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Nei primi movimenti proletari non era ben chiara la distinzione tra organizzazioni di difesa degli interessi economici dei salariati e i primi gruppi circoli e partiti politici. Tuttavia già nell’indirizzo inaugurale della Prima Internazionale dei lavoratori è ben chiaro il concetto che si tratta di una Associazioni mondiale di partiti politici. L’indirizzo infatti, dopo aver ricordata la strada percorsa fin allora dalle classi operaie nella difesa dei loro interessi contro lo sfruttamento borghese, il bill delle dieci ore strappato al parlamento inglese, e i risultati delle prime cooperative di produzione, utilizza tale materiale di propaganda nel campo critico, e sottolinea la smentita ai teorici della economia borghese secondo i quali la produzione sarebbe crollata paurosamente ove fosse stata ridotta la estorsione di lavoro ai salariati riducendo la giornata ed elevando l’età minima dell’operaio, come li sbugiarda nella tesi che possa esservi produzione senza «una classe di imprenditori che dà da lavorare ad una classe di operai» in grandi proporzioni secondo i precetti della scienza moderna. Ma subito dopo l’indirizzo afferma che movimento sindacale e lavoro cooperativo non saranno mai al caso di fronteggiare «il monopolio che cresce in progressione geometrica, di liberare le masse o di alleviare soltanto l’abisso della loro miseria». Il lavoro cooperativo dovrebbe essere fatto a scala nazionale e per conseguenza con mezzi dello stato. «Ma all’incontro i padroni della terra e del capitale adopereranno sempre il loro potere politico a difendere ed eternare il loro monopolio economico». Quindi il grande dovere delle classi operaie è di conquistare il potere politico.
La quistione del potere politico e dello stato determinò lunghe battaglie prima tra socialisti marxisti e libertari, con la scissione della Prima Internazionale, poi tra marxisti rivoluzionari e socialdemocratici. Lenin ha data la dimostrazione storica irrevocabile che «la tendenza ad eludere la questione dell’atteggiamento della rivoluzione nei confronti dello Stato» fu «la cosa più caratteristica del processo di crescenza dell’opportunismo della Seconda Internazionale (1889-1914), che ha condotto al suo fallimento».
I cardini della posizione marxista che Lenin ristabiliva in “Stato e Rivoluzione” a base della dottrina della Terza Internazionale Comunista di Mosca erano: distruzione con la violenza dell’apparato di stato borghese – dittatura rivoluzionaria del proletariato armato per il progressivo smantellamento del sistema sociale capitalistico e la repressione dei borghesi controrivoluzionari – sistema statale operaio senza burocratici di carriera, ma con i lavoratori «periodicamente chiamati alle funzioni di controllo e sorveglianza» amovibili in ogni momento e con lo stesso trattamento economico – infine dissolvimento del nuovo apparato statale man mano che la produzione avviene su base comunista.
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La riunione dei sindacati operai in un organismo unico internazionale avviene tardi, poiché anche nazionalmente essi si raggruppano assai più tardi dei gruppi di propaganda che si trasformano in veri partiti. Dapprima si formano le federazioni di categoria professionale e poi queste si riuniscono in confederazioni nazionali.
Questa rete della organizzazione economica è sempre ben distinta da quella politica di partito, ma vi fa eccezione, arrecando spesso confusione nei rapporti internazionali, il sistema inglese del Labour Party che accetta le adesioni sia di gruppi e partiti politici operai che delle Trade Unions economiche. Il Labour Party non è e nemmeno si dichiara socialista e marxista, aderisce tuttavia alla Internazionale politica, ai cui successivi congressi mondiali in maniera più o meno diretta parteciparono delegazioni delle confederazioni sindacali dei varii paesi.
