque chiaro che è cosa insensata parlare di controllo operaio fino a che il potere politico non sia nelle mani dello Stato proletario, in nome ed in forza del quale soltanto potrà venire esercitato tale controllo, preludio alla socializzazione delle aziende e alla loro amministrazione da parte di appropriati organi della collettività.

I consigli dei lavoratori – operai, contadini e, nel caso, soldati – sono, è ben chiaro, gli organi politici del proletariato, le basi dello Stato proletario.

I consigli locali di città e di campagna sostituiscono i consigli municipali del regime borghese. I soviet provinciali o regionali sostituiscono gli attuali consigli provinciali, colla differenza che i primi sono designati per elezioni di 2° grado dai soviet locali.

Il congresso dei soviet di uno Stato e il comitato esecutivo centrale sostituiscono il Parlamento borghese, ma sono eletti con suffragio di 3° e talvolta 4° grado, anziché direttamente.

Non è qui il caso di insistere nelle altre differenze, principalissima fra le quali è il diritto di revoca dei delegati da parte degli elettori in ogni momento.

La necessità di avere un agile meccanismo per queste revoche fa sì che le elezioni iniziali non avvengano per liste, ma col dare un unico delegato ad un aggruppamento di elettori che, possibilmente, vivano riuniti per le condizioni del loro lavoro.

Ma la caratteristica fondamentale di tutto il sistema non risiede già in queste modalità, che son cose per nulla affatto taumaturgiche, bensì nel criterio che stabilisce il principio elettorale, attivo e passivo, riservato ai soli lavoratori e negato ai borghesi.

Sulla formazione dei soviet municipali si incorre comunemente in due errori.

L’uno è di pensare che i delegati ad essi vengano eletti dai consigli delle fabbriche o dai comitati di fabbrica (commissioni esecutive dei consigli dei commissari di reparto) mentre invece i delegati sono eletti (è volontariamente che ci ripetiamo su certi punti) direttamente dalla massa degli elettori.

Questo errore è riportato nel progetto Bombacci per la costituzione dei soviet in Italia al paragrafo VI.

L’altro errore è di pensare che il soviet sia un organismo costituito con rappresentanti designati senz’altro dal Partito Socialista, dai sindacati economici e dai Consigli di officina.

In questo errore cade, ad esempio, il compagno Ambrosini nelle sue proposte.

Un tale sistema forse può servire a formare in un modo rapido e provvisorio i soviet, quando fosse necessario, ma non corrisponde alla loro definitiva struttura.

In Russia una piccola percentuale di delegati al soviet viene così ad aggiungersi a quelli eletti direttamente dai proletari elettori.

Ma in realtà il patito comunista, o altri partiti, ottengono la loro rappresentanza proponendo agli elettori provati membri della loro organizzazione e agitando dinanzi agli elettori il loro programma.

Un soviet, a parer nostro, è rivoluzionario sol quando la maggioranza dei suoi membri è iscritta al Partito Comunista.

Tutto ciò, bene inteso, si riferisce al periodo della dittatura proletaria.

Sorge ora la grande questione. Quale utilità, quali caratteri possono avere i consigli operai, mentre ancora dura il potere della borghesia?

Nell’Europa Centrale coesistono presentemente i consigli operai e lo Stato democratico borghese – tanto più antirivoluzionario in quanto è repubblicano e socialdemocratico. Quale valore ha questa rappresentanza del proletariato, se non è la depositaria del potere e la base dello Stato? Agisce essa almeno come un organo efficace di lotta per l’attuazione della dittatura proletaria?

A queste domande risponde un articolo del compagno austriaco Otto Maschl che leggiamo nella Nouvelle Internationale di Ginevra. Egli afferma che in Austria i Consigli si sono paralizzati da sé stessi, hanno abdicato il potere nelle mani dell’Assemblea Nazionale borghese.

In Germania invece dopo che avvenne altrettanto, usciti – secondo il Maschl – i maggioritari e gli indipendenti dai Consigli, questi divennero veri centri di combattimento per l’emancipazione proletaria, e Noske dovette spezzarli e schiacciarli perché la socialdemocrazia potesse governare.

In Austria invece – il Maschl conclude – la esistenza dei Consigli nella democrazia, o meglio l’esistenza della democrazia malgrado i Consigli prova che quei Consigli operai son lungi dall’essere ciò che in Russia si chiamano i soviet. Ed egli formula il dubbio che, nel momento della rivoluzione, possano sorgere altri soviet, veramente rivoluzionari, che divengano i depositari del potere proletario, al posto di quelli addomesticati.

