Partito Comunista Internazionale
 

IL PARTITO COMUNISTA NELLA TRADIZIONE DELLA SINISTRA
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SOMMARIO

 

PARTE V

 
 
 
 

PREMESSA


LA TATTICA DEL PARTITO

Sommario


Dal fatto che il partito non è un’accolita di pensatori o di seguaci di una determinata filosofia, ma un organo di combattimento per la guerra fra le classi, che impugna come arma la teoria e la conoscenza, si deve dedurre, come fanno tutte le nostre tesi, che l’azione del partito non si limita a propaganda e spiegazione del suo indirizzo, né soltanto ad un lavoro di critica dei fatti sociali e politici, bensì interviene attivamente in loro, combatte collegato fisicamente con la classe proletaria che si muove anche per obiettivi parziali ed immediati, la organizza, la indirizza, la spinge a lottare. L’azione che il partito deve svolgere in quanto organo politico della classe proletaria è dunque molto complessa, ma essenziale per la preparazione del proletariato in senso rivoluzionario, preparazione che non sarà mai il prodotto di una semplice propaganda teorica o di una dimostrazione di superiorità interpretativa da parte dei comunisti. Se per il marxismo la coscienza viene dopo l’azione è evidente che il partito non può sperare di condurre dietro di sé la classe soltanto attraverso la propaganda od un’azione di tipo educativo e pedagogico; è necessario che mille legami si formino attraverso i fatti materiali e l’intervento in loro del partito che è riconosciuto così dalla classe come un’entità fisica di ben determinata fisionomia, attraverso elementi che non sono di comprensione razionale, di studio, di propaganda.

L’insieme dei mezzi che il partito deve usare nelle varie e molteplici vicende della lotta di classe, per volgerle in senso favorevole ai suoi fini, per attrarre il proletariato sotto le sue bandiere, per strapparlo dalle file dei partiti non comunisti, per demoralizzare ed abbattere infine il nemico di classe: ecco il problema della tattica, che la Sinistra ha sempre definito «grave e difficile», non sognandosi mai di eluderlo e di sostituirlo metafisicamente con una pura e semplice propaganda di principi teorici o con una semplice azione di critica intellettuale.

Riconosciuto che lo svolgimento della lotta fra proletariato e borghesia è fatto complesso e caratterizzato da vicende materiali innumerevoli e varie e che il proletariato non si collega con il suo partito per convincimento razionale, s’imposta il problema dei mezzi con cui il partito deve intervenire nella realtà della lotta, cioè il problema della tattica del partito.

La prima nozione in questo campo, che deriva dalla nostra stessa concezione materialistica, è una critica spietata di quello che è stato sempre da noi definito «infantilismo»: i mezzi tattici non si scelgono con criteri morali, estetici e formalistici; non si decide l’intrapresa o meno di un’azione a seconda che questa si presenti più o meno in linea con una nostra pretesa morale. Su questa base Lenin ebbe a deridere coloro che respingevano per principio i «compromessi» e la Sinistra fu sempre concorde totalmente con lui su questo piano.

Ma la Sinistra, con Marx e Lenin, ha sempre rivendicato che una scelta dei mezzi tattici deve essere fatta per la semplice ragione che non tutti i mezzi tattici sono adeguati al raggiungimento del fine e che l’uso dei mezzi che sembrano dare un successo immediato all’azione del partito possono invece dimostrarsi in contraddizione con lo svolgimento ulteriore e le finalità ultime dell’azione stessa.

La scelta dei mezzi tattici, non guidata da preconcetti morali, ma dalla giusta valutazione, alla luce della nostra dottrina materialistica, dei rapporti reali fra le classi e fra i partiti che esprimono la politica delle varie classi e dalla previsione delle vicende che la lotta attraverserà e di quali dovranno essere le azioni del partito alla presenza delle varie situazioni che si presenteranno, perché esse possano risolversi nel suo potenziamento e nella migliore predisposizione delle forze proletarie verso la battaglia finale, deve esserci, deve essere preventiva e costituire un patrimonio del partito allo stesso modo che lo costituisce la sua invariante dottrina.

È la teoria che permette al partito di definire il suo programma nel qual è contenuta la previsione di una serie ininterrotta d’eventi attraverso i quali la lotta delle classi arriverà allo sbocco previsto. È la teoria che permette al partito di delineare il campo d’azione delle forze sociali, di valutarne i rapporti reciproci, di stabilire le possibili reazioni alla presenza di fatti determinanti. Le lezioni dei fatti storici, lette alla luce della teoria, conducono il partito a stabilire che la strada per il comunismo passa necessariamente attraverso la rivoluzione violenta, la distruzione della macchina statale borghese, la violenza ed il terrore rivoluzionari esercitati dalla classe proletaria sotto la direzione del suo partito e attraverso la macchina statale della dittatura proletaria.

Il partito deve essere in grado di prevedere e di pianificare anche i mezzi che nella situazione storica concreta sono suscettibili di condurre a questi sbocchi finali, le forze che sono in gioco, le azioni e reazioni che intercorrono fra queste forze, i mezzi che al contrario non devono essere utilizzati perché contraddirebbero il raggiungimento del fine rivoluzionario. L’analisi critica conduce perciò il partito a stabilire in primo luogo dei campi storico-politici, delle fasi storiche in cui la sua azione deve svolgersi e in cui sono diversi i rapporti e le attitudini delle forze sociali che combattono fra di loro e di conseguenza devono essere diversi i mezzi che il partito applica. Se non fosse possibile questa analisi e questa previsione cadrebbe il marxismo come teoria rivoluzionaria e perciò non si potrebbe neanche parlare di partito comunista e di classe proletaria.

I campi storici in cui si inserisce la tattica del partito sono così definiti nel nostro rapporto alla riunione generale di Genova del 1953:
«1) La posizione della Sinistra comunista si distingue nettamente (oltre che dall’eclettismo di manovra tattica del partito) dal bruto semplicismo di chi riduce tutta la lotta al dualismo sempre e ovunque ripetuto di due classi convenzionali, sole ad agire; la strategia del moderno movimento proletario ha precise e stabili linee valevoli per ogni ipotesi d’azione futura, che vanno riferite a distinte ’aree’ geografiche in cui si suddivide il mondo abitato, e a distinti cicli di tempo.
2) L’area prima e classica dal cui gioco di forze fu tratta la prima volta l’irrevocabile teoria del corso della rivoluzione socialista è quella inglese. Dal 1688 la rivoluzione borghese ha soppresso il potere feudale e rapidamente estirpate le forme di produzione feudali; dal 1840 è possibile dedurre la concezione marxista sul gioco di tre essenziali classi: proprietà borghese della terra – capitale industriale, commerciale, finanziario – proletariato, in lotta con le due prime.
3) Nell’area europea occidentale (Francia, Germania, Italia, paesi minori) la lotta borghese contro il feudalesimo va dal 1789 al 1871, e nelle situazioni di questo corso si pone l’alleanza del proletariato coi borghesi quando lottano colle armi per rovesciare il potere feudale – mentre già i partiti operai hanno rifiutata ogni confusione ideologica colle apologie economiche e politiche della società borghese.
4) Col 1866 gli Stati Uniti d’America si pongono nelle condizioni dell’Europa Occidentale dopo il 1871, avendo liquidato forme capitalistiche spurie con la vittoria contro il sudismo schiavista e rurale. Dal 1871 in poi, in tutta l’area euroamericana, i marxisti radicali rifiutano ogni alleanza e blocco con partiti borghesi e su qualunque terreno,
5) La situazione pre-1871, di cui al punto 3), dura in Russia ed in altri stati dell’Est europeo fino al 1917, e si pone in loro il problema già noto della Germania 1848: provocare due rivoluzioni, e quindi lottare anche per i compiti di quella capitalista. Condizione per un passaggio diretto alla seconda rivoluzione proletaria era la rivoluzione, politica in Occidente che venne meno, pure avendo la classe proletaria russa conquistato sola il potere politico, conservandolo per alcuni anni.
6) Mentre nell’area europea d’Oriente può oggi considerarsi compiuta la sostituzione del modo capitalista di produzione e di scambio a quello feudale, nell’area asiatica è in pieno corso la rivoluzione contro il feudalesimo, e regimi anche più antichi, condotta da un blocco rivoluzionario di classi borghesi, piccoli borghesi e lavoratrici(...)
9) Per quei paesi dell’Asia, ove ancora domina l’economia locale agraria di tipi patriarcali e feudali, la lotta anche politica delle ’quattro classi’ è un elemento di vittoria nella lotta internazionale comunista pur quando ne sorgano in via immediata poteri nazionali e borghesi, sia per la formazione di nuove aree atte alla posizione delle rivendicazioni socialiste ulteriori, sia per i colpi portati da tali insurrezioni e rivolte all’imperialismo euroamericano».

Le nostre Tesi di Roma, 1922, operavano una distinzione di fasi storiche che era nello stesso tempo d’aree geografiche:
«Potere feudale assolutistico; Potere democratico borghese; Governo socialdemocratico; Interregno di guerra sociale in cui divengono instabili le basi dello Stato; Potere proletario nella dittatura dei Consigli» e avvertivano: «In un certo senso, il problema della tattica consiste oltre che nello scegliere la buona via per un’azione efficace, nell’evitare che l’azione del partito esorbiti dai suoi limiti opportuni, ripiegando su metodi corrispondenti a situazioni sorpassate, il che porterebbe come conseguenza un arresto del processo di sviluppo del partito e un ripiegamento nella preparazione rivoluzionaria».

La nostra corrente ha dunque sempre sostenuto che i mezzi tattici che il partito può utilizzare in determinate aree storiche e sociali e in relazione al verificarsi di determinate situazioni devono essere previsti ed «assommati in chiare regole d’azione», le quali costituiscono la base dell’organizzazione stessa del partito. Se non fosse possibile determinare delle regole tattiche, una «rosa d’eventualità», un piano valevole per un arco lunghissimo di tempo e per spazi grandissimi, non sarebbe possibile neanche arrivare alla omogeneità e alla centralizzazione organizzativa. Non si tratta, lo abbiamo detto, di definire l’insieme dei mezzi lasciandosi guidare da postulati aprioristici, ma di determinare, alla luce della dottrina ed in maniera sempre più completa e profonda, il «campo» storico in cui il partito combatte e il gioco delle forze sociali interne a questo «campo».

È in base a questa pratica esigenza che sono definite e puntualizzate sempre meglio dal lavoro collettivo e dalla esperienza stessa del partito i «limiti» di là dei quali la tattica del partito non può andare sotto pena di riflettersi negativamente sul partito stesso. Perché altra nostra affermazione di carattere fondamentale è che la tattica che il partito usa si riflette ed influisce sull’organizzazione, come sui principi del partito; la tattica è l’agire del partito e non può contraddire al suo essere, senza che l’essere stesso prima o poi debba modificarsi. Fu l’Internazionale Comunista ché pretese, dopo il 1922, di poter adoperare qualunque mezzo, qualsiasi manovra, senza per questo spezzare il partito nella sua compagine organizzativa e nella sua saldezza teorica e programmatica. Le nostre Tesi di Lione 1926 traggono la lezione di questa catastrofica pretesa proprio nel momento in cui l’Internazionale sta per essere conquistata definitivamente alla controrivoluzione staliniana: «Non è il buon partito che dà la buona tattica soltanto, ma è la buona tattica che dà il buon partito».

E questo è evidente se, da marxisti, noi pensiamo che non può bastare il dichiarare di aderire ad una certa dottrina, ad un programma, a principi e finalità date, se questi non informano di sé tutta l’attività reale del partito determinandone le caratteristiche e le manifestazioni anche più limitate. Se la vita reale del partito, la sua azione, il suo modo di muoversi nei confronti delle forze sociali e politiche viene a contraddire alle sue enunciazioni di principio, è chiaro che queste stesse enunciazioni a lungo andare cadranno per quanto si continui a proclamarne il rispetto o a propagandarle ed agitarle. È questo il classico cammino dell’opportunismo che proclama un’adesione platonica ai principi comunisti mentre svolge nella pratica le più oscene deviazioni da loro.

Per noi l’adesione e la fedeltà ai principi si manifesta nel colossale e difficilissimo sforzo di far sì che tutta la vita del partito si uniformi e sia coerente con loro. E questo non per lusso dottrinario, ma per pratica necessità della lotta; sarà in grado di vincere la battaglia rivoluzionaria, è la dimostrazione luminosa della rivoluzione di Russia, solo un organismo di partito il quale abbia saputo poggiare sulla granitica base del marxismo un coerente piano tattico e rimanervi fedele in tutte le vicende della lotta senza mai mollare di un pollice, sacrificando a questa continuità e rigidità d’impostazione le possibilità di facili e momentanei successi: il «pantano» di cui Lenin parla nel «Che fare?» e che è sempre pronto ad accogliere tutti coloro che abbandonano la linea prevista e codificata e ritengono appunto di poter usare qualsiasi mezzo, di poter realizzare qualsiasi manovra, illudendosi che questa non si rifletta sul loro stesso essere.

A base della scelta dei mezzi tattici e delle manovre deve essere posta la condizione prioritaria che esse servano a potenziare e non ad inficiare la fisionomia del partito a contorni taglienti nei confronti di tutti gli altri partiti e dello Stato politico. Il problema tattico consiste di due fattori fondamentali: il partito – elemento cosciente capace di prevedere lo sbocco della lotta di classe – e la massa del proletariato che deve essere nel corso dello svolgimento dell’azione fisica e materiale condotta a seguire il partito, la via che esso indica, i metodi che esso propone. Alla base dunque della soluzione d’ogni problema tattico deve essere posta la condizione che per realizzare il secondo dato non si snaturi, né si deformi il primo e fondamentale. Se ciò si verifica, le masse possono anche spostarsi, ma è il partito che devia dalla sua strada e non è più strumento utile alla conduzione della lotta rivoluzionaria. Questo è criterio essenziale valido per tutti i campi storici della lotta di classe. Si innesta su questo generale problema quello che il partito deve sempre presentarsi agli occhi delle masse proletarie come opposto a tutti gli altri partiti politici e allo Stato, dimostrando praticamente, nel corso dell’azione, al proletariato la necessità di abbracciare i metodi rivoluzionari di lotta e di svalutare qualsiasi ricorso a movimenti ed azioni che si pongano sul piano delle istituzioni presenti e tendano a dimostrare alle masse che la risoluzione dei loro problemi, piccoli o grandi, immediati o generali, è impossibile per via pacifica e legale, senza far cozzare la forza organizzata del proletariato contro l’insieme delle istituzioni legali.

Impostiamo, partendo dalle nostre Tesi di Roma (1922), le grandi linee della tattica del partito nel campo europeo occidentale ed americano nell’epoca imperialistica. In questo campo ed in questa epoca storica i cardini, le grandi linee, che delimitano ogni azione tattica del partito sono le seguenti:

a) nessun blocco o alleanza o fronte con altri partiti politici anche pseudo proletari sulla base di parole d’ordine contingenti comuni (fronte unico sindacale sulla base dell’azione diretta delle masse proletarie, contro fronte unico politico ed azioni comuni condotte sul terreno delle istituzioni democratiche legali);

b) nessuna partecipazione del partito a campagne elettorali di nessun genere; svalutazione costante del metodo elettorale della conta delle opinioni non solo come impotente alla conquista del potere politico, ma come controproducente alla stessa difesa d’interessi immediati della classe. Invito costante e dimostrazione della necessità per il proletariato di passare dal terreno della lotta legale e pacifica al terreno dell’azione diretta anche per la difesa dei suoi più elementari interessi;

c) nei confronti della «apparente» divisione del campo borghese in un blocco di «destra» e di «sinistra» e dei postulati seducentemente interessanti la classe operaia che quest’ultimo proclama di voler realizzare, critica costante alle posizioni del blocco di «sinistra», dimostrazione che esso forma con la «destra» un fronte antirivoluzionario, dimostrazione che quei postulati, a misura in cui interessano veramente le masse proletarie, sono realizzabili soltanto sul piano della mobilitazione di lotta della classe e non su quello legalitario e pacifico. Il partito può addirittura farsi promotore della lotta per obiettivi che il blocco di «sinistra» enuncia demagogicamente, ma che veramente interessano la classe operaia, chiamando esso stesso il proletariato ad affermarli e a difenderli costituendo un fronte di lotta dei suoi organismi economici immediati e scendendo sul piano dell’azione e dello sciopero generale, giungendo alla pratica dimostrazione che quei partiti che vogliono muoversi soltanto sul piano dell’azione attraverso le istituzioni legali in realtà tradiscono anche quegli obiettivi che a parole sostengono, appunto perché rifiutano l’uso di quei mezzi che soli potrebbero permetterne la realizzazione o la difesa. Su questa constatazione storica reale è fondato l’astensionismo elettorale (e non solo parlamentare) del partito comunista in Occidente dal 1920 in poi e la polemica della nostra corrente contro le tesi del parlamentarismo rivoluzionario sostenuta da Lenin e dai bolscevichi;

d) nei confronti del possibile verificarsi di un governo di «sinistra», dimostrazione costante e preventiva che esso non costituirebbe un miglioramento di nessun genere ed in nessun campo per il proletariato. Valutazione che l’«esperimento socialdemocratico» può essere positivo, ma solo nel senso che dimostrerebbe praticamente alle masse la natura controrivoluzionaria dei partiti opportunisti e potrebbe convertirsi in un aumento di potenza del partito rivoluzionario a condizione che esso abbia denunciato fin dall’inizio l’esperimento, abbia indicato alle masse il suo necessario fallimento ed abbia chiaramente saputo dividere le sue responsabilità da quelle dei partiti opportunisti. Nessuna solidarietà del partito con un governo del genere nemmeno nel caso in cui esso fosse violentemente attaccato da forze di «destra». Se in una simile circostanza il proletariato fosse chiamato dai partiti opportunisti ad azioni armate contro la «destra», il partito avrebbe il compito di indirizzare i proletari in armi verso la conquista del potere politico e la dittatura di classe, denunciando ogni difesa del potere esistente e proclamando apertamente che esso è altrettanto ostile al proletariato quanto le forze che lo attaccano e che ambedue devono soggiacere al potere armato del proletariato diretto dal partito comunista.

