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Terza Internazionale Comunista 5° Congresso - giugno-luglio 1924 |
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(Dal testo tedesco del Bollettino del V Congresso
dell’Internazionale
Comunista, nr.20 dell’8 luglio 1924)
Premessa
La premessa alla realizzazione delle finalità rivoluzionarie dell’Internazionale Comunista sono di natura oggettiva per quel che riguarda la situazione del regime capitalista e la fase di crisi che esso attraversa, e di natura soggettiva per quel che concerne la capacità della classe operaia di abbattere con la sua lotta il dominio della borghesia e di organizzare la propria dittatura mediante un’azione unitaria, cioè mediante la subordinazione di tutti gli interessi parziali di singoli gruppi all’interesse generale di tutto il proletariato e ai fini ultimi della rivoluzione.
Le premesse soggettive sono:
a) l’esistenza di Partiti comunisti che siano all’altezza
del compito di portare a termine la rivoluzione, che cioè abbiano una
chiara impostazione programmatica e un’organizzazione abbastanza solida
per realizzare l’unità di azione;
b) un’influenza dei Partiti comunisti sulle masse operaie e
sulle loro organizzazioni economiche abbastanza forte per assicurare al
Partito la direzione politica della classe proletaria.
Il problema della tattica consiste nella ricerca dei mezzi che
permettano
ai Partiti comunisti, in base alla situazione oggettiva e alla
direzione
in cui questa si svolge, di creare simultaneamente le premesse
soggettive
della rivoluzione.
Costituzione dei Partiti Comunisti e della Internazionale
La bancarotta della II Internazionale e la rivoluzione russa hanno dato l’avvio alla formazione dell’ideologia rivoluzionaria del proletariato e alla sua riorganizzazione politica nelle file dell’Internazionale Comunista.
Per realizzare il suo compito dell’affasciamento unitario di tutte le lotte del proletariato mondiale nei diversi paesi ai fini della rivoluzione internazionale, l’I.C. deve prima di tutto assicurare l’unitarietà del suo programma e della sua organizzazione. Tutte le sezioni e tutti i membri dell’Internazionale devono considerarsi vincolati dall’accettazione di principio del programma comune dell’Internazionale Comunista.
Eliminando ogni traccia ancora esistente del federalismo della vecchia Internazionale, l’I.C. deve assicurare il massimo di centralizzazione e di disciplina. Questo processo è tuttora in corso di sviluppo a causa delle difficoltà create dalla diversa situazione dei singoli paesi e delle tradizioni opportunistiche, e può essere portato innanzi efficacemente non già con l’impiego di mezzi meccanici, ma solo grazie a una reale unità di metodo, che ponga in primo piano i caratteri comuni dell’azione dell’avanguardia del proletariato in tutti i paesi.
Non si può ammettere che un gruppo politico qualsiasi sia accettato senz’altro nell’organizzazione rivoluzionaria internazionale sulla semplice base dell’accettazione di alcune tesi e della promessa di eseguire una serie di obblighi: al contrario, per giudicare se e in qual misura essi siano atti all’ammissione in seno all’I.C. bisogna tener conto del processo di sviluppo dei gruppi organizzati del movimento politico operaio (partiti e tendenze), dell’origine della loro ideologia e della loro esperienza pratica.
Le crisi disciplinari dell’I.C. mostrano due diversi lati dietro i
quali l’opportunismo tradizionale oggi si nasconde:
1) accettazione entusiastica delle norme in cui si condensa
l’esperienza
tattica dell’Internazionale Comunista, senza però comprendere il legame
inscindibile che unisce queste al fine rivoluzionario ultimo, e
interpretandone
le forme esteriori di impiego come un ritorno ai vecchi metodi
opportunistici,
svuotati di qualunque coscienza e volontà di raggiungere la meta
rivoluzionaria;
2) rifiuto di queste stesse norme tattiche in base ad una
critica
superficiale che le caratterizza, in riferimento al programma
rivoluzionario,
come rinunzia e rinculo.
In entrambi i casi si tratta di un’incomprensione totale dei rapporti
esistenti fra l’uso di questi mezzi e lo scopo finale comunista.
Per evitare i pericoli opportunistici e le crisi disciplinari, è
necessario
che il centralismo organizzativo dell’I.C. si basi su chiari e ben
precisi
deliberati in materia di tattica, sulla precisazione inequivocabile dei
metodi da impiegare.
Un’organizzazione politica, cioè un organismo fondato sull’adesione volontaria, può far fronte alle esigenze dell’azione centralizzata se tutti i suoi membri comprendono e accettano l’insieme dei metodi il cui impiego, in date situazioni, può essere ordinato dal Centro. La difesa del prestigio e dell’autorità del Centro, che non dispone di sanzioni materiali ma si basa su coefficienti di natura psicologica, esige necessariamente la massima chiarezza, precisione e continuità, sia del programma che dei metodi di lotta. In ciò e solo in ciò è la garanzia della nascita di un centro di azione efficace e unitaria del proletariato internazionale.
Un’organizzazione solida può erigersi soltanto sulla base di principi organizzativi stabili che, garantendo nei confronti di singoli iscritti la loro applicazione imparziale, riducano al minimo le ribellioni e diserzioni. Lo statuto organizzativo deve presentare il massimo di unità e di continuità possibile sia dal punto di vista dell’ideologia, che da quello dei principi tattici del partito.
Queste considerazioni, poggianti su una ricca esperienza acquisita
nella
fase di trapasso dell’Internazionale nel suo sviluppo da organizzazione
di Partiti comunisti a Partito comunista mondiale unico, esigono
categoricamente
un’unificazione delle norme organizzative e disciplinari come pure
l’eliminazione
di metodi organizzativi anormali. In questi metodi anormali rientrano:
la fusione di una sezione del I.C. con altre organizzazioni politiche;
il fatto che certe sezioni possano essere fondate sulla base non
dell’adesione
personale, ma dell’adesione collettiva di organismi operai; l’esistenza
di frazioni o gruppi organizzati di certe tendenze in seno al Partito;
il sistematico noyautage e l’infiltrazione in organizzazioni a
carattere
politico (e, a fortiori, a carattere militate). Nella misura in cui
l’I.C.
fa uso di metodi simili, si manifesteranno sistemi di federalismo e di
indisciplina.
Se lo sviluppo nel senso di eliminare simili anormalità dovesse
arrestarsi
o addirittura invertirsi, o se esse dovessero elevarsi a sistema, e le
norme tattiche fossero indebolite o presentate in forma indistinta,
allora
il pericolo di una ricaduta nell’opportunismo si delineerebbe in tutta
la sua gravità. In una tale situazione, si darebbe la possibilità che
delle frazioni di sinistra riprendano il proprio ruolo storico di
fattore
rivoluzionario come unica garanzia contro il revisionismo.
La conquista delle masse
Compito fondamentale dei Partiti comunisti è di conquistare
un’influenza
sempre più grande fra le masse. Per raggiungere questo scopo, essi
devono
utilizzare tutti i mezzi tattici che la situazione oggettiva rende
opportuni
e che contribuiscono ad allargare il campo di azione sia della loro
influenza
ideologica, sia delle organizzazioni in contatto diretto col Partito,
fra
i diversi strati proletari.
La conquista delle masse non può ottenersi con la semplice propaganda dell’ideologia del Partito e col semplice proselitismo, ma solo con la partecipazione a tutti i movimenti ai quali la situazione economica spinge il proletariato.
È necessario far comprendere ai proletari che, di per sé, questi movimenti non possono dare altro risultato effettivo che una maggiore esperienza, un rafforzamento dell’organizzazione, e la creazione di uno stato d’animo combattivo, suscettibili a loro volta di andare a vantaggio della lotta rivoluzionaria. Non solo queste lotte parziali non devono essere condannate e respinte ma è necessario appoggiarle e spronare ad esse gli operai sulla base della presentazione di una piattaforma di rivendicazioni immediate, affinché attraverso le lotte parziali si realizzi fra i lavoratori un’unità sempre più completa. Anche nei tempi di sviluppo normale del capitalismo, la lotta per le rivendicazioni economiche concrete del proletariato, sul terreno sindacale od altro, era per i partiti marxisti rivoluzionari una necessità assoluta. Anche rivendicazioni generali d’ordine sociale e politico possono e devono essere messe al servizio del lavoro rivoluzionario. Ma queste rivendicazioni non devono servire a concludere dei compromessi con la borghesia tali per cui il proletariato paghi determinate concessioni con la rinuncia all’indipendenza della propria organizzazione di classe e alla propaganda del programma e dei metodi rivoluzionari. Grazie alle azioni promosse per rivendicazioni parziali, il Partito comunista stabilisce un contatto con le masse e si guadagna nuovi aderenti. Completando con la sua propaganda le lezioni dell’esperienza pratica, esso si assicura simpatie e popolarità e crea intorno a sé una vasta rete di organismi, collegata da una parte agli strati più profondi della classe proletaria e dall’altra al Centro del Partito. In tal modo si realizza un disciplinamento unitario dell’interno della classe operaia.
Questo fine si raggiunge mediante un sistematico lavoro di gruppo nei sindacati, nelle cooperative e in tutti gli altri organi di difesa degli interessi di classe dei lavoratori. Una simile rete di forme di organizzazione deve sorgere intorno al Partito ovunque e ogni qual volta se ne presenti la possibilità: nel campo dell’azione armata e dell’azione militare, in quello dell’educazione e della cultura, in quello del lavoro fra i giovani e le donne, in quello della disgregazione dell’esercito ecc. Questa attività mira ad allargare l’influenza non solo ideologica ma organizzativa del Partito sulle masse operaie. Nel loro lavoro in seno ai sindacati, i comunisti si prefiggono quindi il maggior possibile allargamento della base di questi ed altri organismi analoghi; combattono ogni scissione e, là dove essa è già avvenuta, lottano per la riunificazione organizzativa, a condizione che in seno agli organismi riunificati sussista almeno la possibilità di un lavoro di propaganda e di creazione di gruppi comunisti. In casi particolari, quest’ultima attività può essere svolta in forme illegali e segrete.
I Partiti comunisti, conquistando la maggioranza degli iscritti ai
sindacati,
si prefiggono lo scopo, indispensabile per la realizzazione della
rivoluzione,
di prenderne la guida. Nello stesso tempo, essi si mantengono
disciplinati
alle decisioni dei sindacati e non esigono che negli statuti di questi
o di organismi analoghi sia espressamente sancito un diritto di
controllo
da parte del Partito.
Il fronte unico
L’offensiva capitalistica e il carattere particolare che questa assume
oggi rendono possibile l’impiego di manovre tattiche suscettibili di
rafforzare l’influenza dei Partiti comunisti sulle masse proletarie.
Su questo stato di fatto si basa la tattica del fronte unico.
Lo scopo dell’offensiva capitalistica è di distruggere le organizzazioni proletarie capaci di organizzare l’offensiva rivoluzionaria, e, in pari tempo, di aumentare lo sfruttamento del proletariato per ricostruire a sue spese l’economia capitalistica. Tale offensiva tocca perciò direttamente anche gli interessi di quei proletari che non si sono ancora risvegliati alla coscienza di classe e che non fanno ancora parte di un’organizzazione rivoluzionaria. Essa rappresenta un attacco anche contro quelle organizzazioni operaie che non hanno un programma rivoluzionario e che sono dirette da elementi opportunisti. La burocrazia di queste organizzazioni è chiaramente consapevole che l’accettazione della lotta, fosse anche una pura e semplice lotta difensiva, pone un problema rivoluzionario e implica la costituzione di un fronte comune di tutti gli operai contro la classe borghese e le sue istituzioni: essa quindi sabota anche la resistenza a puri scopi difensivi e rinuncia al suo illusorio programma di miglioramento graduale delle condizioni di vita della classe operaia.
Le condizioni fondamentali create dalla prima ondata rivoluzionaria del dopoguerra persistono oggi anche là dove si compiono esperimenti basati sui metodi della “sinistra” borghese. La tattica del fronte unico resta valida anche per la fase “pacifista” che oggi si profila nel quadro della generale crisi storica del capitalismo. Essa permette ai Partiti comunisti di trascinare con sé nella lotta una parte di quegli operai la cui coscienza politica non è ancora fortemente sviluppata, e offre loro la possibilità di incitare questi gruppi di proletari ad azioni comuni per rivendicazioni immediate e per la difesa dei loro interessi minacciati dall’offensiva capitalistica. A questo fine i comunisti propongono un’azione comune di tutte le forze proletarie, a qualunque organizzazione e tendenza appartengono.
Ma questa tattica non deve mai contraddire al compito – fondamentale dei Partiti comunisti – in vista del quale è stata decisa: la diffusione tra le masse della coscienza che solo il programma comunista e l’affasciamento organizzativo di tutte le forze nel Partito comunista e intorno ad esso possono condurre alla loro emancipazione.
La prospettiva che la tattica del fronte unico apre è di duplice
natura.
L’invito a formare il fronte unico servirà a una campagna contro il
programma e l’influenza delle altre organizzazioni proletarie nel caso
in cui queste respingano l’azione proposta dai comunisti. Il vantaggio
che ciò fornirebbe al partito comunista è evidente. Se invece si riesce
effettivamente a provocare un’azione alla quale partecipino tutte le
organizzazioni proletarie e l’intero proletariato, si avranno le
premesse
per un’assunzione della guida del movimento da parte del Partito
comunista
qualora la situazione generale renda possibile la lotta per un
obiettivo
rivoluzionario. Se ciò non è possibile, il Partito comunista, durante
le vicissitudini della lotta, durante i successi parziali ottenuti e
perfino
durante le sconfitte, qualora non sia possibile evitarle, deve fare di
tutto per convincere le masse che esso solo può condurre il
proletariato
alla vittoria. Se il Partito comunista ha già condotto in
precedenza
una campagna per date rivendicazioni, il cui conseguimento garantirebbe
il successo della lotta, esso potrà, essendosi battuto nelle primissime
file, diffondere nelle masse la convinzione che la vittoria è possibile
soltanto se è spezzato l’influsso dominante delle organizzazioni
non-comuniste.
La tattica del fronte unico è dunque, per il Partito comunista, un
mezzo
per conquistare il predominio ideologico e organizzativo fra le masse.
La spinta istintiva delle masse all’unità deve essere valorizzata,
se può servire ad applicare in modo vantaggioso la tattica del fronte
unico; deve essere combattuta se può condurre al risultato opposto.
Il grave problema della tattica del fronte unico ha quindi dei limiti oltre i quali la nostra azione sarebbe in contraddizione con i suoi veri fini. Questi limiti devono essere ben chiariti, sia per quanto riguarda il contenuto delle rivendicazioni e i mezzi di lotta proposti, sia per quanto riguarda la base organizzativa suggerita dal Partito comunista come piattaforma accettabile per tutte le forze proletarie. Le rivendicazioni che il Partito Comunista formula per il fronte unico devono essere di tale natura che non contraddicano ai programmi delle diverse organizzazioni alle quali si propone la coalizione. Esse devono poter essere realizzate con metodi di lotta che nessuno di queste organizzazioni respinge per principio. Solo in tal modo si può condurre un’efficace campagna contro le organizzazioni che respingono il fronte unico e, nel caso opposto, sfruttare a vantaggio dell’influenza comunista lo sviluppo dell’azione.
Vanno prese in considerazione tutte queste rivendicazioni che si possono realizzare mediante l’azione diretta del proletariato, come il mantenimento del livello esistente, dei salari, sia nell’industria che nell’agricoltura, la lotta contro i licenziamenti e la disoccupazione, la difesa pratica del diritto di coalizione e di agitazione.
Come mezzi di lotta si possono proporre tutti quelli che il partito comunista non esclude nelle sue azioni specifiche, cioè tutte le forme di propaganda, di agitazione e di lotta mediante la quale la classe operaia prende apertamente posizione contro il capitale.
