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La nostra prospettiva sindacale nei comitati di base della scuola (Il Partito Comunista, n.169, 1988) |
Premessa | |
1. | Una nuova variante del corporativismo |
2. | Necessità della Forma-Sindicato |
3. | Quale Sindacato |
4. | Gli ultimi vent’anni: FRANCIA, ITALIA, TUNISIA, INGHILTERRA, POLONIA |
5. | Una prima conclusione |
6. | Le condizioni obiettive per la nascita dei nuovi sindavati di classe |
7. | La situazione attuale e il movimento dei Cobas |
8. | Cobas-Scuola ed Organizzazione |
Da molti mesi si assiste all’interno dei Cobas-Scuola ad una vivace ripresa del dibattito sulla questione dell’organizzazione. Tale questione è stata sempre al centro delle discussioni interne del movimento sin dall’Assemblea nazionale di Napoli del 22/3/87. Ad essa è stato dedicato un seminario nel settembre dell’87 e su di essa le Assemblee provinciali hanno dibattuto per mesi producendo parecchi e notevoli documenti. Parecchie A.N. hanno votato precise mozioni sulla struttura organizzativa del movimento, mozioni che in linea generale sono sempre rimaste lettera morta.
C’è però una differenza sostanziale tra l’attuale discussione e quella di massa avutasi l’anno scorso. Mentre nell’87 era in discussione la struttura organizzativa di un movimento di lotta, cioè i minimi livelli organizzativi centrali e periferici di cui si doveva dotare il movimento per meglio agire, oggi è in discussione la questione della formalizzazione del movimento, cioè la sua costituzione in sindacato.
È quindi necessario che il dibattito venga riaperto ed esteso a tutto il movimento. Il seminario previsto nel settembre 88 può essere la prima seria occasione per iniziare ad impostare la questione nei suoi corretti termini.
Quest’articolo vuole essere un contributo a porre nella giusta prospettiva storica e politica il problema della costituzione del proletariato in classe economica.
1. Una nuova
variante del corporativismo
Le due posizioni finora prevalenti all’interno del movimento puntano o a una nuova associazione professionale (una Cobilda per intenderci), o alla costituzione a scadenza più o meno vicina di un nuovo sindacato. Ambedue le posizioni hanno un vizio di origine che, al di là delle loro differenze interne, le accomuna alla esperienza delle Gilde, Esse hanno come unico referente la categoria degli insegnanti, impostano la questione dell’organizzazione autonoma in riferimento al livello di mobilitazione di una singola categoria. Tutto ciò costituisce una variante più sofisticata e quindi più pericolosa del corporativismo.
Già in un altro testo abbiamo scritto che la ricostituzione del sindacato di classe non è un semplice atto notarile ma un processo storico complesso, con avanzate e ritirate, che hanno come soggetto non solo una singola categoria ma l’intera classe, e come spazio geografico non la sola Italia, ma come minimo l’intero continente europeo compreso il bacino del Mediterraneo.
Pensare di saltare volontaristicamente i processi storici porta necessariamente all’opportunismo, nel nostro caso specifico alla formazione di organizzazioni ristrette categoriali, che in assenza dello ossigeno della lotta di classe di settori importanti e numerosi del proletariato, o moriranno senza lasciare nulla se non il deserto dietro di loro, o si trasformeranno in organi di difesa di piccoli gruppi corporativi. Se vogliamo porre in modo politicamente corretto la questione è necessario, almeno a livello di analisi teorica, uscire dal livello categoriale.
La questione della costituzione del proletariato in classe economica cioè in sindacato di classe deve essere affrontata nella sua giusta prospettiva che è quella storica.