Questi cardini della tattica del partito, apertamente dichiarati nelle Tesi di Roma del 1922, mentre si svolgeva in Italia l’offensiva fascista, rimangono confermati e verificati nelle Tesi di Lione del 1926, le quali traggono la lezione di quell’intervallo di tempo che aveva visto il fascismo affermarsi e il partito pericolosamente inclinare verso la ricerca di «alleati politici» contro di lui, non solo nei partiti pseudo operai, ma anche in quelli borghesi «democratici» (Aventino, ecc.). In questo corpo di tesi si enuncia a complemento delle grandi linee sopra descritte:

a) negazione che il partito debba, in presenza di lotte di classe e di partiti, che non siano ancora quelle del suo terreno specifico, «scegliere tra le due forze in contesa quella che rappresenta lo sviluppo della situazione più favorevole alla evoluzione storica generale e debba più o meno apertamente sorreggerla e coalizzarsi con essa». Nessuna scelta fra «governi reazionari di destra» e «governi di sinistra»; dimostrazione al proletariato che «la borghesia tenta e spesso riesce ad avvicendare i suoi metodi e partiti di governo secondo il suo interesse controrivoluzionario» e che «il trionfo dell’opportunismo è sempre passato attraverso l’appassionamento del proletariato alle vicende successive della politica borghese»;

b) di conseguenza: «Il partito comunista, in presenza di lotte che non possono ancora svolgersi come la lotta definitiva per la vittoria proletaria, non si farà il gerente di trapassi e di realizzazioni che non interessano direttamente la classe che esso rappresenta, e non baratterà il suo carattere e la sua attitudine autonoma con quelli di una specie di società d’assicurazione per tutti i moti politici sedicenti ’rinnovatori’, o per tutti i sistemi e governi politici minacciati da un preteso ’governo peggiore’».

In perfetta continuità con l’analisi svolta da Lenin, la Sinistra identifica nell’ordinarsi totalitario dell’economia capitalistica dell’epoca imperialistica la premessa oggettiva per la sostituzione delle forme democratiche-parlamentari del dominio borghese con forme totalitarie di governo: il «moderno e progressivo» metodo fascista che, giunto alla sua espressione più evidente in Italia ed in Germania, si impone però in tutti i grandi Stati imperialistici del mondo, distruggendo dappertutto la vecchia e reazionaria forma democratico-liberale, mantenendola al massimo come «specchietto per le allodole proletarie». Nella fase imperialistica del capitalismo svoltasi fino alla seconda guerra mondiale, «i postulati economici, sociali e politici del liberalismo e della democrazia sono antistorici, illusori e reazionari, e il mondo è alla svolta per cui nei grandi paesi l’organamento liberale scompare e cede il posto al più moderno sistema fascista» (Natura funzione e tattica del partito, 1947).

Rimangono in questa visione confermati e ribaditi i cardini tattici già sanciti nelle Tesi di Roma e di Lione con le seguenti precisazioni:

1) il partito non deve applicare nessuna «tattica che, anche per le sole posizioni formali, comporta attitudini e parole d’ordine accettabili dai movimenti politici opportunistici» (ivi);

2) la prassi politica del partito «rifiuta le manovre, le combinazioni, le alleanze, i blocchi che tradizionalmente si formano sulla base di postulati e parole d’agitazione contingenti comuni a più partiti» (ivi);

3) «nell’economia di dettaglio quanto nella politica generale e mondiale la classe proletaria, come non ha nulla da perdere, non ha nulla da difendere, e il suo compito è soltanto attacco e conquista. Quindi all’apparire delle manifestazioni di concentrazione, unitarietà, totalitarismo capitalista, il partito rivoluzionario deve anzitutto riconoscere che è in questo la sua integrale vittoria ideologica e deve quindi soltanto preoccuparsi del rapporto effettivo di forze per lo schieramento nella guerra civile rivoluzionaria, rapporto che hanno sin qui reso sfavorevole, appunto e soltanto, le onde di degenerazione opportunista e immediatista» (Tesi caratteristiche del Partito, 1951);

4) «anche le apparenti sopravvivenze degli istituti elettivi parlamentari delle borghesie tradizionali vanno sempre più esaurendosi rimanendo soltanto una fraseologia, e mettendo in evidenza nei momenti di crisi sociale la forma dittatoriale dello Stato, come ultima istanza del capitalismo, contro cui deve esercitarsi la violenza del proletariato rivoluzionario. Il partito, quindi, permanendo questo stato di cose e gli attuali rapporti di forza, si disinteressa delle elezioni democratiche d’ogni genere e non esplica in tale campo la sua attività» (ivi).

È entro questi precisi «limiti», dettati dalla storia, che, nel campo occidentale, deve svolgersi il complesso problema della tattica del partito comunista. È per questo che, negli ultimi due paragrafi di questa parte del lavoro, allineiamo le citazioni che dimostrano l’analisi fatta dal partito del fascismo e del totalitarismo come «progressivi» rispetto alla vecchia democrazia liberale. Non siamo nella fase e nel campo storico-politico in cui il partito proletario appoggia sul terreno dell’azione armata ed in piena autonomia di programma, di tattica, d’organizzazione i movimenti democratico-borghesi contro i vecchi regimi (erano ammissibili alleanze e blocchi di partiti politici), né in quello, tipico dell’Europa 1871-1914, in cui si poneva all’ordine del giorno la rivoluzione borghese «fino in fondo» e la democrazia borghese, pur non essendo più rivoluzionaria, era almeno realmente «progressista» (e il partito combatté a fianco della piccola borghesia per l’estensione della democrazia, per le riforme, per il suffragio universale, ecc.); siamo nell’epoca in cui il totalitarismo statale si afferma eliminando sostanzialmente, quando non formalmente, le ultime vestigia della democrazia parlamentare con tutto il suo codazzo di «garanzie» e di diritti».

Il partito proletario deve intonare la sua azione a questa constatazione che, come ribadiscono le nostre tesi del secondo dopoguerra, lo distingue da tutti gli altri raggruppamenti politici per i quali, siano pure alla «estrema sinistra», la democrazia è pur sempre un «bene» da difendere o da riconquistare e il fascismo è «il male peggiore». Per il partito e la democrazia è morta una volta per sempre per la stessa borghesia e il mondo moderno si organizza in forme totalitarie e fasciste anche dove può e ritiene opportuno mantenere per imbonire i proletari la parvenza di «libere istituzioni». Perciò l’ultimo paragrafo del lavoro raccoglie le citazioni che esprimono il pensiero del partito sull’elezionismo e sul parlamentarismo e che si riassumono nell’ovvia conclusione che, se ancora nel 1920 l’uso del meccanismo elettorale era uno strumento per assicurare il dominio della borghesia e come strumento del dominio borghese andava attaccato e smascherato il parlamento, oggi, dopo la vittoria del totalitarismo, la borghesia stessa non domina più attraverso parlamenti ed elezioni, ma se ne serve soltanto per nascondere i suoi veri strumenti di potere agli occhi del proletariato. Donde la chiara direttiva tattica espressa nel nostro Dialogato coi morti (1956): «Dal 1920 il partito non partecipa più (non avrebbe dovuto) ad elezioni». È soltanto sulla base di questi cardini fondamentali che devono essere valutati e studiati i movimenti di partito nelle varie situazioni nell’area euroamericana.
 
 
 
 

CAP. 1


NECESSITÀ DELLA PREVISIONE E PROGRAMMAZIONE TATTICA

Sommario
Cit. 137 - La tattica dell’Internazionale Comunista 1922
II -... Non vi è marxista che non debba essere con Lenin quando egli denuncia come malattia infantile un criterio d’azione che si preclude certe possibilità d’iniziativa in base alla semplice considerazione che esse non sono abbastanza rettilinee ed adagiate sullo schema formale delle nostre idealità senza stonature e deformazioni antiestetiche. Il mezzo può avere aspetti contrari al fine per i quali lo adoperiamo, dice il fondo del nostro pensiero critico: per un fine alto, nobile, seducente, il mezzo può presentarsi meschino, tortuoso e volgare: ciò che importa è poter calcolare la sua efficacia, e chi lo faccia col semplice confronto delle forme esteriori scende al livello di una concezione soggettivista e idealista delle causalità storiche che ha qualche cosa di quacqueristico, ignorando le superiori risorse della nostra critica, che oggi diviene una strategia, e che vive delle geniali concezioni realistiche del materialismo di Marx...
Come non vi è un’argomentazione da prendere sul serio che possa escludere l’utilità di adoperare i mezzi d’azione della borghesia per abbattere la borghesia, così non si può negare aprioristicamente che con l’adozione dei mezzi tattici dei socialdemocratici si possano abbattere i socialdemocratici.
Non vogliamo essere fraintesi e ci riserviamo di esporre appresso il nostro pensiero, e del resto chi voglia coglierne la costruzione non ha che da studiare le nostre tesi sulla tattica. Dicendo che il campo delle possibili e ammissibili iniziative tattiche non può essere limitato con considerazioni dettate da un semplicismo falsamente dottrinale, metafisicamente dedito a confronti formali e preoccupato della purezza e della dirittura come fini a se stesse, non intendiamo affermare che il campo della tattica debba restare limitato e che tutti i metodi siano buoni per raggiungere i nostri fini. Sarebbe un errore affidare la difficile soluzione della ricerca di mezzi adatti alla semplice considerazione che si sia intenzionati a valersene per scopi comunisti. Non si farebbe che ripetere l’errore di rendere soggettivo un problema che è oggettivo, accontentandosi del fatto che si sceglie, dispone e dirige le iniziative è deciso a lottare per le finalità comuniste e si lascia guidare da queste.
Esiste e deve quindi essere sempre meglio elaborato un criterio tutt’altro che infantile, ma intimamente marxista, di tracciare i limiti delle iniziative tattiche, che non ha nulla di comune con i preconcetti e i pregiudizi di un errato estremismo, ma che raggiunge per altra via l’utile previsione dei legami, ben altrimenti complessi, che legano gli espedienti tattici a cui si ricorre con i risultati che se n’attendono e che poi ne derivano...
Per poco che si approfondisca il valore dialettico di questa situazione si vedrà che tutte le obiezioni di un’intransigenza semplicistica cadono totalmente. L’alleanza con i disfattisti e con i traditori della rivoluzione, per la rivoluzione? grida esterrefatto il comunista tipo quarta internazionale o il ruffiano centrista tipo fra due e tre. Ma noi ci soffermiamo su questa esercitazione terminologica...
V -... Perché il partito non è il «soggetto» invariabile e incommistibile delle astruserie filosofiche, ma a sua volta un elemento oggettivo della situazione. La soluzione del problema difficilissimo della tattica del partito non è ancora analoga a quella dei problemi dell’arte militare; in politica si può correggere, ma non manipolare a piacere la situazione: i dati del problema non sono il nostro esercito e quello avversario, ma la formazione dell’esercito a spese di strati indifferenti e delle stesse schiere nemiche si attua – e può attuarsi tanto da una parte come dell’altra – mentre si svolgono le ostilità.

Cit. 138 - Tesi sulla Tattica al II Congresso del P.C.d’I (Tesi di Roma) - 1922
24 -... Nel programma del partito comunista è contenuta una prospettiva di successive azioni messe in rapporto a successive situazioni, nel processo di svolgimento che di massima loro si attribuisce. Vi è dunque una stretta connessione tra le direttive programmatiche e le regole tattiche. Lo studio della situazione appare quindi come un elemento integratore per la soluzione dei problemi tattici, in quanto il partito nella sua coscienza ed esperienza critica già aveva preveduto un certo svolgimento delle situazioni, e quindi delimitate le possibilità tattiche corrispondenti all’azione da svolgere nelle varie fasi. L’esame della situazione sarà un controllo per l’esattezza dell’impostazione programmatica del partito; il giorno che esso ne imponesse una revisione sostanziale il problema si presenterebbe molto più grave di quelli che si possono risolvere con una semplice conversione tattica e l’inevitabile rettifica di visione programmatica non potrebbe avere serie conseguenze sull’organizzazione e la forza del partito. Questo dunque deve sforzarsi di prevedere lo sviluppo delle situazioni per esplicare in esse quel grado d’influenza che gli è possibile; ma l’attendere le situazioni per subirne in modo eclettico e discontinuo le indicazioni e le suggestioni è metodo caratteristico dell’opportunismo socialdemocratico...
26 - Il partito non può tuttavia adoperare la sua volontà e la sua iniziativa in una direzione capricciosa ed in una misura arbitraria; i limiti entro i quali deve e può fissare l’una e l’altra gli sono posti appunto dalle sue direttive programmatiche e dalle possibilità e opportunità di movimento che si deducono dall’esame delle situazioni contingenti.
27 - Dall’esame della situazione si deve trarre un giudizio sulle forze del partito e sui rapporti tra queste e quelle dei movimenti avversari. Soprattutto bisogna preoccuparsi di giudicare l’ampiezza dello strato del proletariato che seguirebbe il partito quando questo intraprendesse un’azione e ingaggiasse una lotta. Si tratta di formarsi un’esatta nozione degli influssi e delle spinte spontanee che la situazione economica determina in seno alle masse, e della possibilità di sviluppo di queste spinte per effetto delle iniziative del partito comunista e dell’atteggiamento degli altri partiti...
28 - Gli elementi integratori di questa ricerca sono svariatissimi e consistono nell’esaminare le tendenze effettive della costituzione e dello sviluppo delle organizzazioni del proletariato e delle reazioni anche psicologiche che producono su di esso da una parte le condizioni economiche, dall’altra gli stessi atteggiamenti ed iniziative sociali e politiche della classe dominante e dei suoi partiti. L’esame della situazione viene a completarsi nel campo politico con quello delle posizioni e delle forze delle varie classi e dei vari partiti riguardo al potere dello Stato. Sotto quest’aspetto si possono classificare in fasi fondamentali le situazioni nelle quali il partito comunista può trovarsi ad agire e che nella loro normale successione lo conducono a rafforzarsi estendendo i suoi effettivi e nello stesso tempo a precisare sempre di più i limiti del campo della sua tattica. Queste fasi possono indicarsi come segue: Potere feudale assolutistico – Potere borghese democratico – Governo socialdemocratico – Interregno di guerra sociale in cui divengono instabili le basi dello Stato – Potere proletario nella dittatura dei Consigli. In un certo senso il problema della tattica consiste oltre che nello scegliere la buona via per un’azione efficace, nell’evitare che l’azione del partito esorbiti dai suoi limiti opportuni, ripiegando su metodi corrispondenti a situazioni sorpassate, il che porterebbe come conseguenza un arresto del processo di sviluppo del partito ed un ripiegamento nella preparazione rivoluzionaria...
29 -... Perciò il partito e l’Internazionale devono esporre in maniera sistematica l’insieme delle norme tattiche generali per l’applicazione delle quali potranno chiamare all’azione e al sacrificio le schiere dei loro aderenti e gli strati del proletariato che si stringono intorno ad esse, dimostrando come tali norme e prospettive d’azione costituiscono l’inevitabile via per arrivare alla vittoria. È dunque una necessità di pratica e d’organizzazione e non il desiderio di teorizzare e di schematizzare la complessità dei movimenti che il partito potrà essere chiamato ad intraprendere, che conduce a stabilire i termini e i limiti della tattica del partito, ed è per queste ragioni affatto concrete che esso deve prendere delle decisioni che sembrano restringere le sue possibilità d’azione, ma che sole danno la garanzia dell’organica unità della sua opera nella lotta proletaria.
47 -... Tutta la tattica del partito comunista non è dettata da preconcetti teorici o da preoccupazioni etiche ed estetiche, ma solo dalla reale proposizione dei mezzi al fine ed alla realtà del processo storico, in quella sintesi dialettica di dottrina e d’azione che è il patrimonio di un movimento destinato ad essere il protagonista del più vasto rinnovamento sociale, il condottiero della più grande guerra rivoluzionaria.