Infine, la base del fronte unico deve essere costituita in modo tale che – se le altre organizzazioni proletarie non accettano la totalità delle proposte comuniste (che devono essere conosciute dalle masse), ma ciò malgrado partecipano ad un’azione comune del proletariato, anche se forse per servirsi ad altri scopi dei mezzi di lotta proposti dai comunisti, come per esempio lo sciopero generale – la responsabilità del falso orientamento della lotta e della sconfitta del proletariato possa da parte del Partito comunista essere scaricata su di loro.
I Partiti comunisti non possono quindi partecipare né ad organi raggruppanti diverse organizzazioni politiche che agiscano con continuità e portino la responsabilità collettiva del movimento, né a dichiarazioni politiche comuni, quando queste contraddicono anche in parte al programma comunista e siano presentate alle masse come risultato di trattative per la costituzione di una base di azione comune.
In particolare quando non si tratta di una temporanea polemica pubblica, mediante la quale le altre organizzazioni sono invitate all’azione comune nella sicura previsione del loro rifiuto, ma al contrario esiste la possibilità reale di creare un fronte comune di lotta, il centro di gravità della coalizione deve risiedere nello sfruttamento del legame con altre organizzazioni proletarie per la loro conquista dall’interno. Non solo i sindacati e altri organismi economici possono fornire la base di una simile azione; ma in una situazione rivoluzionaria avanzata è anche possibile che si possano sfruttare i Soviet in corso di costituzione per diramare attraverso ad essi la parola d’ordine della formazione generale dei Soviet.
Solo in questo modo la tattica del fronte unico può essere utilizzata vantaggiosamente anche nel caso di un’azione che, a causa dell’influenza degli opportunisti, termina con una vittoria incompleta o con una sconfitta della classe operaia.
Ogni interpretazione del fronte unico come coalizione fra le istanze
dirigenti dei partiti comunisti e di altri partiti cosiddetti operai
deve
essere respinta come opportunista. Il Partito comunista non deve mai
cessare,
non solo con la critica teorica, ma anche con l’eloquenza del suo
atteggiamento
politico e tattico, di mostrare che al di fuori di esso non esiste
alcun
altro partito della classe operaia, e che la socialdemocrazia di ogni
sfumatura
non rappresenta se non l’ala destra dell’esercito borghese. Dopo quanto
si è detto è chiaro che non si tratta di respingere per motivi
sentimentali
e morali il contatto con la persona dei capi opportunisti, ma di
combattere
il fronte unico “dall’alto” e di fare della tattica del fronte unico
la leva per scatenare lotte di massa veramente rivoluzionarie.
(Seguito delle Tesi, dai Bollettini in francese e in tedesco
confrontati)
Il governo operaio
Le rivendicazioni economiche immediate che interessano i proletari possono essere legate alla politica dello Stato.
Queste rivendicazioni dovranno essere formulate dal P.C. e proposte all’intera classe proletaria come obiettivo di un’azione comune tendente a costringere il governo a cadere sotto una pressione esterna. Quando il proletariato giunge a constatare che, per realizzare tali rivendicazioni, è necessario abbattere il governo esistente, il Partito deve poggiare su questa base la sua propaganda tendente al rovesciamento del potere borghese e all’instaurazione della dittatura del proletariato. Si tratta di un modo di agire simile a quello seguito quando gli operai constatano che le loro rivendicazioni economiche non sono conseguibili entro il quadro del regime capitalista. Se, per effetto dei rapporti delle forze sociali, il governo si trova in una situazione critica, il suo abbattimento non deve essere soltanto una parola d’ordine di propaganda, ma presentarsi come un obiettivo pratico accessibile all’azione delle masse. Tale parola d’ordine potrà essere formulata in modo da prevedere la possibilità del passaggio del potere politico dal governo esistente, che poggia su basi parlamentari, ad una organizzazione nascente dal proletariato che possa divenirne la rappresentanza, e dalla quale i ceti sociali non lavoratori siano, naturalmente, esclusi.
Una simile rivendicazione (“Tutto il potere ai Soviet, ai comitati di controllo, alle commissioni di unità sindacale”) può essere presentata agli operai di tutti i partiti e senza partito rappresentati in seno a tali organismi. Essa sarà appoggiata da tutti gli operai anche contro la volontà dei loro capi. Questa rivendicazione rientra nel compito politico specifico del Partito Comunista, in quanto la sua realizzazione implica la lotta rivoluzionaria e la distruzione della democrazia borghese. Il solo fatto di proporla trascinerà in questa via l’intera massa del proletariato. È anche opportuno che una tale parola d’ordine extraparlamentare sia agitata nello stesso parlamento o nel corso di una campagna elettorale.
Parlare del governo operaio come di un organo di coalizione fra
partiti
operai, senza indicare quale sarà la forma dell’organo rappresentativo
sul quale esso può fondarsi, significa non presentare agli operai una
rivendicazione comprensibile, ma lanciare una parola d’ordine che
confonde
i termini della preparazione ideologica e politica rivoluzionaria.
I partiti sono organi creati allo scopo di impadronirsi del potere.
Il governo operaio non può quindi comporsi di partiti che sono per la
conservazione degli istituti parlamentari della borghesia. Parlare di
governo
operaio dichiarando, o non escludendo, che esso possa sorgere per
effetto di una coalizione parlamentare alla quale il P.C. partecipi,
significa
negare in pratica il programma politico comunista, cioè la necessità
della preparazione delle masse alla lotta per la dittatura.
La situazione politica mondiale è di natura tale da far prevedere
non la formazione di un governo transitorio fra il regime parlamentare
borghese e la dittatura proletaria, ma piuttosto quella di un governo
di
coalizione borghese che condurrà con estrema energia la difesa
controrivoluzionaria
anche con la collaborazione dei socialdemocratici, senza attenuarla o
facendola
procedere parallelamente alla tattica menzognera delle apparenti
concessioni
“di sinistra”. Se dovessero esservi dei governi di transizione,
sarebbe una necessità di principio per il P.C. di lasciare ai
socialdemocratici
la responsabilità di dirigerli, finché sorgeranno sulla base delle
istituzioni
borghesi. Solo così il P.C. potrà consacrarsi alla preparazione della
conquista rivoluzionaria del potere.
È per questo motivo che la parola d’ordine di agitazione del governo operaio come sinonimo di dittatura del proletariato deve essere respinta.
Quando organi capaci di prendere il potere politico nel corso del
loro
sviluppo non sono ancora sorti e non se ne può ancora dare la parola
d’ordine,
la parola del Partito Comunista sulla questione del potere e dello
Stato
può essere soltanto la dittatura del proletariato.
Rapporti con i contadini
La tattica del fronte unico deve naturalmente essere estesa al problema dei rapporti con la classe contadina, problema che è stato sistemato in linea di principio dalle tesi del II Congresso, ma che in pratica è ben lungi dall’essere stato risolto da tutti i partiti comunisti.
Nelle rivendicazioni collegate alla tattica del fronte unico rientrano quindi anche quelle non solo della difesa dei salari dei lavoratori agricoli, ma della difesa dei piccoli agricoltori e affittuari contro i grandi proprietari fondiari, della protezione del piccolo coltivatore diretto contro lo sfruttamento e l’espropriazione ad opera della grande proprietà e contro il peso delle imposte. Gli organi del fronte unico devono essere di tale natura da potersi formare non soltanto nei centri industriali urbani, ma anche nelle borgate rurali e nelle campagne. Perciò il P.C., dopo di aver esteso la propria organizzazione e propaganda politica nelle campagne, farà tutto il possibile per contribuire alla formazione di organizzazioni economiche dei contadini, nelle quali un’intensa opera di noyautage. Devono essere anche compiuti degli sforzi per volgere la tendenza alla formazione di “partiti dei contadini” (cioè dei piccoli proprietari che coltivano la loro terra) verso la costituzione di organismi di difesa “sindacale”, che è il solo modo per evitare il controllo di tale organizzazione da parte dei grandi proprietari terrieri e dei loro arnesi politici nei piccoli centri rurali, e di guadagnare all’influenza comunista il movimento.
Le rivendicazioni comuniste concernenti il passaggio del potere agli
organi proletari devono precisare in modo che non ammetta dubbi che in
essi saranno rappresentati anche i contadini, senza che tuttavia
l’agitazione
e la politica del Partito dimentichino mai di mettere in rilievo il
ruolo
dirigente della classe operaia propriamente detta nella rivoluzione. La
parola d’ordine dovrà essere, per esempio: “Tutto il potere ai consigli
dei lavoratori e dei contadini poveri”.
Conquista dei lavoratori non organizzati
L’esistenza di organizzazioni economiche fiorenti è una buona base
per l’opera di preparazione rivoluzionaria delle masse. La crescente
disgregazione dell’economia capitalistica ha creato, dal punto di vista
oggettivo,
delle premesse rivoluzionarie; ma poiché, nel momento in cui, dopo
l’apparente
prosperità degli anni postbellici, la crisi si è profilata in tutta la
sua
gravità, la capacità di lotta del proletariato si è rivelata
insufficiente,
assistiamo oggi a un abbandono in massa dei sindacati e di
organizzazioni
analoghe in molti paesi, mentre in altri si può prevedere che lo stesso
fenomeno non tarderà a prodursi.
Per tali ragioni, malgrado l’aggravarsi della miseria e del malcontento, la preparazione rivoluzionaria delle masse lavoratrici risulta difficile. Il problema di organizzare intorno al partito i disoccupati e quegli elementi proletari la cui esistenza è resa precaria dalla paralisi dell’apparato produttivo passa sempre più in primo piano, ed è anzi probabile che, in un avvenire non lontano, assuma un’importanza anche maggiore del problema della conquista degli operai che seguono altri partiti per l’intermediario delle organizzazioni economiche da questi dirette – problema che fa appunto l’oggetto della tattica del fronte unico.
Bisogna ammettere che, poiché l’intensità dell’azione controrivoluzionaria unificata di tutte le forze borghesi, che si accompagna allo sfacelo economico, saranno proprio le organizzazioni economiche proletarie non comuniste quelle che più rapidamente si vuoteranno. I termini del problema della conquista delle masse prenderanno quindi un aspetto diverso. Bisognerà prevedere la creazione di una nuova forma di organizzazione degli interessi proletari, l’opera rivoluzionaria dovendo sempre poggiare su fatti obiettivi. Nella situazione presente è compito dei partiti comunisti di riunire intorno ai comitati e altri organi del fronte unico gli strati proletari senza lavoro e senza organizzazione dando loro una forma di rappresentanza conveniente. Il P.C. dovrà essere il centro della lotta e della ripresa proletaria contro la reazione capitalista centralizzata. Esso deve affasciare in un unico fronte di lotta quel proletariato che la burocrazia riformista ha frantumato e abbandonato a sé stesso.
Questa prospettiva non è in contraddizione con il delinearsi
di una èra di “pacifismo” e di politica borghese “di sinistra”,
cui sembrano preludere gli avvenimenti in Inghilterra, in Francia e in
altri Paesi, e che non deve indurre i comunisti a farsi illusioni circa
la possibilità di sfruttamento di una libertà di organizzazione e di
agitazione in seno ai sindacati e organizzazioni analoghe, che tutta la
situazione mette in pericolo.
(Dal Protokoll tedesco)
Ricordo di aver letto in Italia l’articolo del comp. Lenin ricordato l’altro ieri da Zinoviev, e prometto di rileggerlo ancora. Ma so che le parole di Lenin non possono in nessun caso essere applicate alla posizione della sinistra del P.C.d’I., poiché questa ha sempre combattuto con asprezza la fraseologia di estrema sinistra, tanto che più che ciò si rendeva necessario per rompere con uno degli aspetti più deplorevoli e nocivi del vecchio movimento rivoluzionario in Italia. Noi respingiamo nello stesso modo i tentativi fatti in certi ambienti di identificarci con i movimenti e le tendenze che Lenin combatté nel suo interessantissimo scritto “L’Estremismo, malattia d’infanzia del comunismo”, libro che, come può costatare chiunque l’abbia letto e conosca il nostro pensiero sulle questioni tattiche più importanti, non fornisce nessun argomento contro le nostre opinioni. Non farò qui nessun accenno alla questione italiana, ma solleverò alcuni problemi da cui derivano le divergenze di vedute che esistono fra noi e il Comintern.
Premetto che tutta la nostra attitudine dalla nascita del PC è stata determinata dalla preoccupazione di tagliare una volta per sempre i ponti con i capi opportunisti e centristi e di sorvegliare con la più grande attenzione che la peste dell’opportunismo e del centrismo non si infiltrasse nei ranghi del nostro partito e per conseguenza nell’Internazionale Comunista.
È chiaro che abbiamo cercato e cerchiamo oggi di portare questa concezione, al di fuori del nostro partito, nella stessa Internazionale, e che, in base alle esperienze della politica mondiale, sottolineiamo come esse confermino quanto le nostre preoccupazioni fossero giustificate. Si ripete continuamente la frase stereotipata: esiste una sinistra italiana malata di settarismo, che soffre di astrattismo e di tendenza ad elaborare delle formule astratte; esiste un gruppo di compagni perseguitati dalla mania della critica o affetti da un marxismo semiletterario. Noi affermiamo che, in tutto il nostro lavoro, non v’è traccia di alcuna malattia di questo genere e che, tutt’al più, ci si può accusare di voler precisare le regole tattiche nelle loro linee fondamentali, ciò che è precisamente il contrario dell’accusa che ci viene fatta.
Ancora recentemente, si è messa in circolazione la voce che Bordiga redigeva la rivista “Prometeo” allo scopo di organizzare intorno ad essa un movimento di opposizione alla tattica del Comintern. Si è arrivati fino a dire che questa rivista pubblicava degli articoli di Bordiga ispirati ora a filosofie idealistiche, ora alla filosofia nietzschiana. Tutto ciò è semplicemente ridicolo, e mostra come certi compagni conoscano poco il nostro pensiero, e non abbiano mai letto la rivista in questione. Aggiungo che “Prometeo” non è redatto da Bordiga e si trova sotto il più severo controllo del C.E. del Partito Comunista d’Italia.
Noi avremmo desiderato che la discussione sulla tattica generale fosse separata da quella sulla relazione dell’Esecutivo del Comintern. Una discussione sulla tattica generale darebbe una maggior libertà di giudizio e di critica ai delegati che d’altra parte intendano approvare la relazione sul lavoro dell’Esecutivo dell’IC dopo il IV Congresso. Al IV Congresso, noi ci siamo particolarmente battuti sulla questione italiana, che è ancora viva al V, e il comp. Zinoviev ci fa prevedere che lo sarà, press’a poco negli stessi termini, anche al VI. Ma la questione italiana, come generalmente quasi tutte le questioni che si agitano nei diversi partiti dell’I.C., è il risultato delle divergenze sulla tattica generale del Comintern e sulle sue applicazioni particolari. Noi dobbiamo perciò mescolare talvolta la questione generale con le questioni particolari, a causa del loro stesso legame.
La questione del partito di massa
Noi respingemmo l’interpretazione data dall’Esecutivo Allargato del mese di febbraio 1922 alle tesi di Roma, perché questa interpretazione (dovuta, credo, al comp. Radek) non è l’interpretazione esatta che deve dare chiunque legga il testo originale delle tesi di Roma, che dice precisamente così: «Non si può esigere che ad una data epoca e alla vigilia di intraprendere azioni generali il partito debba aver realizzata la condizione di inquadrare sotto la sua direzione o addirittura nelle proprie file la maggioranza del proletariato. Un simile postulato non può essere aprioristicamente affacciato prescindendo dal reale svolgimento dialettico del processo di sviluppo del partito e non ha alcun senso nemmeno astratto il confrontare il numero dei proletari inquadrati nell’organizzazione disciplinata ed unitaria del partito, o al seguito di esso, col numero di quelli disorganizzati e dispersi o accodati ad organismi corporativi non capaci di collegamento organico».