Il programma del partito approvato a Bologna dichiara che i soviet devono essere costituiti in Italia come organi di lotta rivoluzionaria. Il progetto Bombacci tende a svolgere tale proposta di costituzione in modo concreto.

Prima di occuparsi delle particolarità, discuteremo i concetti generali a cui il compagno Bombacci si è ispirato.

Anzitutto chiediamo – e non ci si dica pedanti – un chiarimento di forma. Nel periodo: «Unicamente una istituzione nazionale più larga dei soviet potrà incanalare il periodo attuale verso la finale lotta rivoluzionaria contro il regime borghese e la sua falsa illusione democratica: il parlamentarismo...» deve intendersi che il parlamentarismo è quella istituzione più larga, o questa illusione democratica? Temiamo che valga la prima interpretazione, confermata dal capitolo sul programma d’azione dei Soviet, che è uno strano miscuglio delle funzioni dei medesimi con l’attività parlamentare del partito. Se è su questo equivoco terreno che i costituendi Consigli dovranno agire, meglio è certamente non farne nulla. Che i Soviet servano ad elaborare progetti di legislazione socialista e rivoluzionaria che i deputati socialisti proporranno allo stato borghese, ecco una proposta che fa il paio a quelle relative al soviettismo comunale-elezionista, così bene battuto in breccia dal nostro D. L.

Noi per ora ci limitiamo a ricordare ai nostri compagni autori di tali progetti una delle conclusioni di Lenin nella dichiarazione approvata al Congresso di Mosca: Separarsi da coloro che illudono il proletariato proclamando la possibilità delle sue conquiste nell’ambito borghese e propugnando la combinazione o la collaborazione degli strumenti di dominio borghese coi nuovi organi proletari. Se i primi sono i socialdemocratici – ancora cittadini del nostro Partito! – non devono ravvisarsi i secondi nei massimalisti elezionisti preoccupati di giustificare l’attività parlamentare e comunale con mostruosi progetti pseudo-soviettisti?

Non vedono i nostri compagni della frazione che vinse a Bologna che essi sono fuori anche da quell’elezionismo comunista che potrebbe opporsi – cogli argomenti di Lenin e di certi comunisti tedeschi – al nostro irriducibile astensionismo di principio?
 
 
 
 

V - Il Soviet, n.7, 22 febbraio 1920
 

Intendiamo con questo articolo concludere la nostra esposizione, salvo a riprendere la discussione in polemica con quei compagni che su altri giornali hanno mosso osservazioni al nostro punto di vista.

La discussione si è ormai generalizzata su tutta la stampa socialista. Quanto abbiamo letto di meglio sono gli articoli di C. Niccolini sull’Avanti!, scritti con grande chiarezza ed intonati alla vera concezione comunista, e coi quali pienamente concordiamo.

I Soviet, i consigli degli operai, contadini (e soldati) sono la forma che assume la rappresentanza del proletariato nell’esercizio del potere, dopo l’abbattimento dello Stato capitalistico.

Prima della conquista del potere, quando ancora politicamente domina la borghesia, può avvenire che speciali condizioni storiche, probabilmente corrispondenti a serie convulsioni degli ordinamenti istituzionali dello Stato e della società, determinino il sorgere dei Soviet, e può essere molto opportuno che i comunisti agevolino e sospingano il nascere di questi nuovi organismi del proletariato.

Deve però restare ben chiaro che tale formazione non può essere un procedimento artificiale, o l’applicazione di una ricetta; e che in ogni modo l’essersi costituiti i consigli operai, che saranno la forma della rivoluzione proletaria, non vorrà dire che il problema della rivoluzione sia stato risoluto, e nemmeno che siano state poste condizioni infallibili alla rivoluzione. Questa – e ne mostrammo gli esempi – può mancare anche ove i Consigli esistano, quando in questi non sia trasfusa la coscienza politica e storica del proletariato, condensata, direi quasi, nel partito politico comunista.

Il problema fondamentale della rivoluzione sta dunque nella tendenza del proletariato ad abbattere lo Stato borghese ed assumere nelle proprie mani il potere. Questa tendenza nelle larghe masse della classe operaia esiste come diretta risultante dei rapporti economici di sfruttamento da parte del capitale che determinano pel proletariato una situazione intollerabile e lo spingono ad infrangere le esistenti forme sociali.