Cit. 139 - Tesi della Sinistra al III Congresso del P.C.d’I. (Tesi di Lione) - 1926
I.3 -... Si deve altamente affermare che, incerte situazioni passate, presenti e avvenire, il proletariato è stato, è e sarà necessariamente nella sua maggioranza su una posizione non rivoluzionaria, d’inerzia e di collaborazione col nemico secondo i casi; e che intanto, nonostante tutto, il proletariato rimane ovunque e sempre la classe potenzialmente rivoluzionaria e depositaria della riscossa della rivoluzione, in quanto nel suo seno il partito comunista, senza mai rinunziare a tutte le possibilità di coerente affermazione e manifestazione, sa non ingaggiarsi nelle vie che appaiono più facili agli effetti di una popolarità immediata, ma che devierebbero il partito dal suo compito e toglierebbero al proletariato il punto d’appoggio indispensabile della sua ripresa. Su tale terreno dialettico e marxista, non mai sul terreno estetista e sentimentale, va respinta la bestiale espressione opportunista che un partito comunista è libero di adottare tutti i mezzi e tutti i metodi. Si dice che, appunto perché il partito è veramente comunista, sano in altre parole nei principi e nell’organizzazione, si può permettere tutte le acrobazie della manovra politica, ma quest’asserzione dimentica che il partito è per noi al tempo stesso fattore e prodotto dello sviluppo storico, e dinanzi alle forze di questo si comporta come materia ancora più plastica il proletariato. Questo non sarà influenzato secondo le giustificazioni contorte che i capi del partito presenterebbero per certe «manovre», ma secondo effetti reali che bisogna saper prevedere, utilizzando soprattutto l’esperienza dei passati errori. Solo sapendo agire nel campo della tattica e chiudendosi energicamente dinanzi le false strade con norme d’azione precise e rispettate, il partito garantirà contro le degenerazioni, e mai soltanto con credi teorici e sanzioni organizzative...
     Sarebbe contro Lenin e Marx il costruire la tattica comunista con un metodo non dialettico ma formalistico. Sarebbe errore madornale l’asserire che i mezzi devono corrispondere ai fini non per la loro successione storica e dialettica nel processo dello sviluppo, ma secondo una somiglianza e un’analogia degli aspetti che mezzi e fini possono prendere dal punto di vista immediato e quasi diremmo etico, psicologico, estetico. Non bisogna commettere in materia di tattica lo sbaglio che anarchici e riformisti commettono in materia di principi, allorché a loro pare assurdo che la soppressione delle classi e del potere statale vada preparata attraverso il predominio di classe e lo stato dittatoriale proletario, che l’abolizione d’ogni violenza sociale si realizzi attraverso l’impiego della violenza offensiva e difensiva, rivoluzionaria del potere attuale e conservatrice di quel proletario. Analogamente sbaglierebbe chi asserisse che un partito rivoluzionario deve essere in ogni momento per la lotta senza contare le forze d’amici e nemici; che di uno sciopero ad esempio il comunista non può propugnare che la continuazione ad oltranza; che un comunista deve rifuggire da certi mezzi come la dissimulazione, l’astuzia, lo spionaggio, ecc., perché poco nobili o simpatici. La critica del marxismo e di Lenin sul superficialismo pseudo-rivoluzionario che appesta il cammino del proletariato, costituisce lo sforzo per eliminare questi criteri sciocchi e sentimentali dalla risoluzione dei problemi di tattica. Questa critica è definitivamente acquisita all’esperienza del movimento comunista...
     Ma quella critica all’infantilismo non significa che in materia di tattica debbano regnare sovrani l’indeterminazione, il caos e l’arbitrio, e che «tutti i mezzi» siano adeguati al raggiungimento dei nostri scopi. Il dire che la garanzia della coordinazione dei mezzi agli scopi sta nella natura rivoluzionaria acquisita del partito e nel contributo che alle sue decisioni portano uomini insigni o gruppi aventi dietro di sé una brillante tradizione, è un gioco di parole non marxista, in quando prescinde dalla ripercussione che sul partito hanno i mezzi stessi della sua azione, nel gioco dialettico di cause ed effetti, e dalla negazione nostra di un valore qualsiasi alle «intenzioni» che detta le iniziative di singoli e di gruppi; a parte il «sospetto», nel senso non ingiurioso, su tali intenzioni da cui, come mostrano sanguinose esperienze del passato, mai si è potuto prescindere.
     Lenin dice nel suo libro sull’infantilismo che i mezzi tattici debbono essere prescelti, in ordine alla realizzazione dello scopo finale rivoluzionario, attraverso una chiara visione storica della lotta del proletariato e del suo sbocco, e che sarebbe assurdo scartare un certo espediente tattico solo perché sembri «brutto» o meriti la definizione di «compromesso»: occorre invece stabilire se quel mezzo è o non è rispondente al fine. Questo problema è sempre aperto e resterà sempre aperto come formidabile compito dinanzi all’attività collettiva del partito e dell’Internazionale Comunista. Se sul problema dei principi teorici dopo Marx e Lenin ci possiamo dire in possesso di una sicura eredità, senza voler dire che sia finito ogni compito di nuove ricerche teoriche per il comunismo, lo stesso non si può dire nel campo tattico, neppure dopo la rivoluzione russa e l’esperienza dei primi anni di vita della nuova Internazionale, cui troppo presto Lenin è venuto a mancare. Il problema della tattica, assai più ampio delle semplicistiche risposte sentimentali degli «infantili», deve essere ancora meglio lumeggiato col contributo di tutto il movimento comunista internazionale, e di tutta la sua esperienza antica e recente. Non è contro Marx e Lenin l’affermare che nel risolverlo si devono perseguire delle regole d’azione, non vitali e fondamentali come i principi, ma obbligatorie sia per i gregari sia per gli organi dirigenti del movimento, che contemplino le possibilità diverse di sviluppo delle situazioni, per tracciare col possibile grado di precisione in quale senso dovrà muoversi il partito quando esse presenteranno determinati aspetti.
     L’esame e la comprensione delle situazioni devono essere elementi necessari delle decisioni tattiche, ma non in quanto possano condurre, ad arbitrio dei capi, a «improvvisazioni» ed a «sorprese», ma in quanto segnaleranno al movimento che è giunta l’ora di un’azione preceduta nella maggior misura possibile. Negare la possibilità di prevedere le grandi linee della tattica – non di prevedere le situazioni, il che è possibile con sicurezza ancora minore, ma di prevedere che cosa dovremo fare nelle varie ipotesi possibili sull’andamento delle situazioni oggettive – significa negare il compito del partito, e negare la sola garanzia che possiamo dare alla rispondenza, in ogni eventualità, degli iscritti al partito e delle masse agli ordini del centro dirigente.

Cit. 140 - Le prospettive del dopoguerra in relazione alla piattaforma del Partito - 1946
     Carattere del tutto centrale e distintivo del nostro indirizzo, contrapposto in una lotta di decenni a quelli di tutti gli opportunisti e disertori della lotta di classe, è quello di stabilire in linee chiarissime le direttive d’azione del partito dinanzi alle prevedibili svolte più impressionanti della vita storica del mondo capitalistico che noi combattiamo. Deve essere totalmente escluso per il partito, e, se questo è all’altezza del suo compito, anche per la classe che esso impersona, che allo scoppio d’eventi anche grandissimi e di cataclismi storici, centri dirigenti e gruppi organizzati abbiano a scoprire che il travolgere degli eventi indichi la scelta di vie e l’accettazione di parole d’azione in contrasto con quelle dal movimento saldamente stabilite e seguite.
     Tale è la condizione perché un movimento rivoluzionario possa non solo risorgere ma evitare di sommergersi nelle crisi come quelle del socialnazionalismo del 1914 e del nazionalcomunismo imposto da Mosca nella fase storica della seconda guerra...
     L’essenza del compito pratico del Partito e della sua possibilità di influire sui rapporti delle forze agenti e sul succedersi degli eventi sta appunto non nell’improvvisazione ed escogitazione d’abili risorse e manovre a mano a mano che le nuove situazioni maturano, ma nella stretta continuità fra le sue posizioni critiche e le sue parole di propaganda e di battaglia in tutto il succedersi ed il contrapporsi delle diverse fasi del divenire storico.

Cit. 141 - Natura, funzione e tattica del partito rivoluzionario della classe operaia - 1947
I principi e le dottrine non esistono di per sé come fondamento sorto e stabilito prima dell’azione; sia questa sia quelli si formano in un processo parallelo. Sono gli interessi materiali concorrenti che spingono i gruppi sociali in sostanza nella lotta, e dall’azione suscitata da tali materiali interessi si forma la teoria che diviene patrimonio caratteristico del partito. Spostati i rapporti d’interessi, gli incentivi all’azione e gli indirizzi pratici di questa, si sposta e di deforma la dottrina del partito.
Pensare che questa possa essere diventata sacra ed intangibile per la sua codificazione in un testo programmatico e per una stretta inquadratura organizzativa e disciplinare dell’organismo di partito, e che quindi ci si possa consentire svariati e molteplici indirizzi e manovre nell’azione tattica, significa non scorgere marxisticamente qual è il vero problema da risolvere per giungere alla scelta dei metodi dell’azione...
È oggi possibile, senza richiamare dai testi delle discussioni di allora tutto l’insieme degli argomenti critici, conchiudere che il bilancio della tattica troppo elastica e troppo manovrata è risultato non solo negativo, ma disastrosamente fallimentare...
La causa di questi insuccessi deve farsi risalire al fatto che le successive parole tattiche sono piovute sui partiti e in mezzo ai loro inquadramenti col carattere d’improvvise sorprese e senza alcuna preparazione dell’organizzazione comunista alle varie eventualità. I piani tattici del partito, invece, pur prevedendo varietà di situazioni e di comportamento, non possono e non devono diventare un monopolio esoterico di gerarchie supreme, ma devono essere strettamente coordinati alla coerenza teorica, alla coscienza politica dei militanti, alle tradizioni di sviluppo del movimento, e devono permeare l’organizzazione in modo che questa sia preparata preventivamente e possa prevedere quali saranno le reazioni della struttura unitaria del partito alle favorevoli e sfavorevoli vicende dell’andamento della lotta. Pretendere qualche cosa di più e di diverso dal partito, e credere che questo non si sconquassi ad impreveduti colpi di timone tattico, non equivale ad averne un concetto più completo e rivoluzionario, ma palesemente, come mostrano i concreti raffronti storici, costituisce il classico processo definito col termine d’opportunismo, per cui il partito rivoluzionario o si dissolve e naufraga nell’influenza disfattista della politica borghese, o resta più facilmente scoperto e disarmato dinanzi alle iniziative di repressione.

Cit. 142 - Teoria ed azione (Riunione di Forlì) - 1952
1 - Data la situazione presente d decadimento al minimo dell’energia rivoluzionaria, compito pratico è quello di esaminare il corso storico di tutta la lotta, ed è errore il definirlo lavoro di tipo letterario o intellettuale contrapponendolo a non si sa quale discesa nel vivo dell’azione delle masse.
6 - Non essendo dunque pensabili ritorni bruschi delle masse ad un’organizzazione utile d’attacco rivoluzionario, il miglior risultato che il prossimo tempo può dare è la riproposizione dei veri scopi e rivendicazioni proletari e comunisti, e il ribadimento della lezione che è disfattismo ogni improvvisazione tattica che muti di situazione in situazione pretendendo sfruttare dati inattesi di esse.
7 - Allo stupido attualismo-attivismo che adatti gesti e mosse ai dati immediati d’oggi, vero esistenzialismo di partito, va sostituita la ricostruzione del solido ponte che lega il passato al futuro e le cui grandi linee il partito detta a sé stesso una volta per sempre, vietando a gregari, ma soprattutto a capi, la tendenziosa ricerca e scoperta di «vie nuove».
8 - Quest’andazzo, soprattutto quando diffama e diserta il lavoro dottrinale e la restaurazione teorica, necessaria oggi come lo fu per Lenin al 1914-18, assumendo che l’azione e la lotta sono tutto, ricade nella distruzione della dialettica e del determinismo marxista per sostituire, all’immensa ricerca storica dei rari momenti e punti cruciali su cui fare leva, uno scapigliato volontarismo che è poi il peggiore e crasso adattamento allo status quo e alle immediate misere prospettive.
11 - Un tale lavoro è lungo e difficile, assorbe anni ed anni, e d’altra parte il rapporto di forze della situazione mondiale non può capovolgersi prima di decenni. Quindi ogni stupido e falsamente rivoluzionario spirito di rapida avventura va rimosso e disprezzato, in quanto è proprio di chi non da resistere sulla posizione rivoluzionaria, e come in tanti esempi della storia delle deviazioni, abbandona la grande strada per i vicoli equivoci del successo a breve scadenza.

Cit. 143 - Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole - 1965
5 - La relazione che corre tra le soluzioni tattiche, tali da non essere condannate dai principi dottrinali e teorici, e il multiforme sviluppo delle situazioni oggettive e, in un certo senso, esterne al partito, è certamente assai mutevole; ma la Sinistra ha sostenuto che il partito deve dominarla e prevederla in anticipo, come svolto nelle Tesi di Roma sulla tattica, intese come progetto di tesi per la tattica internazionale
 
 
 
 