Può dirsi che questa è una concezione anticomunista? Voi comprendete, compagni, che questa non è una questione accademica; giacché precisare esattamente il concetto del partito di massa vuol dire dare al lavoro dell’Internazionale e delle sue sezioni un modo o un altro di applicazione, e in effetti, l’interpretazione opportunista della concezione del partito di massa, come voi sapete, non è mancata.
Le nostre tesi volevano formulare questo punto con una precisazione tale che escludesse ogni dubbio. La nostra attività pratica, malgrado le accuse del Comintern e di certi elementi del nostro partito, non offre seri elementi per dimostrare che noi abbiamo una mentalità settaria e putschista. Noi abbiamo sempre combattuto lo spirito putschista, e non ci meravigliamo di vederlo ora rifugiato in certe tendenze della destra del Comintern.
Il fronte unico
Noi crediamo di aver dato una delle prime applicazioni del fronte unico dal basso. Tutta la nostra azione dopo l’agosto 1921 è stata rivolta a sviluppare la parola del fronte unico dal basso. Noi abbiamo seguito con attenzione le non numerose applicazioni pratiche del fronte unico degli altri paesi, e non ci consta che il Comintern abbia condannato l’interpretazione e l’applicazione del fronte unico dall’alto.
Oggi sembra che lo si condanni perché l’esperienza ha dimostrato i pericoli e le debolezze di una tattica poco chiara. Ma è necessario, e noi lo reclamiamo formalmente, che si dica in qual modo si voglia applicare questa tattica, perché altrimenti non si sarà in grado di condannare un partito che, di propria iniziativa e per l’attività di propaganda nel proprio paese, abbia scelto un modo di applicazione del fronte unico da esso ritenuto giusto. Noi vorremmo stabilire che il P.C.d’I. non può essere contro la tattica del fronte unico, e le divergenze che si manifestano nel suo seno a tal proposito sono le stesse che si manifestano in seno all’I.C. fra gli elementi opportunisti, accomodanti e talvolta liquidatori, e gli elementi che si preoccupano di tener alto il livello rivoluzionario del partito e delle masse e di salvaguardare l’autonomia del P.C. Il partito comunista deve mantenere la sua libertà di manovra e indicare alle masse una linea di condotta chiara, semplice, elementare.
Il governo operaio
Il comp. Zinoviev ha dichiarato che l’Esecutivo dell’I.C. ha talvolta commesso degli errori nella interpretazione di questa parola d’ordine, e ne ha dato una parte della colpa al comp. Radek, il quale, mi sembra, l’ha accolta di buon grado. Ma su questa questione non è stata detta nessuna parola chiara e definitiva. Il comp. Zinoviev è tornato alla prima definizione, e ha detto che il governo operaio è sinonimo di dittatura proletaria. Se la parola d’ordine è una traduzione elementare di quella della dittatura del proletariato, noi possiamo accettarla, come l’abbiamo già accettata all’Esecutivo del giugno ’22, poiché le parole non ci spaventano. Ma bisogna aggiungere che, in concreto, la parola d’ordine del governo operaio non può essere che quella della presa di possesso violenta, diretta e successiva ad un attacco frontale, del potere politico da parte del proletariato. Bisogna precisare esattamente il senso pratico di questa parola d’ordine per evitare i gravi errori e gli equivoci ai quali ha dato fin qui luogo. Se ci si priva di una precisazione in questo senso, noi preferiamo abbandonare questa parola d’ordine, perché, facendo il bilancio dei vantaggi e dei danni che ci dà, questi superano quelli.
Sviluppo del partito comunista
L’atteggiamento preso dalla sinistra italiana di fronte alla questione dei rapporti fra il P.C. e il partito massimalista è causato dal modo di intendere il processo di accrescimento del partito comunista. Questo processo non è solo organizzativo, ma anche politico. Ma, se si ammette che la formazione di un partito comunista è avvenuta e ancor oggi avviene in seguito a veri e propri spostamenti e mutamenti della situazione della lotta di classe, in cui i socialdemocratici e i centristi appoggiano più o meno direttamente la borghesia, allora questo deve essere vero una volta per sempre, e ciò nel senso che, al di fuori di una situazione di lotta nella quale i comunisti possano trovarsi a spalla a spalla con frazioni operaie dei partiti socialisti opportunisti e, nel corso della lotta, si possa verificare una fusione in unità organizzativa con tali frazioni, i tentativi di costituire delle frazioni nei partiti socialisti, organizzate e direttamente controllate dall’Esecutivo dell’I.C., devono essere abbandonati e condannati. L’esistenza di queste frazioni, che per la loro posizione sono delle frazioni di destra nell’I.C., ostacola il processo normale di vita e di sviluppo dei partiti comunisti come organizzazioni unitarie della classe operaia, e favorisce il consolidamento di quelle correnti dei partiti comunisti che non possiedono un concetto del fronte unico chiaro come il nostro, per cui esso non significa niente di più che l’unità della massa operaia sotto l’unitaria guida del Partito Comunista.
Come sfruttare le differenti situazioni
Il comp. Zinoviev ha citato un brano di uno dei miei articoli, che dovrebbe confermare la nostra inguaribile testardaggine nel ripetere gli errori teorici. La versione esatta e completa del brano è la seguente:
«Le tesi di Roma affermavano che una tattica comunista dà al partito il mezzo per risolvere le situazioni che si presentano. Invece una tattica non-comunista è quella che attende dalle situazioni le indicazioni e le suggestioni per la scelta dei metodi tattici. Non si tratta di evitare di sfruttare le situazioni: si tratta di sfruttare le situazioni con un metodo tattico prefissato, al quale le situazioni danno il contenuto, le indicazioni immediate e pratiche, le parole d’ordine ecc.». Con questa concezione si è voluto richiamare il Comintern alla necessità di condannare l’eclettismo tattico, caratterizzato talvolta da un machiavellismo semplicista come, a nostro avviso, è avvenuto quando si credette utile lasciare che le interpretazioni opportuniste della parola d’ordine del governo operaio avessero libero corso; quando si pensò che per raggiungere più presto le grandi masse e distruggere i partiti centristi, convenisse ora “assorbire” questi ed ora combatterli, ora adularne i capi ed ora bollarli a fuoco, usando indifferentemente l’uno e l’altro mezzo, e qualche volta usandoli simultaneamente.
A questo proposito ci si ricorda la lezione di Lenin sulla flessibilità della manovra rivoluzionaria, sui compromessi ecc. La flessibilità tattica, quella che certuni chiamano “l’opportunismo di Lenin”, non è che la tattica agile e ardita del grande condottiero che ha ben fisso davanti agli occhi lo scopo e che possiede il genio dell’intuizione. Ma c’è il pericolo che mille piccoli Lenin sorgano alla periferia dell’I.C., e impugnino l’arma del compromesso di Lenin, un’arma che Lenin sapeva e poteva manovrare, ma che nelle mani di costoro può preparare la disfatta della rivoluzione proletaria.
Compagni, è abitudine della tattica politica quella di vedere o d’immaginare la nascita simultanea del pericolo di destra e di un sedicente pericolo di sinistra. Noi escludiamo che in questo momento esista nell’I.C. un pericolo di sinistra, oppure, come si dice nella versione peggiore, una tendenza liquidatrice di sinistra. Tutti gli errori commessi dopo il IV Congresso sono degli errori di destra. La tattica consistente nel battere contemporaneamente a destra e a sinistra è la più facile, ma non sempre la più logica. Nella sinistra che noi rappresentiamo, non esistono dei putschisti impazienti, non esiste il dottrinarismo nebuloso e vano, ma v’è il senso della difesa della nostra Internazionale come organismo rivoluzionario attivo e operante.
Il pericolo attuale è caratterizzato dalla stabilizzazione economica, come ci ha spiegato il comp. Varga. Questo pericolo coincide politicamente con la costituzione di governi radicali e socialdemocratici, e rappresenta una pausa nell’urto rivoluzionario fra le classi, pausa che contiene in sé le ragioni della nuova ondata rivoluzionaria, ma che è facilmente sfruttabile dalla borghesia e dalla socialdemocrazia per strappare gli operai al partito della rivoluzione. Un simile periodo è abbastanza difficile per noi. Noi pensiamo che esso sia relativamente più difficile di un periodo di lotta armata, perché durante questo periodo, in certi capi comunisti, sorgono tendenze liquidatrici e di fraternizzazione con i nemici opportunisti e centristi sul fronte della lotta di classe. Bisogna che il partito abbia una tattica che lo distingue sempre dagli altri partiti proletari o sedicenti tali, e che nel suo interno esista un rigore disciplinare e di organizzazione che permetta il controllo sui gregari e sui capi. Il partito deve pure darsi un’educazione veramente marxista e comunista, non soltanto in ciò che concerne la preparazione intellettuale dei militanti, ma anche per ciò che riguarda la loro posizione ideologica. Ma perché questo controllo e questa centralizzazione non appaiano come un inutile rigore, è necessario che l’I.C. stabilisca in modo esatto e non solo generale la sua linea tattica e condanni ogni tendenza di destra, senza creare artificiosamente e per scopi manovrieri un inesistente pericolo di sinistra. Nell’I.C. un pericolo di sinistra non può esistere se l’I.C. rimarrà il movimento di sinistra del proletariato mondiale. Quest’organizzazione comunista centralizzata, cioè il P.C. mondiale, avrà da risolvere meno questioni personali e locali se le linee tattiche non saranno più vaghe e imprecise, e se ognuno le conoscerà bene. Abbiamo seguito la crisi del P.C. tedesco, ricca di esperienze e di lezioni, e dichiariamo che in molti punti importanti esistono diversità di vedute fra noi e la sinistra tedesca che oggi gode la fiducia della stragrande maggioranza del partito. Tuttavia, noi facciamo nostre certe parti della critica che i compagni tedeschi hanno mosso alla situazione più recente, perché esse coincidono con le nostre e noi ci auguriamo che i compagni della sinistra tedesca sappiano dare all’eroico proletariato di Germania, al quale esprimiamo tutta la nostra entusiastica solidarietà, una solida direzione comunista.
Compagni, noi vogliamo che questa esperienza sia valorizzata a fondo; essa mostra che molte delle nostre osservazioni critiche erano giuste; e che, se a suo tempo esse potevano essere giudicate come critiche astratte, oggi – come nessuno può negare – sono state confermate dai fatti.
Nel partito comunista mondiale, che avrà definito in linee semplici,
elementari, logiche, la sua condotta, il dilemma che il comp. Zinoviev
ha posto e che il comp. Treint ha con eccessiva facilità ripetuto: o
Bordiga
o l’Internazionale, non si porrà mai. In un tale partito, i militanti
non si troveranno mai di fronte a un simile dilemma.
(Riproduzione semi-integrale nel nr 7-8 1924 di "Lo Stato Operaio").
Compagni, vi prego anzitutto di volermi scusare perché sono arrivato
solo questa mattina e partecipo a una discussione così importante in
condizioni
un po’ speciali. Procurerò di essere breve.
Sul carattere del rapporto di Zinoviev e della discussione
Prima di tutto alcune parole sul carattere del rapporto del compagno Zinoviev e del punto dell’ordine del giorno che il Congresso presentemente discute. Noi discutiamo un rapporto sull’attività e sulla tattica del Comitato Esecutivo del Comintern nel periodo che va dal IV al V Congresso mondiale. Evidentemente, non discutiamo la questione generale della tattica del Comintern. Io penso invece che in questo Congresso una discussione generale sulla tattica era necessaria e mi rimetto alla storia di questa questione davanti ai precedenti congressi mondiali.
Il terzo Congresso, è vero, ha molto discusso sulla tattica e ha adottato le tesi che tutti conosciamo. Ma in queste tesi non si parla ancora, almeno in modo formale, delle questioni che in seguito sono divenute le più importanti: per esempio del fronte unico e del governo operaio. Abbiamo avuto, dopo il III Congresso, delle sezioni dell’Esecutivo Allargato che si sono occupate della questione della tattica. Ma le sezioni dell’Esecutivo Allargato non sono dei congressi mondiali e il quarto congresso doveva in certo modo ratificare il lavoro di queste riunioni e codificare nelle sue tesi, le direttive tattiche dell’Internazionale Comunista.
La questione era all’ordine del giorno: essa venne trattata in rapporto del compagno Zinoviev parallelo a quello sull’attività dell’esecutivo. Si presentò pure al Congresso un progetto di tesi sulla tattica preparato dallo stesso comp. Zinoviev, ed è vero che questo progetto di tesi fu adottato alla fine del Congresso, ma la commissione che doveva incaricarsi del problema e che, se ricordo bene, era composta del presidium più alcuni membri delle delegazioni più importanti, non vi poté lavorare. Essa non si riunì che negli ultimi giorni, e solo in quegli ultimi momenti io potei presentare un progetto di tesi che era opposto a quello del compagno Zinoviev, e di cui il Congresso non poté prendere conoscenza.
Eravamo, ho detto negli ultimi momenti ed io non potei insistere. Si adottò un progetto di tesi sulla questione tattica, ma non si ebbe, come al III Congresso, una vera discussione sulla tattica. Attualmente questa discussione sarebbe necessaria. Ma noi ci troviamo di fronte ad una discussione d’ordine tutt’affatto diverso, perché una cosa è discutere sulla linea tattica dell’Internazionale in generale, e un’altra è discutere soltanto sulla tattica che l’Internazionale ha applicato nel periodo compreso fra l’ultimo Congresso e il Congresso presente e trarne delle conseguenze che hanno un valore momentaneo, transitorio, senza pervenire a conclusioni generali sulle questioni che dall’Internazionale non sono ancora decise.
(LOSOVSKI: Le due questioni vengono discusse insieme).
Naturalmente, ma non siamo di fronte a un progetto di tesi tattiche ben chiare e nette. Abbiamo le tesi tattiche del IV Congresso, che devono essere modificate, perché tutti sono d’accordo che devono essere modificate e lo stesso compagno Zinoviev lo ha riconosciuto; ma non abbiamo una discussione proporzionata a questo compito.
Un’altra osservazione mi permetto di fare sul dibattito e su tutte le discussioni di quest’ordine che qui si fanno, e che costituiscono la fase più importante del Congresso mondiale. Noi dovremmo discutere sull’attività e la tattica dell’Internazionale tutta intera, sul rapporto sull’opera del suo organo supremo, l’Esecutivo, fra i due congressi. Si dovrebbe sottomettere a un esame molto attento l’attività, l’opera del centro direttivo dell’Internazionale. In realtà noi vediamo che non si fa qui il processo al Comitato Esecutivo, ma è sempre il Comitato Esecutivo che fa il processo ad ogni partito, ad ogni sezione (Applausi, ilarità).
E ogni oratore che viene a portare nel Congresso il contributo di un
partito aderente al Comintern a questa discussione internazionale,
quasi
sempre si preoccupa soltanto delle questioni del suo partito, risponde
soltanto a ciò che il compagno Zinoviev ha potuto dire sulle questioni
del suo partito, resta nei ristretti confini dei suoi affari nazionali.
Non ci troviamo quindi in presenza di discussioni e risoluzioni che
abbiano
un vero carattere internazionale e sulle quali la massa dei militanti
del
Comintern, attraverso la voce dei delegati, debba pronunciarsi
giudicando
l’opera e l’attività del centro dirigente nel periodo in esame.
Sulla situazione mondiale e sulla sua valutazione
Fatte queste riserve, tengo a dire alcune parole sulle questioni più importanti di cui il compagno Zinoviev ha parlato, e che hanno formato l’oggetto della discussione.
Il compagno Zinoviev ci ha fatto un rapido quadro della situazione mondiale, sul quale in linea generale si è completamente d’accordo. Egli ci ha detto: al IV Congresso avevano previsto che un’era d’illusioni pacifiste era possibile; adesso vediamo che dei governi borghesi di sinistra, talora con la partecipazione dei socialdemocratici, si sono formati in paesi importantissimi; ci troviamo in presenza di un periodo in cui la borghesia fa una politica del tutto liberale, democratica; e in un certo senso siamo condotti a stabilire un confronto con la politica reazionaria e fascista della borghesia che, or sono due anni sembrava all’ordine del giorno e che fornì la base del quadro della situazione che c’eravamo formati al III Congresso, quando prendemmo atto della grande offensiva del capitale.