Se il processo dell’opportunismo denunciato e affrontato da Lenin ebbe il suo aspetto politico in seno alla Seconda Internazionale coll’abbandono di ogni seria preparazione del proletariato alla rivoluzione, la inserzione nel sistema parla- [...sic...] se, ed infine il tradimento finale con l’appoggio di guerra alle borghesie nazionali in aperto dispregio delle decisioni dei congressi socialisti mondiali di Stoccarda e Basilea, l’opportunismo ebbe non meno gravi aspetti nel campo sindacale. I capi delle grandi organizzazioni operaie di mestiere e delle confederazioni sindacali si burocratizzarono in una prassi di contatti e di accordi con gli organismi padronali che li condussero a respingere sempre più la diretta battaglia delle masse salariate contro il padronato. Man mano che di fronte alle organizzazioni operaie si ponevano sindacati di industriali, i quali educavano i borghesi a superare per ragioni di classe l’autonomia aziendale e la concorrenza in una doppia lotta monopolistica, diretta contro il consumatore da un lato e dall’altro contro lo schieramento sindacale operaio, i bonzi sindacali costruirono il metodo della collaborazione economica per il quale gli operai, anziché lottare in ogni azienda e in campo più vasto contro il datore di lavoro, ne ottengono limitati vantaggi a condizione di sorreggerne l’impresa produttiva con l’evitare gli scioperi e spostarsi sul piano della cointeressenza alla “produttività” e al “rendimento” del lavoro industriale.
Se i parlamentari socialisti vergognosamente tradiscono la classe operaia votando i crediti militari ed entrando nei ministeri di guerra del 1914, i capi sindacali tengono degno bordone proclamando il dovere degli operai industriali di intensificare il lavoro per produrre mezzi bellici necessari alla salvezza della patria, e li adescano al compromesso vantando l’ottenimento di esenzioni dal servizio militare.
La ventata di crisi e di smarrimento che passò sul movimento proletario sospese durante tutta la guerra la vita degli uffici internazionali operai, quello politico di Bruxelles, quello sindacale di Amsterdam. Per colmo le stesse confederazioni dissidenti da quelle riformiste, e capeggiate da libertari o da sindacalisti della scuola di Sorel, nemmeno avevano tutte resistito alle seduzioni del socialpatriottismo; classico esempio quella francese di Jouhaux gettatasi in pieno nella politica sciovinista e nell’union sacreé.
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I rinnegati e i socialtraditori che durante la guerra si erano fieramente combattuti tra loro sotto le rispettive bandiere nazionali si tornarono a riunire dopo di essa nelle internazionali gialle, e l’ufficio sindacale internazionale di Amsterdam stabilì i migliori rapporti con l’Ufficio Internazionale del Lavoro fondato a Ginevra a fianco della Società delle Nazioni.
I comunisti leninisti attaccarono a fondo tutti questi istituti, espressioni dell’imperialismo mondiale e dello sforzo controrivoluzionario capitalistico che si schierava disperatamente contro il risollevarsi del proletariato mondiale vittorioso nella dittatura rossa di Ottobre.
La linea della tattica sindacale dei comunisti, che nel 1919 fondavano a Mosca il Comintern, va però ricordata nei punti essenziali per esser chiaramente intesa. Nessun dubbio nei campo della organizzazione politica proletaria sulla esigenza di rompere definitivamente non solo con gli opportunisti del socialnazionalismo ma anche con i centristi esitanti di fronte alla parola della lotta contro la democrazia parlamentare, per la dittatura rivoluzionaria in tutti i paesi. Quindi, come fu ripudiata la internazionale di Bruxelles ed il raggruppamento poi formatosi e indicato ironicamente col nome di Internazionale due e mezzo, vennero invitati i comunisti di ogni nazione a rompere con i locali partiti socialisti
Nel campo sindacale, mentre era non meno chiara la dichiarazione di guerra ai gialli servitori del capitale di Amsterdam e di Ginevra, diretta materiale emanazione degli Stati monopolisti borghesi e senza alcun legame con gli strati della classe lavoratrice, venne risolto in modo coerente ma non formalmente identico il problema delle organizzazioni locali e nazionali.
La quistione dette luogo a non pochi dibattiti tra i giovani partiti comunisti. In non pochi di questi si sostenne la tattica dell’abbandono dei sindacati diretti dai gialli per passare alla formazione di nuovi sindacati economici secessionisti raggruppanti i lavoratori disgustati dallo opportunismo dei funzionari socialdemocratici. Si ritenne da questi gruppi, tedeschi olandesi e di altri paesi, che alla lotta rivoluzionaria fosse necessario non solo un partito comunista autonomo ma anche una rete sindacale autonoma e collegata col partito.
