International Communist Party Sulla questione sindacale
 

Congressi Confederali
Contro il tradimento del sindacalismo tricolore, per la rinascita del Sindacato di Classe

(da “Il Partito Comunista”, n.35, 1977)




I SINDACATI TRICOLORE

I Congressi delle massime due Centrali sindacali italiane CGIL e CISL sono appena terminati. Vi sono solennemente riaffermati i principi del sindacalismo tricolore, sia quando (nel Congresso CGIL) si è esplicitamente tifato per un nuovo governo di solidarietà nazionale, secondo le direttive dei partiti che sostengono questa Centrale, PCI e PSI; sia quando (nel Congresso CISL) si è con altrettanta solennità riaffermata l’“autonomia”, la “indipendenza” del sindacato da partiti e governi. Sembrerebbe una contraddizione, ma non lo è.

Lenin ha più volte dimostrato con i dati dell’esperienza di classe che il sindacato operaio non può essere “neutrale”, né “autonomo”, né “indipendente”. O si pone al servizio della classe operaia o al servizio del regime borghese.

Per cui la questione della “cinghia di trasmissione”, che i partiti e sindacati si affannano a smentire, principalmente PCI e soci, non è una invenzione o una diabolica formulazione comunista, ma l’esatta soluzione dialettica del rapporto tra sindacati della classe operaia e il regime politico della classe capitalistica. L’equivoco è sorto quando la borghesia liberale trattava questo rapporto in perfetta osservanza dei principi del liberismo, e quindi si disinteressava dei sindacati operai o li avversava. Col passaggio alla fase, invece, della penetrazione e se del caso della diretta costruzione di sindacati operai da parte delle classi borghesi, si poneva di forza un nuovo rapporto tra regime e organizzazione operaia.

Disinteressarsi del problema in pieno e vigoroso sviluppo dei sindacati, avrebbe significato disinteressarsi della conservazione del regime capitalistico, abdicare alla difesa dello Stato, arrendersi alla classe operaia che, sospinta dal bisogno economico immediato, intraprendeva lotte furibonde ed estese a decine di milioni di lavoratori e si indirizzava oltre la contingenza verso il potere politico.

La borghesia cercò accordi con i capi riformisti, disposti ad addomesticare l’aggressività operaia in cambio di prebende e di posti caldi. Nel crearsi degli “amici” nel campo operaio, la borghesia fondò quelli che passavano per “sindacati gialli” e “bianchi”, onde rafforzare la tendenza legalitaria rappresentata dai bonzi dirigenti il sindacato di classe. Il Sindacato operaio, quindi, è sorto come organo della classe dei salariati e, sviluppandosi i partiti operai, ne veniva spalleggiato e li spalleggiava man mano che i lavoratori si riconoscevano nella lotta per l’emancipazione dal padrone, dallo Stato e dal bisogno, sviluppata dalle prime falangi socialiste cui aderivano gli stessi operai organizzati nei sindacati economici.

Il legame tra sindacati e Partito di classe si stringeva fino al mistificato patto di alleanza tra Partito Socialista Italiano e Confederazione Generale del Lavoro, fino all’assurdo di considerare il Sindacato alla pari del Partito, che, nella politica pratica, si traduceva nella sottomissione del Partito alla banda di bonzi e mandarini dirigenti l’organizzazione sindacale di classe.

La borghesia ha imparato dalla storia, nella quale ha lottato e lotta da protagonista e da antagonista del proletariato, a maneggiare la leva sindacale, facendola manovrare a propri emissari o manovrandola essa stessa direttamente sotto forma di organo statale, come i sindacati fascisti.

La polemica odierna sta nelle diatribe di partito, ma suona anche da monito per i moderni bonzi a non preferire una “sinistra” ad una “destra” che potrebbe pregiudicare la funzione essenziale ed esemplare che oggi i sindacati svolgono di “cinghia di trasmissione” del regime capitalistico, nella sua tonalità.

Questi sindacati nazionali respingono a parole di essere organi di raccordo di uno o più partiti, proclamano di voler servire soltanto il “paese”, e con questo non possono sfuggire alla funzione di essere “cinghia di trasmissione” della azione, del regime nazionale borghese.