Ora, io sono d’accordo che, momentaneamente, la situazione sembra orientarsi verso una politica borghese di sinistra, ma non trovo che ciò significhi – e penso che il compagno Zinoviev sia d’accordo – che l’offensiva del capitale sia cessata o abbia rallentato. L’offensiva del Capitale può servirsi di metodi diversissimi. C’è un metodo di destra, ed è la reazione aperta, lo stato d’assedio, il terrore contro il movimento operaio. Vi sono dei metodi di sinistra, e sono la menzogna democratica e l’illusione della collaborazione di classe. Ma questi due metodi mirano allo stesso scopo e non è necessario pensare che debbano esservi dei periodi storici nettamente separati, nei quali tutta la borghesia mondiale o una parte di essa si serve delle armi o di destra o di sinistra.
Lo stesso relatore prevede che questa èra di pacifismo possa dar luogo in un periodo abbastanza prossimo ad un’èra di reazione fascista. Io penso che noi marciamo verso una sintesi dei due metodi.
Il giudizio sulla crisi del capitalismo che ci aveva condotto nei precedenti congressi a costatare che la borghesia, per mantenere il suo potere, era costretta a lanciarsi in un’offensiva violenta contro la classe operaia, resta oggi immutato. L’offensiva della borghesia continua e là dove essa prende il carattere di fascismo (credo che avremo il tempo di parlare del fascismo in altri punti dell’ordine del giorno), essa non differisce molto dalla diagnosi che il compagno Zinoviev ci ha fatto della politica di un terzo partito borghese, la politica della mobilitazione dell’aristocrazia operaia e di certi strati contadini e piccolo borghesi nell’interesse della borghesia. Ebbene, nel fondo, il fascismo non è altra cosa. Il fascismo non è più il semplice reazionarismo tradizionale dello stato d’assedio, del terrore, è un movimento ben più moderno, più astuto, più sperimentato e che tende appunto a trovare appoggio fra certi strati della massa. Esso può difficilmente raggiungere la massa dei lavoratori industriali, ma, nel primo periodo della sua attività, in altri strati, sfruttando l’ideologia nazional - piccolo borghese, esso giunge a creare una mobilitazione analoga alla mobilitazione socialdemocratica nell’interesse della conservazione borghese. Noi dobbiamo attenderci che i due metodi dell’offensiva borghese si sintetizzano e che i socialdemocratici e i fascisti insieme conducano un’offensiva violenta contro il movimento rivoluzionario, si coalizzino, come l’avversario definitivo contro il quale il comunismo mondiale dovrà battersi.
Quali conseguenze si devono trarre da ciò? Quando siamo in presenza di un periodo di politica democratica e liberale della borghesia, allora siamo d’accordo che si verifica il pericolo di certe illusioni pacifiche e collaborazionistiche in seno ai nostri partiti; ma questo si verifica pure nella situazione della reazione fascista. È perciò che si è condotti a trarre dall’esame della situazione oggettiva non le conclusioni perfettamente marxiste che Lenin trasse al III Congresso, ma delle conclusioni molto più banali e semplicistiche. Vale a dire: la borghesia sferra col movimento fascista un’offensiva contro di noi; il momento è venuto in cui dobbiamo rispondere a questo sforzo di coalizione tra le forze borghesi e certe forze mezzo borghesi con una coalizione di partiti non fascisti, con una coalizione dei partiti comunisti con i partiti socialdemocratici, e forse con certi partiti piccolo borghesi e contadini. Ecco la risposta falsa. Il III Congresso non ha chiesto che si risponda alla situazione dell’offensiva mondiale con questo espediente banale, proprio della II Internazionale: la coalizione del partito rivoluzionario con i partiti sedicenti proletari che, di fatto, non sono che la sinistra borghese.
Si tratta di ben altro. Si tratta di attirare la nostra attenzione di marxisti sui problemi concernenti le condizioni immediate e materiali di vita del proletariato, problemi che sono sollevati dall’offensiva del capitale. Si tratta di costatare che l’opera dei partiti comunisti – e su questo siamo completamente d’accordo – non consiste soltanto nel far propaganda del nostro programma massimo, della nostra ideologia marxista, ma nello studiare e seguire tutti gli episodi particolari della vita operaia, nel partecipare a tutte le lotte sollevate dagli interessi immediati della classe operaia, considerata questa lotta come il terreno sul quale il partito comunista insegna al proletariato a combattere, e lo conduce verso lo sviluppo rivoluzionario della sua lotta.
Per ottenere ciò noi abbiamo il dovere e la possibilità di fare
appello
anche agli operai che non hanno ancora compreso la nostra ideologia
politica,
che non militano nel nostro partito, che militano in altri partiti;
possiamo
invocare il fronte unico della classe operaia, possiamo riferirci a
quest’unità
di azione della classe operaia. Ma questo non significa la coalizione
banale
col partito socialista o con i partiti socialdemocratici che abbiamo
qualificato
come traditori e che continuiamo a denunciare come responsabili della
situazione
che il proletariato oggi attraversa. Si tratta di due cose del tutto
differenti.
Il fronte unico
Ed è nel primo senso che noi abbiamo sempre dichiarato di accettare la tattica del fronte unico, e che ci siamo sforzati di applicarla nel nostro paese.
Qui è stata portata una formula: essa è abbastanza accettabile. Una formula è l’insieme di pochissime parole, è quasi una convenzione ed è perciò quasi sempre accettabile, a condizione di intenderci, di stabilire ben chiaramente ciò che si vuole indicare con essa.
La formula portata qui è quella del fronte unico dal basso e non dall’alto. È una formula abbastanza buona: il fronte unico dei lavoratori, della classe operaia tutta intera, non la coalizione dello stato maggiore del partito comunista con quelli degli altri partiti sedicenti operai. Perché, se non vogliamo compromettere tutto il nostro lavoro di preparazione politica rivoluzionaria del proletariato, non dobbiamo neppure lasciar supporre che vi sia un altro partito operaio al di fuori del partito comunista; che i partiti socialdemocratici e i partiti comunisti siano delle frazioni parallele della classe operaia che si sarebbero divise per caso ma che possono marciare e lottare insieme. Dobbiamo dire al contrario che la distinzione del nostro partito dai partiti opportunisti è una necessità della lotta rivoluzionaria, ma che, malgrado ciò, noi non rinunciamo a prospettare un’azione comune sul terreno delle rivendicazioni parziali fra operai che sono già comunisti e operai che si trovano nei partiti socialdemocratici e opportunisti, e forse anche in partiti borghesi.
D’altra parte noi ci troviamo anche in presenza di una formula data dal compagno Zinoviev che non esclude completamente il fronte unico dall’alto. Ci troviamo in presenza della dichiarazione della compagna Fischer che dice: questa formula merita di essere chiarita, tuttavia in certi casi possiamo benissimo accettare anche una tattica di fronte unico che ci conduca a rapporti con i capi, con gli stati maggiori degli altri partiti.
In qual senso questo si può accettare? Per noi, la posizione che si deve prendere in questo problema di tattica è la seguente: la base del fronte unico non deve mai essere quella di un blocco di partiti politici. Essa può essere trovata in altre organizzazioni della classe operaia, non importa quali, ma in organizzazioni tali che, data la loro costituzione, siano conquistabili alla direzione comunista, siano cioè suscettibili di divenire rivoluzionarie.
Quando proponiamo il fronte unico sul terreno dei sindacati, dei consigli di fabbrica o di non importa quali altre organizzazioni operaie, anche se dirette da capi opportunisti, fronte unico che ci condurrà forse alla necessità di negoziare personalmente con i capi opportunisti – il che non ci spaventa – quando diciamo ciò, noi vogliamo convogliare nella lotta degli organi che sono suscettibili di divenire degli organi rivoluzionari, e che dovranno divenirlo perché il proletariato trionfi. Quando invece convogliamo in un’azione comune un partito non comunista, allora ci rivolgiamo a un organo che non è suscettibile di lottare sulla via finale della rivoluzione mondiale, che non è suscettibile di sostenere gli interessi della classe operaia, e col nostro atteggiamento diamo a questo partito un certificato di capacità rivoluzionaria, la qual cosa sconcerta tutto il nostro lavoro di principio, tutta la nostra opera di preparazione politica della classe operaia (Applausi).
Oggi ci si dice: “Si, la tattica del fronte unico è stata interpretata con troppa esagerazione nel senso di una coalizione con la sinistra socialdemocratica. Noi respingiamo questa interpretazione, noi apportiamo delle correzioni al nostro punto di vista su questo problema. Questa tattica, che era la tattica di un periodo nel quale regnava uno stato d’animo pessimista (sembrava che la curva rivoluzionaria scendesse), questa tattica non conviene più alla situazione attuale che, come ha molto bene spiegato il compagno Zinoviev, è ricca di possibilità rivoluzionaria; oggi siamo per una tattica che faccia risaltare l’autonomia politica del partito comunista, sempre restando dell’opinione che bisogna dirigersi alle più larghe masse della classe operaia per arrivare allo scopo sul quale tutti siamo d’accordo, e che consiste nell’unità generale della classe operaia ed anche della classe contadina sotto la direzione del PC”.
Ma questa concezione non è a mio parere soddisfacente perché rimane legata alla situazione che attraversiamo.
Oggi si dice che la situazione mondiale è tale che ci sconsiglia la tattica di coalizione con i socialdemocratici. Ma nulla ci garantisce che domani non si possa ricominciare. Ora la nostra opinione differisce su questo punto da quella di Zinoviev nel senso che noi crediamo che mai questa tattica di alleanza con i partiti opportunisti possa essere utile per la rivoluzione comunista, né quando la situazione rivoluzionaria è favorevole, quando è evidente che il partito comunista può avere una posizione autonoma, né quando la situazione rivoluzionaria è sfavorevole e il momento finale sembra essere lontano da noi.
Perciò io trovo che questa questione non può essere convenientemente liquidata se non in un testo di tesi sulla tattica dell’Internazionale e non in una semplice risoluzione su un rapporto dell’Esecutivo che concerne soltanto il periodo dei due anni trascorsi. Si tratta di cose molto diverse. L’avvenire è ben diversamente garantito dall’uno e dall’altro tipo di risoluzione.
Per esempio, ci si dice che le tesi del IV Congresso contengono certi errori che oggi si procede a correggere. Noi prendiamo atto di questa rettifica, certo con piacere (ilarità), ma affermiamo che tali errori opportunisti non sono stati solamente degli errori di applicazione pratica, ma sono stati errori di direzione dell’Internazionale e dell’intero Congresso; e, bisogna dirlo, tali errori erano allora accettati come la vera espressione della tattica comunista.
Per esempio, quando il comp. Graziadei – che qui si sta giustiziando a causa del suo libro sulla teoria del valore (ilarità) – parlò al IV Congresso, immediatamente dopo il mio discorso, sullo stesso punto dell’ordine del giorno di cui presentemente ci occupiamo, egli dichiarò: la frazione di sinistra del Partito Socialista Italiano è contro la fusione perché è contro il fronte unico: la fusione è un esempio di fronte unico. Attualmente, tutti sono d’accordo nel riconoscere che il fronte unico ha per condizione necessaria l’indipendenza dell’organizzazione del partito comunista, ma allora quella di Graziadei era l’opinione ufficiale. Attualmente, anche il comp. Renzi [Tasca] della nostra minoranza ha giustamente criticato l’opinione del comp. Graziadei. Ma allora l’opinione del comp. Graziadei era l’ortodossia alla quale si faceva appello per neutralizzare le affermazioni ortodosse che facevo io. Tale era allora il tono di tutto il Congresso. Cito questo esempio, ma potrei citare tutti i discorsi del comp. Zinoviev, la sua replica ecc.
Evidentemente, non si tratta soltanto di questo punto specifico. Ma è un fatto che il fronte unico è stato presentato dall’Internazionale e dai Congressi internazionali sotto la forma di un blocco dei partiti operai, del PC con gli altri partiti operai. E allora la responsabilità della falsa interpretazione della tattica del fronte unico risale a tutta intera l’Internazionale, alla maggioranza dei Congressi e alla direzione stessa del Comintern.
In Germania si è verificata la stessa cosa. Infatti, ci dimostrano che, durante un certo periodo prima dello scacco colossale che ci attendeva, col consenso dell’Internazionale si è perseguita in Germania una politica di coalizione, ci si è illusi sul fatto di poter trascinare dei socialdemocratici di sinistra all’azione rivoluzionaria a fianco del partito comunista.
Le stesse illusioni si sono verificate in altri paesi. Attualmente,
se vogliamo liquidare con utilità queste esperienze, dobbiamo dire
chiaramente
che tali illusioni non erano le illusioni personali del tale o tal
altro
compagno della Centrale del Partito Comunista tedesco ma erano le
illusioni
della grande maggioranza dell’Internazionale e anche del suo Centro
dirigente.
Oggi, poiché la situazione cambia, siamo ricondotti alla concezione che
il fronte unico è una tattica di cui dobbiamo servirci perché le
rivendicazioni
parziali sono il terreno fondamentale del nostro lavoro di educazione,
ma che l’autonomia politica del partito comunista come organo
rivoluzionario
non deve mai essere abbandonata. Questa concezione tuttavia non può
essere
fatta sul terreno della liquidazione di un rapporto amministrativo e
burocratico.
L’errore compiuto deve essere liquidato in un solo modo che possa
garantire
completamente l’avvenire e l’azione internazionale comunista.
Il Governo Operaio
Passo al Governo Operaio. Le cose qui sono perfettamente analoghe. Non ho bisogno di citare le tesi del IV Congresso perché lo stesso comp. Zinoviev le ha ricordate. Ebbene, noi siamo sempre allo stesso punto. Per esempio, nel discorso che ho già citato del comp. Graziadei, il governo operaio è stato presentato come lo presenta il comp. Radek, come una manovra strategica che si compie pure sul terreno parlamentare (perché nessuno dice che è un’azione puramente parlamentare; né il comp. Graziadei, né il compagno Radek non lo dicevano), come una manovra che deve essere intrapresa durante l’azione delle masse ma anche con l’utilizzazione della democrazia borghese. Ora, nelle tesi che noi abbiamo presentato al IV Congresso, abbiamo respinto questa interpretazione dichiarando che essa mette in dubbio alcune questioni fondamentali di principio concernenti il problema dello Stato e della conquista del potere, di ciò che forma il meglio del nostro programma e che caratterizza la nostra organizzazione nel suo ruolo storico. Ma questo non lo si è riconosciuto: si è accettata quella interpretazione, e oggi io non posso riconoscere come giustificazione sufficiente quella della frase scivolata per errore in un testo: ricordo che, nella discussione di questa questione Zinoviev e Radek dichiararono all’unisono che sulla questione del governo operaio erano infine d’accordo su una formula comune.
Non si tratta, del resto, qui del comp. Graziadei, del compagno Radek, del compagno Zinoviev, o del tale o tal’altro compagno più o meno importante del Comintern: si tratta di sapere quale apprezzamento aveva dato l’Internazionale del problema della tattica del governo operaio, come pure di dare l’importanza che merita al fatto che adesso la stessa Internazionale voglia cambiare il suo apprezzamento.
È una vera revisione che qui si fa. Non è la liquidazione della tattica del fronte unico: la tattica del fronte unico, nel suo senso rivoluzionario, deve restare, non si può abbandonare. Ma, per la tattica del governo operaio, io affermo che si tratta di una vera e propria liquidazione.
