Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

Corrente di Sinistra nel
Partito Comunista d’Italia

 

UNA LETTERA DI BORDIGA SULL’INIZIATIVA DEL COMITATO D’INTESA
 

Cari compagni,

Rilevo naturalmente l’invito a precisare il contenuto del commento alla mia dichiarazione dell’8 giugno 1925, e me ne dichiaro ben lieto.

Le cose da chiarire non sono poche, né semplici, e perciò mi auguro che sarà dato a me come ad ogni altro compagno di sviluppare senza ulteriore difficoltà la esposizione e la discussione dei fatti e dei problemi che urgono.

La impostazione data dalla Centrale alla questione della Intesa di sinistra è del tutto inaccettabile, secondo la mia opinione.

Non esistono due questioni distinte o distinguibili, una di ordine procedurale e di amministrazione ordinaria concernente l’operato dei compagni del Comitato d’Intesa, l’altra che riflette tutta l’attività e l’indirizzo del Partito e dell’Internazionale. Le due cose formano un tutt’uno in quanto il problema centrale del dibattito generale in questo momento si porta proprio sui problemi della vita interna dei partiti comunisti, sulla disciplina, sulle frazioni. Del resto il fatto stesso che la Centrale, anziché affrontare la questione del comportamento dei compagni del Comitato d’Intesa sul terreno della procedura interna statutaria, ne ha fatto oggetto di una campagna politica, polemica e giornalistica, ossia condotta alla presenza sia dei proletari sia degli avversari, dimostra senza bisogno di insistervi che si tratta di un problema che concerne l’indirizzo generale del Partito, che i compagni del Comitato d’Intesa ne rappresentano moltissimi altri e rispecchiano una situazione diffusa profondamente e realmente nel Partito. Quando la Centrale si trova in questa necessità deve dare le parola ai compagni che attacca e rimettere ogni decisione al Congresso.

A parte tutte le ragioni che dimostrano falso in linea di principio e di metodo marxista ridurre la questione al comportamento personale di taluni iscritti e al gioco formale della disciplina nei loro riguardi, voglio chiarire subito qualche punto di fatto che dimostra come la via scelta dalla Centrale non serve a difendere, ma a danneggiare il Partito e la sua unità che ci sta a cuore più che a chiunque altro e che ci impegnamo a difendere anche malgrado le spiacevoli situazioni create dagli errori della Centrale.

L’accusa di frazionismo non risolve nulla perché noi la ritorciamo subito in base ai fatti, quando non siano tendenziosamente e frazionisticamente esposti, ai compagni della Centrale. La costituzione del Comitato d’Intesa, lo vedremo ora, era l’unico mezzo per ovviare agli inconvenienti creati dal loro metodo di dirigenza del Partito e per indirizzare nel senso meno pericoloso le reazioni di tutta la periferia contro i sistemi del Centro.

Ma poi, quando la Centrale riesce a convincere i compagni meno avveduti e una parte dei lavoratori che le cose andrebbero benissimo se non vi fossero taluni uomini che si sono messi in testa di frazionare, di disgregare e di scindere il Partito – lasciamo andare che si sa questi uomini chi sono – la possibile conclusione ultima sarà una sola: la sfiducia generica verso tutto il Partito e i suoi dirigenti di ogni tendenza e la convinzione pessimistica che i problemi politici che in esso si agitano sono risolti subordinandoli alla rivalità dei capi che si equivalgono a questo riguardo. Invito tutti i compagni che stanno tra le masse a confermare questa palpabile verità. Alla campagna aperta contro il Comitato d’Intesa gli iscritti al Partito e gli operai hanno variamente reagito e i più hanno sentito la enormità del procedimento e la sua parzialità, ma la virulenza dell’attacco ha condotto moltissimi ad una posizione di sfiducia e di allarme gravissimo. Se vogliamo risollevarci da questo e rassicurare le masse, senza pretendere di nascondere loro la esistenza di quei problemi che realmente provocano un nostro dissenso interno, non resta che rialzare subito, senza perdere un giorno, la questione al livello di un dibattito fra compagni e quindi a parità assoluta di condizioni, si sia o no membri di organi direttivi, sugli alti problemi dell’azione, del metodo rivoluzionario e della situazione mondiale ed italiana. Essendo verissimo che in un vero Partito Comunista non vi sono frazioni in contesa, è facile suscitare per un momento una reazione contro un gruppo di compagni presentati come i guastafeste. Ma nulla di utile si può trarre da questo semplicistico movimento sentimentale a scapito della vera coscienza comunista e del prestigio del Partito tutto.

