Partito Comunista Internazionale
Il Partito Comunista N. 429 - Anteprima

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Aggiornato al 20 maggio 2024

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DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: – la linea da Marx a Lenin, alla fondazione della III Internazionale, a Livorno 1921, nascita del Partito Comunista d’Italia, alla lotta della Sinistra Comunista Italiana contro la degenerazione di Mosca, al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani – la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario, a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco
PAGINA 1 Firenze, sabato 18 maggio - Lotta e sindacato di classe per consistenti aumenti di salario per il salario integrale ai disoccupati per la difesa della salute e della vita dei lavoratori
– Roma, lunedì 3 giugno 2024, allo sciopero Rfi: Per la rinascita del sindacato di classe
Il Kenya di oggi: Le attuali proteste antigovernative
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Per il sindacato di classe
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PAGINA 1


Firenze, sabato 18 maggio
Lotta e sindacato di classe
per consistenti aumenti di salario
per il salario integrale ai disoccupati
per la difesa della salute e della vita dei lavoratori

Dopo i 5 operai delle manutenzioni ferroviarie morti a Brandizzo (Torino) il 30 agosto 2023 e i 5 operai morti nel cantiere edile Esselunga il 16 febbraio scorso a Firenze, 7 operai sono morti nella centrale idroelettrica di Suviana (Bologna) il 9 aprile e altri 5 sono morti il 6 maggio nelle fognature di Casteldaccia, nel palermitano. Fra una strage e l’altra – che per breve tempo richiama l’attenzione generale sul problema della sicurezza sul lavoro – muoiono ogni giorno fra i 3 e i 4 lavoratori. Poi vi è l’esercito di proletari resi invalidi a vita o che muoiono precocemente per malattie contratte sul lavoro, con beneficio per le casse dell’INPS e dello Stato borghese. Non è una peculiarità italiana: i dati sono simili, anche peggiori, in Francia, Spagna, Portogallo... Non a caso l’ulteriore liberalizzazione degli appalti, approvata dal Governo un anno fa, è stata compiuta per adeguare la legislazione italiana in materia a una direttiva dell’Unione Europea. Il problema è il capitalismo che, minato dalla sua crisi di sovrapproduzione, preme per aumentare lo sfruttamento dei lavoratori, aggravando i rischi per la loro vita e salute.

Contro questo processo, sotto gli occhi di tutti, da decenni i sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil, Ugl) non oppongono una lotta generale e radicale ma, secondo il loro proclamato collaborazionismo di classe, organizzano mobilitazioni deboli e simboliche per obiettivi minimi, inutili e che per di più nemmeno raggiungono. I salari dei lavoratori in Italia sono in calo dal 1992 perché Cgil Cisl e Uil firmarono allora l’accordo sulla politica dei redditi; poi dal 2010 hanno introdotto l’indice IPCA per il calcolo – al ribasso – degli aumenti da rivendicare e così in tutti questi 30 anni hanno firmato rinnovi contrattuali con anni di ritardo e che hanno fatto perdere potere d’acquisto ai salari. Hanno firmato contratti collettivi che persino la magistratura ha dichiarato illegittimi! A gennaio scorso, ad esempio, hanno sottoscritto un accordo per la liberalizzazione dei turni di notte, sabato e domenica per gli operai delle manutenzioni ferroviarie (RFI) e, ora che questi lavoratori si sono organizzati fuori e contro i sindacati di regime, scioperando e manifestando, si sono schierati contro questa lotta, cercando di sabotarla.

Le condizioni di sicurezza e di salute dei lavoratori dipendono dal complesso delle condizioni di lavoro e di vita: dal salario, dalla durata dell’orario di lavoro, dai carichi e dai ritmi di lavoro, dai turni, dal tempo di riposo, dall’età pensionabile. Solo battendosi su questo terreno è possibile porre un freno al tributo di sangue che il capitalismo chiede in misura sempre maggiore.