Non basta dire: Noi conserviamo la formula del governo operaio come formula di agitazione, come parola d’ordine da lanciare fra le masse operaie, restando bene inteso che non è se non lo pseudonimo o sinonimo di dittatura del proletariato, e che non abbiamo cambiato nulla ai dati fondamentali dei nostri principi in ciò che concerne il problema della conquista rivoluzionaria del potere. Nel mese di giugno del 1922 abbiamo accettato una formula perfettamente analoga, e giustamente il comp. Rossi ha detto che anche al presente si potrebbe accettare questa espressione. Siamo sempre lì. È una convenzione: e perché rifiutare una convenzione, se voi ci dichiarate che il governo operaio significa la dittatura del proletariato, il potere conquistato dall’azione rivoluzionaria? Ma io voglio essere un po’ più “sinistro” del mio amico Rossi. Nel fondo, noi siamo d’accordo. Noi domandiamo dei testi e delle risoluzioni che liquidino nettamente la tattica del governo operaio secondo l’interpretazione di destra data dal compagno Radek e seguita dalla destra tedesca nel periodo in cui tutta l’Internazionale non trovò nulla da dire contro quello che Radek e la destra tedesca facevano.
Ma io, penso che bisogna chiedere anche il seppellimento della frase. Permettetemi di parlare apertamente. Io considero la tattica come liquidata. Non voglio più battermi contro questo fantasma, perché nessuno più lo difende. Ma penso che, se avessi meglio potuto studiare il testo del discorso del comp. Bucharin, avrei potuto vedere che resta qualcosa di più che la semplice frase sotto la quale dovrebbe passare il pseudonimo della dittatura proletaria. Anche se mi riferisco a ciò che hanno sostenuto il comp. Ercoli della Centrale del nostro Partito nel suo intervento qui, e il compagno Scoccimarro nella discussione del nostro Partito, potrei dire che c’è ancora qualche cosa che sopravvive di quest’utilizzazione della democrazia borghese. Naturalmente, ciò è complicato, è connesso con le azioni di massa, è fortemente sostenuto con il rinvio e necessità rivoluzionaria; ma qualcosa resta.
Non mi occupo più di questo, ma mi soffermo sul valore della frase: Governo operaio. Essa sarebbe una semplice traduzione in russo delle parole latine: Dittatura proletaria. Ora, quale vantaggio ricaviamo da una simile traduzione? La frase in se stessa, letteralmente, non risponde all’immagine che noi vogliamo dare della conquista del potere. La dittatura proletaria, questa frase di Marx, così meravigliosa, è deplorevole che si voglia far uscire così alla chetichella dalla finestra di un congresso comunista. Io vedo in queste due parole la concezione chiara di tutta la nostra idea politica e programmatica. Dittatura del proletariato, questo mi dice: Il potere proletario sarà esercitato senza dare nessuna rappresentanza politica alla borghesia. Questo mi dice pure: Il potere proletario può essere conquistato soltanto con l’azione rivoluzionaria, con l’insurrezione armata delle masse. Quando dico Governo operaio, si può intendere anche questo, se si vuole; ma, se non si vuole, si può anche intendere, per ipotesi, un altro governo che non sia caratterizzato dal fatto di escludere la borghesia dagli organi di rappresentanza politica e tanto meno dal fatto che la conquista del potere si è verificata con mezzi rivoluzionari e non con mezzi legali (voci dai banchi francesi: questo è giustissimo!). La frase non è felice. Essa non ci dà l’idea che ci abbisogna.
Ci si dice: se diciamo dittatura proletaria, le masse non comprendono: se diciamo governo operaio, le masse ci comprenderanno e noi guadagneremo delle adesioni fra quegli strati che non abbiano ancora potuto raggiungere con la nostra propaganda teorica. A tanto si riduce (ci si dice) il modestissimo ruolo della formula del governo operaio. Ora io contesto anche ciò, non vedo quest’utilità pratica. Intorno alla parola “dittatura proletaria” si sono svolti tali avvenimenti, che hanno talmente interessato le masse più profonde del proletariato mondiale, che anche i lavoratori dei paesi fuori dalla Russia sovietica sanno che cos’è la dittatura del proletariato, e la domandano per istinto anche quando sono influenzati dai capi socialdemocratici. Ma che cosa può comprendere del governo operaio un lavoratore o un contadino semplice quando, dopo tre anni, noi, i capi del movimento operaio, non siamo ancora giunti a capire e a dare una definizione soddisfacente di che cosa questo governo operaio è! (applausi). Io chiedo semplicemente un funerale di terza classe per la tattica e, insieme, per la parola del “governo operaio”.
Ma, ci si dice: vedete, voi siete incontentabili! L’Internazionale va a sinistra e voi non siete ancora contenti. Ebbene, ammettiamo che l’Internazionale vada a sinistra; ma, se posso riferirmi al discorso che feci al IV Congresso, io penso che ciò che abbiamo criticato nel lavoro della direzione politica dell’Internazionale è appunto questa sua tendenza ad andare a destra o a sinistra secondo le indicazioni della situazione o secondo come si crede di interpretare lo sviluppo degli avvenimenti. Fino a quando non si sarà discusso a fondo il problema dell’elasticità, dell’eclettismo (secondo la mia espressione che ha provocato una risposta durissima del compagno Bucharin: “Questa parola ha definito il senso di una campagna bolscevica contro l’opportunismo socialdemocratico”), fino a quando questa elasticità permane delle oscillazioni devono ancora verificarsi, una forte oscillazione a sinistra ci fa temere un’ancora più forte oscillazione a destra.
Ora, non è una deviazione a sinistra nella congiuntura attuale che noi domandiamo, ma una rettifica delle direttive dell’Internazionale chiara e precisa: questa rettifica non sia neppur fatta nel modo che chiediamo, sia pur conforme all’opinione della maggioranza dell’Internazionale, dei suoi dirigenti che hanno i maggiori titoli per dire la loro opinione, ma sia fatta e in modo chiaro. Noi dobbiamo sapere, dove andiamo.
Poiché abbiamo già fatto parecchie esperienze, poiché abbiamo
costatato
che, dopo di aver accettato la stessa formula del governo operaio nel
mese
di giugno 1922, il governo operaio, da pseudonimo di dittatura del
proletariato,
è divenuto sinonimo del parlamentarismo volgare, noi chiediamo che si
cancelli questa frase per premunirci, per l’avvenire, da simili
sorprese.
La disciplina nell’Internazionale Comunista
Ma sorge qui una gravissima questione. Ci si dice: che cosa fate voi della disciplina, che cosa fate voi della necessità di avere un partito mondiale organizzato e centralizzato saldamente? Voi, compagni, rompete questa disciplina, voi rifiutate di sottomettervi alle direttive dell’Internazionale, voi siete in permanenza in disaccordo con l’Internazionale; ora dovete capire che, nell’organo di guida del proletariato mondiale, tali fatti d’indisciplina sono inammissibili.
Prima di tutto, noi rispondiamo che tali fatti si sono verificati non per volontà nostra ma, come tutti i contrasti disciplinari e organizzativi, a destra e a sinistra, proprio perché l’Internazionale è diretta con troppo elasticità e con una precisione insufficiente nelle questioni politiche e tattiche.
Prima di continuare, devo rettificare un’opinione che il comp. Zinoviev mi ha prestato quando ha detto che, nella discussione del nostro Partito, io avrei affermato: o il Congresso si affretterà ad accettare le mie opinioni, vale a dire quelle della sinistra italiana, oppure noi organizzeremo nell’Internazionale una frazione di sinistra per lottare contro la direzione dell’Internazionale. Ora io non ho detto questo. Per rassicurare quei compagni che si preoccupavano di un conflitto con l’Internazionale, io ho detto: Nel solo caso in cui si verificasse un’ulteriore deviazione verso un revisionismo di destra dell’Internazionale, bisognerebbe rispondere con la costituzione di una frazione di sinistra. Ma non ho detto che, nell’Internazionale così com’è, o nell’Internazionale, se si vuole, venuta a sinistra dopo il V Congresso, la costituzione di una frazione sia necessaria o sia ammissibile. È una cosa del tutto differente, ed io prego il comp. Zinoviev di volerne prendere atto (Zinoviev: Con piacere. Ilarità e applausi).
Con ciò, il famoso dilemma: O Bordiga o l’Internazionale, cade.
Sarebbe
perfino ridicolo porlo: esso è subito risolto, contro il semplice
individuo
che io sono, in favore dell’Internazionale.
La centralizzazione dell’Internazionale
Noi vogliamo realizzare una vera centralizzazione, una vera disciplina. Noi tutti siamo per la centralizzazione e per la disciplina; ma noi chiediamo che siano realizzate le vere condizioni per poter garantire in fatto questo risultato, che non si può affidare alla buona volontà di tale o tal altro compagno che, dopo venti sedute, firmi un accordo nel quale la destra e la sinistra si sono finalmente unite.
Con questo sistema non si arriverà mai a garantire una vera disciplina, che bisogna trasportare nella realtà, nell’azione, nella direzione del movimento rivoluzionario del proletariato teso verso l’unità mondiale, ma che è, all’origine, qualche cosa di spontaneo che sorge dalle reazioni immediate della lotta di classe.
Per arrivare a questo risultato di perfetta centralizzazione disciplinata, necessita una chiarezza nella direzione tattica e una continuità nella costituzione delle nostre organizzazioni, nel porre i limiti che ci separano dagli altri partiti. Per questo io ripeto ancora una volta la nostra vecchia opinione contro la fusione organizzativa con altri partiti, contro il noyautage politico in altri partiti, e pure contro l’istituzione di partiti simpatizzanti, – problema questo che si potrà trattare discutendo il nuovo progetto degli statuti. Noi siamo contro il fatto che possano esistere, a fianco dei partiti comunisti seriamente impegnati in una severissima regola disciplinare, dei partiti che si troverebbero nella comoda situazione di vivere all’ombra della bandiera dell’Internazionale senza essere impegnati a nulla e potendo anche preparare, mancando il nostro controllo, forse il tradimento del proletariato.
Ci si dice: Voi non avete fiducia nell’Internazionale. Il vostro
linguaggio
significa che non siete sicuri che l’Internazionale resterà sempre
rivoluzionaria,
voi diffidate di essa. Ma l’Internazionale non può sopportare nei suoi
ranghi chi diffida di essa, chi non ha fiducia nel sicuro sviluppo
rivoluzionario
della sua azione.
Il Partito russo e l’Internazionale
Ci si dice: Una garanzia esiste: questa garanzia è data dall’esistenza alla testa dell’Internazionale del Partito Bolscevico russo, di questo partito che ha una tradizione rivoluzionaria così grandiosa e che ha nelle sue mani il potere del primo Stato proletario. Questo deve garantirvi a sufficienza che l’Internazionale non andrà troppo a destra, che essa resterà sempre su una linea rivoluzionaria. Nella nostra discussione di Partito, è ciò che ci hanno detto i nostri compagni del Centro. Zinoviev ha detto che io mi sono espresso, a questo riguardo, con molto coraggio. Io mi felicito di questo complimento, e continuerò a esprimermi con lo stesso coraggio.
Io penso che l’importanza grandiosa del contributo che il bolscevismo ha dato al movimento di emancipazione rivoluzionaria del proletariato mondiale discenda giustamente dalla situazione del tutto speciale in cui il partito russo si trovava. Esso non si trovava in presenza del capitalismo più sviluppato e del proletariato più diffuso nel paese e più evoluto; esso non si trovava in presenza di una rivoluzione borghese già compiuta e della fase democratica già attraversata. Ebbene, questo partito ha potuto attingere là dove esisteva il grande capitalismo e un proletariato sviluppato la vera teoria rivoluzionaria che, applicata in maniera grandiosa là dove essa aveva le maggiori probabilità di fallire, ha dato invece la chiara conferma della sua giustezza. È una prova grandiosa ed è il contributo davvero immenso che il bolscevismo ha dato alla causa del proletariato mondiale prima dalla rivoluzione russa e nei primi anni dell’epoca d’oro dell’Internazionale.
Ma noi non dobbiamo dimenticare (senza cadere nelle esagerazioni dei socialdemocratici che vogliono stabilire una corrispondenza banalissima e immediata fra lo sviluppo capitalistico e le forze rivoluzionarie), non dobbiamo dimenticare che, se il partito bolscevico ha potuto realizzare questa sintesi dello sviluppo particolare della Russia con le esperienze rivoluzionarie mondiali, è pure perché i suoi capi furono costretti a emigrare e a vivere nell’ambiente del capitalismo occidentale, là dove esisteva un proletariato che aveva saputo forgiare la sua teoria e la sua politica.
Lo sviluppo storico del capitalismo mondiale e la guerra imperialistica del ’14, hanno loro permesso questa magnifica e trionfale applicazione di quella dottrina mondiale che è il marxismo rivoluzionario, il leninismo; perché Lenin è mondiale e non soltanto russo, egli appartiene a tutti noi (applausi).
Io voglio avere la sincerità di dire che, nella situazione presente,
è l’Internazionale del proletariato rivoluzionario mondiale che deve
rendere al Partito Comunista russo una parte dei numerosi servizi che
da
esso ha ricevuto. La situazione più pericolosa, dal punto di vista del
pericolo revisionista di destra, è la situazione del Partito russo, e
gli altri partiti devono sostenerlo contro tale pericolo. È
nell’Internazionale
che esso deve trovare la maggior forza di cui ha bisogno per
attraversare
questa situazione veramente difficile, in cui gli sforzi dei nostri
compagni
che lo dirigono sono veramente ammirevoli. Certo è per noi una
garanzia,
il contributo enorme che il Partito russo ha dato all’opera
dell’Internazionale.
Ma noi vogliamo che la vera garanzia riposi su tutta la massa del
proletariato
rivoluzionario del mondo intero.
La rivoluzione mondiale vincerà
Ci si accusa di pessimismo verso l’Internazionale. Ma siamo noi pessimisti verso l’Internazionale, oppure non saremmo piuttosto alla presenza di una forma di pessimismo del Centro dirigente dell’Internazionale verso la capacità rivoluzionaria del proletariato degli altri paesi? Sembra che alcuni compagni si chiedano se noi siamo in presenza di un periodo di ristagno della rivoluzione mondiale, di un isolamento dei partiti che sono sorti attorno al partito comunista russo e che si riducono a non essere più che dei gruppi, delle scuole politiche, senza la forza di realizzare ciò che il partito russo ha realizzato.
Io penso che quest’apprezzamento delle masse dell’Occidente sia pessimista in modo molto esagerato. Noi ci poniamo sempre il problema della conquista delle masse. È un problema fondamentale, ma noi corriamo il rischio di rappresentarcelo in modo artificioso. Le masse di Occidente sono più rivoluzionarie che non si creda. Naturalmente, per realizzare le condizioni che permettano lo sviluppo trionfale della rivoluzione negli altri paesi, si devono produrre determinate circostanze, e bisogna che da parte nostra si sia all’altezza della situazione. Ma una condizione psicologica e politica favorevole può già costatarsi nel proletariato di Occidente.
Darò un esempio banalissimo, ma nel farlo mi rimetto all’esperienza di tutti i compagni che lavorano nei vari paesi di tutto il mondo. Abbiamo avuto in tre paesi europei le elezioni politiche. Ebbene, siamo stati fortunati: sebbene abbiamo tentato di fare dovunque queste elezioni come un blocco di coalizione di partiti, in tutti questi paesi abbiamo dovuto farle da soli con la bandiera comunista levata di fronte al proletariato. Davanti agli aggruppamenti di destra e di sinistra della borghesia, abbiamo portato il programma comunista nella sua interezza, e abbiamo chiamato il proletariato a rispondere. Ed è avvenuto che, quasi nello stesso tempo, in questi tre grandi paesi, un numero considerevole di operai si è mostrato pronto a seguire il partito comunista. E ciò ha un’importanza enorme, dieci volte più grande che se avessimo seguito in un paese la tattica della collaborazione, in un secondo la tattica della coalizione e in un terzo ancora, per ipotesi, la tattica autonoma.
