International Communist Party Sulla questione sindacale

La questione sindacale nel 1951

Dalla corrispondenza di partito




5 gennaio 1951

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La situazione sindacale di oggi diverge da quella 1921 non solo per la mancanza di un partito comunista forte, ma per la progressiva eliminazione del contenuto della azione sindacale col sostituirsi di funzioni burocratiche alla azione di base: assemblee, elezioni, frazioni di partiti nei sindacati e via via di funzionari di mestiere a capi elettivi, ecc. Tale eliminazione, difesa nel suo interesse dalla classe capitalistica, vede sulla stessa linea storica i fattori: corporativismo tipo C.L.N., sindacalismo tipo Di Vittorio o Pastore.

Tale processo non può essere dichiarato irreversibile. Se l’offensiva capitalista è fronteggiata da un partito comunista forte, se si strappa il proletariato alla tattica (sindacalista) C.L.N. di fronte a quella, se lo si strappa all’influenza dell’attuale politica russa, nel momento X o nel paese X possono risorgere i sindacati classisti ex novo o dalla conquista, magari a legnate, degli attuali. Ciò non è storicamente da escludere. Certamente quei sindacati si formerebbero in una situazione di avanzata o di conquista del potere.

Le differenze tra le due situazioni rendono secondaria quella tra la dirigenza D’Aragona, che non escluse la nostra azione di frazione nella C.G.L. e quella Di Vittorio.

Premesso il fatto della scarsa forza del partito, e fino a che questa non sia molto maggiore, il che non si sa se avverrà prima o dopo il risorgere di organizzazioni di classe non politiche a larghi effettivi, il partito non può e non deve né proclamare il boicottaggio di sindacati organi di azienda e agitazioni operaie; né proclamare la presenza sempre e dovunque alle elezioni di fabbrica di sindacati etc. con liste proprie; né, dove sia localmente in prevalenza di forze, usare in aperte agitazioni la parola del boicottaggio invitando a non votare, non iscriversi al sindacato, non scioperare o simili.

In senso positivo: nella maggioranza dei casi astensione pratica e non boicottaggio.

Nei casi speciali, di buon rapporto di forze, mai parola di boicottaggio, eventuale decisione o per il disinteressamento dal presentare liste o per la presentazione, secondo le prevedibili pratiche conseguenze, in ogni caso con lavoro di diffusione dei nostri principi a mezzo del gruppo di fabbrica di iscritti, emanante dal partito, ad esso subordinato.

Occorre svolgere la propaganda della storia sindacale, specie spiegare la tattica della Internazionale Comunista e del Partito Comunista d’Italia nella fase favorevole del primo dopoguerra, tesi di Mosca e Roma ecc. ecc., storia della frazione sindacale comunista della C.G.L., sindacato ferrovieri ecc. Principio: senza organismi operai intermedi tra partito e classe non vi è possibilità rivoluzionaria; il partito non abbandona tali organismi per il solo fatto di esservi in minoranza. Tanto meno sottopone i suoi princìpi o direttive al volere di quelle maggioranze sotto pretesto siano “operaie”. Ciò vale anche per i Soviet (v. Lenin, Zinoviev, ecc.).





1 febbraio 1951

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In maniera più o meno esplicita esiste l’indirizzo che afferma non esservi per il partito marxista rivoluzionario più nessuna possibilità di lavoro utile nei sindacati negli organismi di fabbrica e simili: quindi occorre disinteressarsi di partecipazione ai sindacati e relative elezioni di comitati e di cariche, come pure ai consigli di fabbrica e commissioni interne. Alle agitazioni indette sia con contenuto economico che per rivendicazioni politiche opportuniste dai sindacati esistenti non si deve partecipare.

Tale indirizzo se vuole esprimere una situazione storica e un metodo irrevocabile è indubbiamente semplicista e sbagliato.

Quello che si può dire in senso concreto (...): oggi in Italia con il piccolo partito quale è non è possibile dare parole di conquista di quegli organi e di partecipazione ovunque a quelle elezioni; ma nemmeno può e deve darsi parola generale di boicottaggio. Nove volte su dieci e forse novantanove su cento il rapporto numerico di forze è tale che il problema non si pone: ove si pone può pensarsi a campagne di partecipazione in qualche caso con liste e in genere senza accettare gli eventuali posti, sempre con diffusione della nostra critica e propaganda. Base di tale lavoro sono i gruppi nelle aziende e altri aggruppamenti di iscritti al partito: in essi si muove dal partito al luogo di lavoro, non viceversa, non sono cellule di base ma strumenti del partito, organizzato per sedi territoriali (sinistra 1926).

