Partito Comunista Internazionale Sul centralismo organico

Partito Socialista Italiano


Il problema della cultura

(Avanti!, 5 aprile 1913)






La recente polemica svoltasi sulle colonne dell’Avanti! tra il professore Fabietti ed Adelino Marchetti, segretario della Camera del Lavoro di Milano intorno alla "cultura", ha appena sfiorato l’importantissimo problema riproducendo quel profondo dissenso di metodi e di concezioni che costituì nell’ultimo Congresso Nazionale dei giovani socialisti il nucleo centrale di tutte le discussioni, ampliandosi fino a comprendere tutta la questione generale del metodo di preparazione e della missione spettante al partito socialista.

Non sarà  forse inutile mettere il problema nei suoi veri termini, riassumendolo brevemente sulle colonne dell’Avanti! per richiamare su di esso l’attenzione di tutti i compagni. Anzitutto bisogna rettificare una erronea interpretazione data alla tesi svolta da chi, come noi, ha alcune diffidenze verso l’opera di preparazione culturale come la si intende comunemente, diffidenze che andremo motivando e spiegando.

Nessuno – e certo neanche il compagno Marchetti – accetterebbe l’epiteto di "nemico della cultura" nel senso assoluto, e nessuno ritiene desiderabile per l’avvenire del socialismo lo stato d’ignoranza del proletariato. Noi vogliamo solo indagare fino a che punto e con quali valori possa rientrare nell’azione sovversiva del socialismo la preparazione culturale delle masse, perchè riteniamo che, pur riconosciuti gli innegabili vantaggi, alcune forme di tale preparazione, specie in quanto si tenti di dare ad esse un’importanza fondamentale, finiscono con l’esorbitare troppo dalle linee caratteristiche del programma rivoluzionario del socialismo. Il partito socialista ha la missione di curare lo sviluppo intellettuale del proletariato oltre che i suoi interessi economici: Noi non discutiamo neanche questa premessa dei fautori della cultura. Anzi la spingiamo fino a sostenere che il partito debba energicamente contrastare le degenerazioni corporative e localiste mettendosi contro gli interessi immediati di alcuni gruppi operai, se questi compromettono la finalità  estrema di tutta la classe lavoratrice – il socialismo.

Ma invitiamo i compagni a non dimenticare che questa finalità  collettiva (che possiamo chiamare "ideale", se si vuole impiegare questo termine) secondo la concezione marxista ha la sua base nel fatto "materiale" del contrasto esistente tra l’interesse della classe proletaria e le presenti forme di produzione.

Quell’ideale è quindi sentito dagli operai in quanto essi vivono nelle strette di quel contrasto reale ed economico. Lo sviluppo dell’operaio è la conseguenza diretta del suo stato economico. Ed in questo senso il socialismo vuole interessarsi dell’emancipazione intellettuale dell’operaio contemporaneamente a quella economica, sempre ritenendo che la prima è una conseguenza della seconda, e che se si tiene a cuore il progresso e la cultura della massa, non si deve disprezzare, ma accettare nel suo massimo valore il programma della sua redenzione "materiale".

E’ quindi chiarissimo che man mano che, per la evoluzione stessa della società  capitalistica, si accentua la forza e la coesione economica del proletariato, deve accentuarsi la sua coscienza ideale e la sua preparazione intellettuale. Il Partito Socialista indica al proletariato in quale senso dirigere le forze risultanti dal suo bisogno per raggiungere più presto la finalità di classe, ossia l’abolizione del salariato.

Così dunque il partito può e deve guidare la educazione e la "cultura" operaia. E nessun socialista rivoluzionario può essere contro questa seconda parte del programma senza cadere in contraddizione colle sue concezioni anti-egoistiche e antiriformistiche del movimento operaio.

Ma il "riformismo" e la "democrazia" vedono il problema della cultura da un punto di vista ben diverso, anzi esattamente capovolto. Nella cultura operaia essi scorgono la conseguenza parallela dell’emancipazione economica, il mezzo principale e la "condizione necessaria" di quella emancipazione.

Quanto un simile concetto sia reazionario e antimarxista, non occorrono molte parole a dimostrarlo. Se noi crediamo che l’ideologia di una classe sia conseguenza del posto che le è assegnato in una determinata epoca della storia dal sistema di produzione, non possiamo "aspettare" che la classe operaia sia "educata" per credere possibile la rivoluzione, perchè ammetteremmo in pari tempo che la rivoluzione non avverrà  mai.

Questa pretesa preparazione culturale educativa del proletariato non è realizzabile nell’ambito della società  attuale. Anzi l’azione della classe borghese – compresa in essa la democrazia riformista – "educa" le masse in senso precisamente antirivoluzionario, con un complesso di mezzi col quale nessuna istituzione socialista potrà  mai lontanamente gareggiare. Ma non è su questo che noi insistiamo. Sorgano pure le scuole socialiste, specie dove occorre formare dei propagandisti, magari.... tra la classe intellettuale, che è in fatto di socialismo molto ignorante. Ma non si corra il rischio di diffondere, magari senza volerlo, quel criterio riformistico della "necessita" della cultura.

