Partito Comunista Internazionale

  

DIALOGATO COI MORTI
(Il Programma Comunista, nn.6-10, 1956)
 
Estratti


(...)

Manuale dei principii

(...) Il marxismo, e qui avreste bisogno del trattatino storico-filosofico, non fa pernio né su una Persona da esaltare, né su un sistema di persone collettivo, come soggetti della decisione storica, perché trae i rapporti storici e le cause degli eventi da rapporti di cose con gli uomini, tali che si portino in evidenza i risultati comuni a qualunque singolo, senza pensare più ai suoi attributi personali, individuali.

Siccome il marxismo respinge come risolvente della "questione sociale" ogni formulazione "costituzionale" e "giuridica" premessa alla concreta corsa storica, così non avrà preferenze e non darà risposta alle questioni mal messe: deve decidere tutto un uomo, un collegio dì uomini, tutto il corpus del partito, tutto il corpus della classe? Anzitutto non decide nessuno, ma un campo di rapporti economici produttivi comuni a grandi gruppi umani. Si tratta non di pilotare, ma di decifrare la storia, di scoprirne le correnti, e il solo mezzo di partecipare alla dinamica di esse è di averne un certo grado di scienza, cosa assai diversamente possibile in varie fasi storiche.

E allora chi meglio la decifra, chi meglio ne spiega la scienza, l’esigenza? Secondo. Può essere anche uno solo, meglio del comitato, del partito, della classe. Il consultare "tutti i lavoratori" non fa fare più passi che consultare tutti i cittadini colla insensata "conta delle teste". Il marxismo combatte il laburismo, l’operaismo, nel senso che sa che in molti casi, nella maggior parte, la delibera sarebbe controrivoluzionaria ed opportunista. Oggi non si sa se il voto andrebbe alla padella o alla brace: Stalin o gli Antistalin. Difficile perfino escludere che sarebbe la seconda la fregatura maggiore. Quanto al partito, anche dopo la sua elezione da quelli che per principio negano le "pietre angolari" del suo programma, la sua meccanica storica neppure si risolve con "la base ha sempre ragione". Il partito è un’unità storica reale, non una colonia di microbi-uomo. Alla formula che dicono di Lenin di "centralismo democratico" la sinistra comunista ha sempre proposto di sostituire quella di centralismo organico. Quanto poi ai comitati, moltissimi sono i casi storici che fanno torto alla direzione collegiale: non qui dobbiamo ripetere il rapporto tra Lenin e il partito, Lenin e il partito, Lenin e il comitato centrale, nell’aprile 1917 e nell’ottobre 1917.

Il migliore detector delle influenze rivoluzionarie del campo di forze storiche può, in dati rapporti sociali e produttivi, essere la massa, la folla, una consulta di uomini, un uomo solo. L’elemento discriminante è altrove.
 

Schemetto elementare

(...) Abbiamo messi un momento tutti i pezzi bianchi e neri al proprio posto per farci fare la domanda antica: dove prendiamo la coscienza, la volontà, la "guida" dell’azione? E, se volete, l’autorità? Non abbiamo lasciato nessun pezzo disoccupato, fuori della scacchiera.

Nel citare Lenin non si sono accorti di una magnifica sua costruzione, che giunge a ben altro, che al... Comitato Centrale.

«La classe operaia... nella sua lotta in tutto il mondo... necessita di una autorità... nella misura in cui il giovane operaio necessita della esperienza dei combattenti più anziani contro l’oppressione e lo sfruttamento... dei combattenti che hanno preso parte a molti scioperi e a diverse rivoluzioni, che hanno acquistato saggezza per le tradizioni rivoluzionarie ed hanno quindi una ampia visione politica. L’autorità della lotta mondiale del proletariato è necessaria ai proletari di ogni paese... Il corpo collettivo degli operai di ogni paese che conducono direttamente la lotta sarà sempre la massima autorità su tutte le questioni».