La sinistra italiana non ha mai assimilato le diversissime quistioni parlamentare e sindacale: nella seconda è sempre stata partecipazionista e non boicottista né secessionista. Circa i consigli di fabbrica ha sempre negato che in essi si sia trovata la inesistente ricetta antiopportunista e che siano meno dei sindacati permeabili all’influenza borghese. Anzi sotto un certo profilo il consiglio di azienda è più del sindacato minimista particolarista e lontano dalla universalità classista.

Questo problema è tuttavia fondamentale, poiché nell’aggiornare a oggi tutto il suo quadro il puro negativismo sarebbe non solo insufficiente ma incapace di rispondere a questo: che cosa sostituire a queste tesi fondamentali di Marx Engels Lenin Zinoviev sinistra italiana tante volte affermate contro riformisti anarchici sindacalisti ordinovisti: il partito comprende solo una parte della classe operaia; il partito guida la classe operaia non solo con propaganda di dottrine e proselitismo per la propria organizzazione e preparazione di azioni armate, ma con la partecipazione ad organismi operai più vasti del partito e accessibili a tutti i componenti la classe. Si devono, cioè, (e in modo evidentissimo nelle vigilie di avanzate) avere tre stadii:
     - partito, per la sinistra non pletorico
     - organismi proletarii per costituzione in cui stanno soli lavoratori, ma indipendentemente da confessioni ideologiche
     - classe, che abbraccia tutti, anche i non organizzati.

La inserzione poi per formare un’altra “couche” di collegamento in altri organismi ove “costituzionalmente” stanno non soli proletarii ma anche altre classi (parlamenti etc. etc.) è quistione DIVERSA, di pura manovra. La prima, ora impostata è quistione di centro, senza risolvere la quale non vi è né classe rivoluzionaria né partito di classe, prima dopo e durante la rivoluzione.

Il partecipare a parlamenti democratici, elezioni, un dì ed oggi, perfino governi, vede la sinistra marxista tanto più [negativa] quanto più la situazione è espansiva, la rivoluzione vicina e possibile la sua vittoria.

Le due quistioni e la soluzione tattica storicamente stanno in ragione inversa, generalmente.

Come la quistione non di tattica ma di principio: tutti i comunisti vorrebbero salvare o rifare i sindacati, demolire i parlamenti. Quale il mezzo? Ecco il punto.

Lasciamo ora la quistione parlamentare, si è di intesa che Onorato tratti in una serie di scritti per il giornale e la rivista la quistione sindacale.

Non deve essere posta come una trattazione per stabilire che il partito nel suo breve passato la ha sbagliata, né deve trattare gli errori di comitati o di uomini né le occasioni perdute. Sono discussioni sempre inutili, talvolta tendenziose. Deve trattare:

Il punto economico. Con lo sviluppo del riformismo, a parte la strategia generale di classe che lo ha mosso, il rapporto di scambio tra forza lavoro e salario è tecnicamente cambiato: oltre al pugno di soldi per un tempo di lavoro, scambio che tutto esauriva con l’immediato consumo dei pochi soldi per le sue esistenze senza ulteriori diritti di "riserve", si hanno tanti altri rapporti assicurativi e assistenziali. Mostrare come questi valgono una certa quantitativa socializzazione del capitale, e al tempo stesso non tolgono che lo sfruttamento di classe su classe aumenti, il divario sociale si approfondisca. Non è però da non scorgere l’effetto determinista che i proletarii che hanno una certa "riserva" nelle leggi riformiste, simile a quella che è per il piccolo borghese il minimo possesso la botteguccia etc., sono allontanati dallo schieramento rivoluzionario e su di essi ha gioco migliore l’opportunismo.

Il punto storico. Il sindacato all’inizio è vietato perché vuole lottare contro la molecolarità dello scambio isolato provando ad opporre monopolio a monopolio; riserva a riserva (fondi di sciopero etc.). In una seconda fase è tollerato legalizzando il principio che il puro salariato nullatenente abbia una riserva ma sotto il controllo del capitale e del suo Stato. In un terzo tempo il sindacato è assorbito nello Stato e quindi vietate le agitazioni sostituite da prassi burocratica etc. Alla minore determinazione nel senso rivoluzionario si accompagna parallela la privazione del partito rivoluzionario della sua atmosfera vitale.

Il punto politico: come i partiti operai hanno reagito in queste varie fasi: opportunismi apolitici, opportunismi di collaborazione tra le classi, assoldamento alla classe borghese. Opportunismo delle masse dei partiti dei capi. Polemiche italiane e internazionali con riformisti, sindacalisti soreliani etc.