CAP. 2


ELEMENTO PRIORITARIO DELLA TATTICA: AUTONOMIA ASSOLUTA DEL PARTITO

Sommario
Cit. - 144 La Tattica dell’Internazionale Comunista - 1922
IV -... Noi crediamo che un simile piano si basi su di una contraddizione e contenga praticamente gli elementi di un fallimento immancabile. È indubbio che il Partito Comunista deve proporsi di utilizzare anche i movimenti non coscienti delle grandi masse e non può darsi ad una predicazione negativa puramente teorica quando si trovi alla presenza di tendenze generali ad altre vie d’azione che non siano quelle proprie della sua dottrina e prassi. Ma quest’utilizzazione riesce proficua se nel porsi sul terreno su cui muovono le grandi masse, e lavorare così ad uno dei due fattori essenziali del successo rivoluzionario, si è sicuri di non compromettere l’altro non meno indispensabile dell’esistenza e del progressivo rafforzamento del partito e di quell’inquadramento di una parte del proletariato che già è stato condotto sul terreno nel quale agiscono le parole d’ordine del partito...
     Se un giorno, dopo un più o meno lungo periodo d’avvenimenti e di lotte, la massa operaia si trovasse finalmente dinanzi alla vaga constatazione che ogni tentativo di riscossa è inutile, se non si viene a cozzare contro la macchina stessa dell’apparato statale borghese, ma nelle precedenti fasi fosse rimasta compromessa gravemente l’organizzazione del Partito Comunista e dei movimenti che lo fiancheggiano (come l’inquadramento sindacale e quello militare), il proletariato si troverebbe sprovvisto delle armi stesse della sua lotta, del contributo indispensabile di quella minoranza che possiede la chiara visione dei compiti da affrontare e che per averla da lungo tempo posseduta e tenuta di vista si è dato tutto un allenamento e un armamento nel senso largo della parola, indispensabili per la vittoria della gran massa.
     Noi pensiamo che questo avverrebbe, dimostrandosi la sterilità d’ogni piano tattico come quelli che stanno esaminando, se il Partito Comunista assumesse prevalentemente e clamorosamente atteggiamenti politici tali da annullare od inficiare il suo carattere intangibile di PARTITO DI OPPOSIZIONE RISPETTO ALLO STATO E AGLI ALTRI PARTITI POLITICI...
     L’attitudine e l’attività d’opposizione politica del Partito Comunista non sono un lusso dottrinale, ma, come vedremo, una condizione concreta del processo rivoluzionario.
     Infatti, l’attività d’opposizione vuol dire costante predicazione delle nostre tesi dell’insufficienza d’ogni azione di conquista democratica del potere e d’ogni lotta politica che voglia tenersi sul terreno legale e pacifico, fedeltà ad essa nella critica continua e nella divisione di responsabilità dall’opera dei governi e dei partiti legali, formazione, esercitazione e allenamento d’organi di lotta che solo un partito antilegalitario come il nostro può costruire, fuori e contro il meccanismo che è quello della difesa borghese...
     Sotto quest’aspetto, noi, fedeli alla più fulgida tradizione dell’Internazionale Comunista, non giudichiamo i partiti politici col criterio col qual è giusto giudicare gli organismi economici sindacali, cioè secondo il campo di reclutamento dei loro effettivi e la classe su cui tale reclutamento si compie, bensì col criterio delle loro attitudini verso lo Stato e il suo meccanismo rappresentativo. Un partito che si chiude volontariamente nei confini della legalità, ossia non concepisce altra azione politica che quella che si può esplicare senza uso di violenza civile nelle istituzioni della costituzione democratica borghese, non è un partito proletario, ma un partito borghese, e in un certo senso basta per dare questo giudizio negativo il solo fatto che un movimento politico (come quello sindacalista o democratico) pur ponendosi fuori dei limiti della legalità rifiuta di accettare il concetto dell’organizzazione statale della forza rivoluzionaria proletaria, ossia della dittatura. Non vi è qui che l’enunciazione della piattaforma difesa dal nostro partito: fronte unico sindacale del proletariato, opposizione politica incessante verso il governo borghese e tutti i partiti legali...
     V -... La borghesia e i suoi alleati lavorano a diffondere nel proletariato la persuasione che per la sua lotta di miglioramento non è necessario servirsi dei mezzi violenti, e che le armi di essa si trovano nel pacifico impiego dell’apparecchio democratico rappresentativo e nell’orbita delle istituzioni legali. Queste illazioni sono oltremodo pericolose per le sorti della rivoluzione perché è certo che esse ad un certo momento cadranno, ma in quello stesso momento non si realizzerà per la caduta di esse l’attitudine delle masse a sostenere la lotta contro l’apparecchio legale e statale borghese coi mezzi della guerra rivoluzionaria, né a proclamare e sorreggere la dittatura di classe, solo mezzo per soffocare la classe avversaria. La riluttanza e l’inesperienza del proletariato ad usare queste armi risolutive tornerebbero a tutto vantaggio della borghesia: distruggere nel più gran numero possibile di proletari questa ripugnanza soggettiva a dare all’avversario i colpi decisivi, e preparando alle esigenze di una tale azione, è per contrapposto compito del Partito Comunista. Illusorio è perseguire tal fine colla preparazione dell’ideologia e dell’esercitazione alla guerra di classe fin dell’ultimo proletario, indispensabile è garantirlo con la formazione e il consolidamento di un organismo collettivo la cui opera ed attitudine in tale campo costituiscano il richiamo della più gran parte possibile di lavoratori, perché possedendo un punto di riferimento e di appoggio l’immancabile delusione che disperderà domani le menzogne democratiche sia seguita da un’utile conversione sui metodi di lotta rivoluzionaria...
     La via della rivoluzione diviene un vicolo cieco se il proletariato, per costatare che il sipario variopinto della democrazia liberalesca e popolaresca nasconde i ferrei bastioni dello Stato di classe, dovrà procedere fino in fondo senza pensare a munirsi di mezzi atti a sventare l’ultimo e decisivo ostacolo, se non nel momento in cui dalla fortezza del dominio borghese usciranno per precipitarsi su di lui, armate di tutto punto, le schiere feroci della reazione. Il partito è necessario alla vittoria rivoluzionaria in quanto è necessario che molto prima una minoranza del proletariato cominci a gridare incessantemente al rimanente che occorre armarsi per l’urto supremo, armandosi essa stessa ed istruendo alla lotta che sarà inevitabile. Appunto perciò il Partito per assolvere il suo compito specifico non deve solo predicare e dimostrare con ragionamenti che la via pacifica e legale è una via insidiosa, ma deve «trattenere» la parte più avanzata del proletariato dall’addormentarsi nell’illusione democratica ed inquadrata in formazioni che da una parte cominciano a prepararsi alle esigenze tecniche della lotta col fronteggiare le azioni sporadiche della reazione borghese, dall’altra abituano se stesse e una larga parte circostante delle masse alle esigenze ideologiche e politiche della azione decisiva colla critica incessante dei partiti socialdemocratici e la lotta contro di essi nell’interno del sindacato...
     Per tutte queste ragioni il nostro Partito sostiene che non è da parlarsi di alleanze sul terreno politico con altri partiti, anche se si dicono «proletari», né di sottoscrizioni di programmi che implicano una partecipazione del Partito Comunista alla conquista democratica dello Stato. Ciò non esclude che si possano porre e prospettare, come realizzabili dalla pressione del proletariato, anche rivendicazioni che si attuerebbero per mezzo di decisioni del potere politico dello Stato, e che attraverso questo i socialdemocratici dicono di volere e potere realizzare, poiché con una tale azione non si disarma il grado di iniziativa di lotta diretta che il proletariato ha raggiunto.
     Ad esempio, tra le nostre rivendicazioni per il fronte unico da sostenere con lo sciopero generale nazionale, vi è l’assistenza ai disoccupati da parte della classe industriale e dello Stato, ma noi rifiutiamo ogni complicità con l’inganno volgare dei programmi «concreti» di politica statale del partito socialista e dei capi riformisti sindacali, anche se questi accettassero di prospettarli come programma di un governo «operaio» anziché di quello che sognano con i partiti della classe dominante in degna e fraterna combutta.
     Tra il sostenere un provvedimento (che si potrebbe per parodiare vecchi dibattiti chiamare «riforma») dall’interno o dall’esterno dello Stato, vi è una formidabile differenza stabilita dall’evolversi della situazione: che con l’azione diretta delle masse dall’esterno qualora lo Stato non possa o non voglia cedere si giungerà alla lotta per rovesciarlo, qualora ceda anche in parte si sarà valorizzato ed esercitato il metodo dell’azione antilegalitaria – mentre col metodo della conquista dall’interno, se anch’esso fallisce, giusta il piano che è oggi sostenuto, non è più possibile contare sulle forze capaci che assalire la macchina statale per aver interrotto il loro processo d’aggregazione intorno ad un nucleo indipendente.
     L’azione delle grandi masse sul fronte unico non può dunque realizzarsi che nel campo dell’azione diretta e per intese con gli organi sindacali d’ogni categoria, località e tendenza, e l’iniziativa di quest’agitazione spetta la Partito Comunista, poiché gli altri partiti, sostenendo l’inazione delle masse dinanzi alle provocazioni della classe dominante e sfruttatrice, e la diversione sul terreno della legalità statale e democratica, dimostrano di disertare la causa proletaria e ci permettono di spingere al massimo la lotta per condurre il proletariato all’azione con la direttiva e con i metodi comunisti, sostenuti al fianco del più umile gruppo di sfruttati che chiede un pezzo di pane o lo difende dall’insaziabile ingordigia padronale, ma contro il meccanismo delle istituzioni presenti e contro chiunque si ponga sul loro terreno.

Cit. 145 - Tesi sulla Tattica al II Congresso del P.C.d’I (Tesi di Roma) - 1922
30 - Quando manchino le condizioni per un’azione tattica che si possono definire diretta avente il carattere di un assalto al potere borghese colle forze di cui dispone il partito comunista e della quale si dirà più innanzi, il partito può e deve esercitare – lungi dal restringersi ad un puro e semplice lavoro di proselitismo e di propaganda – una sua influenza sugli avvenimenti attraverso i suoi rapporti e pressioni su altri partiti e movimenti politici e sociali, tendendo a determinare sviluppi della situazione in senso favorevole alle proprie finalità ed in modo da affrettare il momento in cui sarà possibile l’azione risolutiva rivoluzionaria.
     Le iniziative e gli atteggiamenti da adottare in quel caso costituiscono un delicato problema, alla base del quale bisogna stabilire la condizione che essi non devono in alcun modo essere e apparire in contraddizione con le esigenze ulteriori della lotta pacifica del partito secondo il programma di cui esso è il solo assertore e per il quale nel momento decisivo il proletariato dovrà lottare. Ogni attitudine che causi o comporti il passaggio in seconda linea dell’affermazione integrale di quella propaganda, che non ha solo valore teorico, ma è soprattutto tratta dalle quotidiane posizioni assunte nella reale lotta proletaria, e che continuamente deve porre in evidenza la necessità che il proletariato abbracci il programma e i metodi comunisti, ogni attitudine che del raggiungimento di dati capisaldi contingenti mostri di fare non un mezzo per procedere oltre ma un fine a sé stesso, condurrebbe ad un indebolimento della struttura del partito e della sua influenza nella preparazione rivoluzionaria delle masse.
     36 -... Il partito comunista agiterà allora, sottolineandoli e precisandoli, quegli stessi postulati, come bandiera di lotta di tutto il proletariato, spingendo questo avanti per forzare i partiti che ne parlano solo per opportunismo ad ingaggiarsi e impegnarsi sulla via della loro conquista. Sia che si tratti di richieste economiche, sia anche che esse rivestano carattere politico, il partito comunista le proporrà come obiettivi di una coalizione degli organismi sindacali, evitando la costituzione di comitati dirigenti di lotta e d’agitazione nei quali tra altri partiti politici sia rappresentato e impegnato quel comunista; e ciò sempre allo scopo di conservare l’attenzione delle masse sullo specifico programma comunista e la propria libertà di movimenti per la scelta del momento in cui si dovrà allargare la piattaforma d’azione scavalcando gli altri partiti dimostratisi impotenti ed abbandonati dalla massa. Il fronte unico sindacale così inteso offre la possibilità d’azioni d’insieme di tutta la classe lavoratrice dalle quali non potrà che uscire vittorioso il metodo comunista, il solo suscettibile di dare un contenuto al movimento unitario del proletariato, e libero da ogni corresponsabilità con l’opera dei partiti che esibiscono per opportunismo e con intenti controrivoluzionari il loro appoggio verbale alla causa del proletariato.
 
 
 
 

CAP. 3


LA TATTICA DEL PARTITO NEL CAMPO EUROPEO OCCIDENTALE: LE TESI DI ROMA

Sommario
Cit. 146 - Tesi sulla Tattica al II Congresso del P.C.d’I (Tesi di Roma) - 1922
     31 - Nella situazione storico-politica che corrisponde al potere democratico borghese si verifica in generale una divisione nel campo politico in due correnti o «blocchi», di destra e di sinistra, che si contendono la direzione dello Stato. Al blocco di sinistra aderiscono di massima più o meno apertamente i partiti socialdemocratici, coalizionisti per principio. Lo svolgimento di questa contesa non è indifferente al partito comunista, sia perché esso verte su punti e rivendicazioni che interessano le masse proletarie e ne richiamano l’attenzione, sia perché la sua soluzione con una vittoria della sinistra può realmente spianare al via alla rivoluzione proletaria...
     32 - Compito essenziale del partito comunista per la preparazione ideologica e pratica del proletariato alla lotta rivoluzionaria per la dittatura, è la critica spietata del programma della sinistra borghese e d’ogni programma che voglia trarre la soluzione dei problemi sociali dal quadro delle istituzioni democratiche parlamentari borghesi. Il contenuto dei dissensi tra la destra e la sinistra borghese per la massima parte viene a commuovere il proletariato solo in virtù di falsificazioni demagogiche, che naturalmente non possono essere sventate attraverso una pura opera di critica teorica, ma devono essere raggiunte e smascherate nella pratica e nel vivo della lotta. In generale le rivendicazioni politiche della sinistra, che nelle sue finalità non ha per niente quella di fare un passo innanzi a per porre il piede su di uno scalino intermedio tra l’assetto economico e politico capitalistico e quel proletario, corrispondono a condizioni di miglior respiro e di più efficace difesa del capitalismo moderno tanto nel loro intrinseco valore quanto perché tendono a dare alle masse l’illusione che le presenti istituzioni possano essere utilizzate per il processo d’emancipazione. Questo deve dirsi per i postulati d’allargamento del suffragio ed altre garanzie e perfezionamenti del liberalismo, come per la lotta anticlericale e tutto il bagaglio della politica «massonica».
Non diverso valore hanno le riforme legislative d’ordine economico o sociale: o la loro realizzazione non si avvererà o si avvererà solo nella misura e coll’intento di creare una remora alla spinta rivoluzionaria delle masse.
     33 - L’avvento di un governo della sinistra borghese o anche di un governo socialdemocratico possono essere considerati come un avviamento alla lotta definitiva per la dittatura proletaria, ma non nel senso che la loro opera creerebbe utili premesse d’ordine economico o politico, e mai più per la speranza che concederebbero al proletariato maggiore libertà d’organizzazione, di preparazione, d’azione rivoluzionaria. Il partito comunista sa e ha il dovere di proclamare, in forza di ragioni critiche e di una sanguinosa esperienza, che questi governi non rispetterebbero la libertà di movimento del proletariato che fino al momento in cui questo li ravvivasse e li difendesse come propri rappresentanti, mentre dinanzi ad un assalto delle masse contro la macchina dello Stato democratico risponderebbero con la più feroce reazione. È quindi in un senso ben diverso che l’avvento di questi governi può essere utile: perché cioè la loro opera permetterà al proletariato di dedurre dai fatti la reale esperienza che solo l’instaurazione della sua dittatura dà luogo ad una reale sconfitta del capitalismo. È evidente che l’utilizzazione di una simile esperienza avverrà in modo efficace solo nella misura in cui il partito comunista avrà preventivamente denunziato tale fallimento, e avrà conservata una salda organizzazione indipendente attorno a cui il proletariato potrà raggrupparsi allorquando sarà costretto ad abbandonare i gruppi e i partiti che avrà in parte sostenuto nel loro esperimento di governo.
     34 - Non solo dunque una coalizione del partito comunista con partiti della sinistra borghese o della socialdemocrazia danneggerebbe la preparazione rivoluzionaria e renderebbe difficile l’utilizzazione di un esperimento di governo di sinistra, ma anche praticamente essa in massima ritarderebbe la vittoria del blocco di sinistra su quello di destra...
     35 - D’altra parte il partito comunista non trascurerà il fatto innegabile che i postulati su cui il blocco di sinistra impernia la sua agitazione attirano l’interesse delle masse e, nella loro formulazione, spesso corrispondono alle reali loro esigenze. Il partito comunista non sosterrà la tesi superficiale del rifiuto di tali concessioni perché solo la finale e totale conquista rivoluzionaria meriti i sacrifici del proletariato, in quanto non avrebbe nessun senso il proclamare questo con l’effetto che il proletariato passerebbe senz’altro al seguito dei democratici e socialdemocratici restando ad essi infeudato. Il partito comunista inviterà dunque i lavoratori ad accettare le concessioni della sinistra come un’esperienza sull’esito della quale esso porrà bene in chiaro colla sua propaganda tutte le previsioni pessimistiche, e la necessità che il proletariato, per non uscire rovinato da quest’ipotesi, non metta come posta del gioco la sua indipendenza d’organizzazione e d’influenza politica. Il partito comunista solleciterà le masse ad esigere dai partiti della socialdemocrazia, che garantisce della possibilità di realizzazione delle promesse della sinistra borghese, il mantenimento dei loro impegni, e con la sua critica indipendente ed ininterrotta si preparerà a raccogliere i frutti del risultato negativo di tali esperienze dimostrando come tutta la borghesia sia, in effetti, schierata su di un fronte unico contro il proletariato rivoluzionario, e quei partiti che si dicono operai, ma sostengono la coalizione con parte di essa, non sono che i suoi complici e i suoi agenti.
36 - Le rivendicazioni affacciate dai partiti di sinistra e specie dai socialdemocratici sono spesso di tale natura che è utile sollecitare il proletariato a muoversi direttamente per conseguirle; in quanto se la lotta fosse ingaggiata risalterebbe subito l’insufficienza dei mezzi con i quali i socialdemocratici si propongono di arrivare ad un programma di benefizi per il proletariato. Il partito comunista agiterà allora, sottolineandoli e precisandoli, quegli stessi postulati, come bandiera di lotta di tutto il proletariato, spingendo questo avanti per forzare i partiti che ne parlano solo per opportunismo ad ingaggiarsi e impegnarsi sulla via della conquista di essi. Sia che si tratti di richieste economiche, sia anche che esse rivestano carattere politico, il partito comunista le proporrà come obiettivi di una coalizione degli organismi sindacali, evitando la costituzione di comitati dirigenti di lotta e di agitazione nei quali tra altri partiti politici sia rappresentato e impegnato quel comunista; e ciò sempre allo scopo di conservare l’attenzione delle masse sullo specifico programma comunista e la propria libertà di movimenti per la scelta del momento in cui si dovrà allargare la piattaforma di azione scavalcando gli altri partiti dimostratisi impotenti ed abbandonati dalla massa. Il fronte unico sindacale così inteso offre la possibilità di azioni di insieme di tutta la classe lavoratrice dalle quali non potrà che uscire vittorioso il metodo comunista, il solo suscettibile di dare un contenuto al movimento unitario del proletariato, e libero da ogni responsabilità con l’opera dei partiti che esibiscono per opportunismo e con intenti controrivoluzionari il loro appoggio verbale alla causa del proletariato.
      37 - La situazione di cui ci andiamo occupando può prendere l’aspetto di un assalto della destra borghese contro un governo democratico o socialdemocratico. Anche in tal caso l’attitudine del partito comunista non potrà essere quella di proclamare una solidarietà con governi di tal genere, poiché non si può prospettare al proletariato come una conquista da difendere un assetto politico il cui esperimento si è accolto e si segue coll’intento di accelerare nel proletariato la convinzione che esso non è fatto a suo favore ma a scopi controrivoluzionari.
     38 - Potrà avvenire che il governo di sinistra lasci compiere ad organizzazioni di destra, a bande bianche borghesi, le loro gesta contro il proletariato e le sue istituzioni, e non solo non chieda l’appoggio del proletariato, ma pretenda che questo non abbia il diritto di rispondere organizzando una resistenza armata. In tal caso i comunisti dimostreranno come non possa trattarsi che di un’effettiva complicità anzi di una divisione di funzioni tra governo liberale e forze irregolari reazionarie... In questa situazione il vero e peggiore nemico della preparazione rivoluzionaria è la parte liberale governante: essa illude il proletariato che ne prenderà la difesa in nome della legalità per trovarlo inerme e disorganizzato e poterlo prostrare in pieno accordo coi bianchi il giorno che esso si trovasse messo dalla forza degli eventi nella necessità di lottare contro l’apparecchio legale che presiede al suo sfruttamento.
     39 - Un’altra ipotesi è quella che il governo e i partiti di sinistra che lo compongono invitassero il proletariato a partecipare alla lotta armata contro l’assalto della destra. Quest’invito non può che preparare un tranello, e il partito comunista lo accoglierà proclamando che le armi nella mano dei proletari significano l’avvento del potere e dello Stato proletario, e il disarmo della macchina tradizionale burocratica e militare dello Stato, poiché questa non seguirà mai gli ordini di un governo di sinistra giunto al potere con mezzi legalitari quando questo chiamasse il popolo alla lotta armata, e poiché solo la dittatura proletaria potrebbe dare carattere di stabilità ad una vittoria sulle bande bianche. Per conseguenza nessun «lealismo» dovrà essere proclamato né praticato verso un tal governo; e dovrà soprattutto essere indicato alle masse il pericolo che il consolidamento del suo potere con l’aiuto del proletariato contro la sommossa di destra o il tentativo di colpo di Stato vorrebbe dire consolidamento dell’organismo che contrasterà l’avanzata rivoluzionaria del proletariato quando questa di imporrà come unica via d’uscita, se il controllo dell’organizzazione armata statale fosse rimasto ai partiti democratici di governo, se cioè il proletariato avesse deposto le armi senza averle adoperate a rovesciare le attuali forme politiche e statali, contro tutte le forze della classe borghese.
     40 - ... In altri casi però immediate e urgenti esigenze della classe lavoratrice, sia di carattere di conquista che di difesa, trovano indifferenti i partiti di sinistra e i partiti socialdemocratici. Non disponendo di forze sufficienti per chiamare direttamente le masse a quelle conquiste, a causa dell’influenza dei socialdemocratici su di esse, il partito comunista, evitando di offrire un’alleanza ai socialdemocratici, anzi proclamando che essi tradiscono persino gli interessi contingenti e immediati dei lavoratori, formulerà quei postulati di lotta proletaria invocando il fronte unico del proletariato realizzato sul terreno sindacale per la loro realizzazione. L’effettuazione di questo troverà al loro posto i comunisti che militano nei sindacati, ma d’altra parte lascerà al partito la possibilità di intervenire quando la lotta prendesse un altro sviluppo contro di cui inevitabilmente si schiererebbero i socialdemocratici e talvolta i sindacalisti ed anarchici. Invece il rifiuto degli altri partiti proletari a effettuare il fronte unico sindacale per quei postulati sarà utilizzato dal partito comunista per abbattere la loro influenza, non solo con la critica e la propaganda che dimostrino che si tratti di una vera complicità con la borghesia, ma soprattutto con il partecipare in prima linea a quelle azioni parziali del proletariato che la situazione non mancherà di suscitare sulla base di quei capisaldi per cui il partito aveva proposto il fronte unico sindacale di tutte le organizzazioni locali e di tutte le categorie, traendo da questo la dimostrazione concreta che i dirigenti socialdemocratici opponendosi all’estensione delle azioni ne preparano la sconfitta...
 