2. Necessità della Forma-Sindicato
Mai come nei periodi di crisi economica e di duri attacchi alla condizione operaia si sente la necessità di organismi economici realmente autonomi e non infeudati nell’apparato statale borghese. Ed è proprio in queste fasi che milioni di lavoratori apprendono sulla loro pelle la funzione antiproletaria svolta dagli organismi sindacali esistenti. Ciò porta molti lavoratori a concludere che la forma-sindacato non è più utilizzabile né per migliorare le condizioni di vita e di lavoro né come leva per l’emancipazione sociale del proletariato. Al posto della forma economica essi pongono delle forme politiche tipo Soviet, Consigli etc. Analizzeremo in un futuro articolo la complessa questione del rapporto sindacato-consigli e delle loro differenze funzioni. Qui ci preme sottolineare che la lotta di classe non è questione di formalismi organizzativi, ma di rapporti di forza. Per cui non si tratta di privilegiare una forma rispetto ad un’altra, ma di comprendere e prevedere quali forme organizzative si è data e si darà la classe nei diversi momenti della sua lotta di emancipazione.
A questo riguardo non abbiamo nulla da aggiungere a quanto scritto in un precedente documento: «Il riconoscimento del dato di fatto internazionale della tendenza dei sindacati ad integrarsi nei meccanismi dello Stato borghese o comunque ad assecondarne il funzionamento, tendenza già delineatasi al principio del secolo e dilagata con l’affermarsi su scala mondiale dell’imperialismo, non solo non autorizza a decretare la morte storica dell’associazionismo economico operaio, e quindi della funzione già svolta in tempi lontani dal sindacato di classe, ma pone con maggiore evidenza il problema della rinascita di organismi intermedi aperti a salariati di qualunque affiliazione politica tra l’insieme del proletariato ed organismi superiori.
Ora come è inscritto nella dinamica delle determinazioni oggettive della fase imperialista: del capitalismo il procedere sociale ininterrotto dell’asservimento del sindacato allo Stato borghese, così pure è inscritto in essa l’erompere mondiale della crisi economica e l’esplodere della ripresa generalizzata delle lotte di classe, per lontana che appaia oggi.
Tale ripresa non può prescindere dalla rinascita di potenti organizzazioni economiche del proletariato attestate su genuine posizioni classiste.
Il problema non verte sulla forma che assumerà la ripresa della lotta di classe né sui modi nei quali essa tenderà ad organizzarsi, bensì sul processo che tali forme e tali modi genererà, e la cui dinamica sarà tanto più tumultuosa e densa di sviluppi, quanto più l’evolvere dell’estrema fase imperialista avrà accumulato le contraddizioni e i parossismi propri del modo di produzione capitalistico. Al vertice di questo processo, non solo la forma-sindacato non scomparirà, ma finalmente si sarà pienamente rivelata uno degli anelli fondamentali della catena di organismi proletari necessari per l’emancipazione del proletariato stesso».
La convinzione che la forma-sindacato oltre a non scomparire nel corso del processo rivoluzionario sarà la leva più potente per scalzare l’ordine esistente scaturisce non da presupposti metafisici ma dalla semplice osservazioni delle forme espresse dalle lotte operaie nel secondo dopoguerra.
La questione dell’organizzazione del proletariato in classe economica, dei suoi tempi e modi, non può prescindere dai rapporti che il proletariato ha stabilito con i sindacati esistenti a partire dal 1945 almeno. In altri termini è dal 1945 che si pone il problema peri proletari più combattivi se la costituzione di veri sindacati di classe passa attraverso un’opera di riconquista magari con la forza della direzione delle organizzazioni esistenti o attraverso la ricostituzione di organismi ex-novo.
L’analisi dei momenti più alti di organizzazione e di lotta proletaria nell’area Europea-bacino mediterraneo, oltre a darci indicazioni sempre più precise sulle strade battute dal proletariato e quindi sull’ipotesi storicamente più probabile per la ricostituzione del sindacato, risponde al quesito se la forma-sindacato è obsoleta o è invece atta a svolgere i suoi storici compiti di leva rivoluzionaria.