Il centro di questo passo sono i concetti di tempo e di spazio portati all’estensione massima: tradizione storica della lotta, e campo internazionale di essa. Noi aggiungiamo alla tradizione il futuro, il programma della lotta di domani. Come si convocherà da tutti i continenti e sopra tutti i tempi questo corpus leniniano, cui diamo il potere supremo nel partito? Esso è fatto di vivi di morti e di nascituri: questa nostra formula non l’abbiamo dunque "creata": eccola nel marxismo, eccola in Lenin.

Chi ciancia ora di poteri e di autorità affidate a un capo, a un comitato direttivo, a una consultazione di contingenti corpi in contingenti territori? Ogni decisione sarà per noi buona, se starà nelle linee di quella ampia e mondiale visione. Può coglierla un occhio solo, o milioni di occhi.

Questa teoria eressero Marx ed Engels, da quando spiegarono, contro i libertari, in quale senso sono autoritari i processi delle rivoluzioni di classe, in cui l’individuo sparisce, come quantité negligeable, coi suoi capricci di autonomia, ma non si subordina a un capo, a un eroe, o a una gerarchia di passati istituti.

Altro che la storia fasulla e meschina degli ordini feroci e sinistri di Stalin, e della riverenza per lui, fattori che avrebbero costruito, a creder dei gonzi, decenni di storia!
 

Senso del determinismo

(...) Nella classe l’uniformità, il parallelismo di situazioni crea una forza storica, una causa di sviluppo storico. Ma l’azione precede egualmente la volontà, e più la coscienza di classe.

La classe assurge a soggetto di coscienza (di fini programmatici) quando si è formato il partito, e si è formata la dottrina. Nel cerchio più stretto che è il partito, come organo unitario, si comincia a trovare un soggetto di interpretazione del cammino storico, delle sue possibilità e strade. Non sempre, ma solo in certe rare situazioni dovute a pienezza dei contrasti nel mondo della base produttiva, nel soggetto "partito" ammettiamo, oltre alla scienza, anche la volontà, nel senso di una possibilità di scelta tra atti diversi, influente sul moto degli eventi. Per la prima volta la libertà, non dignità di persone, appare. La classe ha una guida nella storia in quanto i fattori materiali che la muovono si cristallizzano nel partito, in quanto questo possiede una teoria, completa e continua, una organizzazione a sua volta universale e continua, che non si scomponga e componga ad ogni svolta con aggregazioni e scissioni; queste sono però la febbre, che costituisce la reazione di un simile organismo alle sue crisi patologiche.
 

Dove le "garanzie"?

Dove dunque trovare le garanzie contro la degenerazione, il disfacimento del corso del movimento, del suo partito? In un uomo è poco; l’uomo è mortale, è vulnerabile dai nemici. È, se unico, pessima fragile garanzia, anche se in un solo la si credesse mai insita.

Prenderemmo tuttavia sul serio il gran vantare di avere trovato la garanzia collegiale, dopo la scomparsa di un capo, che dirigeva a suo arbitrio? Tutto ciò non è serio (...)

Le nostre "garanzie" sono note e semplici.

1. Teoria. Come abbiamo detto non nasce in una fase storica qualunque, né attende per farlo l’avvento del Grande Uomo, del Genio. Solo in certi svolti può nascere: delle sue "generalità" è nota la data, non la paternità. La nostra dovette nascere dopo il 1830 sulla base dell’economia inglese. Essa garantisce in quanto (anche ammettendo che l’integrale verità e scienza sono obiettivi vani, e solo si può avanzare nella lotta contro la grandezza dell’errore) la si tiene ferma nelle linee dorsali formanti un sistema completo. Durante il suo corso storico ha due sole alternative: realizzarsi o sparire. La teoria del partito è un sistema di leggi che reggono la storia e il suo corso passato, e futuro. Garanzia dunque proposta: niente permesso di rivedere, e nemmeno di arricchire la teoria. Niente creatività.