 
 
 

CAP. 4


RIFIUTO DI BLOCCHI ALLEANZE FRONTI FRA PARTITI

Sommario
Cit. 147 - La tattica dell’Internazionale Comunista - 1922
II -... Invece la tattica del fronte unico com’è concepita da noi comunisti non contiene per nulla questi elementi di rinunzia da parte nostra. Essi restano solo come un possibile errore: noi crediamo che questo diviene preponderante se la base del fronte unico è portata fuori del campo dell’azione diretta proletaria e dell’organizzazione sindacale per invadere quel parlamentare e governamentale, e diremo per quali ragioni, connesse allo sviluppo logico di questa tattica.
Il fronte unico proletario non vuol dire il banale comitato misto di rappresentati di vari organismi in favore del quale i comunisti abdichino alla loro indipendenza e libertà d’azione per barattarla con un certo grado d’influenza su i movimenti di una massa più grande di quella che li seguirebbe se agissero da soli. Vi è ben altro.
Noi proponiamo il fronte unico perché ci sentiamo sicuri che la situazione è tale che i movimenti d’insieme di tutto il proletariato, quando questo di ponga dei problemi che non interessano solo una categoria o una località, ma tutte, non possono effettuarsi che in senso comunista, ossia nello stesso senso che noi daremmo a loro se dipendesse da noi guidare tutto il proletariato. Noi proponiamo la difesa degli interessi immediati e del trattamento che è attualmente fatto al proletariato contro gli attacchi del padronato, perché questa difesa, che non è mai stata in contrasto con i nostri principi rivoluzionari, non si può fare che preparando e attuando l’offensiva in tutti i suoi sviluppi rivoluzionari così come noi ce li prefiggiamo...
V -... L’esperimento socialdemocratico in certe situazioni deve avvenire ed essere utilizzato dai comunisti, ma non si può pensare questa «utilizzazione» come un fatto subitaneo da avvenire alla fine dell’esperimento, bensì come risultato di un’incessante critica che il partito comunista avrà incessantemente svolto, e per la qual è indispensabile una precisa separazione di responsabilità.
Da qui il nostro concetto che il Partito Comunista non può abbandonare mai la sua attitudine d’opposizione politica allo Stato e agli altri partiti, considerata com’elemento della sua opera di costruzione delle condizioni soggettive della rivoluzione, che è la stessa sua ragion d’essere. Un partito comunista confuso con i partiti della socialdemocrazia pacifista e legalitaria in una campagna politica parlamentare o governativa non assolve più il compito del partito comunista.

Cit. 148 - Tesi della Sinistra al III Congresso del P.C.d’I. (Tesi di Lione) - 1926
I.3 -... Altro errore nella questione generale di tattica che riconduce nettamente alla classica posizione opportunistica smantellata da Marx e da Lenin, è la formulazione che il partito, salvo a rappresentare a suo tempo il fattore della rivoluzione proletaria totale e finale, sapendo che le condizioni di questa muteranno solo attraverso un’emulazione delle forme politiche e sociali, quando si determinino lotte di classi e di partiti che non siano ancora quelle del suo terreno specifico debba scegliere tra le due forze in contesa quella che rappresenta lo sviluppo della situazione più favorevole all’evoluzione storica generale, e debba in parte apertamente sorreggerla e coalizzarsi con essa.
Il presupposto di una simile politica manca anzitutto, perché lo schema tipico di un’evoluzione sociale e politica fissata in tutti i suoi dettagli, e che equivalga alla migliore preparazione dell’evento finale del comunismo, è concetto che solo gli opportunisti hanno voluto prestare al marxismo, è la base della diffamazione dei Kautskj alla rivoluzione russa ed al movimento comunista attuale. Nemmeno si può stabilire come tesi generale che condizioni più propizie al lavoro fecondo del partito comunista si ravvisino in certi tipi di regime borghese, ad esempio i più democratici. Se è vero che misure reazionarie e di «destra» dei governi borghesi hanno più volte arrestato il proletariato, non è meno vero, ed è stato assai più frequente, che la politica liberale e di sinistra dei governi borghesi ha molte volte smorzato la lotta di classe e deviato da azioni decisive la classe operaia. Più esatta valutazione e veramente consona alla rottura dell’incantesimo democratico, evoluzionista e progressivo attuata dal marxismo, è quella per questo la borghesia tenta e spesso riesce ad avvicendare i suoi metodi e partiti di governo secondo il suo interesse controrivoluzionario: mentre tutta la nostra esperienza ci mostra come il trionfo dell’opportunismo è sempre passato attraverso l’appassionamento del proletariato alle vicende successive della politica borghese.
In secondo luogo, anche se fosse vero che certe trasformazioni di governo nel campo del regime attuale agevolano l’ulteriore sviluppo dell’azione del proletariato, l’esperienza mostra all’evidenza che ciò è sottoposto ad un’espressa condizione: l’esigenza di un partito il quale a tempo abbia avvertito le masse della delusione che sarebbe seguita a quello che si presentava come un successo immediato: e non solo la pura esistenza del partito, ma la sua capacità di agire, anche prima della lotta cui ci riferiamo, in una maniera evidentemente autonoma agli occhi del proletariato, che lo segue secondo la sua attitudine concreta e non soltanto secondo gli schemi che gli facesse comodo di adottare ufficialmente. Il partito comunista dunque, alla presenza di lotte che non possono ancora svolgersi come la lotta definitiva per la vittoria proletaria, non si farà il gerente di trapassi e di realizzazioni che non interessano direttamente la classe che esso rappresenta, e non baratterà il suo carattere e la sua attitudine autonoma con quelli di una specie di società d’assicurazione per tutti i moti politici sedicenti «rinnovatori», o per tutti i sistemi e governi politici minacciati da un preteso «governo peggiore».
Contro le esigenze di questa linea d’azione viene spesso falsamente accampata la formulazione di Marx che «i comunisti appoggiano ogni moto diretta contro le condizioni sociali esistenti», e tutta la dottrina di Lenin contro «la malattia d’infanzia del comunismo». La speculazione tentata su queste enunciazioni nell’interno del nostro movimento non differisce nell’intima natura dalla speculazione analoga sempre condotta dai revisionisti e dai centristi, che in nome di Marx e di Lenin, si chiamassero i loro capi Bernstein o Nenni, hanno preteso di deridere i rivoluzionari marxisti.
Circa quelle enunciazioni due osservazioni vanno fatte anzitutto; esse hanno valore storico contingente, e si riferiscono per Marx alla Germania non ancora borghese, e, per l’esperienza bolscevica illustrata da Lenin nel suo libro, alla Russia zarista. Queste basi non sono le sole su cui si debba fondare la risoluzione della questione tattica nelle condizioni classiche: proletariato in lotta con una borghesia capitalistica pienamente delineata. In secondo luogo, l’appoggio di cui parla Marx ed i «compromessi» di cui parla Lenin sono appoggi e compromessi (termine preferito da Lenin più che altro per «civettarvi» da magnifico dialettico marxista, egli che resta il campione della vera e non formale intransigenza tesa e diretta verso un’immutabile meta), sono appoggi e compromessi con movimenti ancora forzati, anche contro le ideologie e la volontà eventuale dei loro capeggiatori, ad aprirsi la via colla insurrezione contro le forme passate, e l’intervento del partito comunista si presenta come un intervento sul terreno della guerra civile: così nella formulazione leninista della questione dei contadini e della nazionalità, nell’episodio di Kornilov ed in cento altri. Ma, anche a parte queste due sostanziali osservazioni, il senso della critica di Lenin all’infantilismo, e di tutti i testi marxisti sull’agilità della politica rivoluzionaria, non è affatto in contraddizione con la barriera volutamente elevata dagli stessi contro l’opportunismo, che è per Engels e poi per Lenin definito come «assenza dei principi», ossia come oblio dello scopo finale.

Cit. 149 - La Piattaforma politica del Partito Comunista - 1945
     7 - La classe proletaria italiana non ha alcun interesse, né particolare né generale, né immediato, né storico, ad appoggiare la politica dei gruppi e dei partiti che, approfittando non di forza propria, ma della rovina militare del governo fascista, impersonano oggi l’esercizio del simulacro di potere che il vincitore in armi crede di lasciare ad un’impalcatura statale italiana. Il partito, espressione degli interessi proletari, deve rifiutare a questi gruppi non solo la collaborazione nel governo, ma ogni consenso alle loro comuni proclamazioni dottrinali, storiche e politiche, che parlano di solidarietà nazionale delle classi, di lotta unita di partiti borghesi e sedicenti proletari sulle parole della libertà, della democrazia, della guerra al fascismo ed al nazismo.
     Il rifiuto del partito ad ogni collaborazione politica non riguarda soltanto gli organi del governo, ma anche i Comitati di liberazione, e qualunque altro organismo o combinazione somigliante, con medesima o diversa base politica...
     21 - Il partito proletario, in Italia come in tutto il mondo, deve distinguersi dalla congerie di tutti gli altri movimenti politici e, meglio pseudo-partiti d’oggi, nella fondamentale impostazione storica, per l’originale valutazione dell’antitesi tra fascismo e democrazia come tipi di organizzazione del mondo moderno. Il movimento comunista alla sua origine (circa cento anni addietro) doveva e poteva, per accelerare ogni moto contro le condizioni sociali esistenti, ammettere l’alleanza con i partiti democratici, perché essi allora avevano un compito storico rivoluzionario. Oggi tale compito è da lungo tempo esaurito e quegli stessi partiti hanno una funzione contro-rivoluzionaria. Il comunismo nonostante le sconfitte del proletariato in battaglie decisive, ha compiuto come movimento passi giganteschi.
     La sua caratteristica d’oggi è di avere storicamente rotta e denunziata, da quando il capitalismo è diventato imperialistico, da quando la prima guerra mondiale ha rivelato la funzione anti-rivoluzionaria di democratici e socialdemocratici, ogni politica di azione parallela anche transitoria con le democrazie. Nella situazione succeduta a questa crisi, il comunismo o si ritirerà dalla storia, inghiottito nelle sabbie mobili della democrazia progressiva, o agirà e combatterà da solo.
     Nella tattica politica, il partito proletario rivoluzionario, in Italia come in tutto il mondo, risorgerà solo in quanto si distinguerà da tutti gli altri e soprattutto dal falso comunismo che si richiama al regime di Mosca d’oggi, per avere spietatamente svelato il disfattismo di tutte le pretese manovre di penetrazione e di aggiramento, presentate come transitoria adesione ad obiettivi comuni ad altri partiti e movimenti, e giustificate col promettere in segreto o nella cerchia interna degli aderenti che tale manovra serve solo ad indebolire ed irretire l’avversario per rompere ad un certo momento le intese e le alleanze, passando all’offensiva di classe. Tale metodo si è dimostrato suscettibile di condurre al disfacimento del partito rivoluzionario, all’incapacità della classe operaia di lottare per i suoi propri fini, al disperdimento delle sue migliori energie nell’assicurare risultati e conquiste che avvantaggiano solo i suoi nemici.
     Come nel “Manifesto” di un secolo fa, i comunisti disdegnano di nascondere i loro principi e i loro scopi, e dichiarano apertamente che il loro scopo non potrà essere raggiunto che con la caduta violenta di tutti gli ordinamenti sociali finora esistiti. Nel quadro della presente storia mondiale, se per avventura una residua funzione competesse a gruppi borghesi democratici per la parziale ed eventuale sopravvivenza di esigenze di liberazione nazionale, di liquidazione d’isolotti arretrati di feudalismo e di simili relitti della storia, tale compito sarebbe svolto in maniera più decisa e conclusiva, per dare luogo all’ulteriore ciclo della crisi borghese, non con un accomodamento passivo ed abdicante del movimento comunista a quei postulati non suoi, ma in virtù di una implacabile sferzante opposizione dei proletari comunisti all’inguaribile fiacchezza ed infingardaggine dei gruppi poccolo-borghesi e dei partiti borghesi di sinistra.
     In corrispondenza a queste direttive, che hanno validità completa in tutto il campo mondiale, un movimento comunista in Italia deve significare, nella paurosa situazione di dissolvimento di tutte le inquadrature sociali e di tutti gli orientamenti dottrinali e pratici di classi e partiti, un violento richiamo alla spietata chiarificazione della situazione. Fascisti od antifascisti, monarchici e repubblicani, liberali e socialisti, democratici e cattolici, che d’ora in ora più s’isteriliscono in dibattiti vuoti d’ogni senso teorico, in rivalità spregevoli, in manovre e mercati ripugnanti, dovrebbero ricevere una sfida spietata, che costringesse tutti a denudare le posizioni reali degli interessi di classe, nazionali e stranieri, che di fatto rispecchiano, e ad espletare, se per avventura lo avessero, il loro compito storico.
     Se, nella disgregazione e nella frammentazione di tutti gli interessi collettivi e di gruppo, è ancora possibile in Italia una nuova cristallizzazione di aperte forze politiche combattenti, il risorgere del partito proletario rivoluzionario potrà determinare una situazione nuova.
     Quando questo movimento, che sarà il solo a proclamare i suoi fini massimi di classe, il suo totalitarismo di partito, la crudezza dei limiti che lo separano dagli altri, avrà messo la bussola politica nella direzione del Nord rivoluzionario, tutti gli altri saranno cimentati a confessare la loro lotta.

