International Communist Party Sulla questione sindacale


Il Partito e i Cobas

(Il Partito Comunista, n.165, 1988)




Le recenti vicende di lotte sindacali ci spingono a ribadire le nostre posizioni riguardo ai cobas e ai sindacati tricolore, al fine di diradare una confusione che, al di fuori del ristretto perimetro del partito, regna sovrana.

I comunisti non possono che vedere favorevolmente la ripresa di una lotta di classe che scavalchi i confini posti alle rivendicazioni dall’opportunismo dei sindacati ufficiali. Una delle caratteristiche che distinguono il partito da tutte le altre organizzazioni, comprese quelle che affermano di richiamarsi alla tradizione della sinistra comunista, è proprio il riconoscere la necessità del risorgere di organismi di difesa economica immediata del proletariato, senza i quali non sarà possibile alcuna prospettiva rivoluzionaria.

È di vecchia data la polemica del nostro partito con quanti, come i comunisti tedeschi del K.A.P.D. e i tribunisti olandesi, sostenevano la creazione di sindacati di soli comunisti e simpatizzanti, tramite l’uscita degli operai rivoluzionari dai sindacati controllati dagli opportunisti. Queste posizioni apparentemente radicali sono completamente al di fuori dalla prospettiva marxista basata sul materialismo dialettico e storico, e scaturiscono da concezioni idealistiche secondo le quali il proletariato sarebbe spinto alla lotta dal desiderio di realizzare l’ideale comunista: il carro della coscienza viene posto davanti ai buoi delle necessità fisiologiche. In merito non si scomodi Marx, basta l’illuminista Diderot: «Se i popoli sono felici sotto la loro forma di governo la conserveranno. Se sono infelici non saranno le mie opinioni né le vostre ma l’impossibilità di soffrire di più e più a lungo che li indurrà a cambiarla».

Il partito ha detto da sempre che le lotte di classe nascono dal bisogno di soddisfare necessità immediate di vita e che la coscienza di classe, senza la quale non si può propriamente parlare di classe, sta al termine del processo rivoluzionario e non all’inizio. È solo nel partito che si ha il rovesciamento della prassi e che troviamo la coscienza all’origine dell’azione.

I proletari militanti nel partito sono rimasti nella CGIL dall’immediato dopoguerra fino al 1975, non perché considerassero la CGI. un sindacato di classe, ma perché tale era considerata dalla quasi totalità degli operai combattivi che ad essa erano iscritti. In realtà non era già più un sindacato di classe diretto da opportunisti, come era la CGL del primo quarto del secolo, ma un sindacato ormai nazionale e patriottico, conseguenza della divisione del mondo tra un impero d’occidente con centro a Washington e un impero d’oriente con centro a Mosca, entrambi parti dell’impero mondiale del capitale e del profitto. I comunisti non potevano che lavorare in quel sindacato data la posizione comunista di sempre, che tende ad evitare la divisione tra gli organismi sindacali proletari, e a lavorare in qualsiasi sindacato, fosse pure reazionario, quando in esso vi siano dei proletari combattivi e quando in esso sia possibile organizzarsi come frazione sindacale e propagandare le posizioni del partito presso tutti i lavoratori, che nel fuoco della lotta potranno e sapranno scegliere tra queste posizioni e le altre.

Se i militanti del partito sono usciti dalla CGIL nel 1975 è perché ormai era così prossima a divenire un sindacato di Stato, come gli anni seguenti hanno mostrato sempre più chiaramente, da costringere le più significative lotte proletarie a svolgersi e ad organizzarsi fuori delle loro strutture e contro la loro disciplina apertamente crumira.

La funzione dei sindacati tricolore CGIL, CISL e UIL fin dalla loro ricostituzione non è diversa da quella che avevano i sindacati fascisti, ed è quella di controllare le esplosioni di rabbia dei proletari e di incanalarle nei limiti delle compatibilità con l’economia nazionale, della patria fascista di ieri e della patria democratica di oggi, che non significa altro che compatibilità con il saggio del profitto dei capitalisti. Ogni dissenso del 1914 tra riformisti e fascisti al 1949 è effettivamente ricucito, come anche storici borghesi, a loro modo, vanno riconoscendo.