Così, le masse dell’Occidente hanno potuto costatare che in tutti i paesi esiste un raggruppamento che ha lo stesso programma politico e che costituisce una vera Internazionale, cosa che ha una ripercussione formidabile sulla classe operaia. Anche in Italia, dove la reazione ha celebrato il suo più grande trionfo, noi abbiamo seguito la situazione giorno per giorno e possiamo dire che se la massa è stata dispersa, disorganizzata, battuta, essa è rimasta rivoluzionaria. Il numero degli operai rivoluzionari è certo aumentato, e la loro qualità rivoluzionaria si è molto migliorata durante questa dura esperienza.
È proprio per questo che abbiamo fiducia nell’Internazionale, perché l’Internazionale è il proletariato del mondo intero che deve essere condotto a lottare per la sua liberazione dallo sfruttamento capitalistico, perché l’Internazionale è la rivoluzione russa, è la tradizione meravigliosa del movimento di liberazione del proletariato russo ed è, nello stesso tempo, la tradizione rivoluzionaria del proletariato degli altri paesi, che non si può annullare perché, anche sotto la Seconda Internazionale, nel suo buon periodo della II Internazionale e pure nel periodo di deviazione della II Internazionale, negli ambienti proletari dei diversi paesi sono rimasti dei gruppi che sono sempre stati fedeli al programma rivoluzionario. È in questo insieme di forze mondiali, è nell’unità mondiale di queste forze, alle quali appartiene il nome di Lenin e della rivoluzione russa, che noi riponiamo tutta la nostra fiducia.
Noi affermiamo ancora una volta il nostro ottimismo, la nostra
fiducia
nella rivoluzione e nell’Internazionale. Vogliamo soltanto portare un
contributo modesto ma sincero, al lavoro di elaborazione della tattica
che conduce a questo grandioso scopo. Non dubitiamo che un giorno i
Congressi
Internazionali si riuniranno per costatare la vittoria conseguita nel
mondo
intero sull’oppressione capitalistica (vivissimi applausi).
Nel suo discorso di chiusura, il compagno Zinoviev insiste nello affermare che, nella questione della frazione internazionale di sinistra, io mi sono comportato in modo diplomatico. Dichiaro qui - e spero che mi si voglia credere - che in tale questione non ho cambiato parere. Ho smentito le affermazioni che sono state fatte qui riguardo a ciò che dissi al IV Congresso, ripetendo parola per parola la mia dichiarazione di allora. Testimoni di questa dichiarazione erano molti compagni presenti oggi in quest’aula.
Il compagno Zinoviev ha poi citato un altro testo, un vecchio articolo pubblicato nel corso dei nostri dibattiti interni di partito, in cui, contrariamente alla suddetta dichiarazione, avrei espresso il proposito che qui mi viene attribuito: o l’Internazionale darà ragione a noi, cioè alla Sinistra, oppure chiameremo in vita una frazione di sinistra internazionale. Ma questo testo non è esatto. Esso sembra provenire da una traduzione tedesca, probabilmente fornita al compagno Zinoviev da esperti italiani in materia (ilarità).
Se veramente io fossi dell’avviso che sia necessaria la creazione di una frazione internazionale di sinistra, lo direi apertamente: direi perfino cose più dure; non intendo affatto agire con diplomazia.
Esattamente la stessa cosa dicevo in quell’articolo, e cioè: «È un fatto che in seno all’Internazionale, in tutti i paesi, esistono delle frazioni che si combattono nei Congressi e lottano per la conquista della direzione dei rispettivi partiti. Anche noi siamo dell’avviso che nell’Internazionale queste frazioni non debbano esistere, se l’Internazionale deve diventare un partito mondiale comunista veramente centralizzato. Ma che cosa è necessario per raggiungere questo obiettivo? Non basta a questo fine biasimare e richiamare più o meno energicamente alla disciplina singole persone: è invece necessario condurre il lavoro nel modo da noi richiesto, cioè imprimere alla Internazionale Comunista una linea organizzativa unitaria e coerente. Se ciò avverrà, le frazioni scompariranno. Se si seguirà non questa via, ma l’opposta, allora non si otterrà la scomparsa delle frazioni internazionali e si dovrà prendere in considerazione la costituzione di una frazione internazionale».
Non ho mai detto nulla di diverso. Prego i compagni, e prima di
tutti
il compagno Zinoviev, di prendere atto che il mio parere è rimasto
sempre
lo stesso. In qualunque mese dell’anno ci troviamo. (Applausi).
Il compagno Bucharin ha basato il suo discorso su un articolo apparso in un organo ufficiale del nostro partito (che naturalmente non è diretto dalla tendenza che io rappresento), in cui è stato aperto un dibattito sulle questioni politiche del partito. Ogni compagno può scrivere su questo organo. In Italia i compagni non sono uniti ufficialmente in frazioni, e perciò la redazione accoglie ogni articolo sotto la responsabilità personale dell’autore.
Quanto alle idee della corrente di sinistra, vi sono stati in merito ad esse dei testi, delle tesi, la partecipazione ai lavori della nostra conferenza nazionale, e numerosi articoli apparsi nello “Stato Operaio” e firmati dagli stessi compagni il cui nome figura sotto le tesi presentate dalla nostra tendenza. Ma, di tutto questo materiale, il compagno Bucharin non si è occupato. Egli ha dedicato l’intero suo discorso ad un articolo firmato da un ottimo compagno, sconosciuto a lui come del resto a tutto il Congresso.
Ora, io non trovo che sia affatto un delitto che un semplice operaio, un compagno di partito il quale condivida un punto di vista di estrema sinistra, o come diavolo volete chiamarlo, dica delle cose inesatte, né vedo la necessità di dichiarare recisamente che non accetto la responsabilità del suo articolo. Quello che giudico molto grave per l’attività dell’Internazionale e per gli interessi del movimento comunista è che un dirigente ed un marxista dell’importanza del compagno Bucharin dedichi un discorso di un’ora e mezzo alla teoria contenuta in un articolo di un semplice militante. È questo che devo rilevare, non il fatto che io sia responsabile unicamente di ciò che porta la mia firma.
Da molte parti si è dichiarato che l’esposizione del nostro punto di vista sulla direzione generale dell’Internazionale Comunista non è sufficientemente chiara. Di ciò si parlerà ancora in sede di commissione e io credo che la questione relativa al progetto di tesi tattiche sarà sottoposta al Plenum. La Sinistra italiana presenterà alla commissione un progetto completo di tesi sulla tattica e noi chiederemo che uno dei nostri compagni, io per esempio, sia nominato correlatore. Avremo quindi tutto il tempo di illustrare i punti non ancora sufficientemente chiariti.
Perciò non rispondo ora alle argomentazioni dei compagni Bucharin e Thaelmann, e vorrei soltanto toccare di nuovo una questione, e cioè il modo in cui il compagno Bucharin ama polemizzare, il fatto che egli prenda poche righe della nostra risoluzione sul fronte unico e dichiari che in essa non si parla degli operai non ancora comunisti, delle masse che noi dobbiamo necessariamente conquistare e mettere in moto. Orbene, proprio nelle righe precedenti, la questione è trattata (per quanto, com’è naturale, non in tutta la sua estensione, trattandosi di un semplice progetto) e si dice molto chiaro:
«Quanto alla tattica del fronte unico, è necessaria la massima chiarezza per impedire ogni possibilità che questa tattica sia interpretata nel senso di una politica di coalizione tra i partiti comunisti e delle frazioni della socialdemocrazia ai fini di una direzione rivoluzionaria della lotta di classe. La tattica del fronte unico deve mantenere il suo significato di sfruttamento delle lotte parziali suscitate dalle condizioni di vita del proletariato, per convogliare tutti i lavoratori, anche quelli attualmente appartenenti a partiti non comunisti e non ancora conquistati dalla nostra propaganda ideologica, in una lotta comune della classe operaia sotto la guida del partito comunista».Si parla dunque della formazione del fronte unico sulla base di specifiche organizzazioni. Ora, io posso ammettere che questa celebre formula non sia stata ancora sufficientemente chiarita; ma, se il compagno Bucharin avesse letto poche righe più sopra, una gran parte degli argomenti svolti nel suo discorso sarebbe caduta da sé. Ripeto comunque che su tutto questo ritornerò quando si discuterà il progetto di risoluzione sulla tattica.
Rispondo ora brevemente al compagno Thaelmann. Capisco molto bene che i compagni della sinistra tedesca, quando io mi rivolgo agli operai della Germania, si trovino in una situazione difficile. Il compagno Thaelmann ha creduto necessario tenere un lungo discorso in cui il mio nome ricorre forse cinquecento volte. Ciò dimostra, ritengo, che molti operai tedeschi non considerano in realtà soddisfacente la posizione che la loro sinistra ha preso.
Il compagno Thaelmann accusa la sinistra italiana di fare il gioco della destra. Si dice che Radek ha votato con me. È falso: è una delle affermazioni menzognere che vengono fatte in quest’aula. Alla commissione politica sono stati sottoposti due progetti di risoluzione. Radek non ha votato né per l’uno né per l’altro. Egli avrebbe potuto votare soltanto per una risoluzione che fosse ancora più a destra. Voi siete fra noi e Radek, ed è certo che per dare la mano a Radek noi dovremmo passare al di sopra di voi. Ma forse voi raggiungerete Radek prima che noi possiamo raggiungerlo.
Si è spesso fatta la questione della disciplina. Mi s’invita a precisare che cosa intendo per disciplina dopo il voto. Mi auguro che la mia disciplina nell’azione sia migliore della disciplina della sinistra tedesca, la quale ha fatto tutto ciò che ha voluto, ha messo l’Internazionale di fronte a fatti compiuti e ha manovrato nel congresso contro le proposte del Comintern. Non credo che il comp. Thaelmann, il quale ha fatto tutta l’agitazione che voleva, sia qualificato a sottopormi a processo disciplinare.
Nel progetto di tesi che presenterò, comunque, la questione della disciplina e dell’organizzazione sarà trattata. La conclusione della dichiarazione dei nostri amici della sinistra tedesca è che noi dobbiamo abbandonare completamente il nostro punto di vista e non solo partecipare al lavoro di partito, ma prendere in mano la direzione del partito italiano. Non so se lo si faccia per l’adempimento della più rigida disciplina verso l’Internazionale; comunque ci s’invita a prendere la direzione del partito nella sua lotta contro il fascismo. Vi è in questo un’ambiguità. Si sostiene che siamo antimarxisti, piccolo borghesi, anarchici e semi-anarchici, sebbene ai compagni debba essere noto che proprio noi, come sinistra del partito socialista, abbiamo combattuto in Italia le illusioni terroriste e anarchiche, abbiamo preso chiara posizione contro gli anarco-sindacalisti, e che perciò le accuse di cui sopra non sono se non una nuova leggenda che respingiamo e sulla quale avremo occasione di tornare quando si discuterà della questione italiana. Si mobilitano grandi oratori perché tengano discorsi contro di noi, e si propugnano due tesi: secondo l’una, abbiamo una concezione antimarxista, secondo l’altra dovremmo, in una difficile svolta della storia, prendere la guida del movimento proletario italiano. È questo un modo di procedere che a nostro avviso non è degno di una Internazionale rivoluzionaria.
Concludendo, ci duole di dover ribadire che quanto abbiamo ascoltato
durante questa accesa discussione non è servito che a rafforzarci nella
convinzione di aver agito al modo giusto.
[Dopo un nuovo discorso di Bucharin polemizzante su frasi staccate di diversi giornali, Bordiga dichiara nuovamente:]
Il comp. Bucharin si è circondato di un mucchio di giornali italiani, sottolineati in nero, rosso, blu, ecc. Ammiro i progressi che sta facendo nella lingua italiana e penso che fra non molto potrà avere informazioni più sicure su di noi. Il testo da lui citato è il riassunto del protocollo della nostra conferenza nazionale. Ora, il primo protocollo non è stato corretto da me, mentre il riassunto è pessimo e deforma completamente le mie parole.
Torno alla dichiarazione che ho fatto prima sulle parole del compagno Zinoviev – la stessa che si può trovare senza la minima variante in tutti i miei articoli e in tutte le nostre risoluzioni – Anch’io potrei venir qui con una montagna di pezzi di carta e quando si discuteranno le questioni di organizzazione e di disciplina rimanere per tre o quatto ore alla tribuna; ma non credo che con ciò renderei un grande servizio al comunismo. Ripeto che il significato della mia dichiarazione sulla disciplina è il seguente: se l’Internazionale si orienterà decisamente verso destra, allora e soltanto allora si imporrà la formazione di una frazione internazionale di sinistra.
Non ho mai detto altro. Se avessi fatto altre dichiarazioni, le
ripeterei
qui; anzi forse le inasprirei, perché non è nella mia abitudine eludere
la responsabilità delle idee che rappresento.
La compagna Fischer ha parlato testé contro il progetto presentato dall’estrema sinistra italiana, con un impeto che stupisce tanto più data la fama di ardente sinistra di cui essa gode in seguito alle lotte svoltesi nel nostro partito fratello di Germania.
Da un lato, la compagna Fischer ha voluto esagerare la portata della nostra risoluzione definendola come un attacco contro tutta l’Internazionale, come una lotta contro l’Esecutivo. No, compagni. La risoluzione da noi appena letta non ha il senso che la compagna Fischer le attribuisce.
Dall’altro lato, e dopo una così grave valutazione del nostro atteggiamento, la compagna Fischer ha creduto di avanzare nei miei confronti una valutazione di un carattere del tutto opposto accusandomi di “diplomazia”. Poiché in questo Congresso abbiamo lanciato la teoria degli pseudonimi [ilarità], è evidente che per la compagna Fischer, per la maggioranza e forse anche per l’Esecutivo dell’Internazionale Comunista il termine “diplomatico” può significare lo pseudonimo di un atteggiamento di aspra e dura opposizione.
Secondo la compagna Fischer, il nostro progetto di risoluzione fa il gioco della destra dell’Internazionale, degli opportunisti perché sostiene che la responsabilità [degli avvenimenti tedeschi] non è di costoro, ma del IV Congresso e del Comitato Esecutivo. Non così tuttavia va posta la questione. Noi abbiamo sentito il bisogno di sottoporre un progetto che si differenzia da quello approvato in sede di commissione, proprio perché siamo del parere che la risoluzione proposta dalla maggioranza non offra sufficienti garanzie contro la destra e il pericolo di un opportunismo di destra. È questo un dato di fatto. La risoluzione proposta non ci offrirà alcuna possibilità di smascherare la destra, di mostrare all’atto del voto dove essa si annida, di identificarla in modo da sventare con successo i pericoli che possono minacciare l’attività futura dell’Internazionale.
Il nostro errore risiederebbe nell’aver preso al IV Congresso una posizione analoga alla posizione che assumiamo oggi. Ora il Congresso attuale – in modo blando e non del tutto chiaro nella risoluzione della maggioranza – ha riconosciuto che si erano prese all’unanimità risoluzioni le quali non offrivano le garanzie desiderabili contro deviazioni di destra. Orbene, proprio la compagna Fischer alla fine del IV Congresso dichiarò, esattamente oggi, che il Comintern era andato a sinistra e che era un errore isolarci ed estraniarci con risoluzioni di estrema sinistra improntate alla richiesta di più forti garanzie. Io credo che se v’è qui una posizione sorprendente, questa non è la nostra, ma la posizione dei compagni della sinistra tedesca. Una posizione che non corrisponde affatto agli avvenimenti svoltisi in questo grande partito, che ha per l’Internazionale un’importanza fondamentale. Credo che per i compagni tedeschi, per i lavoratori rivoluzionari della Germania, riesca piuttosto strano che la loro rappresentanza al Congresso dell’Internazionale Comunista, dopo l’aspra lotta da essi sostenuta contro la destra, voti per una risoluzione che conta fra i suoi partigiani la destra, senza che sia possibile identificarla chiaramente.