Cit. 150 - Natura, funzione e tattica del Partito rivoluzionario della classe operaia - 1947
     Dalle pratiche esperienze delle crisi opportuniste e delle lotte condotte dai gruppi marxisti di sinistra contro i revisionisti della Seconda Internazionale e contro la deviazione progressiva della Terza Internazionale, si è tratto il risultato che non è possibile mantenere integra l’impostazione programmatica, la tradizione politica e la solidità organizzativa del partito se questo applica una tattica che, anche per le sole posizioni formali, comporta attitudini e parole d’ordine accettabili dei movimenti politici opportunistici.
     Similmente, ogni incertezza e tolleranza ideologica hanno il suo riflesso in una tattica ed in un’azione opportunistica.
     Il partito, quindi, si contraddistingue da tutti gli altri, apertamente nemici o cosiddetti affini, ed anche da quelli che pretendono di reclutare i loro seguaci nelle file della classe operaia, perché la sua prassi politica rifiuta le manovre, le combinazioni, le alleanze, i blocchi che tradizionalmente si formano sulla base di postulati e parole d’agitazione contingenti comuni a più partiti.
     Questa posizione del partito ha un valore essenzialmente storico, e lo distingue nel campo tattico da ogni altro, esattamente, come lo contraddistingue la sua originale visione del periodo che presentemente attraversa la società capitalistica.
     Il partito rivoluzionario di classe è solo ad intendere che oggi i postulati economici, sociali e politici del liberalismo e della democrazia sono antistorici, illusori e reazionari, e che il mondo è alla svolta per cui nei grandi paesi l’organamento liberale scompare e cede il posto al più moderno sistema fascista.
     Nel periodo, invece, in cui la classe capitalistica non aveva ancora iniziato il suo ciclo liberale, doveva ancora rovesciare il vecchio potere feudalistico, od anche doveva ancora nei paesi importanti percorrere tappe e fasi notevoli della sua espansione, ancora liberistica nei processi economici e democratici nella funzione statale, era comprensibile ed ammissibile un’alleanza transitoria dei comunisti con quei partiti che, nel primo caso, erano apertamente rivoluzionari, antilegalitari ed organizzati per la lotta armata, nel secondo caso assolvevano ancora un compito che assicurava condizioni utili e realmente «progressive» perché il regime capitalistico affrettasse il ciclo che deve condurre alla sua caduta.
     Il passaggio tra le due epoche storiche della tattica comunista non può essere sminuzzato in una casistica locale e nazionale, né andarsi a disperdere nell’analisi delle complesse incertezze, che indubbiamente presenta il ciclo del divenire capitalistico, senza sfociare nella prassi deprecata da Lenin in «Un passo avanti e due indietro».
     La politica del partito proletario è anzitutto internazionale (e ciò lo distingue da tutti gli altri) fin dalla prima enunciazione del suo programma e dal primo presentarsi dell’esigenza storica dell’effettiva sua organizzazione. Come dice il «Manifesto», i comunisti, appoggiando dappertutto ogni movimento rivoluzionario che sia diretto contro il presente stato di cose, politiche e sociali, mettono in rilievo e fanno valere, insieme alla questione della proprietà, quei comuni interessi del proletariato tutto intero, che sono indipendenti dalla nazionalità.
     E la concezione della strategia rivoluzionaria comunista, fin quando non fu traviata dallo stalinismo, è che la tattica internazionale dei comunisti s’ispira allo scopo di determinare lo sfondamento del fronte borghese nel paese in cui n’appaiono le maggiori possibilità, indirizzando a questo fine tutte le risorse del movimento.
     Per conseguenza, la tattica delle alleanze insurrezionali contro i vecchi regimi storicamente si chiude col gran fatto della rivoluzione in Russia, che eliminò l’ultimo imponente apparato statale militare di carattere non capitalistico.
     Dopo tale fase, la possibilità anche teorica della tattica dei blocchi deve considerarsi formalmente e centralmente denunziata dal movimento internazionale rivoluzionario.
     L’eccessiva importanza data, nei primi anni di vita della Terza Internazionale, all’applicazione delle posizioni tattiche russe ai paesi di stabile regime borghese, ed anche a quelli extraeuropei e coloniali, fu la prima manifestazione del ricomparire del pericolo revisionistico.
     La caratteristica della seconda guerra imperialistica e delle sue conseguenze già evidenti è la sicura influenza in ogni angolo del mondo, anche quello più arretrato nei tipi di società indigena, non tanto delle prepotenti forme economiche capitalistiche, quanto dell’inesorabile controllo politico e militare da parte delle grandi centrali imperiali del capitalismo; e per ora della loro gigantesca coalizione, che include lo Stato russo.
     Per conseguenza, le tattiche locali non possono essere che aspetti della strategia generale rivoluzionaria, il cui primo compito è la restaurazione della chiarezza programmatica del partito proletario mondiale, seguito a ritessersi della rete della sua organizzazione in ogni paese.
     Questa lotta si svolge in un quadro di massima influenza degli inganni e delle seduzioni dell’opportunismo, che si riassumono ideologicamente nella propaganda della riscossa per la libertà contro il fascismo, e, con immediata aderenza, nella pratica politica delle coalizioni, dei blocchi, delle fusioni e delle rivendicazioni illusorie presentate dalle colludenti gerarchie di in numeri partiti, gruppi movimenti.
     In un solo modo sarà possibile che le masse proletarie intendano l’esigenza della ricostruzione del partito rivoluzionario, diverso sostanzialmente da tutti gli altri, ossia proclamando non come contingente reazioni di saturnali opportunistici ed alle acrobazie delle combinazioni dei politicanti, ma come direttiva fondamentale e centrale, il ripudio storicamente irrevocabile della pratica degli accordi tra partiti.
     Nessuno dei movimenti, cui il partito partecipa, deve essere diretto da un sopra-partito od organo superiore e soprastante ad un gruppo di partiti affiliati, nemmeno in fasi transitorie.
     Nella moderna fase storica della politica mondiale, le masse proletarie potranno di nuovo mobilitarsi rivoluzionariamente soltanto attuando la loro unità di classe nell’azione di un partito unico e compatto nella teoria, nell’azione, nella preparazione all’attacco insurrezionale, nella gestione del potere.
     Tale soluzione storica deve in ogni manifestazione, anche circoscritta, del partito, apparire alle masse come l’unica possibile alternativa contro il consolidamento internazionale del dominio economico e politico della borghesia e della sua capacità non definitiva, ma oggi grandeggiante, di controllare formidabilmente i contrasti e le convulsioni che minacciano l’esistenza del suo regime.

 

 
 
 
 
 

CAP. 5


TOTALITARISMO

Sommario
Cit.151 - La Piattaforma politica del Partito comunista internazionale - 1945
4 - La parola politica centrale del Partito comunista internazionale in tutti i paesi (come già durante la guerra e l’apparente lotta dei regimi borghesi che si definiscono democratici contro le forme fasciste di governo capitalistico, così l’attuale periodo postbellico in cui gli Stati vincitori della guerra erediteranno e adotteranno questa politica dopo una o più o meno brusca e più o meno abile conversione propagandistica) non sarà quella di attendere, di propugnare, di reclamare con parole d’agitazione il ricostituirsi dell’ordinamento borghese proprio del sorpassato periodo di transitorio equilibrio liberale e democratico. Il partito respinge quindi ogni politica di collaborazione con gruppi di partiti borghesi e pseudo-proletari che agitino il falso ingannevole postulato di sostituire al fascismo regimi di «vera» democrazia. Tale politica anzitutto è illusoria perché il mondo capitalistico per tutto il tempo della sua sopravvivenza non potrà più ordinarsi in forme liberali, ma sarà sempre più incardinato su mostruose unità statali, spietata espressione della concentrazione economica del padronato, e sempre più armata di una polizia repressiva di classe; in secondo luogo è disfattista, perché al raggiungimento di questo postulato (anche quando per un breve ulteriore periodo di qualche secondario settore del mondo moderno potesse avere una sopravvivenza), sacrifica le molte più importanti caratteristiche vitali del movimento nella dottrina, nell’autonomia organizzativa di classe, nella tattica capace di preparare e di avviare la lotta rivoluzionaria finale, scopo essenziale del partito; in terzo luogo è controrivoluzionaria in quanto avvalora agli occhi del proletariato ideologie, gruppi sociali e partiti sostanzialmente scettici e impotenti ai fini della stessa democrazia che professano in astratto, e di cui la sola funzione ed il solo scopo, concomitanti in pieno con quelli dei movimenti fascisti, è di scongiurare a qualunque costo la marcia indipendente ed il diretto assalto delle masse sfruttate ai fondamenti economici e giuridici del sistema borghese.

Cit. 152 - Le prospettive del dopoguerra in relazione alla piattaforma del partito - 1946
... Così le conclusioni cui una critica marxista libera da influenze e degenerazioni opportunistiche potevano giungere fin dai primi albori del conflitto oggi cessato, sulla vacuità e l’inconsistenza del materiale d’agitazione usato dalle democrazie borghesi e dal falso Stato proletario russo, e con loro da tutti i movimenti che ne prendevano ispirazione e sostegno, appaiono oggi facili e banali dopo la tremenda delusione subita dalle masse che in larga misura avevano creduto in quelle parole. La tesi che la guerra contro gli Stati fascisti e la vittoria dei loro avversari non avrebbe ricondotto in vita i sorpassati e infecondi idilli del liberalismo e della democrazia borghese, ma avrebbe segnato l’affermarsi mondiale del moderno modo di essere del capitalismo, che è monopolistico, imperialistico, totalitario e dittatoriale, tale tesi è oggi accessibile a chiunque; ma cinque o sei anni addietro sarebbe potuto essere enunciata e difesa solo dai gruppi d’avanguardia rivoluzionaria rimasti strettamente fedeli alle linee storiche del metodo di Marx e di Lenin.
La forza del Partito politico di classe del proletariato deve sorgere dall’efficacia di queste anticipazioni che sono allo stesso tempo di critica e di combattimento, dalla conferma che esse traggono nello svolgersi dei fatti, e non dal gioco dei compromessi, degli accordi, dei blocchi e degli sblocchi di cui vive la politica parlamentare e borghese.
Il nuovo partito di classe internazionale sorgerà con vera efficienza storica, ed offrirà alle masse proletarie la possibilità di una riscossa, solo se saprà impegnare tutti i suoi atteggiamenti futuri su una ferrea linea di coerenza ai precedenti delle battaglie classiste e rivoluzionarie.
Pur attribuendo quindi la massima importanza alla critica delle falsissime impostazioni che i partiti cosiddetti socialisti e comunisti hanno dato, durante la guerra, alla loro interpretazione degli avvenimenti, alla loro propaganda, ed al loro comportamento tattico, e rivendicando quella che avrebbe dovuto essere la restaurazione di una visione politica classista nel periodo di guerra, il Partito deve oggi tracciare anche le linee interpretative e tattiche corrispondenti alla situazione di cosiddetta pace, succeduta alla cessazione delle ostilità...
Anche qui si vorrà provare ai proletari che il regime della libertà parlamentare è una conquista che li interessa, un patrimonio storico che rischiano di perdere e che è minacciato, come ieri dall’imperialismo teutonico o nipponico, domani da quel moscovita.
Dinanzi a questa propaganda ed all’invocazione del fronte unico di guerra in nome della libertà, cui aderiranno, tra mille sfumature piccolo-borghesi, i socialisti del tipo Seconda Internazionale (che sotto la temporanea tregua diverranno antirussi come lo furono per altri motivi al tempo di Lenin), molti anarcoidi, i vari democratici sociali a fondo bigotto e confessionale che vanno infestando tutti i paesi, il Partito proletario di classe risponderà con la più risoluta opposizione alla guerra, con la denunzia dei suoi propagandisti e, ovunque potrà, con la lotta diretta di classe impostata su quella svolta dall’avanguardia rivoluzionaria in ogni paese.
Ciò in coerenza alla sua specifica valutazione critica dello svolgersi della presente fase storica secondo la quale, mentre il regime russo non è un regime proletario, e lo Stato di Mosca è divenuto uno dei settori dell’imperialismo capitalistico, tuttavia la sua forma centralizzata e totalitaria appare più moderna di quella sorpassata e agonizzante della democrazia parlamentare; e l’anacronistica restaurazione della democrazia al posto dei regimi totalitari entro i limiti del divenire capitalistico, non è un postulato che il proletariato debba difendere.
Tale postulato d’altronde è contrario al cammino storico generale, e non è realizzato nelle guerre imperialistiche dalla vittoria militare degli Stati che se ne fanno assertori.

Cit. 153 - Il ciclo storico del dominio politico della borghesia - 1947
Poiché, a mano a mano che il potenziale della produzione industriale si elevava, crescevano di numero le armate del lavoro, si precisava la coscienza critica del proletariato e s’irrobustivano le sue organizzazioni, la classe borghese dominante, parallelamente alla trasformazione della sua prassi economica da liberistica in interventistica, ha la necessità di abbandonare il suo metodo d’apparente tolleranza delle idee e delle organizzazioni politiche per un metodo di governo autoritario e totalitario; ed in ciò sta il senso generale dell’epoca presente. Il nuovo indirizzo dell’amministrazione borghese del mondo fa leva sul fatto innegabile che tutte le attività umane, per lo stesso effetto dei progressi della scienza e della tecnica, si svolgono dall’autonomismo delle iniziative isolate, proprio di società meno moderne e complesse, verso l’istituirsi di reti sempre più fitte di rapporti e di dipendenze in tutti i campi, che gradualmente vanno coprendo il mondo intero.
L’iniziativa privata ha compiuto i suoi prodigi e battuto i suoi primati dalle audacie dei primi navigatori alle imprese temerarie e feroci dei colonizzatori delle più lontane zone del mondo. Ma ora cede il passo di fronte al prevalere dei formidabili intrecci delle attività coordinate, nella produzione delle merci, nella loro distribuzione, nella gestione dei servizi collettivi, nella ricerca scientifica in tutti i campi.
Non è pensabile un’autonomia d’iniziative nella società che dispone della navigazione aerea, delle radio-comunicazioni, del cinema, della televisione, tutti ritrovati d’applicazione esclusivamente sociale.
Anche quindi la politica di governo della classe imperante, da vari decenni a questa parte e con ritmo sempre più deciso, si evolve verso forme di stretto controllo, di direzione unitaria, d’impalcatura gerarchica fortemente centralizzata. Questo stadio e questa forma politica moderna, sovrastruttura che nasce dal fenomeno economico, monopolistico ed imperialistico previsto da Lenin fin dal 1916 col affermare che le forme politiche della più recente fase capitalistica possono essere soltanto di tirannia e d’oppressione, questa fase che tende a sostituire generalmente nel mondo moderno quella del liberalismo democratico classico, non è altro che il fascismo.
Enorme errore scientifico e storico è il confondere questo sorgere di una nuova forma politica imposta dai tempi, conseguenza e condizione inevitabile del sopravvivere del sistema capitalistico d’oppressione all’erosione dei suoi contrasti interni, con un ritorno reazionario delle forze sociali delle classi feudali, le quali minaccino di sostituire alle forme democratiche borghesi una restaurazione dei dispotismi del1’«ancien régime»; laddove la borghesia già da secoli ha posto fuori combattimento ed annientato nella maggior parte del mondo queste forze sociali feudali.
Chiunque senta minimamente l’effetto di una tale interpretazione e ne segua minimamente le suggestioni e le preoccupazioni è fuori del campo e della politica comunista.
La nuova forma con la quale il capitalismo borghese amministrerà il mondo, se e fino a quando non lo travolgerà la rivoluzione del proletariato, va facendo la sua apparizione con un processo che non va decifrato coi banali e scolastici metodi del critico filisteo.
Da parte marxista non si è fatto mai conto dell’obiezione che il primo esempio di potere proletario dovesse essere dato da un paese industriale progredito e non dalla Russia zarista e feudale, in quanto l’avvicendamento dei cicli di classe è fatto internazionale e gioco di forze su scala mondiale, che localmente si manifesta dove concorrono le favorevoli condizioni storiche (guerra, sconfitta, sopravvivenza eccessiva di regimi decrepiti, buon organamento del Partito rivoluzionario, ecc.).
Meno ancora deve stupire se le manifestazioni del trapasso dal liberalismo al fascismo possono presentare dialetticamente presso i singoli popoli e le più svariate successioni, giacché si tratta di un trapasso meno radicale, in cui non è la classe dominante che muta, ma solo la forma del suo dominare.
Il fascismo dunque può dal punto di vista economico definirsi come un tentativo d’autocontrollo e d’autolimitazione del capitalismo tendente a frenare in una disciplina centralizzata le punte più allarmanti dei fenomeni economici che conducono a rendere insanabili le contraddizioni del sistema.
Dal punto di vista sociale può definirsi il tentativo da parte della borghesia, nata con la filosofia e la psicologia dell’assoluto autonomismo ed individualismo, di darsi una coscienza collettiva di classe, e di contrapporre propri schieramenti ed inquadrature politiche e militari alle forze di classe minacciosamente determinatesi nella classe proletaria.
Politicamente, il fascismo costituisce lo stadio nel quale la classe dominante denunzia come inutili gli schemi della tolleranza liberale, proclama il metodo del governo di un solo partito, e liquida le vecchie gerarchie di servitori del capitale troppo incancreniti nell’uso dei metodi dell’inganno democratico.
Ideologicamente, infine, il fascismo (e con ciò rivela di non essere non solo una rivoluzione, ma nemmeno una sicura universale risorsa storica della controrivoluzione borghese) non rinunzia, perché non può farlo, a sbandierare una mitologia di valori universali e, pur avendoli dialetticamente capovolti, fa suoi i postulati liberali della collaborazione delle classi, parla di nazione e non di classe, proclama l’equivalenza giuridica degli individui, gabella sempre la propria impalcatura statale come riposante sull’intiera collettività sociale...
Come Lenin stabilì, nella diagnosi economica, che è un reazionario chi s’illude che il capitalismo monopolistico e statalista possano retrocedere al capitalismo liberista delle prime forme classiche, così oggi va chiaramente detto che lo è ugualmente chi insegue il miraggio di una riaffermazione del metodo politico liberale democratico contrapposto a quello della dittatura fascista, con la quale, ad un certo punto dell’evoluzione, le forze borghesi stritolano con tattica frontale le autonome organizzazioni di classe del proletariato.
La dottrina del partito proletario deve porre come suo cardine la condanna della tesi che, dinanzi alla fase politica fascista del dominio borghese, debba essere data la parola del ritorno al sistema parlamentare democratico di governo, mentre all’opposto la prospettiva rivoluzionaria è che la fase totalitaria borghese esaurisca rapidamente il suo compito e soggiaccia al prorompere rivoluzionario della classe operaia, la quale, lungi dal lacrimare sulla fine senza rimedio delle menzognere libertà borghesi, passi a stritolare con la sua forza la Libertà di possedere, di opprimere e di sfruttare, bandiera del mondo borghese, dal suo primo nascere eroico fra le fiamme della rivoluzione antifeudale al suo divenire nella fase pacifista della tolleranza liberale, al suo spietato svelarsi nella battaglia finale per la difesa delle istituzioni, del privilegio e dello sfruttamento padronale.
La guerra in corso è stata perduta dai fascisti, ma vinta dal fascismo. Nonostante l’impiego su vastissima scala dell’imbonitura democratica, il mondo capitalistico avendo salvato, anche in questa tremenda crisi, l’integrità e la continuità storica delle sue più possenti unità statali, realizzerà un ulteriore grandioso sforzo per dominare le forze che lo minacciano, ed attuerà un sistema sempre più serrato di controllo dei processi economici e d’immobilizzazione dell’autonomia di qualunque movimento sociale e politico minacciante di turbare l’ordine costituito. Come i vincitori legittimisti di Napoleone dovettero ereditare l’impalcatura sociale e giuridica del nuovo regime francese, i vincitori dei fascisti e dei nazisti, in un processo in parte breve e in parte chiaro, riconosceranno con i loro atti, pur negandola con le vuote proclamazioni ideologiche, la necessità di amministrare il mondo, tremendamente sconvolto dalla seconda guerra imperialistica, con i metodi autoritari e totalitari che ebbero il primo esperimento negli Stati vinti.
Questa verità fondamentale, più che essere il risultato di difficili ed apparentemente paradossali analisi critiche, ogni giorno di più si manifesta nel lavoro d’organizzazione per il controllo economico, sociale, politico del mondo.
La borghesia, una volta individualista, nazionale, liberista, isolazionista, tiene i suoi congressi mondiali e, come la Santa Alleanza tentò di fermare la Rivoluzione borghese con un’internazionale dell’assolutismo, così oggi il mondo capitalistico tenta di fondare la sua Internazionale, che non potrà essere che centralinista e totalitaria.
Riuscirà questa nel suo compito storico essenziale che, sotto la parola della repressione di un risorgere del fascismo, è invece nel fatto e sempre più manifestamente quello di reprimere e frantumare la forza rivoluzionaria dell’Internazionale del proletariato?