Le lotte di classe però, proprio perché scaturiscono dalla necessità di difendere le condizioni di esistenza del proletariato minacciate da un capitalismo tanto più famelico quanto più in difficoltà, sono destinate comunque a risorgere, e se ciò non è possibile entro i sindacati tricolore risorgono fuori di essi. Questo ha detto il partito da anni e questo si è puntualmente verificato negli ultimi tempi con l’organizzarsi dei proletari in maniera autonoma dalle centrali sindacali tradizionali, oggi nei famigerati Cobas.

I militanti del partito lavorano nei Cobas che avanzano rivendicazioni di classe, per quanto confuse esse siano e per quanto difendano una sola categoria di lavoratori. I comunisti non possono assumere atteggiamenti puristi e snobbare un organismo di lavoratori solo perché le sue parole d’ordine non coincidono con quelle più generali e risolute. La funzione del partito è del resto organicamente diversa da quella del sindacato e la fusione sarà solo nel crogiolo insurrezionale.

Neanche possiamo snobbare un gruppo sindacale solo perché è dominato da elementi politicizzanti sedicenti rivoluzionari, magari residuati del ’68, anche se il lavoro in tale organismo sarà sicuramente più difficile.

Riguardo ai Cobas dobbiamo parlare con estrema chiarezza, come del resto è nostro costume. Il partito lavora in quegli organismi di soli lavoratori, ad adesione libera e senza pregiudiziali partitiche o ideologiche, che avanzano rivendicazioni di difesa immediata, da ottenersi con gli strumenti della lotta diretta. La formula nostra comunista rimane: «Al fianco del più umile gruppo di sfruttati che chiede un pezzo di pane e lo difende all’insaziabile ingordigia padronale, ma contro il meccanismo delle istituzioni presenti e contro chiunque si ponga sul loro terreno».

Molta confusione viene fatta dai professionisti del sindacalismo di regime con l’accusa di corporativismo: il significato originario fascista di convergenza delle classi nell’interesse nazionale, oggi si capovolge in epiteto contro chi rivendica in opposizione o noncurante dell’interesse generale borghese. Corporativa sarebbe insomma la non castrata lotta di classe. I macchinisti sarebbero corporativi perché chiedono “troppo”, rispetto agli interessi capitalistici aziendali, ovviamente. Oppure corporative sono bollate le lotte di categoria o di qualifica, specialmente se trattasi di lavoratori non direttamente alla produzione materiale o in assoluto non i peggio pagati, ai quali è più facile contrapporre demagogicamente i manuali (ma in Polonia non sono i metallurgici i corporativi?).

Il fatto è che la lotta di classe si svolge secondo proprie leggi di crescita e secondo i rapporti di forza: nasce storicamente come lotta dal singolo al gruppo alla qualifica alla categoria, dal comitato alla lega al sindacato alla federazione. E oggi lotta generale di classe e sindacati di classe non esistono: per molti aspetti (non tutti) si riparte da zero, purtroppo. Polonia e Sudafrica insegnano.

Il partito ha il compito e opera per far superare all’insieme dell’esercito proletario ogni angustia di gruppo, ogni parzialità di singoli reparti (oggi soffocante), tende al loro superamento nella generalizzazione delle lotte e nell’unificazione degli organismi di lotta difensiva fra categorie come fra località e fra nazioni diverse, in un processo nel quale anche le rivendicazioni e lo sciopero generale economico non è punto di arrivo ma fase da ulteriormente sorpassare.

I comunisti devono quindi lavorare in quei Cobas che non impediscono l’organizzarsi e l’agire di una frazione sindacale comunista, con il compito di contribuire alla “ionizzazione” delle molecole proletarie attorno al programma classista, superando le iniziali rivendicazioni categoriali. Nello stesso tempo denunciano sempre e duramente ogni contrapposizione agli altri lavoratori pena la squalifica dell’intera azione del partito davanti ai proletari di oggi e di domani.