Rifiutandosi ostinatamente, per paura di dovere dare ragione a noi, di volere allargare la discussione un poco al di là della tediosa ripetizione a vuoto delle formulette sull’unità e contro la divisione rifiutandosi di impostare storicamente il problema del processo che ci conduce dai vecchi sistemi socialdemocratici alla effettiva unità e centralizzazione comunista, si specula su certi atteggiamenti, purtroppo ancora popolari, ma erronei e sfruttati universalmente contro il nostro Partito. Ho capito, dice l’operaio, anche nel Partito Comunista tutto si riduce a dissensi tra i leaders, i quali sono capaci di spezzare il Partito pur di prevalere sui loro rivali; e allora aveva ragione chi ci diceva che la scissione di Livorno è quella che ci ha rovinati e ha permesso al fascismo di trionfare. Metto la cosa in parole povere: ognuno vede come dal grido "abbasso le tendenze" levato così demagogicamente, mentre contemporaneamente né si spiega, né si vuole permettere agli altri di spiegare come si pone per noi marxisti il problema del compito delle frazioni e delle tendenze, si arriva solo – ed è stato sempre così, è stata sempre la peggiore tendenza quella mascherata di antitendenzismo – ad una posizione di disfattismo e di liquidazionismo del nostro Partito e della sua tradizione gloriosa, si fa smarrire ai compagni la visione della utilità storica del processo che condusse alla liberazione del proletariato mondiale dalle influenze opportuniste. Quando si potrà svolgere la parte teorica di questo argomento allora si vedrà come anche teoricamente questa posizione di liquidazionismo è in parte assunta dalla frazione centrista che dirige il Partito.

Detto questo per far presente ai compagni la inutilità dalla offensiva svolta dalla Centrale e delle sue ostentazioni di applicazione spietata della sedicente disciplina, ridotta ad essere concepita come una specie di performance sportiva fine a se stessa, vediamo come, ristabilendo e rettificando i fatti alterati nella storia datane dal comunicato 7 giugno e dagli altri scritti che gli fanno sèguito, emerge che responsabile di frazionismo è proprio la Centrale; che essa non esita a tendere la situazione interna nel Partito, per lo sforzo di creare un fatto compiuto ed una manipolazione delle opinioni del Partito, dal quale sia esclusa una possibile rinnovata adesione della maggioranza alle vere opinioni direttive ed atteggiamenti della Sinistra, piano che anche riuscendo non avvantaggerà né il Partito, né l’Internazionale, né la stessa frazione che ci dirige e si contenta di successi così inconsistenti e fallaci, ben diversi dalla eventuale “conquista del Partito italiano alle direttive seguite dal Centro dirigente l’Internazionale”, di cui tanto si parla. Questo è seriamente possibile solo riconoscendo la piena legittimità e possibilità che il Partito conquista attraverso la sua consultazione nel senso opposto, senza toccare per questo l’unità e l’ossequio completo alle decisioni dell’Internazionale nell’azione politica, cosa che nessuno revoca in dubbio.