Ma il compito dei comunisti è quello di indirizzare questa violenta reazione delle folle e dare ad essa una migliore efficienza. I comunisti – come già disse il Manifesto – meglio del restante proletariato conoscono le condizioni della lotta di classe e della emancipazione del proletariato; la critica che essi fanno della storia e della costituzione della società li pone in grado di costruire una previsione abbastanza esatta degli sviluppi del processo rivoluzionario. Perciò i comunisti costituiscono il partito politico di classe, che si propone l’unificazione delle forze proletarie, l’organizzazione del proletariato in classe dominante, attraverso la conquista rivoluzionaria del potere.

Quando la rivoluzione è prossima e i suoi presupposti sono maturi nella realtà della vita sociale, un forte partito comunista deve esistere, e particolarmente precisa deve essere la sua coscienza degli eventi che si preparano.

Gli organi rivoluzionari che all’indomani della caduta della borghesia esercitano il potere proletario e rappresentano le basi dello Stato rivoluzionario, in tanto sono tali, in quanto sono guidati da lavoratori coscienti della necessità della dittatura della propria classe, cioè da lavoratori comunisti. Ove così non fosse, questi organi cederebbero il potere conquistato e la controrivoluzione trionferebbe.

Ecco perché, se questi organi debbono sorgere, se i comunisti devono in un dato momento occuparsi della loro costituzione, non si deve credere che sia questo un mezzo per girare le posizione della borghesia e venire facilmente, automaticamente, a capo delle sue resistenze a cedere il potere.

I Soviet, organi di Stato del proletariato vittorioso, possono essere organi di lotta rivoluzionaria del proletariato quando ancora il capitalismo impera nello Stato?

Sì, nel senso però che essi possono costituire, ad un certo stadio, il terreno adatto per la lotta rivoluzionaria che il partito conduce. E in quel certo stadio il partito tende a formarsi un tale terreno, un tale inquadramento di forze.

Siamo oggi in Italia in questo stadio della lotta?

Noi pensiamo che ad esso siamo molto prossimi, ma che vi è uno stadio precedente da superare.

Il Partito comunista, che nei soviet dovrebbe agire, ancora non esiste. Noi non diciamo che i soviet, per sorgere, lo attenderanno: potrà darsi che gli avvenimenti si presentino altrimenti. Ma allora si delineerà questo grave pericolo: l’immaturità del partito lascerà cadere questi organismi nelle mani dei riformisti, dei complici della borghesia, dei siluratori o dei falsificatosi della rivoluzione.

E allora, noi pensiamo, è molto più urgente il problema di avere in Italia un vero Partito comunista, che quello di creare i Soviet.

Studiare entrambi i problemi, e porre le condizioni migliori per affrontarli entrambi senza indugio, può anche essere accettabile, ma senza mettere date fisse e schematiche ad una quasi ufficiale inaugurazione dei Soviet in Italia.

Determinare la formazione del partito veramente comunista vuol dire selezionare i comunisti dai riformasti e socialdemocratici.

Alcuni compagni pensano che la stessa proposta di formare i soviet possa offrire il terreno per questa selezione. Noi non lo crediamo – appunto perché il Soviet non è, secondo noi, un organo per essenza sua rivoluzionario.

In ogni modo, se il nascere dei Soviet deve essere fonte di chiarificazione politica, non vediamo come vi si possa arrivare sulla base di una intesa – come nel progetto Bombacci – tra riformisti, massimalisti, sindacalisti e anarchici!

Invece la creazione in Italia di un movimento rivoluzionario sano ed efficiente non sarà mai data dal mettere in primo piano nuovi organismi anticipati sulle forme avvenire, come i consigli di fabbrica o i Soviet – così come fu un’illusione quella di salvare dal riformismo lo spirito rivoluzionario trasportandolo nei sindacati visti come nucleo di una società avvenire.

La selezione non la realizzeremo con una nuova ricetta, che non farà paura a nessuno, bensì con l’abbandono definitivo di vecchie "ricette" di metodi perniciosi e fatali. Noi – per le ragioni ben note – pensiamo che questo metodo da abbandonare, per far sì che insieme ad esso possano essere respinti i non comunisti dalle nostre file, sia il metodo elettorale, e non vediamo altra via per la nascita di un Partito comunista degno di aderire a Mosca.

Lavoriamo in questo senso cominciando – come benissimo dice Niccolini – dall’elaborare una coscienza, una cultura politica, nei capi, attraverso uno studio più serio dei problemi della rivoluzione, meno frastornato dalle spurie attività elettorali, parlamentari e minimaliste. Lavoriamo in tal senso – ossia facciamo già propaganda per la conquista del potere, per la coscienza di ciò che sarà la rivoluzione, di ciò che saranno i suoi organi, di come veramente agiranno i Soviet – e avremo veramente lavorato per costituire i consigli del proletariato e conquistare in essi la dittatura rivoluzionaria che aprirà le vie luminose del comunismo.
 