2. Organizzazione. Deve essere continua nella storia, quanto a fedeltà alla stessa teoria e alla continuità del filo delle esperienze di lotta. Solo quando ciò per vasti spazi del mondo, e lunghi tratti del tempo, si realizza, vengono le grandi vittorie. La garanzia contro il centro è che non abbia diritto a creare, ma sia obbedito solo in quanto le sue disposizioni di azione rientrino nei precisi limiti della dottrina, della prospettiva storica del movimento, stabilita per lunghi corsi, per il campo mondiale. La garanzia è che sia represso lo sfruttamento della "speciale" situazione locale o nazionale, dell’emergenza inattesa, della contingenza particolare. O nella storia è possibile fissare concomitanze generali tra spazi e tempi lontani, ovvero è inutile parlare di partito rivoluzionario, che lotta per una forma di società futura. Come abbiamo sempre trattato, vi sono grandi suddivisioni storiche e "geografiche" che danno fondamentali svolti all’azione del partito, in campi estesi a mezzi continenti e a mezzi secoli: nessuna direzione di partito può annunziare svolti del genere da un anno all’altro. Possediamo questo teorema, collaudato da mille verifiche sperimentali: annunziatore di "nuovo corso" uguale traditore.

Garanzia contro la base e contro la massa è che l’azione unitaria e centrale, la famosa "disciplina", si ottiene quando la dirigenza è ben legata a quei canoni di teoria e pratica, e quando sì vieta a gruppi locali di "creare" per conto loro autonomi programmi, prospettive, e movimenti.

Questa dialettica relazione tra la base e il vertice della piramide (che a Mosca trent’anni addietro chiedevamo di renverser, capovolgere) è la chiave che assicura al partito, impersonale quanto unico, la facoltà esclusiva di leggere la storia, la possibilità di intervenirvi, la segnalazione che tale possibilità è sorta. Da Stalin a un comitato di sottostalinisti, nulla è stato capovolto.

3. Tattica. Sono vietate dalla meccanica del partito "creatività" strategiche. Il piano di operazioni è pubblico e notorio e ne descrive i precisi limiti, ossia i campi storici e territoriali. Un esempio ovvio: in Europa, dal 1871, il partito non solidarizza con alcuna guerra di Stati. In Europa, dal 1919, il partito non partecipa (non avrebbe dovuto...) ad elezioni. In Asia e Oriente, oggi tuttora, il partito appoggia i moti rivoluzionari democratici e nazionali e un’alleanza di lotta tra proletariato e altre classi fino alla borghesia locale. Diamo questi crudi esempi per evitare si dica che lo schema è uno e rigido sempre e dovunque, ed eludere la famosa accusa che questa costruzione, materialista storica integralmente, derivi da postulati immoti, etici od estetici o mistici addirittura. La dittatura di classe e di partito non degenera in forme diffamate come oligarchie, a condizione che sia palese e dichiarata pubblicamente in relazione ad un preveduto ampio arco di prospettiva storica, senza ipocritamente condizionarla a controlli maggioritari, ma alla sola prova della forza nemica. Il partito marxista non arrossisce delle taglienti conclusioni della sua dottrina materialista; non è fermato, nel trarle, da posizioni sentimentali e decorative.

Il programma deve contenere in linea netta l’ossatura della società futura in quanto negazione di tutta la presente ossatura, punto dichiarato di arrivo per tutti i tempi e luoghi. Descrivere la presente società è solo una parte del compito rivoluzionario. Deprecarla e diffamarla non è affar nostro. Costruire nei suoi fianchi la società futura nemmeno. Ma la rottura spietata dei rapporti di produzione presenti deve avvenire secondo un chiaro programma, che scientificamente prevede come su questi spezzati ostacoli sorgeranno le nuove forme di organizzazione sociale, esattamente note alla dottrina del partito.