Nella sostanza politica è logica conseguenza che le Centrali rivendichino un “posto” nella “programmazione economica”, nella elaborazione dei piani di difesa della “democrazia”, che il loro giudizio sui provvedimenti governativi venga tenuto in debito conto. Le Centrali aspirano, com’è nel loro diritto e nella loro collocazione dentro il regime capitalistico, ad assumere delle precise “responsabilità” per il “superamento della crisi” oggi e per la “ripresa economica” domani, se ci sarà. È quindi, congeniale alla funzione dei sindacati tricolore la politica dei “sacrifici”, degli investimenti, preferiti alla salvaguardia dei salari, della occupazione anziché della difesa dei disoccupati. Perché se anch’essi non difendono lo Stato borghese vengono sopraffatti dalla controffensiva proletaria.

Ancora una volta, più che dalle proclamazioni solenni di Congressi verbosi, dalla pratica quotidiana vengono ad ondate successive ed incalzanti prove concrete di solidarietà aperta di sindacati e partiti “operai” al regime del padronato, che non è stato mai tanto forte come ora che appare rappresentato non da un suo ceto di diretta estrazione borghese, ma da politicanti che non disdegnano di portare il garofano rosso all’occhiello; che non ha mai come ora impinguato tanto le sue casseforti col sudore e col sangue dei proletari.

Il vero Partito Comunista si differenzia da tutti gli altri partiti “operai” anche in questo. Non ripudia né copre con veli diplomatici la sua precisa funzione di direzione della classe operaia in tutte le sue lotte, sia in quelle immediate per il pezzo di pane, che in quelle per il potere politico. Anticipa anche a forte distanza questa sua funzione, anche quando, come oggi, non solo non tuona il cannone della rivoluzione, ma nemmeno la classe si sta schierando in ordine di battaglia.

Opera e lotta il Partito per fare dell’organizzazione di classe una “leva” della lotta rivoluzionaria e quindi per dirigere con i suoi organi specifici (gruppi comunisti, frazione, ecc.) la lotta economica immediata del proletariato. Il Partito avanza questa decisione e, al tempo stesso in cui proclama come necessaria e irrinunciabile la lotta di difesa economica del proletariato, ne svela agli operai combattenti la caducità se questa lotta non si trasforma in lotta politica.

Trasformazione della lotta economica immediata in lotta politica significa esigere che le “conquiste parziali” siano irreversibili e non "compatibili" con nulla. Il che comporta lo scontro diretto con i partiti, con i governi e con lo Stato per i quali gli interessi proletari vengono considerati aleatori e dipendenti dagli interessi delle classi possidenti.

Al proletariato incombe di spezzare questo cordone che lega i suoi interessi e lui stesso alla classe dominante, non certo seguendo la falsa pista dell’indipendenza e dell’autonomia delle sue lotte rivendicative dalle lotte per il potere, della sua organizzazione di classe dal Partito di classe, né tanto meno ricadendo nella trappola, sempre tesa a bella posta, di “superare” d’un balzo la “fase economica” per slanciarsi in quella “politica”, scordando che è la stessa trappola che hanno teso partiti e sindacati costituzionali quando hanno chiesto ai proletari di rinunciare al pane, al “vile” pane, per difendere gli ideali, i “sublimi” ideali, della resistenza, della democrazia, della repubblica, perché dimentichino che i borghesi, invece, considerano il loro “pane”, il profitto, e la loro “patria”, il regime capitalistico, al di sopra della classe operaia.

Nei due Congressi sindacali nessuna voce si è levata per gridare forte ed alto che soltanto gli interessi dei lavoratori contano, che i sindacati non permetteranno mai che vengano anche appena impunemente scalfiti. Alle battaglie intestine e mafiose per accaparrarsi la direzione sindacale, non è stata contrapposta da nessuna forza sindacale una battaglia di classe che indichi ai lavoratori che l’unica lotta operaia è quella che difende soltanto ed esclusivamente la condizione operaia e che non è disposta a barattarla con alcuna idealità, falsamente supposta più “alta” e non “corporativa”.

Gli oppositori “leali”, riuniti attorno a sigle folkloristiche e asettiche, richiedono qualche “posto” in direzione in cambio dell’azione di contenimento delle sincere e istintive spinte ribelli di gruppi operai, proponendo nomi “nuovi” al posto di quelli “vecchi”. Per costoro questi sindacati vanno bene, soltanto che occorrerebbe un maggior vigore per realizzarne l’indirizzo politico, che resta sempre democratico, legalitario, nazionale. L’accusa, si fa per dire, che viene mossa ai vertici ufficiali è di non fare abbastanza per realizzare i propositi espressi dai Congressi. Le bonzerie, se per gelosie di mestiere rintuzzano questa cosiddetta “sinistra sindacale” tuttavia non la espellono perché non esce dal “sistema” sindacale tricolore, anzi serve loro per arginare a “sinistra” le spinte reali e sincere degli operai.