 
 
 
 
 


Prendere la fabbrica o prendere il potere ?
 
(da “Il Soviet” n.7, 22 febbraio 1920)
 
 
Nelle agitazioni operaie degli ultimi giorni in Liguria si è verificato un fenomeno, che da un poco di tempo si ripete con qualche frequenza e che merita di essere rilevato come sintomo di uno speciale stato di spirito delle masse lavoratrici.

Gli operai anziché abbandonare il lavoro si sono, per così dire, impadroniti degli stabilimenti ed hanno cercato di farli funzionare per proprio conto o meglio senza la presenza dei dirigenti principali. Questo vuol dire prima di tutto che gli operai si accorgono che lo sciopero è un’arma che non risponde più tanto specialmente in certe condizioni.

Lo sciopero economico, attraverso il danno immediato dell’operaio stesso, esercita la sua utile azione difensiva per il lavoratore a causa del danno che la cessazione del lavoro arreca all’industriale per il fatto che diminuisce il prodotto del lavoro che a lui appartiene.

Ciò in condizioni normali dell’economia capitalistica, quando la concorrenza col relativo ribasso dei prezzi obbliga ad un continuo accrescimento della produzione stessa. Oggi i pescecani delle industrie, specie di quella metallurgica, escono da un periodo eccezionale, durante il quale hanno realizzato guadagni enormi col minimo fastidio. Durante la guerra lo Stato forniva loro materie prime e carbone ed era contemporaneamente l’unico e sicuro compratore; lo Stato stesso colla militarizzazione degli stabilimenti provvedeva alla rigorosa disciplina delle masse operaie. Quali condizioni più favorevoli per un comodo esercizio? Questa gente ora non è più disposta ad affrontare tutte le difficoltà provenienti dalla scarsezza del carbone e delle materie, della instabilità del mercato, delle irrequietezze delle masse operaie, specialmente non è disposta a contentarsi di guadagni modesti nelle proporzioni che realizzavano ordinariamente prima della guerra e forse anche in proporzioni minori.

Essa quindi non si preoccupa degli scioperi, anzi se ne compiace pur protestando a parole contro la incontentabilità eccessiva e le pretese assurde degli operai.

Ciò questi ultimi hanno compreso e colla loro azione di impossessarsi della fabbrica e continuare a lavorare anziché scioperare vogliono significare che essi non è che non vogliono lavorare, ma non vogliono lavorare come dicono i padroni. Essi non vogliono più lavorare per conto loro, non vogliono essere più sfruttati, vogliono lavorare per proprio conto ossia nell’interesse solo della maestranza.

Questo stato d’animo che si va facendo sempre più preciso deve essere tenuto in massimo conto, soltanto non vorremmo che esso fosse fuorviato da false valutazioni. Si è detto che dove esistevano i consigli di fabbrica, questi han funzionato assumendo la direzione degli opifici e facendo proseguire il lavoro.

Noi non vorremmo che dovesse entrare nelle masse operaie la convinzione che sviluppando la istituzione dei consigli sia possibile senz’altro di impadronirsi delle fabbriche e eliminare i capitalisti. Questa sarebbe la più dannosa delle illusioni. La fabbrica sarà conquistata dalla classe lavoratrice – e non solo dalla rispettiva maestranza, che sarebbe troppo lieve cosa e non comunista – soltanto dopo che la classe lavoratrice tutta si sarà impadronita del potere politico. Senza questa conquista a dissipare ogni illusione ci penseranno le guardie regie, i carabinieri ecc., cioè il meccanismo di oppressione e di forza di cui dispone la borghesia, il suo apparecchio politico di potere.

Questi vani continui conati della massa lavoratrice che si vanno quotidianamente esaurendo in piccoli sforzi debbono essere incanalati, fusi, organizzati in un grande unico complessivo sforzo che miri direttamente a colpire al cuore la borghesia nemica.

Questa funzione può solo e deve esercitare un partito comunista, il quale non ha e non deve avere altro compito, in questa ora, che quello di rivolgere tutte le sue attività per rendere sempre più coscienti le masse lavoratrici della necessità di questa grande azione politica, che è la sola via maestra per la quale esse assai più direttamente giungeranno al possesso di quella fabbrica, che invano essi si sforzeranno di conquistare procedendo diversamente.