Ancora una volta smentisco che il V Congresso abbia invitato me od altri compagni della Sinistra a far parte della Centrale del Partito. Con le sue conclusioni contro di noi sulla questione italiana il V Congresso di fatto ha ratificato la nostra destituzione decisa all’Allargato del giugno 1923, contro cui del resto mai nulla abbiamo eccepito in linea di procedura, se pure resta il caso unico del genere nella storia dell’Internazionale. Inoltre il V Congresso ha votato unanime le conclusioni della Commissione italiana che, dopo lunghe e laboriose sedute, ha deliberato di costituire senza di noi la Centrale del Partito. Solo un congresso nazionale o internazionale può riaprire questa questione. Si dirà che è un’attitudine formale questa, ma nella sostanza la decisione del V Congresso significava una soluzione non certo ideale, ma contingente della situazione del Partito italiano, nel senso che noi non solo avremmo rispettato la disciplina e lavorato su tutto il fronte del Partito, ma anche, nel mentre ci tenevamo fuori dell’organo supremo, ci impegnavamo a non creare ostacoli e fare opposizioni a questo nella sua azione.

Ora fin dai Congressi federali tenuti subito dopo, la Centrale italiana ha rotto questa specie di accordo statuito al V Congresso aprendo la sua offensiva frazionistaica. Fin da Mosca io avevo avvertito che la Centrale poteva e doveva condurre una propaganda elevata e aperta delle direttive del Centro dell’Internazionale a cui la Sinistra era contraria, ma non doveva trasformarla in una campagna settaria e personalistica contro la Sinistra perché questo avrebbe determinato una reazione di cui fin d’allora respingevo la immancabile attribuzione di responsabilità. Si preferì tuttavia l’espediente che si credeva più facile e si presentò la questione ai Congressi federali come una faccenda sulla condotta disciplinare e personale di Bordiga. Dove la cosa riusciva si faceva votare politicamente i Congressi; dove qualcuno spiegava le cose e resisteva s’impediva il voto affermando che il Congresso era informativo. È perciò un’altra invenzione che in quei Congressi il Partito si sia pronunziato contro la Sinistra. Ad ogni modo dopo una breve polemica noi tacemmo senz’altro, attendendo il Congresso del Partito. Ma la offensiva frazionista non si fermò, né la Centrale volle consentire a portare i suoi metodi di lotta interna in più spirabil aere.

Venne infatti la famosa circolare sulla bolscevizzazione in cui il nome del sottoscritto ricorreva non so quante volte, metodo curiosissimo, di chiunque si tratti, da parte di un organo dirigente che tenga davvero alla sua serietà ed autorità, circolare che per dichiarazione della Centrale non fu determinata dal mio articolo sulla questione Trotski. Si continuava a sostituire alla critica alle idee della Sinistra una campagna contro il contegno personale di taluni dei suoi aderenti e specialmente mio. Per limitarmi alle accuse che dalla circolare sotterranea sono passate a quella palese, protesto perché si è insinuato che io ho rifiutato politicamente di recarmi all’Esecutivo Allargato ultimo, mentre invece intendevo andarvi a riconfermare la opposizione a vecchi e nuovi indirizzi dei dirigenti dell’Internazionale, e solo ragioni personali mi hanno con rammarico obbligato a restare in Italia. Su ciò, se si giudicasse necessario, è ovvio che sono disposto a rendere pieno conto agli organi competenti, ma non volendosi fare questo si cessi dalle insinuazioni. Solo per la mia avversione alle esibizioni non mi dilungo sui caratteri di quelle dolorose circostanze: tanto per intenderci.

Parallelamente alla circolare bolscevizzatrice la Centrale accentuava, poggiandola sul collegamento interno del Partito, la campagna frazionista. Questa non è una frase. Da tempo per il suo lavoro interno la Centrale considera di fatto i compagni divisi in due categorie: i reprobi e gli eletti, e riserva a questi istruzioni che la caratterizzano come un comitato dì frazione. Mentre si fa leva sull’argomento che i compagni di sinistra si rifiutano al lavoro del Partito, si è da tempo iniziato il loro boicottaggio e rastrellamento dalle più modeste e disinteressate cariche. La recente Conferenza internazionale di organizzazione e l’Allargato hanno insistito sulla necessità che gli organi direttivi locali siano nominati dalle organizzazioni di base e non dall’alto: in Italia si fa il rovescio, e non valgono gli argomenti attinenti alla legalità, in quanto si sono destituiti per ragioni frazionistiche, confessate o no, comitati in piena e lodata efficienza. Cito soltanto che Bruno Fortichiari è stato dimesso da segretario con lo scioglimento del Comitato Federale di Milano. I nuovi esecutivi federali circondati dalla sfiducia degli iscritti rispettivi possono ben votare ora l’ordine del giorno diramato dalla Centrale di solidarietà con... sé stessa.