Cit. 154 - Tendenze e socialismo - 1947
... Il riformismo gradualista non è tuttavia morto in tale fase, poiché il capitalismo stesso aveva bisogno di lui. Il capitalismo degli ultimi decenni ha presentato caratteristiche ben note, inquadrato nell’Imperialismo di Lenin.
Queste nuove forme economiche di collegamento, di monopolio e di pianificazione lo hanno condotto a nuove forme sociali e politiche. La borghesia si è organizzata come classe sociale oltre che come classe politica; ha inoltre divisato di organizzare essa stessa il movimento proletario inserendolo nel suo Stato e nei suoi piani, e come contropartita ha messo nei suoi programmi la gamma delle riforme tanto a lungo invocate dai capi gradualisti del proletariato. Con ciò la borghesia, divenuta fascista, corporativa, nazional-socialista, ha gettato via in parte palesemente l’ordinamento di libertà individuale e di democrazia elettorale che le era stato indispensabile nel suo avvento storico, e che era ossigeno per lei, non concessione alle classi che dominava o sfruttava, né utile ambiente per l’azione di queste...
Lo stesso movimento comunista in Italia, vigoroso, indipendente, chiaro nella teoria e nella tattica, è potuto essere travolto nella schiavitù a quel totalitarismo sovietico che tanto intriga e preoccupa il Saragat e i suoi associati dell’Iniziativa, col deviarlo dalle sue impostazioni programmatiche alla stupida consegna di lottare per la libertà in Italia. La libertà, questo il senso del mondo moderno, non serve più alla borghesia, che si modernizza e procede nella storia stringendo in maglie sempre più serrate i suoi individui, le sue aziende, le sue iniziative in ogni angolo della terra. Essa ha gettato via questo suo mezzo ormai inutile, la libertà individuale, ha impugnato il nostro mezzo, nostro di noi rivoluzionari proletari, la socialità, il classismo, l’organizzazione, strappandocelo dalle mani. La nostra risposta non può essere quella di raccattare la sua arma frusta e spuntata, e combattere con lei una lotta altrettanto insana e disperata di quella della bottega contro la fabbrica meccanica, della piroga contro la cannoniera, del siluro umano contro la bomba atomica...
Comunque la superiorità storica relativa della versione sovietica è nel suo totalitarismo, progressivo perché pianificatore e centralizzante, con apici brillanti di rendimento tecnico e perché non impacciato da scrupoli di tolleranze liberali. Ed allora perché mai offendersi dell’epiteto di totalitario, perché predicare una democrazia per uso esterno, e dichiararla progressiva? Il perché è prettamente demagogico, è la gara a chi meglio sfrutterà lo slancio della comune campagna – la più gigantesca turlupinatura della storia umana – contro il mostro fascista, modello ai suoi vincitori.
La chiave che mette tutti questi signori al loro posto è dunque semplice: la successione non è: fascismo, democrazia, socialismo – essa è invece: democrazia, fascismo, dittatura del proletariato.

Cit. 155 - Il corso storico del movimento di classe del proletariato - 1947
... Nello stadio imperialistico il capitalismo, come cerca di dominare in una rete centrale di controllo le sue contraddizioni economiche e di coordinare in un’elefantiasi dell’apparato statale il controllo di tutti i fatti sociali e politici, così modifica la sua azione nei riguardi delle organizzazioni operaie. In un primo tempo la borghesia le aveva condannate, in un secondo tempo le aveva autorizzate e lasciate crescere, in un terzo tempo essa comprende che non può né sopprimerle, né lasciarle svolgere su piattaforma autonoma, e si propone di inquadrarle con qualunque mezzo nel suo apparato di Stato, in quell’apparato che, esclusivamente politico agli inizi del ciclo, diventa nell’età dell’imperialismo apparato politico ed economico al tempo stesso, trasformandosi lo Stato dei capitalisti e dei padroni in Stato-capitalista e Stato-padrone. In questa vasta impalcatura burocratica si creano dei posti di dorata prigionia per i capi del movimento proletario. Attraverso le mille forme d’arbitrati sociali, d’istituti assistenziali, d’enti con apparente funzione d’equilibrio fra le classi, i dirigenti del movimento operaio cessano di essere poggiati sulle sue forze autonome, e vanno ad essere assorbiti nella burocrazia dello Stato...
Lo stesso movimento d’organizzazione economica del proletariato sarà imprigionato, esattamente con lo stesso metodo inaugurato dal fascismo, ossia con il tendere verso il riconoscimento giuridico dei sindacati, che significano la loro trasformazione in organi dello Stato borghese. Riuscirà palese che il piano di svuotamento del movimento operaio, proprio del revisionismo riformista (laburismo in Inghilterra, economismo in Russia, sindacalismo puro in Francia, sindacalismo riformista alla Cabrini-Bonomi e poi Rigola-D’Aragona in Italia) coincide sostanzialmente con quello del sindacalismo fascista, del corporativismo di Mussolini, e del nazional-socialismo di Hitler. La sola differenza è che il primo metodo corrisponde ad una fase in cui la borghesia pensa soltanto alla difensiva contro il pericolo rivoluzionario, il secondo alla fase in cui, per il grandeggiare della pressione proletaria, la borghesia passa all’offensiva. In nessuno dei due casi essa confessa di fare opera di classe; ma proclama sempre di voler rispettare il soddisfacimento di certe esigenze economiche dei lavoratori, e di voler attuare una collaborazione di classe...
Invece di un mondo di libertà, la guerra avrà recato un mondo di maggiore oppressione. Quando il nuovo sistema fascista, apporto della più recente fase imperialistica dell’economia borghese, lanciò un ricatto politico e una sfida militare ai paesi in cui la passatistica bugia liberale poteva ancora circolare, superstite di una fase storica superata, tale sfida non lasciava all’agonizzante liberalismo alcuna favorevole alternativa: o gli Stati fascisti avrebbero vinto la guerra o l’avrebbero vinta i loro avversari, ma a condizione di adottare la metodologia politica del fascismo. Nessun conflitto tra due ideologie o tra due concezioni della vita sociale, ma il necessario processo dell’avvento della nuova forma del mondo borghese, più accentuata, più totalitaria, più autoritaria, più decisa a qualunque sforzo per la conservazione e contro la rivoluzione...
Di fronte a questa nuova costruzione del mondo capitalistico, il movimento delle classi proletarie potrà reagire solamente se intenderà che non si può né si deve rimpiangere il cessato stadio della tolleranza liberale, dell’indipendenza sovrana delle piccole nazioni, ma che la storia offre una sola via per eliminare tutti gli sfruttamenti, tutte le tirannie e le oppressioni, ed è quella dell’azione rivoluzionaria di classe, che in ogni paese, dominatore o vassallo, ponga le classi dei lavoratori contro la borghesia locale, in completa autonomia di pensiero, d’organizzazione, d’atteggiamenti politici e d’azioni di combattimento, e sopra le frontiere di tutti i paesi, in pace e in guerra, in situazioni considerate normali o eccezionali, previste o impreviste per gli schemi filistei dell’opportunismo traditore, unisca le forze dei lavoratori di tutto il mondo in un organismo unitario, la cui azione non si arresti fino al completo abbattimento degli istituti del capitalismo.
 
 
 
 

CAP. 6


ELEZIONISMO - ASTENSIONISMO - NESSUNA SOLIDARIETÁ CON LA DIFESA DELLA DEMOCRAZIA

Sommario
Cit. - 156 Tesi della Sinistra al III Congresso del P.C.d’I. (Tesi di Lione) - 1926
III.2 -... Subito dopo la guerra, la direttiva dell’estrema sinistra si concretò nel giornale «Il Soviet» che fu il primo ad impostare e difendere le direttive della rivoluzione russa negandone le interpretazioni antimarxiste, opportuniste, sindacaliste e anarcoidi, e ponendo correttamente i compiti essenziali della dittatura proletaria e del compito del partito, sostenendo fin dal primo momento la scissione del partito socialista.
Questo gruppo sosteneva l’astensionismo elettorale e le sue conclusioni furono respinte dal II Congresso dell’Internazionale; ma l’astensionismo non partiva da errori teorici antimarxisti a tipo anarco-sindacalista, come fanno fede le risolute polemiche condotte contro la stampa anarchica. La tattica astensionista era preconizzata anzitutto nell’ambiente politico della completa democrazia parlamentare, la quale crea particolari difficoltà alla conquista delle masse alla giusta coscienza della parola dittatura, difficoltà, queste, che crediamo tuttora insufficientemente valutate dall’Internazionale.
In secondo luogo, l’astensionismo era proposto non come tattica per tutti i tempi, ma per la situazione generale, oggi purtroppo superata, dell’imminenza di grandi lotte e della messa in moto delle più grandi masse proletarie.
Con le elezioni del 1919 e il governo borghese di Nitti aprì un immenso sfiatatoio alla pressione rivoluzionaria, deviò la spinta del proletariato e l’attenzione del partito sfruttandone le tradizioni di sfrenato elettoralismo. L’astensionismo del «Soviet» fu allora la sola giusta reazione alle vere cause del successivo disastro proletario.
Al successivo Congresso di Bologna (ottobre 1919) la sola minoranza astensionista pose giustamente il problema della scissione dai riformisti, e cercò invano un accordo con parte dei massimalisti rinunziando su questo terreno alla pregiudiziale astensionista. Fallito questo tentativo la frazione astensionista rimase la sola che fino al II Congresso mondiale lavorò su scala nazionale alla formazione del partito comunista.
Fu dunque questo gruppo che rappresentò l’orientarsi spontaneo secondo le proprie esperienze e tradizioni della sinistra del proletariato italiano sulle direttive che contemporaneamente trionfavano nella vittoria di Lenin e del bolscevismo in Russia.

Cit. 157 - La Piattaforma politica del Partito comunista internazionale - 1945
17 - Come la sostituzione della repubblica alla monarchia non rappresenta un punto d’arrivo per l’incandescente problema sociale italiano, così non può essere accettato come tale quello della convocazione di un’assemblea elettiva rappresentativa con poteri costituenti. Anzitutto tale assemblea avrà limiti ristrettissimi alla sua influenza, per il permanere nel territorio, su cui dovrebbe avere piena sovranità, prima di forze militari d’occupazione e poi di quelle forze armate che saranno definite e predisposte dall’organizzazione di pace che seguirà il conflitto attuale e vigerà negli Stati satelliti. Comunque, quale che possa essere la tattica del partito (di partecipazione alla sola campagna elettorale con propaganda scritta ed orale; di presentazione di candidature; d’intervento nel seno dell’assemblea), questa si dovrà ispirare non solo ai principi programmatici di esso, ma all’aperta proclamazione che in nessun caso la consultazione col meccanismo elettivo può consentire alle classi sfruttate di dare adeguata espressione ai loro bisogni e ai loro interessi e tanto meno di pervenire alla gestione del potere politico. Il partito si differenzierà da tutti gli altri partiti italiani del momento, non solo perché non si porterà sul mercato delle combinazioni ed aggruppamenti elettorali, ma per la sostanziale posizione che, mentre tutti gli altri proclameranno che il programma politico da attuare ed accettare senza ulteriore resistenza sarà quello incognito che prevarrà nella maggioranza numerica dell’assemblea, il partito rivoluzionario respinge in partenza tale abdicazione e, nell’ipotesi astratta (ma pratica certezza) che la vittoria elettorale confermi la sopravvivenza costituzionale dei fondamentali istituti capitalistici, pur essendo minoranza ai sensi democratici, continuerà la sua lotta per abbatterli dall’esterno. Soltanto la contingenza storica ed il valore dei rapporti di forza, e non già l’autorità di maggioranze costituzionali, determinerà la portata di questa lotta, che va, secondo le possibilità della dinamica di classe, dalla critica teorica alla propaganda d opposizione politica, all’incessante agitazione anti-istituzionale, all’assalto rivoluzionario armato. Soprattutto il partito sbugiarderà come controrivoluzionario ogni movimento che proclami utile simulare ai fini di più facile agitazione e di successo elettorale il preventivo ossequio alla sovrana validità della consultazione parlamentare, pretendendo d’essere suscettibile di passare da questa equivoca politica – i cui molteplici esperimenti storici hanno tutti segnato la corruzione e il disarmo delle energie rivoluzionarie – ad un attacco contro il regime costituito.
Nelle elezioni locali il partito non può astrarre, per considerazioni d’interessi contingenti, dalla finalità generale di separare la responsabilità e l’impostazione delle forze proletarie da tutte le altre, e di continuare in piena coerenza l’agitazione delle sue rivendicazioni storiche generali.
In fasi più mature della situazione, che prevedibilmente non possono svolgersi se non secondo strette connessioni intereuropee, il partito si prepara e prepara le masse alla costituzione dei Soviet, organi rappresentativi su base di classe che sono nello stesso tempo organi di combattimento, e alla distruzione d’ogni diritto rappresentativo per le classi sociali economicamente sfruttatrici.
Il partito, nella costruzione degli organi proletari d’ogni natura, pro e post-rivoluzionari, non fa alcuna distinzione fra lavoratori dei due sessi; la questione della concessione del voto alla donna nel presente regime rappresentativo è per esso una questione secondaria, poiché non può porsi al di fuori del terreno critico che l’esercizio del diritto di voto è una pura finzione giuridica in un ambiente in cui la disparità economica crea insuperabili soggezioni, una delle quali è quella del sesso femminile, la cui emancipazione non è concepibile che in un’economia di tipo non personale e non familiare.