La Rsu ex GKN giustamente denuncia: "Noi non abbiamo più tempo al quinto mese senza stipendio né ammortizzatore sociale, senza alcuna risposta dalle istituzioni” e che “è difficile tornare in piazza oggi, quando tutti i nostri occhi sono puntati su Gaza e sull’escalation bellica mondiale. Eppure noi sappiamo che le cose sono collegate, è la stessa economia che provoca qui delocalizzazioni, impoverimento e schiavitù e da altri parti guerra, morte e distruzione". Ma la risposta a queste denunce non si può aspettare dalle istituzioni borghesi. Non esistono provvedimenti legislativi taumaturgici: solo la lotta dei lavoratori e quindi il rafforzamento del sindacalismo di classe, contro il sindacalismo collaborazionista e di regime, possono difendere il salario, il posto di lavoro, la salute e la sicurezza dei lavoratori. In tal senso, ben più che l’introduzione di nuove leggi, serve l’abrogazione delle leggi anti-sciopero (146/1990 e 83/2000, volute da Cgil Cisl e Uil) ed è per questo obiettivo che il sindacalismo conflittuale (sindacati di base e aree combattive in Cgil) dovrebbe promuovere unitariamente una campagna, invece che invocare – come fanno le dirigenze di diversi sindacati di base – una legge sulla rappresentanza sindacale che si ritorcerebbe contro di essi e a favore dei sindacati di regime. I sindacati di base non devono nemmeno ignorare le mobilitazioni dei sindacati di regime bensì agire rispettando sempre il principio pratico dell’unità dei lavoratori nella lotta sindacale.

In questa situazione di crisi economica e produttiva, non si può continuare ad aspettare il miraggio del rilancio industriale ma organizzare un forte movimento di sciopero per imporre al padronato e allo Stato il principio che i lavoratori, tutti i lavoratori che siano occupati o meno, hanno diritto ad un salario che permetta loro di vivere dignitosamente! I sindacati di base devono agire unitariamente, come già fanno con successo in diversi settori e aziende (macchinisti e capitreno, Rfi, handling aeroportuale, logistica, cooperative sociali, autoferrotranvieri), invitare a unirsi a loro le aree conflittuali in Cgil, per costruire un fronte unico sindacale di classe al fine di imbastire lotte sempre più generali per forti aumenti salariali, per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, per la riduzione dell’età pensionabile, per il salario pieno ai lavoratori disoccupati.








Roma, lunedì 3 giugno 2024, Allo sciopero Rfi
Per la rinascita del sindacato di classe


Lavoratori Rfi!

Oggi siete al vostro 4° sciopero e alla vostra terza manifestazione nazionale contro l’infame accordo del 10 luglio, firmato dall’azienda insieme ai sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil, Ugl) e a quelli autonomi (Fast, Orsa). Nonostante l’alta adesione agli scioperi, azienda e sindacati collaborazionisti hanno continuato ad andare avanti dritti per la loro strada, non senza intraprendere azioni ricattatorie, intimidatorie e diversive per cercare di fermare la vostra lotta.

Alcuni ne deducono che scioperare non serve. Questa è una grossa ingenuità ed è ciò di cui azienda e sindacati di regime desiderano vi convinciate. La realtà è un’altra: lo sciopero non è una manifestazione d’opinione ma una prova di forza! Altrimenti basterebbe una raccolta di firme.

È per questo che dal 1990 il padronato – privato e pubblico – ha introdotto, su invocazione di Cgil Cisl e Uil, alcune leggi anti-sciopero (146/1990, 83/2000) che impediscono a una parte cospicua della classe lavoratrice, fra cui tutti i ferrovieri, di scioperare liberamente.

Non sarà facile piegare una grande azienda come Rfi, per di più di Stato, con scioperi che sottostanno a una delle legislazioni più restrittive d’Europa, che impedisce di scioperare più di 24 ore di seguito e di una volta al mese. Per legge, la borghesia e i sindacati di regime hanno ridotto lo sciopero a una manifestazione d’opinione, lo hanno snaturato, lo hanno reso sostenzialmente innocuo per i loro interessi.

Lo sciopero per essere efficace deve essere a tempo indeterminato, permettendo il suo rafforzamento nei giorni, e possibilmente anche la sua estensioni al di fuori dell’azienda, del settore, della categoria, coinvolgendo altri lavoratori uniti dagli stessi interessi: aumentare i salari, ridurre ritmi e durata del lavoro.

Il problema è dunque spezzare le leggi antisciopero. Ciò sarà possibile solo con un vasto movimento di lotta dei lavoratori. Ma affinché tale movimento di lotta operaia sia organizzato, determinato, vincente, serve una organizzazione sindacale autenticamente di classe. Per questo il passo fondamentale in questa direzione è la rinascita, fuori e contro i sindacati di regime, del sindacato di classe!