Mentre nei primi 20 anni del secondo dopoguerra il proletariato ha in generale utilizzato i sindacati esistenti per far sentire la sua voce, è solo negli ultimi 20 anni che esso ha sperimentato i primi tentativi di organizzazione economica autonoma. Teniamo a sottolineare il termine «economico», non perché questo sia indice di arretratezza del proletariato, come molti ancora adesso suppongono, ma perché questo è il livello spontaneo e naturale di organizzazione operaia, su cui il Partito dovrà far leva al fine di conseguire i massimi risultati. Anche se la risposta della storia al dilemma ricordato nel paragrafo precedente non è stata univoca, è indiscutibile però che le probabilità storiche maggiori oggi siano per la ricostituzione ex-novo degli organismi sindacali.
Il primo grande movimento autonomo del proletariato è costituito dal maggio francese del 1968. I proletari con la loro organizzazione dal basso, tramite l’enorme:rete dei comitati di sciopero spontaneamente costituiti, bloccano la produzione per un mese, respingono gli accordi sindacali e cessano la lotta solo dopo aver conseguito i loro più importanti obiettivi. Il primo vagito del gigante ridestato è sufficiente a far tremare la borghesia di tutto il mondo.
Escluse alcune esperienze di lotta importanti ma limitate, dobbiamo attendere il dicembre dell’86 per vedere reparti consistenti del proletariato francese riprendere l’iniziativa delle lotte autonome.
Di fronte ad un progetto governativo che mira a cambiare drasticamente la struttura del salario privilegiando gli aumenti di merito a scapito dell’anzianità di servizio, e a peggiorare le condizioni di lavoro i ferrovieri francesi iniziano uno sciopero nazionale ad oltranza dandosi strutture autonome di organizzazione sia a livello locale che nazionale. Dopo una lotta durissima che vede la CGT tentare di cavalcare il movimento e la CFDT e la FO attaccarlo, i ferrovieri riescono a respingere i progetti governativi.
Senza entrare nel merito delle differenziazioni interne al movimento francese ci preme sottolineare che si è assistito alla crescita repentina di organismi di base di natura economica sufficientemente strutturati per guidare uno scontro a livello nazionale per più di 20 giorni.
È dal 1968-69 che si assiste ad una teoria continua di esperienze organizzative autonome; Si va dai CUB del 68-69 all’Assemblea Operai-Studenti che organizza gli scioperi dell’aprile-luglio del 69 alla FIAT, preludio dell’autunno caldo.
Dopo un tentativo riuscito del sindacato di cavalcare il movimento, tocca ai ferrovieri nel 1975 riprendere la lotta autonoma e agli ospedalieri nel 1978 esprimere i più alti livelli di organizzazione. La scuola che aveva espresso un Coordinamento Nazionale dei Lavoratori della Scuola negli anni 78-81, riprende l’iniziativa nell’86-87 costituendo i Cobas-Scuola e apre la strada alle altre categorie, in particolare ai ferrovieri.
Tutti questi movimenti sono di natura economica, vedono la partecipazione di centinaia di migliaia di lavoratori delle più diverse posizioni politiche, si muovono fuori e spesso contro le organizzazioni sindacali.
Nel 1978 in Tunisia abbiamo un classico esempio di riconquista nei fatti e con le lotte da parte degli operai della direzione del sindacato di Stato. Di fronte ad un attacco massivo da parte dello Stato alle condizioni di vita dei lavoratori attuato mediante l’eliminazione dei prezzi politici dei beni di prima necessità, il proletariato insorge in tutta la Tunisia, impone al sindacato di Stato e appendice del partito socialista destouriano UGT lo sciopero generale ad oltranza, blocca l’attacco militare dell’esercito e della polizia e vince socialmente e politicamente costringendo il governo a ritirare gli aumenti, Il proletariato pagò questa sua vittoria con 500 morti, un numero certamente inferiore a quello che avrebbe subito se i provvedimenti governativi fossero passati. (Si ricordi che nella nostra Italia i suicidi ufficiali di ex operai Fiat dopo la sconfitta dell’80 hanno superato la cifra di 150, senza contare i suicidi-omicidi, i suicidi non risultati tali e i morti per abuso di alcool, droghe etc.).