La critica di Lenin provò che una simile veduta implicitamente e talvolta esplicitamente conteneva una svalutazione del compito del partito e quindi della necessità politica rivoluzionaria e che si imparentava con vecchie preoccupazioni operaistiche partecipi degli errori di destra. Ad essa si ricollegavano le tendenze, rappresentate anche in Italia, a svalutare lo stesso sindacato di categoria e di industria a base nazionale rispetto agli organismi di fabbrica costituiti tra gli operai, o Consigli di Azienda, che venivano considerati non come organi di lotta inseriti in una rete generale, ma come cellule locali di un nuovo ordine produttivo che avrebbe rimpiazzo nella gestione quello borghese lasciando sussistere l’autonomia della azienda sotto la direzione dei suoi operai. Questa concezione conduceva a una visione non marxista della rivoluzione, secondo la quale il nuovo tipo economico si sarebbe sostituito a quello capitalistico cellula per cellula con un processo più importante di quelli riguardanti il potere centrale e la pianificazione generale socialista.
La dottrina del Comintern eliminò tutte queste deviazioni e precisò la importanza, nella situazione storica di allora, del sindacato economico in cui i lavoratori affluivano in tutti i paesi in masse compatte imponendo vaste lotte nazionali di categoria e impostando le premesse di battaglie politiche. Per Marx e Lenin nello schieramento delle forze operaie il partito è indispensabile, se esso manca o perde di forza rivoluzionaria il movimento sindacale non può che ridursi all’ambito di una collaborazione col sistema borghese, ma dove le situazioni maturano e l’avanguardia proletaria è forte e decisa anche il sindacato passa da organo di conquiste ad organo di battaglia rivoluzionaria, e la stratega della conquista del potere politico trova la sua base nella decisa influenza del partito, eventualmente anche minoritaria, negli organismi sindacali traverso i quali si può chiamare le masse agli scioperi generali e alle grandi lotte.
Il secondo congresso del Comintern del 1920, nelle sue tesi sindacali, che sono tra le più espressive, volle dunque che i partiti comunisti lavorassero nelle confederazioni sindacali tradizionali cercando di conquistarle, ma in caso che non potessero strapparne la direzione agli opportunisti, non traessero da tale situazione motivo per dare agli operai la consegna di abbandonarli e fondare altri sindacati in campo nazionale.
Questa tattica ebbe fedele applicazione ad esempio in Italia, ove i comunisti parteciparono a tutte le lotte sindacali e fecero intenso lavoro nelle fabbriche nelle leghe nelle Camere del Lavoro, molte delle quali erano da essi dirette, nelle federazioni di mestiere, di cui controllavano alcune sebbene la Confederazione Generale del Lavoro fosse nelle mani dei riformisti anticomunisti Rigola, d’Aragona, Buozzi e simili.
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Nel campo della organizzazione internazionale, ferma restando tale tattica nei singoli paesi, i comunisti fondarono la Internazionale dei Sindacati Rossi – Profintern – con sede a Mosca, che riuniva le Centrali nazionali dirette da comunisti, e in prima linea i sindacati russi. Fu il tempo della parola Mosca contro Amsterdam nel movimento operaio.
Dopo alcuni anni questo metodo chiaro e netto subì una prima rettifica regressiva. Verificatisi, per le ragioni di situazione generale del mondo capitalistico che non occorre richiamare in esteso, ritorni ed insuccessi del movimento rivoluzionario in Europa, se ne trasse pretesto, in rapporto alle esigenze dello Stato russo, per modificare la tattica sindacale internazionale e sopprimere il Profintern, arrivando fino a chiedere che i sindacati russi fossero accettati come confederazione nazionale nell’Ufficio dei gialli di Amsterdam, e si invitarono gli operai comunisti a lottare per questo obiettivo e protestare per il rifiuto prevedibilmente opposto dagli opportunisti ad accettare tale iscrizione. Era un primo passo sulla via liquidazionista. La politica dei fronti popolari e della difesa della democrazia, parallela alle evoluzioni di politica estera dello Stato sovietico, ormai entrato nel circuito mondiale dell’imperialismo ed allineatosi sulle barricate dell’imperialismo, completava il processo di liquidazione della autonomia politica ed organizzativa del proletariato, a cominciare dal partito per finire con gli organismi sindacali e di massa, e la trasformazione di questi in strumenti della conservazione borghese e dell’imperialismo.
