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La via dell’organizzazione classista contro i sindacati di regime (da “Il Partito Comunista”, n.57, 1979)
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Fra le tante accuse lanciate ai primi nuclei operai che cominciano ad organizzarsi all’esterno delle attuali strutture sindacali vi è quella di voler creare un quarto sindacato e perciò di dividere i lavoratori. Sinistre sindacali e dirigenze ufficiali tentano di impedire il rinascere di organizzazioni classiste con il paravento dell’unità che, certamente, come tutti sappiamo, è un elemento indispensabile nella lotta difensiva e offensiva del proletariato.
La ricostruzione di un nuovo sindacato potrebbe essere considerata opera scissionista all’interno del movimento operaio se i sindacati esistenti fossero sindacati di classe, il che non significa necessariamente far propria la prospettiva della rivoluzione sociale, ma almeno la funzione di difendere gli interessi immediati dei lavoratori, in totale autonomia da padroni e Stato borghese.
IERI
Un esempio storico analogo all’attuale situazione è quanto accadde in presenza dei sindacati fascisti: all’inizio della ondata fascista esistevano diverse Centrali sindacali (dirette da social-comunisti, anarchici, repubblicani) che venivano definite sindacati “sovversivi” in quanto seguivano le direttive della lotta di classe e sancivano nelle loro affermazioni di principio l’abolizione della proprietà privata e il mutamento del regime. «Anche i sindacati cattolici – scrivevamo allora – pure mancando naturalmente di questo contenuto programmatico di carattere rivoluzionario, seguono nella loro attività quotidiana una tattica schiettamente classista la quale assume a volte aspetti veramente rivoluzionari: le lotte eroiche dei contadini cremonesi che giunsero fino all’occupazione armata delle terre e alla costituzione di specie di Soviet rurali ne sono un esempio ammirevole» (“Rassegna Comunista”, 1922).
Il fascismo distrusse tutti i sindacati avversari, incendiò le Camere del Lavoro, sostituì la bandiera rossa con la bandiera tricolore. Questa azione, certamente negativa per la classe operaia – dimostrazione evidente della sconfitta proletaria in campo aperto – fece scaturire però una chiara e netta contrapposizione fra sindacato di classe e sindacato di regime: o con questi o con quelli! Era chiaro in quel momento che reagire a questa offensiva non significava andare verso un “secondo” sindacato, né rischiare la scissione della classe operaia. Le corporazioni fasciste erano sindacati di regime, nati sulla distruzione dei sindacati di classe, sull’uccisione di migliaia di lavoratori comunisti e non comunisti, con l’aperta e dichiarata intenzione di difendere la proprietà privata e il prevalere degli interessi dell’economia nazionale contro ogni rivendicazione sia pure minima dei lavoratori non consentita dagli interessi borghesi; fra l’altro i lavoratori erano letteralmente obbligati ad entrare nelle corporazioni pena il licenziamento e le legnate. Insomma, la marcia in avanti del fascismo, come metodo di governo, fu segnata – città per città – dalla sistematica distruzione fisica delle organizzazioni di classe.
«Bisogna escludere senz’altro la possibilità di una vittoria indiretta sulle corporazioni fasciste da raggiungersi con una azione diretta di conquista della maggioranza e quindi dei posti di dirigenza. In realtà non la maggioranza, ma la unanimità dei loro iscritti è contraria fin da oggi alle loro direttive; così come lo schiavo è contrario agli scopi del suo padrone; ma nessuno può, pena la sua sicurezza personale, azzardarsi ad esporre o a fare valere i propri concetti e le proprie opinioni» (“Rassegna Comunista”, 1922).
Così il Partito si espresse nei confronti delle corporazioni fasciste ed è in conseguenza di queste considerazioni che diede la parola d’ordine di ricostruzione dei sindacati rossi, fuori e contro i sindacati fascisti. Solo i rapporti di forza impedirono rovesciare la situazione. Ma i confini erano netti e nessun proletario dubitava che la difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro e, di conseguenza, la rinascita delle organizzazioni di classe capaci di dirigere la lotta avrebbero coinciso con la guerra civile. Si disse infatti allora che «la guerra più aspra e senza tregua è l’unica legge che possa regolare i rapporti fra le due diverse specie di organizzazioni».