Si dice: voi rompete l’unanimità dell’Internazionale. No, compagni, la nostra presa di posizione deriva dal fatto che quest’unanimità è posticcia, è l’esatto contrario di un’unità vera ed operante. L’abbiamo ripetutamente affermato. Nelle votazioni unanimi si annida sempre un pericolo di destra, perché gli elementi dubbi e opportunisti dell’Internazionale, che vengono qua per schierarsi con la maggioranza e che si dichiarano sempre, salvo in circostanze eccezionali, a favore dell’Esecutivo e a favore dell’Internazionale, appena tornati in patria riprendono a svolgere un’attività perniciosa proprio in virtù del fatto che le risoluzioni votate non sono sufficientemente chiare e che le direttive qui stabilite non forniscono armi sufficienti per contrastarli nella loro opera di opportunisti.
Contro questo sistema intendevamo reagire col nostro progetto di risoluzione, sostenere che perciò noi facciamo il gioco della destra, questo sì che si chiama manovra diplomatica. Noi ci auguriamo che l’avvenire non registri più nessun insuccesso dell’Internazionale Comunista in grandi lotte proletarie, ma teniamo a ribadire qui che, a nostro avviso, le garanzie non sono sufficienti e che l’Internazionale debba fare ancora ulteriori passi per rendere più efficienti le sue misure contro il pericolo del revisionismo. Il nostro atteggiamento è lo stesso di quello del Congresso precedente. E poiché non si può disconoscere – e lo costatiamo con gioia – che l’Internazionale ha fatto un passo in questa direzione, ce ne sentiamo incoraggiati e autorizzati a mantenere il nostro atteggiamento fino all’ultimo minuto in cui esso si concili con la disciplina, cioè fino al voto.
Crediamo di mostrare in questa questione l’opposto della diplomazia,
perché ci preoccupiamo della chiarezza e della lealtà necessarie in un
lavoro che s’ispiri a considerazioni veramente rivoluzionarie. Ci duole
quindi d’essere soli e, soprattutto, che i compagni tedeschi ci
accusino
di fare il gioco della destra. Ciò malgrado, crediamo di dover
mantenere
la nostra risoluzione fino al voto del Congresso [applausi della
delegazione
italiana].
(dal Protokoll tedesco)
Compagni, che al nostro V Congresso mondiale si presenti la necessità di precisare la tattica dell’I.C. in merito alla questione nazionale e coloniale, è egualmente dimostrato dai gravi errori e dalle deficienze che il relatore comp. Manuilsky ha messo in luce nell’attività di alcune delle più importanti sezioni dell’Internazionale.
Osserverò anzitutto che non si deve dimenticare che la base teorica della soluzione dei problemi nazionali è contenuta nel Manifesto del Partito Comunista, dove è detto che i conflitti nazionali cesseranno di esistere con la vittoria del comunismo in tutto il mondo. Nel programma della rivoluzione nazionale è racchiusa l’armonica convivenza di tutte le nazionalità. Nella misura in cui si svilupperà il nuovo ordine sociale proletario, i contrasti fra i popoli dei paesi in cui la rivoluzione ha vinto cesseranno. Se questi contrasti affiorassero, essi sarebbero regolati e risolti dallo stesso organo direttivo statale, costituito in armonia con il piano economico generale della nuova società. La politica delle nazionalità seguita dall’URSS è sotto quest’aspetto un tipico esempio.
Ma la questione nazionale e la questione coloniale devono essere discusse nel momento in cui il proletariato delle metropoli intraprende la lotta contro l’imperialismo capitalista: non sono problemi che appartengono a due periodi storici successivi. Il nostro compito consiste nell’usare le armi più efficaci per spezzare la potenza del capitalismo. Secondo la dottrina di Lenin, le questioni nazionale e coloniale nascono dallo stesso terreno sul quale si svolge la lotta del proletariato mondiale contro il capitalismo.
È necessario trovare i mezzi pratici per la soluzione completa di queste questioni. Nei paesi coloniali, combattono contro l’imperialismo non solo la classe operaia, ma anche altre classi. Noi dobbiamo sfruttare questa lotta per gli scopi e ai fini della rivoluzione comunista. Essa ci aiuta a indebolire il nemico, perché questo potrebbe tenersi in piedi grazie allo sfruttamento coloniale. Ma perché questa lotta abbia successo, è necessario che un massimo di attività sia espletato nelle metropoli. Ora noi sappiamo che le tesi di Lenin non sono state sempre applicate dalle sezioni dell’I.C.: la sezione russa forma l’unica eccezione alla regola. Sebbene accettate quasi sempre da tutte le sezioni dell’I.C., le tesi e risoluzioni sulle questioni nazionale e coloniale trovano tuttavia nella maggior parte dei casi un’applicazione solo molto tiepida e cauta. Manuilsky ha richiamato i partiti inglese e francese alla coscienza di non aver approfondito abbastanza questi problemi. Noi diciamo che la parola d’ordine generale sotto quest’aspetto deve essere: Lotta dei paesi oppressi contro l’imperialismo capitalista mondiale, in alleanza con il proletariato delle metropoli.
È chiaro che bisogna organizzare la lotta contro l’imperialismo capitalista nel territorio dei paesi oppressi; ma il V Congresso deve dichiarare che la spinta principale alla lotta deve partire dai partiti comunisti dei paesi colonizzatori e oppressori. In tal modo le popolazioni oppresse cominceranno a credere nel successo finale della loro lotta appunto in quanto si vedranno appoggiate dalle grandi masse proletarie delle metropoli.
Il V Congresso mondiale deve ribadire che è necessario sviluppare una tattica di sabotaggio della politica imperialistica, come pure una tattica disfattista. Mi permetto di ricordare che il vecchio Partito Socialista in Italia, in diverse occasioni, lanciò delle parole d’ordine disfattiste contro l’imperialismo colonialista italiano. La parola d’ordine: “Non un uomo, non un soldo”, lanciata in occasione della spedizione in Eritrea, come pure la parola d’ordine: “Lasciamo la Libia, lasciamo l’Albania!”, ebbero grande successo e raggiunsero momentaneamente il loro scopo. I nostri riformisti lanciarono allora queste parole d’ordine giustificandole col dire che da quelle colonie, povere di risorse materiali, l’Italia non traeva alcun plusvalore, e così spostando la questione su un terreno non-rivoluzionario. Ma i comunisti, anche se le colonie italiane avessero avuto valore per lo sfruttamento capitalistico, avrebbero lanciato le stesse parole d’ordine.
I comunisti devono combattere le tendenze riformiste e opportunistiche diffuse in certi paesi e particolarmente in Inghilterra, perché esse esprimono gli interessi di certe categorie dell’aristocrazia operaia alle quali preme conservare la posizione che si sono assicurata mediante la partecipazione alla politica oppressiva dell’imperialismo o allo sfruttamento dei popoli coloniali. Naturalmente, in questi paesi la lotta contro l’imperialismo è molto più difficile: solo l’armonica attività dei comunisti della metropoli e delle masse coloniali che sono sotto il giogo degli imperialisti può conquistare le posizioni di forza del nemico.
Il fatto che noi sfruttiamo le lotte delle diverse classi sociali dei paesi oppressi per la lotta del proletariato mondiale contro l’imperialismo non deve impedire la formazione in questi paesi di partiti comunisti che lottino sia contro l’imperialismo metropolitano che contro la borghesia e i piantatori indigeni. I partiti comunisti dei paesi oppressi devono sforzarsi di stabilire il più stretto contatto fra il proletariato e il semi-proletariato rurale attivo. Noi dobbiamo sottolineare il fatto che il modo agitatorio di trattare la questione nazionale e coloniale, da parte dei partiti comunisti, va considerato come un mezzo ai fini della lotta del proletariato mondiale per la rivoluzione. Le tendenze secondo le quali la rivoluzione proletaria rappresenterebbe un mezzo per affrettare la soluzione dei problemi nazionale e coloniale, sono tendenze opportunistiche, che nascondono dietro questa tesi il desiderio di non affrontare seriamente questi problemi importanti.
Quanto alla parola d’ordine del separatismo nazionale, o del diritto all’autodecisione, è necessario ribadire che non si deve perdere di vista la lotta comune del proletariato dei paesi la cui separazione noi appoggiamo ai fini della lotta contro il capitalismo dei paesi stessi. Non dobbiamo dimenticare che il separatismo, da noi contrapposto al soggiogamento imperialistico, sarà superato dalla rivoluzione proletaria, perché questa è la sintesi armonica della vita sociale. Dovunque si pone la questione del separatismo o dell’irredentismo, i comunisti devono promuovere azioni comuni fra il proletariato delle due nazionalità, anche se la parola di agitazione lanciata del P.C. prevede la separazione delle due nazioni.
Il comp. Manuilsky ha ragione quando ritiene sbagliata l’opinione di alcuni compagni tedeschi sul modo in cui deve essere svolta l’agitazione comunista nella Ruhr. In un paese con un’industria fortemente sviluppata, come la Ruhr, la questione nazionale non può respingere in secondo piano le rivendicazioni di classe. Anche qui, deve servir di base alle nostre parole d’ordine la lotta internazionale contro la classe dominante.
Il V Congresso non può occuparsi di richieste più o meno dettagliate, ma deve dare ai compagni delle colonie la sicurezza che in avvenire sarà attribuita una maggiore importanza alla nostra attività nel campo della questione coloniale. Il congresso affida particolarmente ai partiti comunisti dei grandi paesi colonizzatori il compito di allargare ed estendere il lavoro in questo settore.
Noi speriamo che, al prossimo congresso dell’I.C., potremo
abbracciare
con lo sguardo i risultati del nostro lavoro e non soltanto ascoltare
delle
promesse.
Premessa
L’intervento della Sinistra italiana sulla questione della tattica sindacale, per quanto breve, mette in luce quello che fu la caratteristica essenziale del V Congresso dell’Internazionale comunista; e cioè la continuazione della politica opportunistica varata semi-ufficialmente al IV Congresso del 1922 con l’aggiunta di una verniciatura di “sinistrismo”. Il V Congresso, abbiamo appena visto, riaffermò in modo “categorico” e “totale” l’ortodossia dei principi e dei fini del marxismo rivoluzionario; dichiarò di voler combattere ed espellere dalle file dell’Internazionale le reminiscenze della socialdemocrazia e gli interpreti dei suoi metodi, prese atto della necessità di rivedere e ritoccare le tesi del IV Congresso nei punti in cui avrebbe potuto dare adito a deviazioni di destra; in una parola dichiarò che bisognava fare chiarezza.
La chiarezza fu richiesta dalla destra che, trovandosi alla direzione dei partiti nazionali, dopo aver applicato le direttive degli organi dirigenti del Comintern veniva ora tacciata di disfattismo, se non addirittura di tradimento. La chiarezza fu invocata dalla Sinistra che deprecava il triste andazzo delle enunciazioni vaghe, aperte a cento interpretazioni, fatte in modo che ogni partito potesse trovarvi la scappatoia per eludere le direttive generali e invocare le necessità e particolarità locali. Chiarezza sarebbe stata fatta, dichiaravano gli organi dirigenti dell’Internazionale.
I sintomi di deviazione opportunistica non sono mai da ricercarsi nel rinnegamento dichiarato dei principi, o nell’azione frazionistica, o nell’indisciplina formale alle direttive del centro dirigente. Chi prendesse ciò come metro di paragone per determinare l’ortodossia o meno di un partito non sarebbe attrezzato contro i veri pericoli dell’opportunismo. L’opportunismo, affermava a ragione la Sinistra italiana, si è sempre incuneato all’interno dei partiti proletari facendosi portabandiera e proclamandosi difensore dei principi, dell’unità del movimento proletario, della disciplina.
Cosa è dunque ciò che distingue il buon partito? A questa domanda la Sinistra italiana ha sempre risposto senza esitazioni: «È la buona tattica che distingue il buon partito». In altre parole ciò vuol dire che non deve esistere contraddizione tra l’azione tattica della lotta quotidiana sostenuta dal proletariato contro il permanente attacco padronale ed il disegno strategico del “grande momento”. Ogni volta che si ritenga “opportuno” cercare una via più breve, una tattica più comoda, più “comprensibile” dalle masse proletarie, ogni volta che succede questo vuol dire che si è abbandonata l’ortodossia marxista per lasciare spazio all’opportunismo che, anziché abbreviare le doglie del parto rivoluzionario, altro non è che lo strumento della classe nemica per fare abortire la rivoluzione.
Che valore può quindi avere l’epurazione dei partiti, il rimpasto delle loro direzioni con iniezioni di elementi di sinistra, la condanna dei metodi di collaborazione di classe, quando poi sul piano tattico si continua ad operare in stretta continuità con i sistemi appena deprecati?
La questione sindacale, cui si riferisce il documento che qui di seguito riproduciamo, è quella che meglio di tutte le altre fa piena luce su questo andazzo: l’atteggiamento dell’Internazionale, riguardo alla questione, è quello classico dell’opportunismo. Si parte con il riaffermare dei giusti principi, ed incontestati dalla Sinistra, per approdare al loro totale stravolgimento. La proposta di fusione dell’Internazionale Sindacale Rossa con l’Internazionale gialla di Amsterdam è stata esposta in questo stesso numero della rivista ed è quindi inutile riaccennarne. La risposta della Sinistra italiana a tale proposta è un esempio magnifico, anche se sfortunatamente l’unico, dei giusti termini in cui la questione andava posta ed andava risolta. Sgombrava il campo, una volta per tutte, dalle falsissime interpretazioni che vogliono vedere una frattura tra lavoro politico e lavoro sindacale; che in nome dell’unità del proletariato sono disposte perfino a sacrificare l’autonomia del partito per stringere accordi con la socialdemocrazia.
Ma lasciamo la parola direttamente alla Sinistra.
Avrei voluto limitarmi ad una dichiarazione molto breve, ma il discorso del compagno Semard mi costringe a dire qualcosa di più sulla questione estremamente delicata dell’unità sindacale.
Voglio anzitutto riaffermare che la Sinistra italiana è sempre stata contro la tattica dell’abbandono dei sindacati gialli. In questo, in Italia, non abbiamo incontrato grandi difficoltà. I problemi che oggi si presentano, e che riguardano la ricostruzione dei sindacati operai, sono più difficili di quelli relativi al sabotaggio da parte dei capi riformisti. Noi ci siamo sempre battuti con tutte le forze contro le tendenze, del resto poco rilevanti, favorevoli all’uscita dalla Confederazione Generale del Lavoro dei sindacati indipendenti schieratisi dalla nostra parte. In qualche caso l’agitazione e le campagne da noi condotte hanno costretto i sindacati gialli a rimangiarsi le espulsioni già decise o minacciate di nostri compagni per noyautage e propaganda.
Ciò permesso, vengo alla polemica aperta dal compagno Semard. In sostanza quanto egli ha detto si riduce a un argomento forse efficace ai fini della polemica, ma privo di consistenza in sé, cioè suppergiù questo: Al congresso è stata sottoposta una nuova questione, quella dell’unità sindacale internazionale; Bordiga è contro; tanto dovrebbe bastare a convincere il Congresso che bisogna essere per l’unità sindacale internazionale. Così ha detto Semard prima ancora che ci fossimo pronunciati sulla questione, ed ha costruito la nostra presunta tesi partendo da quelle che abbiamo sostenuto in rapporto ad altre questioni e che del resto egli ha presentate, al solito, in modo inesatto. Semard dice: Voi in Italia siete per il fronte unico solo in campo sindacale, respingete il fronte unico dei partiti. Dunque dividete il partito in due tronconi: uno che deve fare il fronte perché è nei sindacati, l’altro che non può farlo, che non ha ragione di applicare la tattica del fronte unico, perché non è nei sindacati. Ebbene, questo è un modo inesatto di presentare il nostro punto di vista, perché noi non escludiamo il fronte unico neppure delle organizzazioni politiche quando non si tratti di partiti Ma, a parte ciò, io dico che nel partito italiano queste due categorie o tronconi non esistono, come non devono né possono esistere in nessun partito che sia veramente marxista. Da noi ogni membro del partito lavora nel sindacato: anch’io, col permesso del compagno Semard, sono sempre uscito dal mio "isolamento" per partecipare attivamente al movimento sindacale, a scioperi ecc.