Quello che ci preme sottolineare qui è che il sindacato di Stato UGT e la sua burocrazia obtorto collo fecero proprie le rivendicazioni operaie e fornirono il tessuto organizzativo per la riuscita e vittoria dello sciopero generale. Il prezzo pagato della burocrazia sindacale fu ben alto. Numerosi alti dirigenti sindacali furono condannati a morte, compreso il segretario generale, e molte condanne furono effettivamente eseguite.
L’esperienza tunisina è importante perché dimostra che in una situazione preinsurrezionale non è da escludere la riconquista da parte del proletariato delle direzioni dei sindacati statali esistenti.
L’esperienza dei minatori inglesi è per molti aspetti simile a quella tunisina. A livello di sindacato di categoria, il NUM, i minatori inglesi sono riusciti a fare quello che i tunisini hanno fatto nei confronti dell’UGT. Ai minatori inglesi non è riuscito di imporre la linea della lotta generale alle Trade-Unions. In questo furono sfavoriti dagli scarsi vincoli solidaristici dei sindacati inglesi. La burocrazia sindacale trade unionista ebbe quindi facile gioco ad isolare il movimento dei minatori convincendo il resto della classe operaia che la lotta era semplicemente categoriale e non riguardava gli interessi generali della classe.
L’esperienza polacca è la più articolata e la più ricca tra tutte quelle analizzate finora.
Dopo i moti del 1953, ’56, ‘70 i proletari lavorano su due livelli differenti, dentro e fuori i sindacati esistenti. Le prime strutture operaie esterne ai sindacati nascono dopo i moti del ‘76. La nascita di Solidarnosc nell’estate del 1980 è lo sbocco inevitabile di 20 anni di opposizione operaia, pacifica e violenta, dentro e fuori i sindacati esistenti. Preparata da un lungo lavoro sotterraneo Solidarnosc nasce di getto e raggiunge nel giro di un mese i 10 milioni di iscritti. La sua natura è economica e non politica (questo non esclude che si ponga anche obiettivi politici); la sua struttura organizzativa non è né quella del sindacato di mestiere, né quella del sindacato di industria, ma territoriale. Ricorda un po ’ la struttura territoriale delle vecchie camere del lavoro della CGL (senza la I). Essa nasce in una situazione di grave crisi economica interna ed internazionale.
AI di là del fatto contingente che l’avversa congiuntura internazionale della lotta di classe hanno favorito all’interno di Solidarnosc la vittoria della tendenza più conciliatrice, legata alla Chiesa e in parte all’imperialismo americano, i tempi e i modo della nascita di Solidarnosc hanno un valore universale. Dimostrano che la nascita del sindacato di classe, esteso a tutto il proletariato; di massa e potente, non è un processo graduale, come era avvenuto nella fase relativamente pacifica dello sviluppo capitalistico del primo anteguerra, ma un processo tumultuoso e accelerato, che nel giro di pochi mesi compie il lavoro di decenni.
Dimostra altresì che se la situazione non sbocca nella presa del potere politico il sindacato necessariamente rincula, cade in mani opportuniste che favoriscono la vittoria dell’avversario come è avvenuto e sta avvenendo in Polonia. Gli ultimi avvenimenti polacchi però confermano che anche se il sindacato passa in campo nemico la lotta di classe non cessa, anzi il proletariato è capace di rimettere in discussione il suo più alto momento organizzativo:se questo si rivela inutilizzabile per il raggiungimento dei suoi fini.
In breve le esperienze organizzative analizzate ci confermano che gli organismi espressi dal proletariato sono di natura economica e non politica, generalmente nati fuori e contro i sindacati esistenti, tranne il caso tunisino e in parte inglese. Essi dopo aver raggiunto l’apogeo sono o repentinamente morti o degenerati come è il caso di Solidarnosc. Tutto ciò ci porta a prevedere che in linea generale le nuove organizzazioni espresse dai lavoratori saranno organizzazioni di natura sindacale, che nasceranno con ogni probabilità fuori e contro gli attuali sindacati e che potranno reggere e diventare stabili solo in condizioni di acute ed estese lotte sociali.