Anche la nascita della Assemblea Nazionale Lavoratori Manutenzione (ANLM) e il sostegno ad essa dei sindacati di base – Cub, Cobas LP, Usb – sono un passo in questa direzione.

A prescindere da come andrà questa prima battaglia, la vera vittoria sarà la sedimentazione di una nuova organizzazione di lotta. A questo scopo occorre persistere con la piena unità d’azione della ANLM e dei sindacati di base.

Solo una forte organizzazione sindacale di classe sarà in grado di mobilitare i lavoratori con una determinazione e una unità tali da potersi contrapporre alle leggi antisciopero rendendone impossibile l’utilizzo, fermando l’invio di sanzioni a decine di migliaia di lavoratori, minacciando di mettere in atto un movimento di sciopero ancora più forte ed esteso.

A questo scopo sarebbe un grande passo in avanti unire negli scioperi futuri i lavoratori, a cominciare dai settori economici contigui – ferrovieri, logistica, autoferrotranvieri, portuali – come primo passo per l’unificazione nella lotta di una parte sempre più vasta della classe lavoratrice.

Il sindacalismo di base, con una unità quasi completa, ha chiamato recentemente a scioperare:
  - il 30 aprile i lavoratori delle logistica;
  - il 6 maggio gli autoferrotranvieri;
  - dal 17 al 19 maggio i ferrovieri (con lo sciopero del personale viaggiante del 19 maggio precettato dal Ministro dei Trasporti).

Il 5 aprile l’Usb si è unita allo sciopero nazionale dei portuali proclamato da Cgil, Cisl e Uil.

Per rompere lo steccato che tiene isolati i lavoratori di ogni azienda, settore, categoria, per spezzare le leggi antisciopero, bisogna unire queste lotte in un unico movimento di lotta, in un’unica organizzazione!

 

 

 

 


Le proteste antigovernative in Kenya

Uno spettro si aggira per il Kenya. Il governo del presidente William Ruto - un convinto servitore del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale - sta cercando di imporre tasse assai esose alle masse lavoratrici. La protesta è dilagata rapidamente con manifestazioni in molte città che hanno visto per protagonisti giovani proletari che si sono posti contro il governo con radicale determinazione. I lavoratori kenioti chiedono ora uno sciopero generale.

Il Presidente Ruto ha chiamato l’esercito dopo che una formidabile massa umana ha invaso le strade per opporsi alle sue severe misure di austerità. In un primo discorso televisivo, Ruto ha etichettato i manifestanti come "traditori" e "pericolosi criminali", giurando di trattare ogni minaccia come un pericolo esistenziale per la Repubblica.

Martedì 25 giugno, i manifestanti contrari al disegno di legge sulla finanza hanno circondato l’edificio del Parlamento a Nairobi, nel tentativo di paralizzare l’economia e costringere Ruto, ad abbandonare il suo progetto di imporre oltre 2 miliardi di dollari di nuove tasse sui lavoratori e sui poveri delle aree rurali.

Il disegno di legge segue un periodo di instabilità economica in cui il Kenya, un paese neanche troppo povero rispetto all’area geografica in cui è inserito, ha vacillato sull’orlo del baratro finanziario. Una vendita di obbligazioni da 1,5 miliardi di dollari a febbraio ha temporaneamente salvato il governo, permettendogli di pagare un’altra rata del debito in scadenza.

La situazione del Kenya è diventata così grave che il nuovo debito viene accumulato per pagare quello vecchio a tassi di interesse sempre più alti. Il 30% del bilancio del governo viene speso per il servizio del debito. Entrano in gioco il FMI e la Banca Mondiale, con i loro "aiuti" sotto forma di prestiti, apparentemente per aiutare il Kenya a ripagare i suoi creditori parassiti. Ma il trucco è che questi debiti devono essere ripagati trattando i proletari kenioti come mucche da mungere.