Nella pratica quotidiana, anzi, gli avversari più decisi e irriducibili dell’indirizzo di classe che il nostro Partito e i nostri gruppi comunisti si sforzano di affermare tra i lavoratori, sono proprio i nuovi bonzi che, sotto la maschera di “sinistra”, frenano l’istinto operaio portato verso posizioni classiste di lotta aperta e diretta in difesa degli interessi immediati dei salariati, che non di rado si manifestano con atti formali di indisciplina sindacale.

Non poteva essere presente in questi Congressi, e forse non lo sarà mai, una posizione di classe. Nei Congressi, e in questi Congressi si chiacchiera e si chiacchiera a senso unico, cioè nei limiti del “tricolore”. Con votazioni e pratiche legalitarie non si cambia nulla. Come nulla cambia con la creazione di altri organi sindacali nei quali si organizzano “avanguardie” operaie minoritarie in contrapposizione alle grandi Centrali a milioni di lavoratori.

La questione non è di forma, ma di funzione. Dobbiamo sempre rispiegare certi concetti che spesso vengono smarriti, in particolare da chi non ha idee chiare o le ha perdute.



UN PO’ DI TEORIA

Un po’ di teoria è indispensabile. Non è pedanteria. L’organo sindacale assolve alla funzione elementare di difesa delle condizioni immediate dei salariati dalla ingordigia capitalistica. Vivendo nel regime di classe, nella società divisa in classi, non può essere al di sopra degli interessi delle classi, né proporsi obiettivi pratici che non tengano in debito conto le forze sociali, economiche e politiche interessate. Cosicché non sempre, per esempio, la richiesta di aumenti salariali è in contraddizione con gli interessi del regime capitalistico. Quando il mercato tende a dilatarsi, la massa delle merci aumenta, è necessario alla conservazione del meccanismo capitalista che i salari aumentino in proporzione perché le merci siano acquistate e si realizzi il profitto in esse incorporato.

La “programmazione economica”, tanto vantata, ha tra le altre funzioni, anche questa, come assolve a questa funzione la “scala mobile”, strumento di adeguamento automatico dei salari al mercato. La politica sindacale delle Centrali ufficiali è indirizzata esattamente alla conservazione di questo meccanismo, è inscritta ferreamente nel cerchio infernale della sottomissione degli interessi economici operai a quelli del modo di produzione capitalistico, e di conseguenza del suo regime politico, quale che sia. In tal modo i salari salgono e scendono, quelli reali soprattutto, a seconda che il sistema economico lo esige. Da qui politica di “rivalutazione salariale” quando il mercato si espande, politica di “sacrifici” quando si contrae. Su queste basi si sviluppano e si intrecciano varie soluzioni e combinazioni economiche e politiche compatibili con le basi stesse.

Il Sindacato operaio di classe si distingue precisamente nella difesa degli interessi economici e sociali degli operai non subordinandoli a quelli del meccanismo economico, secondo la formula di propaganda comunista “gli interessi degli operai sono sacri ed inviolabili”, che nel campo politico si traduce nel sostegno al partito che proclama ed attua questo indirizzo, elevandolo a sistema politico di governo. I sindacati attuali, pertanto, essendo sul fronte opposto non assolvono alla funzione per la quale sono stati costituiti.

L’esigenza della classe operaia, è, dunque, quella di riportare la sua organizzazione economica alla sua funzione originaria.

Non è con la testa, con la predica morale, con l’invettiva che questo capovolgimento si avvererà. Innanzitutto le determinazioni materiali dovranno mettere brutalmente le Centrali sindacali tricolore alla prova dei fatti pratici, obbligandole ad assumere atteggiamenti sempre più scoperti di smaccata difesa del sistema capitalista. Ed è quello che lentamente si sta già verificando e da cui trae origine la nascita di aperte o coperte e a volte dissimulate ribellioni operaie agli ordini Centrali. Lo scontro tra l’indirizzo di classe materialmente espresso e programmaticamente anticipato dal Partito di classe e l’indirizzo conservatore si svolge quindi in mille forme ed assume mille aspetti, non sempre formalmente coerenti, ma altamente significativi di un processo che si sta svolgendo inesorabilmente, tendente alla riconquista da parte della classe operaia della sua funzione sindacale sinora tradita.