6. Le condizioni obiettive per la nascita dei nuovi sindavati
di classe
Le esperienze organizzative autonome del proletariato fin qui analizzate e quelle che senz’altro seguiranno nei prossimi anni costituiscono in un certo senso la preistoria dei futuri sindacati di classe.
Esse hanno il compito di preparare il terreno ed ogni tentativo volontaristico di formalizzarli anticipatamente è destinato al fallimento, Esse costituiscono i primi segnali della crisi dei rapporti tra opportunismo e proletariato, crisi dovuta non alla illuminazione improvvisa dei proletari sulla natura controrivoluzionaria dell’opportunismo, ma al restringimento dei margini di manovra del capitalismo e dei suoi luogotenenti a causa della crisi economica mondiale.
Se gli attuali sindacati di regime mantengono tuttora una così massiccia e deleteria influenza sul proletariato non è perché i dirigenti sindacali siano più intelligenti e più furbi dei rivoluzionari, ma perché finora il capitalismo ha potuto comprare letteralmente interi strati di proletariato, la classica aristocrazia operaia, ed attraverso essi ha legato la totalità del proletariato ai destini della società borghese.
La conditio sine qua non affinché sia possibile la ricostituzione dei sindacati di classe è quindi la distruzione dell’influenza dell’aristocrazia operaia sul proletariato e questo non è possibile finché l’aristocrazia operaia non è annientata economicamente.
Il macello economico dell’aristocrazia operaia e delle classi medie sono condizioni preliminari perché il proletariato cominci a muoversi autonomamente a livello di massa. La distruzione economica dell’aristocrazia operaia e delle classi medie è un processo economico obiettivo, indipendente dalla volontà di chiunque ed è legata al libero svolgersi della crisi economica capitalistica.
In breve è necessario che il sistema capitalistico subisca la propria critica in una crisi rovinosa.
È chiaro che siamo ancora abbastanza lontani da questo evento, però possiamo già segnare qualche punto a nostro favore. Gioca a nostro vantaggio che la fase di gestazione della crisi sia così lunga (sono passati 15 anni dalla prima grande crisi di sovrapproduzione mondiale del dopoguerra del 1973-74), perché in questo modo vengono erose le riserve economiche dell’aristocrazia operaia e quindi il suo patrimonio di influenza politica sul rimanente proletariato, molto tempo prima del crollo finale.
Nel momento in cui a livello generale il proletariato porrà il problema della sua ricostituzione in classe economica, saremo in una situazione di avanzata o addirittura di lotta per la conquista del potere politico. Infatti nell’epoca imperialista il capitalismo non può più permettersi il libero svolgersi delle lotte economiche né dell’organizzazione autonoma dei lavoratori, perché ha sperimentato storicamente che il manifestarsi di generalizzate lotte economiche in presenza di un ciclo critico della economica capitalistica può pericolosamente debordare nella lotta politica. Di fronte alla nascita e al rafforzamento di potenti sindacati di classe, lo Stato, isti fallire i tentativi di un controllo diretto o indiretto, sarà costretto a cercare lo scontro frontale (vedi caso polacco).
Si arriverà quindi ad una situazione nettamente prerivoluzionaria in cui i sindacati proletari finalmente liberi dall’influenza borghese dispiegheranno tutta la loro potenza non più soltanto sul terreno economico ma anche e principalmente sul terreno politico.
7. La situazione attuale e il movimento
dei Cobas
La situazione attuale è ancora molto lontana da quella favorevole allo sviluppo massiccio dei sindacati di classe. Anche se la crisi ha cominciato ad indebolire economicamente e politicamente dell’influenza dell’opportunismo sul movimento sindacale, questo è ancora la forza dominante tra il proletariato. Una delle tante illusioni che bisogna disperdere all’interno del nostro movimento è il credere che le organizzazioni sindacali non possano più recuperare tra i lavoratori della scuola.