Cit. 158 - Le prospettive del dopoguerra in relazione alla Piattaforma del Partito - 1946
... L’attitudine preconizzata per il nostro movimento, nella possibile futura terza guerra imperialistica, è quella dunque di rifiutare e respingere, in entrambi i campi della grande lotta, ogni parola avente il carattere di «difesismo» (termine già ben noto ed adoperato da Lenin nella battaglia critica e politica contro l’opportunismo del primo ciclo 1914-18) e contro ogni «intermedismo», termine col quale vogliamo intendere la pretesa di indicare come obiettivo precipuo e pregiudiziale della forza e degli sforzi del proletariato rivoluzionario non l’abbattimento dei suoi oppressori di classe, ma la realizzazione di certe condizioni nei modi di organizzarsi della presente società; che gli offrirebbero terreno più favorevole a conquiste ulteriori.
L’aspetto «difesista» dell’opportunismo consiste nell’asserire che la classe operaia, nel presente ordinamento sociale, pure essendo quella che le classi superiori dominano e sfruttano, corre in cento guise il pericolo di veder peggiorare in modo generale le sue condizioni se certe caratteristiche del presente ordinamento sociale vengono minacciate.
Così dieci e dieci volte abbiamo visto le gerarchie disfattiste del proletariato chiamarlo ad abbandonare la lotta classista per accorrere, coalizzato con altre forze sociali e politiche nel campo nazionale o in quello mondiale, a difendere i più diversi postulati: la libertà, la democrazia, il sistema rappresentativo, la patria, l’indipendenza nazionale, il pacifismo unitario, ecc. ecc., facendo gettito delle tesi marxiste per cui il proletariato, sola classe rivoluzionaria, considera tutte quelle forme del mondo borghese come le migliori armature di cui a volta a volta si circonda il privilegio capitalista, e sa che, nella lotta rivoluzionaria, nulla ha da perdere oltre le proprie catene. Questo proletariato, trasformato in gestore di patrimoni storici preziosi, in salvatore degli ideali falliti della politica borghese, è quello che l’opportunismo «difesista» ha consegnato più misero e schiavo di prima ai suoi nemici di classe nelle rovinose crisi svoltesi durante la prima e seconda guerra imperialistica.
Sotto l’aspetto complementare dell’«intermedismo» la corruzione opportunista si presenta non più soltanto col carattere negativo della tutela di vantaggi di cui la classe operaia godeva e che potrebbe perdere, ma sotto l’aspetto più suggestivo di conquiste preliminari che potrebbe realizzare – s’intende col compiacente e generoso aiuto di una parte più moderna ed evoluta della borghesia e dei suoi partiti – portandosi su posizioni da cui le sarà più facile spiccare un balzo verso le sue massime conquiste. L’«intermedismo» trionfò in mille forme, sempre sfociando però nel metodo della collaborazione di classe, dalla guerra rivoluzionaria cui Mussolini chiamava i socialisti italiani nel 1914, alla insurrezione partigiana ed alla democrazia progressiva, che nella recente guerra i transfughi del comunismo della III Internazionale hanno creato come surrogato della lotta rivoluzionaria e della dittatura del proletariato, con l’aggravante di camuffare questo mercimonio di principi come l’applicazione della tattica elastica che attribuiscono a Lenin. Forme non diverse di questo metodo si hanno nelle parole poco comprensibili e destituite di contenuto di «Europa proletaria», di «Stati Uniti del mondo» ed altri simili sostituti equivoci del postulato programmatico centrale di Marx e di Lenin per la conquista armata di tutto il potere politico da parte del proletariato.
In conclusione, nella prossima possibile frattura del fronte imperialistico mondiale, il movimento politico rivoluzionario operaio potrà affermarsi, resistere e ripartire per una storica riscossa solo se saprà spezzare le due insidie dell’opportunismo «difesista» secondo cui dovrebbero essere bruciate tutte le munizioni: da un lato del fronte per la salvezza della libertà rappresentativa delle democrazie occidentali, dall’altro per la salvezza del potere proletario e comunista russo. Parimenti sarà condizione per la ripresa classista e l’analoga repulsione d’ogni «intermedismo» che voglia ingannare le masse additando la via per la loro ulteriore redenzione rivoluzionaria, da una parte del fronte nell’affermarsi del metodo di governo parlamentare contro il totalitarismo moscovita, dall’altra nell’estensione del regime pseudosovietico ai paesi del capitalismo dell’Ovest.

Cit. 159 - Dopo la garibaldata - 1948
... Se d’altra parte essi avessero vinto, né Barbarossa né baffo grigio sarebbero calati in Italia. Non le conte schedaiole determinano le situazioni, ma i fattori economici che si concretano in posizioni di forza, in controlli inesorabili sulla produzione e il consumo, in polizie organizzate e stipendiate, in flotte incrocianti nel mare di lor signori.
Eletto chicchessia al governo della repubblica, non avrebbe altra scelta che rinunziare od offrirsi in servigio all’ingranamento di forze capitalistiche mondiali che maneggia lo stato vassallo italiano. Quanto a fare del «sabotaggio», è altra illusione su quello che è il compito dei portabandiera parlamentari. Sono le sfere dell’affarismo borghese e delle alte magistrature militari e civili che possono a loro mercé sabotare i politicanti portafogliati, e non viceversa.
Il meccanismo elettorale è oggi caduto nel campo inesorabile del conformismo e della soggezione delle masse alle influenze dei centri ad altissimo potenziale, così come i granelli di limatura di ferro si adagiano docili secondo le linee di forza del campo magnetico. L’elettore non è legato ad una confessione ideologica né ad un’organizzazione di partito, ma alla suggestione del potere, e nella cabina non risolve certo i grandi problemi della storia e della scienza sociale, ma novantanove volte su cento il solo che è alla sua portata: chi vincerà? Cosi come fa il giocatore alla Sisal; e, di più, imbrocca meglio chi non ha nessuna competenza sulla materia del gioco e mentisce alle sue stesse intime simpatie.
Quest’arduo problema di indovinare chi è il più forte lo affronta il candidato rispetto al governo, il governante rispetto al campo internazionale. Lo affronta l’elettore rispetto al candidato che vota; cerca, non reca, un appoggio personale nella difficile lotta d’ogni giorno.
Se si fosse saputo il 17 aprile che vinceva De Gasperi, invece del 50 per cento gli davano il 90 per cento dei suffragi. A questo ci arrivava la dialettica dei frontisti, ed ogni argomento serio era superato e prostituito dinanzi a quel massimo: Vinceremo! (e potremo pagare, coi soldi di Pantalone, galoppini, cagnotti e graziosi sodali «indipendenti»). Mussolini non diceva altro, De Gasperi lo diceva e lo sta facendo senza ritegno.
Tutta la politica e la tattica degli avversari dei democristiani sono state disfattiste. La lunga pratica dell’opportunismo dei capi delle organizzazioni dette di massa ha condotto ad una situazione in cui non è più inseribile un’avanzata progressiva, nella lotta sul terreno delle elezioni, di un partito che abbia un programma ed un atteggiamento d’opposizione di principio e che proclami agli elettori il rifiuto dell’illusione che comunque per via democratica possano le classi sfruttate arrivare al potere.
Oggi l’elezionismo è pensabile solo in funzione della promessa del potere, di lembi di potere.

Cit. 160 - Tesi caratteristiche del Partito (Tesi di Firenze) - 1951
III.17 - ... Trattatasi invece del pieno realizzarsi della grande vicenda storica contenuta nella visione marxista e sola in lei: la concentrazione economica che portando in tutta evidenza il carattere sociale e mondiale della produzione capitalista la spingeva ad unificare il suo meccanismo, e la conseguenza politica e di guerra sociale che scaturiva dall’atteso scontro finale di classe, e corrispondeva a quell’alternativa in cui la pressione proletaria rimaneva tuttavia di sotto al potenziale di difesa dello Stato capitalista di classe.
Si ricadde invece dai capi dell’Internazionale, per una grossolana confusione storica con il pericolo kerenskiano in Russia, non solo in un grave sbaglio d’interpretazione teorica, ma in un conseguente ed inevitabile capovolgimento di tattica. Si tratteggiò per il proletariato ed i partiti comunisti, una strategia difensiva e conservativa, e si consigliò a loro di formare fronte con tutti i gruppi borghesi meno agguerriti ed illuminati (ed anche per questo meno probanti come alleati) che sostenevano doversi garantire agli operai vantaggi immediati, e non sospendere alle classi popolari i diritti d’associazione, di voto, ecc. Non si comprese con ciò, da una parte, che il fascismo o il nazionalsocialismo nulla aveva a che vedere con un tentativo di ritorno a forme di governo dispotiche e feudali e nemmeno con un predominare di pretesi strati borghesi di destra opposti alla più avanzata classe capitalistica della grande industria, o ad un tentativo di governo autonomo di classi intermedie tra padronato e proletariato, dall’altra che mentre il fascismo si liberava della sporca maschera parlamentare, esso ereditava in pieno il riformismo sociale pseudo-marxista, e con una serie di misure, d’interventi dello Stato di classe, nell’interesse della conservazione del capitalismo, assicurava non solo dei minimi, ma una serie di progressi sociali ed assistenziali per le maestranze ed altre classi meno abbienti. Fu quindi data la parola d’ordine della lotta per la libertà, e tanto fu comminato fin dal 1926 dal presidente dell’Internazionale al partito italiano, nelle cui file la quasi totalità dei militanti voleva condurre contro il fascismo, al potere da quattro anni, una politica autonoma di classe e non quella del blocco con tutti i partiti democratici e persino monarchici e cattolici per rivendicare con loro il ripristino delle garanzie costituzionali e parlamentari. I comunisti italiani avrebbero voluto fin da allora squalificare il contenuto dell’opposizione al fascismo di tutti i partiti medio-borghesi, piccolo-borghesi e pseudo-proletari; e quindi previdero invano, fin da allora, che ogni energia rivoluzionaria avrebbe fatto naufragio con l’imboccare quella via degenerativa che finalmente condusse ai Comitati di Liberazione Nazionale.
La politica del partito comunista è, per sua natura, d’offensiva ed in nessun caso deve lottare per l’illusoria conservazione d condizioni proprie delle istituzioni capitaliste. Se nel periodo anteriore al 1871 il proletariato ebbe a lottare a fianco delle forze borghesi, ciò non fu perché queste potessero conservare date posizioni od evitare la caduta d’acquisite forme storiche, ma perché potessero infrangere e superare forme storiche precedenti. Nell’economia di dettaglio quanto nella politica generale e mondiale, la classe proletaria, come non ha nulla da perdere, non ha nulla da difendere, ed il suo compito è soltanto attacco e conquista. Quindi all’apparire delle manifestazioni di concentrazione, unitarietà, totalitarismo capitalista, il partito rivoluzionario deve anzitutto riconoscere che è in questo la sua integrale vittoria ideologica e deve quindi soltanto preoccuparsi del rapporto effettivo di forze per lo schieramento nella guerra civile rivoluzionaria, rapporto che hanno sì qui reso sfavorevole, appunto e soltanto, le onde di degenerazione opportunista e intermedia; deve fare il possibile per scatenare l’attacco finale ed ove non lo possa deve affrontare la disfatta, ma mai enunciare un imbelle e disfattista «vade retro Satana» che equivalga a patire stupidamente tolleranza o perdono dal nemico di classe.
IV.12 - Il partito non è una filiazione della Frazione astensionista, pure avendo avuta questa gran parte del movimento fino alla conclusa creazione del Partito Comunista d’Italia a Livorno nel 1921. L’opposizione in seno al Partito Comunista d’Italia e all’Internazionale Comunista non si fondò sulle tesi dell’astensionismo, bensì su altre questioni di fondo. Il parlamentarismo, seguendo lo sviluppo dello Stato capitalista che assumerà palesemente la forma di dittatura che il marxismo gli ha scoperto sin dall’inizio, va man mano perdendo d’importanza. Anche le apparenti sopravvivenze degli istituti elettivi parlamentari delle borghesie tradizionali vanno sempre più esaurendosi rimanendo soltanto una fraseologia, e mettendo in evidenza nei momenti di crisi sociale la forma dittatoriale dello Stato, come ultima istanza del capitalismo, contro di cui deve esercitarsi la violenza del proletariato rivoluzionario. Il partito, quindi, permanendo questo stato di cose e gli attuali rapporti di forza, si disinteressa delle elezioni democratiche d’ogni genere e non esplica in tale campo la sua attività.

Cit. 161 - Il cadavere ancora cammina - 1953
... È dunque chiaro che il problema principale è l’eliminazione dei socialpacifisti dal partito proletario, questione secondaria è se questo debba partecipare all’elezione, nel pensiero di allora di Lenin come nei successivi dibattiti e tesi sul parlamentarismo del II Congresso, di poco successivo.
Ma per noi oggi è anche chiaro quanto allora sostenemmo: che sola via per raggiungere il trasporto delle forze sul terreno rivoluzionario era un enorme sforzo per liquidare, subito dopo la fine della guerra, la tremenda suggestione democratica ed elettoralesca, che troppi saturnali aveva già celebrato.
La tattica voluta da Mosca fu disciplinatamente anzi impegnativamente seguita dal partito di Livorno. Ma purtroppo la subordinazione della rivoluzione alle corrompenti richieste di democrazia era ormai in corso in campo internazionale e localmente, e il punto di incontro leninista dei due problemi, nonché il loro peso relativo, si palesarono insostenibili. Il parlamentarismo è come un ingranaggio che se vi afferra per un lembo inesorabilmente vi stritola. Il suo impiego in tempo «reazionario» sostenuto da Lenin era proponibile; in tempo di possibile attacco rivoluzionario è manovra in cui la controrivoluzione borghese guadagna troppo facilmente la partita. In diverse situazioni e sotto mille tempi, la storia ha convinto che migliore diversivo della rivoluzione che l’elettoralismo non può trovarsi...
Se queste tappe ancora una volta rammentiamo, è per stabilire lo stretto legame tra ogni affermazione di elettoralismo, parlamentarismo, democrazia, libertà ed una sconfitta, un passo indietro del potenziale proletario di classe...
Lo stesso va detto della "storica battaglia" contro la "legge truffa". L’elezione non solo è di per sé una truffa, ma lo è tanto più quanto più pretende di dare parità di peso ad ogni voto personale. Tutto il polpettone in Italia lo fanno poche migliaia di cuochi, sottocuochi e sguatteri, che si pecoreggiano in lotti «a braccio» i venti milioni di elettori.
Se il parlamento servisse ad amministrare tecnicamente qualche cosa e non soltanto a fare fessi i cittadini, su cinque anni di massima vita non ne dedicherebbe uno alle elezioni e un altro a discutere la legge per costituire sé stesso!

Cit. 162 - La rivoluzione anticapitalista occidentale (Riunione di Genova) - 1953
12 -... Non è possibile risalire questa situazione che sotto tutti gli aspetti: dimostrazione che in Russia non vi è costruzione di socialismo; che lo stato russo, se combatterà, non sarà per il socialismo, ma per rivalità imperiali; dimostrazione soprattutto che in Occidente le finalità democratiche popolari e progressive non solo non interessano la classe lavoratrice ma valgono a tenere in piedi un capitalismo marcio.

Cit. 163 - La facile derisione - 1959
... Con non diversa risorsa attinta tanto dietro di noi ci portiamo al punto di fare sfregio di ogni attuale superstizione per il metodo della conta delle opinioni personali equiponderate, e diamo allo stesso titolo del ciarlatano a chi lo impieghi alla scala della società, della classe, e perfino del partito; perché quel misero o lestofante parla di classe e di partito come forze che trasformano la società ma le pensa come scimmiottate parodie di quella stessa società demo-borghese dalla cui sozza poltiglia mai non si potrà disinvischiare.
 
 





CONCLUSIONE

Sommario
Questo lungo lavoro, come scritto in premessa, è rivolto ai compagni di partito e costituisce un richiamo alle concezioni fondamentali su cui il partito si è ricostituito nel secondo dopoguerra e sulle quali deve continuare a muoversi sotto pena di degenerare e perire. Costituisce allo stesso tempo un’esposizione della linea di pensiero e d’azione su cui intende continuare a muoversi senza deflettere il gruppo che è stato nel novembre 1973 oggetto di «espulsione» dall’organizzazione.

Siccome alla base delle scissioni organizzative devono esserci delle divergenze di posizioni, abbiamo inteso esporre in un lavoro sistematico, e al di fuori di qualsiasi polemica ed accusa, quelle che noi riteniamo essere le posizioni caratteristiche della Sinistra Comunista da cinquant’anni, desumendole non dalle nostre «opinioni» ma dai nostri testi fondamentali, da tutto quello che il partito nella sua lunga e travagliata vita ha affermato e scritto.

Non vogliamo «dialoghi» con nessuno. Vogliamo che l’organizzazione militante che si fregia del nome di Partito comunista internazionale rivendichi chiaramente come proprie nel 1974 queste posizioni, che sole costituiscono la linea di continuità a cui tutti, capi e gregari, devono attenersi. È sulla base dell’enunciazione netta di posizioni che si va o si resta, che ci si unisce o ci si divide. Le «nostre» posizioni non abbiamo potuto esprimerle in altro modo che riportando citazioni dai nostri testi fondamentali in linea continua dal 1920 al 1970.

Se quanto è scritto nelle pagine precedenti è la base su cui si muove ed agisce l’organizzazione attuale, non abbiamo ragione di rimanere separati e le nostre braccia sono a disposizione dell’organizzazione. Se questo non è, se quanto sta scritto costituisse per caso per chi milita sotto l’insegna del Programma Comunista e una «specie di stagno in cui guazzano delle oche», vuol dire che la storia pone all’ordine del giorno la difesa e la riaffermazione di queste posizioni per una via diversa da quella dell’attuale formazione organizzata perché essa afferma e difende altre posizioni che da questa divergono. Se così è, la scissione organizzativa è pienamente giustificata, in quanto non intendiamo in nessun modo abbandonare la fedeltà alle posizioni a cui abbiamo dato la nostra adesione una volta per sempre, quando siamo entrati nel partito. E riteniamo che nel partito rimane chi è fedele a queste posizioni, n’esce organicamente chi le abbandona, le mistifica, le dimentica. A queste considerazioni richiamiamo tutti i compagni. Non c’è altro da aggiungere.

Segue: Appendice - Sommario