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Il problema dell’ingranamento tra organi politici ed organi sindacali di lotta proletaria nella sua impostazione deve tenere conto di fatti storici della più grande importanza sopravvenuti dopo la fine della prima guerra mondiale. Tali fatti sono da una parte il nuovo atteggiamento degli Stati capitalistici rispetto al fatto sindacale, dall’altra lo scioglimento stesso del secondo conflitto mondiale, la mostruosa alleanza tra Russia e Stati capitalisti e i contrasti tra i vincitori.
Dal divieto dei sindacali economici, coerente conseguenza della pura dottrina liberale borghese, e dalla loro tolleranza, il capitalismo passa alla terza fase della loro inserzione nel suo ordine sociale e statale. Politicamente la dipendenza si era già ottenuta nei sindacati opportunisti e gialli, e aveva fatto le sue prove nella prima guerra mondiale. Ma la borghesia per la difesa del suo ordine costituito doveva fare di più. Fin dal primo tempo la ricchezza sociale ed il capitale erano nelle sue mani, e li andava concentrando sempre più col continuo respingere nella nullatenenza gli avanzi delle classi tradizionali di liberi produttori. Nelle sue mani fino dalle rivoluzioni liberali era il potere politico ed armato dello stato, e più perfettamente nelle più perfette democrazie parlamentari, come con Marx ed Engels dimostra Lenin. Nelle mani del proletariato suo nemico, i cui effettivi crescevano col crescere della espropriazione accumulatrice, era una terza risorsa: l’organizzazione, la associazione, il superamento dell’individualismo, divisa storica e filosofica del regime borghese. La borghesia mondiale ha voluto strappare al suo nemico anche questo suo unico vantaggio, ha sviluppata la propria coscienza e organizzazione di classe interna, ha fatto inauditi sforzi per reprimere le punte di individualismo economico nel suo seno e darsi una pianificazione. Ha dal primo momento nello stato un organismo di inganno e di repressione poliziesca, si sforza negli ultimi decenni di farne, parimenti al proprio servizio, un organismo di controllo e di reggimentazione economica.
Poiché il divieto del sindacato economico sarebbe un incentivo alla lotta di classe autonoma del proletariato, in questo metodo la consegna è divenuta del tutto opposta. Il sindacato deve essere inserito giuridicamente nello Stato e deve divenire uno dei suoi organi. La via storica per arrivare a tale risultato presenta molti aspetti diversi e anche molti ritorni, ma siamo in presenza di un carattere costante e distintivo del moderno capitalismo.
In Italia e Germania i regimi totalitari vi giunsero colla diretta distruzione dei sindacati rossi tradizionali e perfino di quelli gialli.
Gli Stati che in guerra hanno sconfino i regimi fascisti si muovono con altri mezzi nella medesima direzione.
Temporaneamente nei loro territori e in quelli conquistati hanno lasciato agire sindacati che si dicono liberi e non hanno vietato e non vietano ancora agitazioni e scioperi.
Ma ovunque la soluzione di tali movimenti confluisce in una trattativa in sede ufficiale con gli esponenti del potere politico statale che fanno da arbitri tra le parti economicamente in lotta, ed è ovviamente il padronato che fa per tal modo la parte di giudice e di esecutore.
Ciò sicuramente prelude alla eliminazione giuridica dello sciopero e della autonomia di organizzazione sindacale, già di fatto avvenuta in tutti i paesi, e crea naturalmente una nuova impostazione dei problemi dell’azione proletaria.
Gli organismi internazionali riappaiono come emanazione di poteri statali costituiti. Come la seconda Internazionale rinacque col permesso dei poteri vincitori di allora in forma di addomesticati uffici, così abbiamo oggi uffici dei partiti socialisti nell’orbita degli stati occidentali, e un cosiddetto ufficio di informazioni comunista al posto della gloriosa terza Internazionale che fu.
I sindacati si raggruppano in congressi e consigli che nessun legame possono provare di avere con la classe operaia, e che ad evidenza palmare mostrano di essere messi su da un gruppo o dall’altro di governi.
La salvezza della classe operaia, la sua nuova ascesa storica dopo lotte e traversie tremende, non è presso nessuno di tali organismi. Essa è sulla via che saprà riunire il riordinamento teorico delle vedute sui più recenti fenomeni del mondo capitalistico e la nuova impostazione organizzativa in tutti i paesi a scala mondiale, che saprà raggiungere un piano più alto del contrasto militare degli imperialisti, rimettendo la guerra delle classi al posto della guerra degli stati.