Chi afferma questo non ha il senso minimo dei rapporti di forza generali tra
opportunismo e forze classiste all’interno della classe operaia. Anche se
l’opportunismo ha subito duri colpi, la sua rete di controllo sull’intero
proletariato e ancora molto salda. Per cui in assenza di una radicalizzazione
dello scontro sociale e di una sua diffusione alla classe operaia industriale
‘un recupero, anche se non immediato, da parte delle organizzazioni sindacali è
certo. Questo recupero è favorito dall’azione delle forze corporative ed
istituzionali all’interno dei cobas, che, privilegiando lo specifico categoriale
e rifiutando un rapporto con le altre categorie, svolgono una funzione
complementare all’opera di contenimento e di quarantena dei sindacati. Per
contrastare l’opera sindacale, delle forze corporative e di quelle istituzionali
(tipo DP e affini) l’azione delle forze classiste leve operare su due fronti:
— sul fronte interno bisogna togliere iniziativa e agibilità alle posizioni
neocorporative favorevoli alla linea dell’avvitamento categoriale. Per quanto
sia difficile in assenza di lotte bisogna convincere i lavoratori che la linea
che vede le singole categorie lottare ogm ma per sè è perdente anche solo sul
piano degli obiettivi immediati. Le stesse iniziative dell’avversario in materia
di diritto di sciopero e predeterminazione dei tetti salariali, di attacco
generalizzato alle condizioni di lavoro dovrebbero convincere i lavoratori che
solo l’unità tra le varie categorie ha la possibilità di essere vincente;
—
sul fronte esterno bisogna superare definitivamente le shock 12
dicembre 1987 e iniziare a lavorare per la creazione di una rete di collegamento
intercategoriale con tutti i reparti della classe che lottano o si apprestano a
entrare in lotta.
Sia sul fronte interno che esterno bisogna ridurre al minimo i livelli formali di organizzazione. Non siamo ancora ad una fase acuta dello scontro di classe. Una eccessiva formalizzazione in questa fase non solo non favorisce lo sviluppo delle lotte ma corre il rischio di bloccarle in quanto gli interessi immediati dell’organismo formale possono entrare in contraddizione con gli interessi del movimento di lotta. L’idea è meno peregrina di quanto si pensi. Basta pensare al destino della Gilda e delle RdB. Per poter accedere al tavolo delle trattative e quindi svolgere in pieno il ruolo istituzionale dell’organizzazione formale hanno accettato l’autoregolamentazione dello sciopero ponendosi contro gli interessi del movimento di lotta. Ricordiamoci che negli stessi Cobas-Scuola ci fu chi propose di smettere di lottare in caso di ammissione dei Cobas-Scuola al tavolo delle trattative.
La nostra indicazione di ridurre al minimo i livelli formali non obbedisce quindi a criteri di ordine estetico o di principio, ma a criteri di ordine pratico e storico. Finché i movimenti non si saranno rafforzati ed estesi e finché i contrasti di classe non si saranno radicalizzati, l’eccessivo formalismo organizzativo ostacola e non favorisce la lotta.
8.
Cobas-Scuola ed Organizzazione
Non è per caso che le forze interne ai Cobas (le Gilde ma anche le Cobilde) che hanno sempre puntato ad una immediata formalizzazione sono quelle che si opponevano e si oppongono ad ogni iniziativa di collegamento intercategoriale. È ovvio che chi vuole organizzarsi in un sindacato che privilegia ristretti interessi di categoria rifiuterà sempre l’unità con altri reparti della classe. Ma oltre a queste forze apertamente neocorporative la cui denunzia all’interno del movimento è abbastanza facile, vi sono nei Cobas posizioni apparentemente classiste, tant’è che non sono, almeno a parole, contrarie ai collegamenti intercategoriali, che spingono per la formalizzazione.