Simile trattazione deve sciogliere i punti delle mutate caratteristiche della economia capitalistica, cogliendo il gioco dal rapporto economico individuale a quello generale, come rapporto: tra padrone e padrone, padrone e operaio, operaio e operaio. Deve rispondere ad esempio alla impostazione di Ottorino, dando il trapasso tra la quistione quantitativa del saggio del plusvalore in una singola prestazione e quella qualitativa dell’antagonismo di classe alla scala anche mondiale, mostrando che le teorie di Marx sul crescente antagonismo sociale e sul plusvalore sono valide sempre, ma non si passa automaticamente dai fatti della tecnica produttiva all’antagonismo senza passare per l’operaio gli operai il partito, e su questa strada è ad un certo punto il movimento sindacale. Si tratta di spiegare il segreto dalla praxis.

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19 marzo 1951

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Ecco i punti conformi a una analisi piuttosto spietata che ho qui di Tarsia sui documenti del congresso di Firenze (...)

Falso che il capitalismo di oggi sia una cosa diversa da quella di ieri e che quella fosse la sua fase ascendente questa discendente.

Falso che sia distrutto il proletariato come classe, cessato il fatto economico della lotta sollevata dal contrasto degli interessi.

Falso che non siano possibili rivendicazioni di miglioramento ma solo difesa del tenore di vita e delle "conquiste".

Falso che sulle rivendicazioni non si possa innestare la lotta politica per i fini generali che superano luogo tempo e categoria o azienda.

Falso che i sindacati si possano dire organi dello Stato borghese quando si vuole definire sia la nuova legislazione borghese sui sindacati sia la nuova situazione politica dei partiti che fanno opera sindacale e i loro metodi.

Il centro della posizione della sinistra non è che dal 1939 siano impossibili le lotte economiche, ma che dal 1871 siano improponibili le lotte per aiutare la borghesia a uscire dal feudalismo ed evitare di ricadervi, ossia lotte che hanno per tema fini interclassisti e per mezzo alleanze interclassiste.

Ho avuto il resoconto dell’allargato 1926 da cui traggo il passo finale del mio discorso sul tema sindacale. Noto che allora in Italia si era in pieno totalitarismo, e che oggi ad esempio in Inghilterra, Francia e America nessuna legge o grande campagna borghese ha mutato la tecnica di quei sindacati: Trade Unions, A.F.of Labor, C.G.T...

«Si propongono in Italia due formule... Secondo la Centrale organizzazione di fabbrica sotto il nome di Comitati di agitazione che raggrupperebbero anche i lavoratori non sindacati, Comitati che esisterebbero in modo permanente al di fuori dei quadri sindacali... La Sinistra trova che questa tattica conduce alla scissione e risente delle deviazioni ordinoviste che oppongono i comitati di officina ai sindacati (riassumo per brevità) e propone la formola della Sezione Sindacale di officina che raggruppa anche i lavoratori di sindacati diretti da riformisti». «Anche nella situazione di oppressione fascista le parole d’ordine dei sindacati rossi e della Confederazione Generale del Lavoro hanno grande forza e vanno agitate dal partito». «Il pericolo è quello che quando si potrà allargare l’azione proletaria noi ci chiudiamo in organi minoritari e gli opportunisti abbiano la possibilità di riorganizzare la Conf. e le Camere del Lavoro fuori delle officine attirandosi la gran parte del proletariato».

Naturalmente il pericolo da me indicato si è verificato, ma non perché il capitalismo fosse mutato e la lotta di classe finita, bensì perché i traditori colla politica interclassista C.L.N. hanno regalato ai borghesi la parola del sindacato rosso.

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15 aprile 1951

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Sui sindacati io vengo a questa conclusione: l’organo di associazione di interessi come tessuto connettivo tra il centro vitale del partito e i muscoli periferici della classe non può mancare senza rendere la rivoluzione impossibile: deve risorgere in modo indipendente fuori della influenza della classe dominante, in forma nuova.

Sarei per la formola di Onorato dello sbloccamento del movimento sindacale dalla oppressione borghese, contro però la sua propensione a far leva a tal fine su organi di azienda e non su organi di associazione economica “esterna”. Il sindacato è ad adesioni volontarie non costituzionali: questa forma la borghesia tende a distruggere. Ma, voi gridate, la ha distrutta: bene dico io e per il momento ci ha fottuti. Momento che può valere generazioni (...)