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I comitati di lotta operai (da “Il Partito Comunista”, n.60, 1979)
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Il Partito intravede nell’azione anticapitalista dei comitati di lotta il terreno su cui in avvenire si dovrà mobilitare la classe dei salariati in difesa dei propri interessi immediati e per ricostruire l’organizzazione di classe. Questa considerazione scaturisce da constatazioni pratiche di episodi molteplici nel tempo e nello spazio, verificatisi nell’arco degli ultimi dieci anni, non soltanto in Italia, ma anche in altri Paesi, come Russia, Polonia, Svezia, Egitto, Tunisia, Francia. In questi Paesi, e in altri ancora, gli operai si sono dovuti organizzare di fatto contro e fuori i sindacati ufficiali per difendere la loro condizione.
Di contro, tutte le forze dei diversi regimi politici hanno bloccato in un fronte di difesa capitalistica contro gli operai. È un fatto, non una teoria, che in conseguenza della distruzione del Partito comunista unico mondiale, anche i sindacati operai sono caduti nelle mani della borghesia, che ne ha fatti gli organi esecutivi della sua politica di conservazione sociale nel campo proletario. L’apparentamento con le strutture statali dei sindacati è ancor più stretto nei Paesi dove la borghesia ha inaugurato, col fascismo e il nazismo, il totalitarismo di governo, nel tentativo di darsi una direzione unica per meglio fronteggiare gli immancabili assalti rivoluzionari della classe operaia.
Questo giudizio generale, tuttavia, va differenziato in quanto non siamo in presenza di un “movimento” che si esprima in una organizzazione almeno a scala nazionale. Quelli che, per semplificare, chiamiamo “Comitati di Lotta operai”, assumono diversi nomi, come “Coordinamenti operai”, “Commissioni di base”, ecc. che, per non sottilizzare, esprimono in genere lo stesso contenuto e le stesse intenzioni.
In una classificazione molto approssimativa, si possono avere tre tipi di Comitati. Un primo tipo formato di puri salariati, organizzato sui posti di lavoro; un secondo, cui aderiscono ex-studenti e semi-intellettuali, per lo più fuori dei posti di lavoro e organizzati territorialmente; un terzo, infine, senza alcun legame organizzativo stabile, in cui di tanto in tanto di cristallizzano esigue forze. Grosso modo, ad ogni tipo corrispondono caratteristiche particolari, originate dalla composizione sociale, dalle influenze politiche, dalla collocazione nella struttura economica produttiva. Volendo scendere nei particolari da sociologi, ogni Comitato costituirebbe un tipo a sé.
I Comitati del primo tipo, per esempio quelli ospedalieri, considerano i sindacati tricolore irrecuperabili alla lotta di classe, non manifestano velleità ideologiche e partitiche, non si considerano organi intermedi tra partito e sindacato, ma organi di difesa economica e sociale dei lavoratori. Ciò non vuol dire che nel loro seno domini l’unanimismo e che non si presentino le più disparate ideologie. Il bisogno della organizzazione, non solo sui posti di lavoro ma anche territorialmente sino a scala nazionale dell’intera categoria, è molto sentito, e continui sforzi vengono compiuti per stringere collegamenti con tutto il settore del pubblico impiego e in genere con gli operai industriali. I Comitati di questo tipo sono certamente quelli più avanzati e la loro combattività non si esaurisce in episodi di agitazione e di sciopero. Della loro importanza e potenzialità di influenzamento sui salariati si ha la riprova dalla campagna di menzogne e di criminalizzazione a opera dello Stato e del regime.
Al secondo tipo collochiamo Comitati nati in qualche modo in provetta, per volontà o velleità politica di gruppi politici genericamente estremistici, dominati da elementi extra-operai, residuati della decomposizione di Lotta Continua o sedimentati dal riflusso elettorale al cui fine avevano operato. Questi Comitati si caratterizzano per “posizioni dirompenti” del tipo “i sindacati non servono più”, “nemmeno il Partito”, “gli operai devono organizzarsi da soli”, ecc., di sapore anarcoide e anche peggio. In fabbrica non hanno peso. Il terzo tipo comprende una miriade di piccoli o anche vasti organi, come quelli dei precari della scuola, capaci di lotte incisive, ma che si disperdono subito dopo la lotta.