Sarebbe un mezzo poderoso di addormentamento della massa, ed è infatti il mezzo con il quale la minoranza dominante persuade la classe sfruttata a lasciarle nelle mani le redini del potere.

Noi sappiamo bene che le scuole socialiste sono spesso dirette nel senso rivoluzionario, e che molti compagni che le propugnano non accettano affatto quei criteri che noi additiamo come pericolosi. Va benissimo.

Ma resta il pericolo. L’operaio è logicamente restio a frequentare assiduamente queste scuole che gli impongono uno sforzo intellettuale molto grave, date le sue condizioni di lavoro eccessivo e di nutrizione scarsa. Occorre dunque un vivo incitamento per deciderlo a tale sacrificio e il mezzo con il quale si fa questo incitamento finisce coll’essere equivoco.

Si dice ai proletari che essi non hanno quasi il "diritto" di essere militanti nel campo sindacale e specie in quello politico per la loro scarsa istruzione, si vuole farli arrossire della propria ignoranza, mentre occorrerebbe convincerli che essa è una delle tante infami conseguenze dello sfruttamento borghese, e la inferiorità intellettuale dell’operaio, che dovrebbe essere una molla per farlo insorgere, al pari della sua inferiorità  economica, diviene una causa di titubanza e di viltà .

Questo è il pericolo. E’ il pericolo dell’eccesso, non della cosa in se stessa, quando l’indirizzo teorico di queste scuole di cultura sia chiaramente rivoluzionario. Ma diventa poi inevitabile se si seguono le teorie riformiste. Lo Zibordi dice esplicitamente che l’operaio, prima di "imprecare alla società  borghese", deve istruirsi e "non solo" nel campo della cultura socialista, ma bensì in quello di una istruzione in tutti i sensi... Per conseguenza di questo andazzo rammollitore della nostra propaganda Giolitti ha potuto congratularsi con i nostri rappresentanti in parlamento per l’opera di "educazione" pacifista fatta nelle masse. Il socialismo invece di fare dei proletari i ribelli indomabili alla condizione attuale, finirebbe col farne le pecore docili, addomesticate, "colte" e... pronte per la tosatura.

Ma il riformismo va più oltre ed arriva a pretendere dal proletariato la "preparazione tecnica" e la "cultura di problemi concreti ". E’ notevole che il riformismo che è tutto positivo, tutto "economista ", tutto meccanico, arrivi a questi desiderata molto più irrealizzabili di quelli di cui noi siamo accusati. E’ l’utopismo della pratica, della tecnica, catalogato nei programmi minimi, gonfiato di reclame elettorale, che richiederebbe di realizzarsi molti secoli di più di quelli che i suoi fautori – gente pratica, che non pensa ai nipoti! – assegnano cattedralmente all’avvento della rivoluzione sociale.

E’ contro queste esagerazioni che occorre reagire. Il compagno Marchetti ha molta ragione di temere di essere per la solidità  e la fisionomia sovversiva delle organizzazioni di resistenza, come la maggioranza del Congresso Giovanile ritenne che un indirizzo di preparazione escusivamente culturale avrebbe scolorito del tutto il movimento giovanile socialista.

La missione del Partito Socialista è quella di sovvertire, di sobillare le masse, agitando una "idea", certo; ma un’idea abbarbicata con radici profonde nella realtà .

L’intransigenza del partito deve divenire una differenziazione profonda dalla metodologica democratica. Per la democrazia il problema economico è il sottosuolo che occorre esplorare con la luce della "cultura" che scende dall’empireo dei filosofi, dei maestri, dei pensatori.

Ma il socialismo marxista inverte in teoria ed in politica l’equivoco democratico. Esso mostra che il sottosuolo sociale è in fermento e troverà in se stesso il modo di sprigionare le forze latenti che lo agitano.

Il pensiero, l’ideologia operaia si determinano al di fuori della filosofia guidata dalla classe che ha il monopolio dei mezzi di produzione, e il monopolio della "cultura". L’azione del Partito Socialista riesce a compiere un lavoro di sintesi di quelle forze latenti, a dare al proletariato la coscienza di "tutto" se stesso e il coraggio di non cercare al di fuori di se stesso i mezzi della sua ascensione. Tutta la nostra propaganda e la nostra sobillazione cozzano quotidianamente contro la sfiducia che i lavoratori hanno nelle proprie forze e contro il pregiudizio della inferiorità  e della incapacità  alla conquista del potere; errori scaldati dalla democrazia borghese che vorrebbe l’abdicazione politica della massa nelle mani di pochi demagoghi. Ed è appunto il pericolo di favorire questo gioco – tentato nell’interesse conservativo delle istituzioni presenti – che ci fa diffidare delle esagerazioni dell’opera di cultura.