Per questo i comunisti, che oggi danno il loro contributo di forze nei Cobas ferrovieri e scuola, non lavorano all’interno della cosidetta Gilda dei professori, non perché chiede troppo, o troppo di più o per troppo pochi, ma perché nasce scissionista dai Cobas scuola con il solo scopo, e sbandierato, di chiudersi alla lotta di classe e contrastare il concrescere di una organizzazione già vitale.

Le difficoltà del lavoro sindacale non devono portare i militanti ad affogare in esso, come potrebbe accadere se in tale impegnativo lavoro si perdessero di vista i diversi piani su cui operano sindacato e partito, partito che sta al vertice della piramide di funzioni che comprende, oltre ad esso, le forme intermedie di organizzazione della classe, come il sindacato, e quindi la classe stessa.

Per quanto riguarda i sindacati patriottici, i militanti del partito si sentono spesso domandare: ma voi, cosa dite ai lavoratori iscritti ai tali sindacati? A questi non diciamo, e non abbiamo mai detto, di gettare la tessera, perché tale gesto nella situazione attuale, avrebbe scarso e incerto significato. Però ai lavoratori demmo l’indicazione di richiedere l’iscrizione al sindacato rifiutando il versamento delle quote per delega nelle mani del padrone, fin dalla sua introduzione or sono vent’anni, condizione che da allora ha spesso messo fuori dai sindacati i lavoratori comunisti.

Ai proletari anticipiamo le condizioni della rinata forza proletaria nel risorgere di organizzazioni difensive di classe, percorso che non possiamo provocare ma al quale diamo il nostro contributo di coscienza e di forze. I gruppi che si stanno organizzando fuori dai sindacati di regime dovranno comprendere e si dovranno rivolgere per la lotta a tutti gli altri proletari, iscritti a qualsiasi o a nessun sindacato: sarà la lotta stessa, nel suo svolgersi, che distruggerà l’illusione, oggi purtroppo dominante, di poter recuperare i sindacati tricolore alla difesa degli interessi proletari. Lo svanire di tale illusione, come è sempre stato, sarà purtroppo pagata duramente dai proletari, che avvertiranno tutte le tappe di questo processo sulla propria pelle. Non esistono però scorciatoie, poiché la coscienza di classe, come già è stato detto, è al termine del processo e non all’inizio.

Oggi, con la recessione ormai alle porte, la borghesia si appresta a giocare a tutto campo e quindi non ci meraviglieremo se alcuni settori di essa dovessero sposare la causa dei Cobas “professionali”. O se i sindacati tricolore, per non perdere del tutto la faccia e continuare a svolgere la loro funzione di collaborazionismo di classe, fossero costretti in determinati frangenti a non ostacolare la spinta della classe e ad accordarsi a lotte certamente non volute. Tutto ciò, in parte, sta già succedendo.

Curiosamente, ma non troppo, gli opportunisti di “estrema sinistra”, che nella loro impazienza scoprivano a ogni momento nuove situazioni e nuovi soggetti rivoluzionari, proprio ora tacciono, preparandosi ad entrare nella sacra unione patriottica, alla quale di recente sono approdate anche le Brigate Rosse. Il partito, che per oltre 40 anni ha ripetuto che la situazione storica sfavorevole era destinata a durare a lungo, ha ora davanti a sé delle prospettive di intervento nuove ma non inaspettate, che vengono a confermare la sua analisi.

Del tunnel della situazione storica sfavorevole non si vede ancora la fine, poiché le illusioni democratiche e patriottiche sono purtroppo ancora tenacemente radicate tra i proletari di tutto il mondo, ma lo spettro del comunismo di cui parlava Marx torna ad avvicinarsi, e il partito ha davanti a sé la lotta più dura e più difficile della sua storia, dal 1848 ad oggi.