Anche se noi avessimo voluto deliberatamente ignorare i metodi della Centrale, questo non avrebbe eliminato il malessere del Partito e la reazione che suscita questo insieme di compressioni e di condiscendenze dipendenti non da una regola unica e stabile – e quello sarebbe il vero centralismo e unitarismo comunista – ma dalle simpatie ed antipatie frazioniste. La reazione, lasciata a se stessa, riserverebbe al Partito giorni cattivi. La pretesa omogeneità fatta di inconsapevolezza e di assenza, foderata di silenzio e di sospetto, rivendicata dalla Centrale ci porterebbe un giorno dinanzi ad amare sorprese. A questo si oppone la costituzione del Comitato d’Intesa, che è, nella situazione dolorosa, di fatto, ora descritta, la sola garanzia seria contro la degenerazione del Partito.

Dopo che l’Esecutivo Allargato ha votato una risoluzione, che pur combattendoci aspramente nelle nostre opinioni, non riduce la controversia a problemi disciplinari di condotta personale, ma stabilisce per la chiarificazione ideologica la più vasta discussione congressuale; e dinnanzi alla sistematica informazione tendenziosa del Partito sul nostro conto tendente a pregiudicare la libera consultazione, noi dovevamo premunire il Partito stesso rivendicando non il diritto di scindere e disgregare, ma quello di informare ogni compagno, di qualunque parere, in modo autentico sulle nostre vedute e proposte di cui il Congresso deve essere investito (i compagni che dirigono il Partito e che sono per avventura dei letterati e non degli... chauffeurs, sono pregati di rivedere il significato e l’etimologia della parola investire).

La necessità della nostra decisione è confermata dai metodi di cui si è avvalsa la Centrale nella presente campagna. Le più enormi cose sono state messe in circolazione sul nostro conto: dal titolo contro la scissione frazionista, alle allusioni agli agenti provocatori, ai trafiletti sulle coincidenze con i social-traditori, alle motivazioni delle misure contro il compagno Girone, in cui, a parte tutti gli altri motivi di accecante nullità del provvedimento, si affermano cose che era impossibile non sapere false, come lo stipendiamento da parte del Comitato d’Intesa e l’abbonamento ferroviario. Assumo la responsabilità della più assoluta smentita a queste circostanze: se si provano vere mi riconosco passibile della espulsione per indegnità dalle file del Partito in cui milito.

La maggioranza dei compagni non può pensare che la Centrale del Partito affermi cose non dimostrate e controllate: ecco la condizione di inferiorità in cui ci si vuol mettere, per gridare poi al trionfo contro gli errori teorici della sinistra italiana. Contro questo, appunto perché buoni comunisti, ci siamo voluti difendere e – lo sappiano tutti – ci difenderemo.