Abbiamo volutamente non classificato quegli organi che si definiscono come “Sinistra Sindacale” perché è questa una tendenza interna ai sindacati tricolore che si prodiga soltanto per conquistare legittima influenza nelle strutture confederali, seguendo la politica della “Nuova Sinistra”, del Pdup, osservanti della disciplina sindacale. Si presenta come “opposizione leale e legale” entro le Centrali confederali. In realtà opera, per il recupero degli operai ribelli alla politica sindacale ufficiale. Se i comitati di lotta sono proiettati nell’avvenire, la Sinistra Sindacale sprofonda nel passato-presente.
È noto che i Gruppi Comunisti, dove sono inquadrati i lavoratori del Partito e i lavoratori simpatizzanti, operano in tutti i reparti della classe e agiscono in qualunque luogo dove i proletari lottano e si organizzano. Per questo non disertano gli scioperi indetti anche dai confederali, né, a maggior ragione, le azioni rivendicative e di difesa che i Comitati riescono ad organizzare e sviluppare. Il Partito non distribuisce in assoluto patenti di classe ad alcun organo esterno alla sua organizzazione, consapevole che soltanto il Partito è l’organo indispensabile per la direzione della lotta di classe. Nessuna disciplina, quindi, è dovuta aprioristicamente e prioristicamente nemmeno al più classista degli organi di lotta immediata degli operai. Il Partito ordina la disciplinata esecuzione delle disposizioni di lotta economica sempre portandovi la sua funzione di organo politico di classe. È il Partito che lo decide, non altri organi.
In breve, i lavoratori comunisti si organizzano in Frazione entro qualunque organo operaio il Partito decida che vi operino e vi lavorino, e se sostiene i comitati di lotta o organi equipollenti, che si pongono sul terreno di classe, come quelli del primo tipo, non disdegna, se le condizioni lo permettono, di operare anche nei comitati del secondo e terzo, con l’intento manifesto di indirizzarli verso quelli del primo. Al tempo stesso non si rifiutano di lavorare nei sindacati ufficiali, per quanto possibile, con totale indipendenza di giudizio e di decisione, in posizione di indisciplina verso le Centrali e di sollevazione dei salariati contro la politica tricolore.
I gruppi e i lavoratori comunisti non si identificano mai con i comitati di lotta, nemmeno nel caso in cui ne abbiamo la direzione. Essi si pongono l’obbiettivo immediato dell’unificazione dei comitati sulla base comune dell’anticapitalismo e del rifiuto della politica sindacale tricolore, non esigendo il riconoscimento di altre pregiudiziali, come quella del “fuori o contro” i sindacati, ma non sottacendo il convincimento che la ripresa di classe avverrà fuori e contro le presenti strutture sindacali.
I comitati di lotta sono un fertile terreno di propaganda, agitazione, proselitismo e di reclutamento per il Partito politico di classe.
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Le indicazioni sopra espresse, che non costituiscono principi immutabili, ma suggeriscono strumenti di lotta che il Partito ritiene di dover usare per il conseguimento del doppio obbiettivo dell’affasciamento e organizzazione di forze proletarie in funzione anticapitalistica e della ricostruzione di organismi di classe nel campo economico, sono suscettibili di mutare in ordine allo svilupparsi della lotta di classe onde consentire al Partito di essere sempre più e meglio aderente alle molteplici e complesse iniziative proletarie nelle lotte immediate.
Il Partito parte dal presupposto, nella scelta delle sue indicazioni pratiche, che è sua precisa funzione quella di sostenere gli operai in lotta, quale che sia il loro numero e l’esito dello scontro con il Capitale. Non è guidato in questo campo d’intervento da calcoli idealistici, né dal “grado di coscienza” dei lavoratori, né dal “livello” delle lotte. Non pochi gruppi politici giustificano il loro disinteressamento o scarso interessamento per i comitati di lotta col pretesto che sono “corporativi”, infettati di ideologie strane. Squallidi pretesti in chi scodinzola tra i gruppi della famigerata e fantastica “area rivoluzionaria” alla ricerca di alleanze ignobili e posticce.
La selezione dei comitati di lotta è organica, non ideologica. È per mezzo della lotta e dell’azione che si modificano le “idee”, che sorgono e scompaiono organi operai. Gli operai esprimono i loro bisogni col linguaggio e le idee che respirano ogni giorno. Al Partito il saper decifrare questi geroglifici e l’indicare le giuste “idee” tradotte nel linguaggio della lotta.