Questo processo avrà possibilità di radicarsi nelle file proletarie se riuscirà a interessare le grandi schiere lavoratrici, se cioè opererà in modo unitario. Non scissionista, magari con pregiudizi “rivoluzionari” ideologici e anche sindacali, separando operai “rivoluzionari” da operai “democratici”, operai di “sinistra” da quelli di “destra”, operai che sarebbero per la “conquista” democratica dell’attuale organizzazione sindacale da quelli che sarebbero per la “conquista a legnate”, operai che “pensano” che questi sindacati non siano più conquistabili da quelli che “pensano” che siano conquistabili, e via dicendo.

L’indirizzo di classe, IL BISOGNO DELLA LOTTA DI CLASSE, non si inventa né è appannaggio di pochi o di tanti, ma della CLASSE, è l’esistenza stessa della classe, che non si divide tra operai comunisti e cattolici, come fa comodo alle carogne. Esso passa per ogni campo in cui siano in gioco gli interessi operai, interessa gli operai in generale, attrae i lavoratori costretti a difendersi con le unghie e con i denti dallo schiacciamento padronale e dal soffocamento dei falsi dirigenti operai. È questa la questione dominante e determinante, non le disquisizioni teoriche astratte se questi sindacati dovranno essere sostituiti da sindacati “rivoluzionari” o meno.



L’OPPOSIZIONE SINDACALE DI CLASSE

Lottare con questo indirizzo classista in ogni momento, in ogni circostanza, in tutti i campi in cui siano in gioco il salario, il posto di lavoro, gli interessi immediati dei lavoratori, significa lottare per ricostruire un movimento sindacale di classe, che, come tale, deve avere le sue radici sui posti di lavoro in funzione antipadronale, antiaziendale, anticapitalista e antitricolore, in aperta opposizione alle direttive ufficiali.

Opposizione alla politica sindacale ufficiale, alle direttive tricolore di conservazione del regime, non opposizione alla organizzazione di classe o, come si ama dire oggi, per barare, “superamento” dei sindacati, della funzione sindacale.

Il Partito ha da sempre perseguito questa linea di battaglia alla quale chiama gli operai, linea di difesa “con tutti i mezzi dei soli interessi immediati della classe operaia” contro chiunque ci si opponga o li mistifichi. Saranno le lotte che si sviluppano su questa direttiva che determineranno i mezzi di aggregazione della classe operaia. Ma soprattutto la lotta antitricolore dal basso, sui posti di lavoro, dove gli organi di fabbrica non sono ancora del tutto corrotti dalla mafia bonzesca e dalla sua politica pacifista e collaborazionista, sarà determinante per svuotare le attuali fradice organizzazioni sindacali dominate dal tradimento e dal carrierismo; sui posti di lavoro dove si creano quotidianamente le condizioni materiali per lo scontro di classe e dove è sempre più difficile non fare i conti con la condizione operaia.

È qui che gli operai, tutti gli operai saranno costretti a fare confronti pratici tra la politica delle Centrali sindacali ufficiali e le esigenze materiali e politiche dei lavoratori, tra le direttive del Partito comunista vero e i partiti che si spacciano come socialisti e comunisti, tra le molteplici “sinistre” di comodo e l’unica Sinistra Comunista.

Nei Congressi non si è potuto nascondere la solidarietà dei partiti della pace sociale ai sindacati della pace sociale. È questa una solidarietà di fatto, al di là dei contorsionismi di capi vanesi, è la realizzazione reale non ufficiale ma concreta del “compromesso storico”, che dura da un trentennio.

Per questo connubio tra sindacati e partiti di regime, la lotta per la riconquista dell’organizzazione economica degli operai si fa sempre più dura e feroce. Perché è ineluttabile che gli operai che vogliono difendersi dall’offensiva padronale e borghese cozzino contemporaneamente sulla doppia cerniera protettiva dell’apparato tricolore e dei falsi partiti operai, la cui politica domina sui sindacati e sull’intero movimento operaio. Dietro le bonzerie sindacali tricolore ci sono i partiti del tradimento. Dietro i Lama, Macario, Benvenuto di oggi ci sono gli odierni Berlinguer, Craxi e soci. Colpisci gli uni, colpirai gli altri. Attacca o proletariato, la “politica dei sacrifici” di CGIL, CISL e UIL, e attaccherai istantaneamente il compromesso in permanenza tra i partiti cui aderisci e lo Stato capitalista.

Non vi sono altre vie d’uscita.