Come si vede, la contrapposizione era evidente: da una parte i sindacati di regime con il loro programma di collaborazione di classe e di subordinazione degli interessi proletari all’economia nazionale, dall’altra i sindacati di classe col loro programma di azione diretta per l’esclusiva difesa dei lavoratori. Proprio per questo fu necessaria l’azione diretta, militare, della borghesia che si incarnò nel fascismo per eliminare il pericolo rivoluzionario.
OGGI
Oggi la situazione è molto più sfavorevole: mentre primeggia la politica di conservazione borghese, che passa nel movimento operaio attraverso gli attuali sindacati, la cui politica è identica a quella delle corporazioni fasciste, non vi è di converso nessuna organizzazione che pratichi una politica e un’azione di classe, nemmeno sul minimo terreno difensivo, simile a quello dei sindacati cattolici di allora. Anzi, le attuali Centrali sindacali sono mille volte più utili al capitalismo di quanto lo furono le vecchie corporazioni, che certo vinsero, ma furono costrette a manifestarsi per quelle che erano, cioè avversarie dei lavoratori, e si trovarono a dover ricostruire, e nella diffidenza generale, quello che avevano distrutto, un’organizzazione per la gestione della produzione e della forza lavoro senza la quale il processo produttivo non può esistere.
Oggi siamo in presenza di veri sindacati di regime che si coprono dietro l’adesione volontaria dei lavoratori, ma ciò non deve trarre in inganno e far presumere una maggiore caratteristica di classe di queste organizzazioni: la mancanza dell’aspetto repressivo contro i lavoratori, che caratterizzò invece i sindacati fascisti, dipende dalla situazione oggettiva che ancora non spinge la maggioranza dei lavoratori aderenti ai sindacati attuali a lottare per sé, a ribellarsi allo sfruttamento sempre maggiore e quindi ribellarsi alla politica dei sacrifici che li tiene legati agli interessi capitalistici. Non appena questo si verifica (ospedalieri e assistenti di volo), l’azione repressiva delle Centrali sindacali si scatena direttamente e indirettamente organizzando il crumiraggio, organizzando squadre di picchiatori che tentano di intimidire gli scioperanti, premendo sulla polizia e su tutte le forze statali affinché la repressione sia totale. Di converso lo Stato, proprio come nel famoso ventennio, si mette a difesa delle attuali Centrali sindacali contro la ribellione degli scioperanti, e il perché è chiaro: le riconosce come sue organizzazioni, come organi indispensabili alla difesa del suo potere economico e politico. In questo modo il cerchio si chiude e, tutte le stigmate del sindacato fascista sono presenti, salvo il paravento democratico che d’altra parte copre – anche se malamente – il più che fascista Stato “democratico” attuale.
Questa volta la reazione borghese non si indirizzerà contro le organizzazioni sindacali ufficiali, ma contro ogni tentativo autonomo della classe operaia che inevitabilmente dovrà porsi fuori e contro gli attuali sindacati.
Il sindacato dei lavoratori non esiste più, quindi non si tratta di creare un “quarto” sindacato, ma di ricostruire il sindacato di classe per dare finalmente a tutto il movimento operaio il suo strumento indispensabile di difesa che si presenti come un punto di riferimento classista per tutti i lavoratori che languiscono nei sindacati ufficiali e che mano a mano si metteranno sulla strada dell’autentica azione classista.
A questo riguardo va denunciata con forza anche l’indisciplina “scapigliata” delle sinistre sindacali che non ha niente a che vedere con la ripresa della lotta di classe alla scala generale, ma è solo una torbida manovra di pressione verso i famosi “vertici”, una specie di parlamentarismo rivoluzionario da operetta all’interno dei sindacati per arrivare a un cambio della guardia che permetta però di mantenere in piedi la struttura esistente e i suoi scopi.
Certo, questo non significa abbandonare a sé stessi i lavoratori aderenti alle attuali organizzazioni, bensì portarsi in tutti i luoghi, in tutti gli scioperi, in tutte le assemblee ufficiali e non ufficiali, in ogni luogo di lavoro per propagandare con tutti i mezzi questa necessità storica: la parola d’ordine della rinascita del sindacato di classe.