Queste forze; nel caso migliore, sono vittime del feticismo organizzativo. Esse collegano meccanicamente organizzazione forte con movimento forte. Ora se questo è certamente vero nelle fasi di acute lotte sociali in cui i movimenti di lotta estesi a buona parte del proletariato si muovono all’attacco, che sarà vincente solo se organizzato centralmente da sindacati liberi da influenze borghesi, non lo è certamente in questa fase che non vede nessuna lotta in piedi nella scuola, né un attacco generalizzato del proletariato contro la politica economica e sociale del padronato e dello Stato. Bisogna ricordare a questi feticisti che la lotta di classe non è una questione di forme di organizzazione. Non è la forma che produce la lotta ma la lotta che si dà la forma adeguata al suo livello ed alla sua estensione.
A settembre il livello di mobilitazione generale nella scuola sarà minimo e lo resterà per parecchio tempo, mentre sarà probabilmente alto nelle altre categorie del pubblico impiego che apriranno le vertenze contrattuali. Chi propone in questa situazione la formalizzazione del movimento in realtà vuole sostituire l’organizzazione istituzionale alla organizzazione della lotta. Data questa situazione obiettiva i Cobas-Scuola, rifiutata la scorciatoia organizzativistica, devono riprendere il lavoro di mobilitazione all’interno della categoria, senza illusioni di immediate risposte positive, e cercare di allacciare rapporti con gli altri settori. Per far questo non c’è bisogno di una formalizzazione del movimento, né della formazione di un gruppo dirigente forte che acquisisca funzioni politiche di segreteria. Basta ‘un esecutivo tecnico composto da un rappresentante per provincia, sempre revocabile, che esegua senza violare le deliberazioni dell’assemblea nazionale.
L’assemblea nazionale composta con i criteri fin qui adottati, deve rimanere l’unico organo deliberante cui l’esecutivo tecnico e i suoi componenti devono rispondere del loro operato.
Come si vede non si propone nulla di nuovo. Si chiede solo che gli organismi esistenti funzionino in sintonia tra di loro, cosa non sempre avvenuta finora. L’obiezione che viene fatta da più di un anno a questo modo di procedere è che finché non si ha una verifica organizzativa delle vere forze in campo viene violato il principio democratico della rappresentanza proporzionale. Da qui una serie di proposte organizzative che tentano di ingabbiare il movimento: dall’anagrafe dei Comitati di Base, all’anagrafe finanziaria, per cui la forza di una provincia è calcolabile immediatamente dalla cifra dei contributi riscossi.
Personalmente siamo favorevoli e lavoriamo affinché i CdB si costituiscano in tutte le scuole, senza per questo diventare strutture chiuse, e favorevoli a razionalizzare l’autofinanziamento. Quello che non ci convince ci vede nettamente contrari è il pensare di misurare con tali parametri la forza del movimento di una provincia. La forza, prima che dai comitati di base è detenuta dalla categoria ed è in ultima analisi essa che decide quando e come lottare. Dobbiamo ricordare che in ben due assemblee nazionali provincie molto forti hanno tentato di impedire la proclamazione del blocco degli scrutini che poi è stato fatto proprio dalla totalità della categoria? Nella stessa Torino la dichiarazione del blocco degli scrutini fu messa in minoranza per poi essere attuato dal 98% dei lavoratori in barba ai deliberati della effimera maggioranza dell’assemblea provinciale. L’assemblea successiva approvava il blocco all’unanimità.
Dobbiamo ricordare che la proposta di intensificare la lotta e di proclamare una giornata di sciopero con manifestazione per i primi di maggio fu respinta dall’A.N. del 17 aprile; venti giorni prima della grandiosa manifestazione del 7 maggio.
Chi rappresenta chi non è un fatto formale risolvibile con la conta delle tessere o dei finanziamenti, ma un processo dinamico definito dalla effettiva capacità di anticipare e rappresentare le esigenze dei lavoratori in lotta.
Se poi la dinamica reale entra in contrasto con gli astratti criteri della democrazia rappresentativa, vuol dire che questo metodo di organizzazione è inadeguato a rappresentare tutta la ricchezza del movimento.
Un’altra questione centrale è quella di evitare la cristallizzazione delle funzioni dirigenti in gruppi determinati di persone. Persone carismatiche ne abbiamo avute fin troppe ed hanno causato sempre gravi danni al movimento.