Non posso a questo punto entrare nella discussione teorica, sebbene mi ci porti irresistibilmente la risposta alle obbiezioni con cui si accoglieranno queste mie dichiarazioni. Accenno a poche argomentazioni schematiche. L’Internazionale deve tendere a divenire il vero Partito Comunista Mondiale, ed allora solo avrà superato per sempre il fatto delle frazioni. Noi sosteniamo che il metodo, respinto, della sinistra italiana andava verso questo risultato meglio di quello adottato dai dirigenti dell’Internazionale. In ogni modo, che il problema non sia risolto non è opinione nostra ma cosa pacifica, in quanto gli stessi testi ora ripubblicati delle decisioni internazionali stabiliscono che i partiti comunisti non sono ancora maturi e solo ora se ne intraprende la bolscevizzazione che condurrà ai partiti senza frazioni. Dunque si riconosce che si tratta di un difficile risultato e che non si assicura con una legge proibizionista ma con la realtà di un lungo e difficile lavoro. Va da sé che noi sosteniamo un metodo tutto diverso, appunto per raggiungere questo scopo del superamento del frazionismo, da quello che va sotto il nome di bolscevizzazione. In secondo luogo frazioni ve ne sono in tutti i partiti comunisti, il russo non escluso, e ve ne erano e sono al di fuori di noi nel Partito Italiano.

In terzo luogo la nostra Intesa non vuole essere una frazione organica nel seno del Partito, ma un veicolo d’informazione di tutti i soci del Partito, fatta in maniera non clandestina.

In definitiva poi, i limiti che separano la nostra attività da quella di una frazione non sono segnati dal nostro capriccio o dalla nostra buona o cattiva condotta, ma sono determinati dalla situazione reale dell’Internazionale e del Partito e dalla politica interna della Centrale italiana, che ha suddiviso il Partito in frazioni, e per cui il solo scandalo sarebbe che la sua frazione non ottenesse, malgrado il ricorso a tutti i descritti espedienti, l’adesione della maggioranza.

Allo stato dei fatti, ricordando che per l’analoga situazione del Partito comunista tedesco in cui una vigorosa opposizione lotta contro la nuova tattica, l’Esecutivo dell’Internazionale ha deliberato che "la lotta deve essere condotta con una discussione aperta" e che “la preparazione al prossimo Congresso (il quinto o il sesto da che non ne teniamo noi) per lo meno deve essere accompagnata da una larga campagna di discussione nel Partito” – noi chiediamo la immediata apertura della discussione, senza limitazioni pregiudiziali, e la sospensione di ogni misura disciplinare a contenuto frazionista, che potrebbe solo avvelenare senza vantaggio per nessuno l’ambiente del Congresso. Nella riunione di questo, munita di pieni poteri in rappresentanza effettiva di tutto il Partito, presente l’Internazionale si porranno e si affronteranno tutte le questioni. L’unità del Partito non correrà per tal modo nessun pericolo e la sua vita interna non potrà che guadagnarci. Noi offriamo in questo senso ai compagni tutte le garanzie e gli impegni.

Solo dopo averci dato la parola un organo qualunque del Partito – noi riconosciamo nel caso la competenza solo al Congresso italiano e al Centro internazionale – potrà pronunciarsi su accuse in cui ricorre l’affermazione che noi siamo l’espressione di uno stato di sfiducia conseguente al peggioramento della situazione italiana (noi proprio accusati di aver attraversato con intatta attitudine così svariate situazioni…) che siavi una nostra pretesa analogia con i massimalisti, mentre la pietra di paragone per i sinistri è la avversione ad ogni politica di manovra calcolante sullo spregevole Partito Massimalista, oggetto dei respinti amori del centrismo; che i Repossi e i Fortichiari vadano fuori dal seminato delle direttive comuniste mentre verrebbero mettervi trionfanti i Migliori e magari i Gobetti ed i capi del Partito Sardista e la sinistra del borghese Aventino.

La replica a così arrischiate asserzioni e gravissime accuse politiche trascende l’incidente disciplinare volutosi creare e domanda la più ampia discussione: dov’è quel compagno che non vede questo e che, pur potendosi riservare a dibattito esaurito di darci torto se sarà il caso, vota perché siamo obbligati al silenzio?

Chiudo nella speranza che il nostro appello non sia respinto, e che possiamo completare l’esposizione delle nostre vedute, di cui, del resto, già vari documenti sono stati comunicati alla Centrale.

Con saluti comunisti.

A. B.

(L’Unità, n. 51 del 2 luglio 1925)