In realtà, l’argomento del comp. Semard si ritorce contro di lui e dimostra come anche i compagni migliori del partito francese continuino ad essere, nella questione sindacale, vittime di preconcetti antimarxisti. Essi s’immaginano che i militanti che non siano lavoratori manuali, che non lavorino in fabbrica, non possano né occuparsi di questioni sindacali, né portarvi il proprio contributo, né avere un’opinione su di essi. Ciò prova quanto è radicato nel nostro partito fratello il vecchio pregiudizio, anzi feticismo, dell’autonomia dei sindacati dal partito, per cui si ritiene che del lavoro sindacale possano occuparsi al massimo i militanti che siano lavoratori manuali e in genere proletari, mentre il resto del partito dovrebbe rimanere un’organizzazione puramente politica; il che significa che diverrebbe un’organizzazione di tipo socialdemocratico, un’organizzazione in senso parlamentare. Noi invece sosteniamo che un partito marxista deve avere una sua politica sindacale e, come nel Partito Comunista d’Italia, della questione sindacale deve occuparsi fin l’ultimo degli iscritti, compresi quelli che non sono lavoratori manuali. Del resto, il Partito Comunista d’Italia è appunto quello in cui esiste la percentuale più bassa d’iscritti che non sono operai manuali o contadini; perciò l’argomento del compagno Semard cade totalmente.
[Semard: Mi fai dire esattamente il contrario di quello che ho detto].
Tu hai detto espressamente che in base alla nostra tattica il partito deve per forza dividersi in due categorie diverse.
[Semard: ho detto che non deve dividersi].
Certo, hai detto che non deve dividersi, ma che questa divisione è la necessaria conseguenza della logica applicazione della nostra tattica. Ciò prova che parti da premesse completamente errate.
Ma veniamo al nocciolo della questione. Semard dice: poiché siete per il fronte unico sul piano tattico, dovete essere per l’unità anche sul piano organizzativo. Ma i due problemi sono completamente diversi. Il problema dell’unità sindacale sul piano nazionale, in seno alle centrali nazionali, si è posto molto prima che il Comintern si occupasse della tattica del fronte unico. Per esempio, noi in Italia sin dalla fondazione del partito ci siamo battuti per la fusione organizzativa di tutte le centrali esistenti, ed è stato proprio il nostro partito quello che ha lottato contro il frazionamento del proletariato in diverse centrali sindacali. Esso è, in Italia, l’unico partito che non abbia creato una speciale centrale sindacale per proprio uso e consumo, e abbia invece lavorato all’interno di tutte le organizzazioni sindacali esistenti degli altri partiti. Quanto al fronte unico, si tratta di un problema completamente diverso. Si tratta cioè del problema di un’azione comune o proposta di azioni comuni delle diverse organizzazioni proletarie entro un certo periodo di tempo. In Italia, appena sei mesi dopo la formazione del partito, noi lanciammo la parola d’ordine del fronte unico sindacale che allora ebbe un certo grado d’attuazione nell’Alleanza del lavoro. Lo ricordo solo per mostrare che si tratta di questioni ben diverse.
Non si può venire qui e metterci di fronte alla alternativa: se accettate il fronte unico dovete anche esser per l’unità; perché in forza di un simile argomento, i compagni che accettano il fronte unico dei partiti politici dovrebbero anche difendere l’unità organica dei partiti politici (interruzioni, ilarità). Le questioni sono completamente diverse e devono essere discusse in modo del tutto indipendente l’una dall’altra. Anche il secondo argomento del compagno Semard è quindi privo di consistenza. (Proteste della delegazione francese).
Circa la questione della fusione del Profintern con l’Internazionale d’Amsterdam, mi limiterò a dire che solo un Congresso dell’I. C. è competente a risolverla; una decisione così importante, se non si vuole prendere in sede di Congresso, non può essere deferita a nessun altro organo, né il Profintern né l’Esecutivo allargato né una speciale commissione. Se invece il problema deve essere discusso qui, dichiaro che noi ci opporremo all’unione delle due organizzazioni sindacali.
Toccherò solo uno dei motivi del nostro atteggiamento. Le condizioni che intendete porre per l’attuazione dell’unità, possono essere sufficienti dal punto di vista pratico, ma in base ad esse l’unificazione non avverrà mai, perché sono tali che fatalmente l’Internazionale di Amsterdam dovrà respingerle. Voi ribattete: Tanto meglio, avremo fatto la nostra proposta e Amsterdam l’avrà respinta; non è la prima volta, e gli operai riformisti ne dedurranno che noi siamo davvero per l’unità! Ma, in caso di rifiuto da parte di Amsterdam della nostra proposta, la impressione che ne riceverà la classe lavoratrice sarà che, essendoci convinti che la nostra organizzazione manca di solide basi, abbiamo cercato di liquidarla, e che se questa liquidazione non è avvenuta è solo perché Amsterdam ha respinto le nostre avances. Ciò renderà ancora più difficile il nostro lavoro. Nel caso invece di una realizzazione della unità sindacale, noi non avremmo a fianco dell’Internazionale Comunista che un ufficio di propaganda internazionale per il lavoro nei sindacati, un ufficio del genere di quelle "commissioni sindacali" del partito francese, che non hanno mai svolto un’attività veramente marxista, che non sono mai state altro che dei bureaux, che non sono mai riuscite ad organizzare la più piccola ed energica azione, diretta dal partito, in campo economico e sindacale. E allora la nostra Internazionale diverrà di fatto poco più di una setta politica, un movimento che si limita alla propaganda ideologica e non sa ne può intervenire direttamente e attivamente nelle lotte economiche del proletariato. Siamo quindi contrari a tali proposte, anche se fossero destinate a non essere respinte.
Ma non basta. Molto si parla della Sinistra d’Amsterdam. Si dice: Questa sinistra va criticata per le sue oscillazioni, ma rappresenta pur sempre un fatto importante di cui bisogna tener conto. Secondo noi, la proposta d’unità sindacale mostra invece che proprio nel nostro seno esiste una precisa tendenza politica d’estrema destra, una tendenza che appunto questo congresso doveva riconoscere e di cui in ogni caso la Internazionale sarà costretta ad ammettere l’esistenza a congresso finito. A proposito della tattica del fronte unico, si dice che bisogna liquidare l’illusione di una possibilità di coalizione fra comunisti e socialdemocratici di sinistra; si sottolinea il fatto che si sono esagerate le divergenze fra socialisti di destra e socialisti di sinistra, che ci si è ingannati e ci si è cullati in illusioni per aver sopravvalutato la importanza di questi punti di contrasto. Invece, in una questione così delicata come quella dell’esistenza dell’Internazionale sindacale rossa, che ha portato nelle lotte sindacali di tutti i paesi le parole d’ordine decisive dei comunisti, si dice: Poiché in seno alla burocrazia sindacale socialdemocratica, in seno ai sindacati gialli, esiste una corrente di sinistra, precipitiamoci verso questa sinistra e cerchiamo di concordare con essa una tattica comune; dobbiamo riconoscere il fatto fondamentale che noi siamo per l’unità e che anche questa sinistra è per l’unità. A nostro avviso, una tale proposta racchiude gli stessi pericoli impliciti nell’applicazione di una tattica contro la quale elevammo sempre energiche proteste. Al IV Congresso, sul terreno dei rapporti fra organizzazioni politiche ed economiche del proletariato, ci siamo opposti per ragioni di principio ad una concessione fatta dai sindacalisti rivoluzionari, e consistente nella proposta di modificare gli statuti del Profintern e rinunciare al collegamento organico fra Comintern e Profintern. Allora io dissi: questa concessione se ne tirerà dietro altre; come oggi si fa una grave concessione alla tendenza anarco-sindacalista di sinistra, così domani saremo costretti a farne ai sindacalisti di destra, a quella corrente sindacale che, nella forma di destra come in quella di sinistra, non è che lo stesso e sempre ricorrente ostacolo antimarxista sulla nostra strada. Di questa tendenza offre il più chiaro esempio il partito francese. Per impedire tale pericolo, la questione sindacale non deve mai essere trattata in modo da indebolire ed offuscare l’intervento dei comunisti e dei rivoluzionari nelle lotte economiche e nelle organizzazioni operaie.
Perciò il discorso del compagno Semard, che ci ha attaccati
direttamente,
ci costringe a prendere posizione contro la proposta fatta in
riferimento
all’Internazionale sindacale rossa, e a ribadire che proprio il partito
francese deve essere sempre più condotto, con l’aiuto delle altre
sezioni
dell’Internazionale, ad applicare la tattica marxista dell’intervento
diretto e impavido nelle lotte operaie.
A nome della sinistra italiana, ho presentato alla commissione degli statuti una serie d’emendamenti e proposte d’aggiunte che sono stati respinti. Molti di essi hanno trovato l’appoggio anche di Terracini e Piccini, e, in sede di commissione, io e Terracini ci siamo astenuti dal voto.
Rinunciando ora a sottoporre questi emendamenti al Plenum e a chiederne la votazione, mi limiterò ad indicare, in una specie di dichiarazione, i punti fondamentali delle nostre divergenze.
Noi abbiamo chiesto che le parole contenute nell’articolo 1): "per la conquista della maggioranza della classe operaia", siano sostituite con: "per la conquista dei più vasti strati della classe operaia". Si è detto a questo proposito che l’espressione contenuta nel progetto di statuto è attinta alle tesi presentate da Lenin al III Congresso. Noi sottolineiamo la necessità di una discussione su questo punto e obiettiamo che la commissione degli statuti non è competente a risolvere la questione. La commissione, tuttavia, ha accettato all’unanimità la formula contenuta nel progetto. Io devo ricordare che Lenin, in una lettera successivamente pubblicata, espresse il suo rammarico per avere, al III Congresso, fatte troppe concessioni alla destra. L’espressione di cui parliamo è appunto una di queste concessioni. La formula "conquista della maggioranza della classe operaia” presta il fianco a tutte le interpretazioni statistiche degli opportunisti. Lo stesso Zinoviev, nel rappresentare il suo rapporto, ha polemizzato in merito contro Hula. [“Secondo un articolo del comp. cecoslovacco Hula, prima di pensare alla rivoluzione, si dovrebbe conquistare e organizzare una maggioranza del 99% statisticamente provata!!”].
Noi proponemmo inoltre che fosse aggiunto un punto in cui si esprimesse il divieto di creare frazioni nei partiti. Sarebbe stato piacevole, per noi accusati di mene frazionistiche, trovare l’appoggio degli altri compagni nella lotta contro una simile tendenza. La commissione tuttavia ha respinto all’unanimità questa proposta, dichiarando che l’accettazione di una simile “limitazione” negli statuti dell’Internazionale impedirebbe di creare frazioni nei partiti comunisti qualora ciò si rendesse necessario. Noi respingiamo questa tesi che permette il frazionismo dall’alto, metodo quanto mai efficace di disorganizzazione.
Chiedemmo anche che fosse soppresso il punto in cui si autorizza la creazione di partiti simpatizzanti. L’esistenza di partiti simpatizzanti non solo ha gravi ripercussioni politiche che danneggiano le sezioni nazionali della Internazionale, ma è un fattore negativo per l’Internazionale stessa. In realtà si viene così ad ammettere la possibilità che in un paese esistano due partiti entrambi appartenenti alla Internazionale; cioè si pongono sullo stesso piano i partiti comunisti e i partiti opportunisti. Ciò contraddice alla tesi che in ogni paese esiste un solo partito rivoluzionario, il partito comunista.
Fra le altre proposte che qui non cito, ve n’era una con la quale s’intendeva statuire che i membri delle centrali nazionali e dell’Esecutivo del Comintern devono essere membri da almeno due anni di un partito regolarmente aderente all’Internazionale. Piatniski e la commissione risposero che un articolo così formulato escluderebbe troppi compagni che non rispondono a tali requisiti. È giusto, ma ogni statuto impone certe norme di carattere limitativo.
Ripeto che questa breve precisazione non va considerata che come una
dichiarazione di voto. Noi votiamo per gli statuti proposti dalla
commissione
perché riteniamo che gli statuti dell’Internazionale debbano essere
votati da tutti, anche quando sono accettati solo dalla maggioranza
delle
delegazioni.
Dal Protocollo tedesco, pag. 987/988.
La minoranza della delegazione italiana ha preparato un progetto di tesi tattiche, corrispondente alle direttive generali per le quali la sinistra italiana si è sempre battuta nella questione della tattica.
Ciò malgrado, la sinistra italiana voterà per il progetto Zinoviev che, in confronto alle risoluzioni del IV Congresso, si avvicina notevolmente alle concezioni da noi costantemente sostenute.
Siamo pienamente d’accordo con la maggior parte del progetto Zinoviev. Le nostre riserve riguardano soltanto alcune formulazioni dei paragrafi sul fronte unico, sulla parola d’ordine del governo operaio e su altri punti secondari.
Possiamo anche accettare la forma data ai paragrafi di condanna delle deviazioni impropriamente dette “di sinistra”, perché queste non hanno nulla in comune con le concezioni difese dalla sinistra italiana.
Con il nostro voto, intendiamo non solo fare atto di disciplina, ma
levare una leale e decisa protesta contro le esagerazioni tendenziose
delle
divergenze fra noi e la maggioranza dell’Internazionale.
Dal resoconto francese - pag. 346/6, 348/49
(Dopo il rapporto Manuilsky sui lavori della commissione sulla questione italiana, che accetta le dimissioni dei compagni della sinistra dal Comitato Centrale – sebbene tali dimissioni siano in contrasto con gli statuti e i deliberati dei Congressi mondiali – perché gli stessi compagni della sinistra si sono impegnati a collaborare disciplinatamente all’esecuzione delle decisioni del Congresso in merito alla fusione con i terzinternazionalisti, Bordiga fa per la sinistra italiana la seguente dichiarazione:
«Fra la sinistra e il partito italiano da un lato, le altre frazioni del partito e l’Internazionale dall’altro, esistono ancora alcune divergenze. In tale situazione sembra a noi che la risoluzione presentata dal comp. Manuilsky sia la più accettabile. Perciò la accettiamo con tutte le conseguenze pratiche non solo per disciplina, ma perché è una soluzione alla quale non dobbiamo piegarci costretti, che anzi abbiamo noi stessi domandato. Crediamo che per impedire diverbi frazionistici e permettere una collaborazione attiva di tutti i gruppi sotto la direzione dell’Internazionale, il meglio sia escludere la sinistra dalla direzione del partito. Ripeto che non solo ci sottomettiamo per disciplina ai deliberati dell’Internazionale e dell’Esecutivo Allargato, ma parteciperemo attivamente alla loro esecuzione e faremo di tutto affinché ogni compagno della nostra tendenza osservi lo stesso atteggiamento lealmente».
Dopo una relazione Zinoviev sul risultato della discussione sindacale e sulla risoluzione che «si pronuncia in linea di principio per la fusione delle due internazionali sindacali sotto certe condizioni», precisando che «questa fusione sarà unicamente possibile se la questione è posta al centro dell’attenzione delle masse operaie, vale a dire se si riesce a provocare un serio movimento dal basso», Bordiga dichiara di essere contro la risoluzione. Non è, per principio, contro l’unità sindacale, ma condanna i metodi che sono stati proposti per realizzarla.
La proposta Zinoviev è adottata con l’emendamento tedesco. Sulla questione Souvarine, Ercoli e Bordiga «chiedono le circostanze attenuanti perché il partito francese si trovava in uno stato in cui la disciplina in genere era rilassata e si faceva della politica personale». La proposta della commissione è adottata contro i 5 voti della delegazione italiana, sancendo così la condanna di Souvarine per i suoi atti di indisciplina come, fra l’altro, la pubblicazione di “Corso Nuovo” di Trotski.