Seguendo i dettami del FMI, il Parlamento ha proposto il Finance Bill 2024, un pacchetto di brutali misure di austerità che ha scatenato le proteste. Il disegno di legge mira a raccogliere 2,7 miliardi di dollari di tasse aggiuntive per ridurre il deficit di bilancio facendolo passare dal 5,7% del PIL al 3,3%, nella prospettiva di ripianare il debito pubblico del Kenya che è pari al 68% del PIL. Di fronte alle sfide economiche e all’incertezza sull’accesso ai mercati dei capitali, il Kenya si è rivolto al FMI, che ha chiesto al governo di aumentare le entrate per ottenere maggiori finanziamenti. Il disegno di legge prevede imposte indirette su beni di prima necessità come pane, olio vegetale, zucchero, cioè i beni di primaria necessità per la fascia più povera della popolazione. La cosa più esasperante è l’introduzione di "eco-tasse", che includono una "eco-imposta" sui pannolini igienici e sugli assorbenti mestruali, una cinica beffa che ha scatenato l’indignazione delle giovani donne keniote. Inoltre, la manovra prevede un aumento delle tasse sulle transazioni finanziarie.

Di fronte a queste nuove tasse che mettono ulteriormente a dura prova le loro già scarse finanze, i lavoratori kenioti sono scesi in piazza. I social media sono diventati rapidamente una piattaforma per condividere il loro sentimento di rabbia e coordinarsi nelle azioni di protesta. Senza un leader centrale o un partito capace di assumere la direzione della protesta, i giovani di tutto il Paese si sono sollevati per puro istinto di classe: una prassi senza teoria, ma naturalmente spontanea. Il governo ha risposto con la violenza poliziesca che ha fatto largo uso di armi da fuoco contro i giovani proletari in rivolta, tanto che almeno 20 di loro sono morti e parecchie centinaia sono rimasti feriti. Molti di loro sono caduti martedì 25 giugno durante l’attacco all’edificio del parlamento che è stato devastato e dato alle fiamme. A questo si aggiunge il pesante clima di intimidazione da parte della polizia e la chiusura di Internet e con l’arresto di centinaia di persone nelle ultime settimane, nel tentativo di schiacciare il movimento. Ruto e i suoi scagnozzi hanno rapito diversi blogger, attivisti e influencer dei social media, nella speranza di intimidire i manifestanti ma con scarso successo.

Quelle che erano iniziate come piccole proteste a Nairobi martedì scorso, si sono trasformate in un movimento nazionale mercoledì, quando le manifestazioni si sono diffuse nelle principali città e in molti centri minori in seguito alla seconda lettura della legge finanziaria. La giornata si è conclusa tragicamente con l’uccisione da parte della polizia di un altro manifestante di 29 anni, alimentando le richieste di un blocco nazionale mercoledì. I cittadini chiedono ora uno sciopero generale, oltre a manifestazioni programmate e potenziali azioni spontanee.

Inizialmente, il governo ha risposto con la repressione, dispiegando cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e arrestando centinaia di persone. Tuttavia, queste tattiche non sono riuscite a reprimere le masse. Il numero delle proteste è cresciuto nel corso della serata, nonostante la violenza poliziesca. Sono circolati video che mostravano prigionieri che cantavano nelle loro celle. Molti slogan esprimevano l’odio profondo per l’élite al potere. Sui cartelli si leggeva: "Ruto è un ladro!". "Ruto deve andarsene!" "Svegliatevi, ci stanno derubando!". Le masse sono perfettamente consapevoli del fatto che il Kenya è il perno degli interessi strategici dell’imperialismo statunitense in Africa orientale e che i loro leader sono solo burattini dell’imperialismo e agenti del capitale.

La maggior parte dei kenioti è incredibilmente giovane e questa energia giovanile è la forza trainante delle proteste. Anche se questa generazione non ha ricordi diretti dell’austerità imposta dal FMI negli anni ’80 e ’90, c’è la sensazione palpabile per impedire che si ripeta lo stesso copione dell’austerity a spese della classe lavoratrice.

Il FMI è un drago che accumula il suo tesoro di sangue e che chiama i capitali internazionali ad accorrere quando avrà scelto una nuova vittima. Questa procedura è fin troppo rinomata. Si potrebbero ricordare molti Paesi dell’America Latina, dell’Africa del Nord come di quella subsahariana ecc.

Inizialmente, molti parlamentari arroganti hanno respinto le proteste, guadagnandosi il soprannome di "MPigs". Un parlamentare ha persino affermato che le immagini delle manifestazioni che circolavano sui social media erano solo creazioni di Photoshop.

Quando il panico si è diffuso, il governo ha cercato di fare delle concessioni, introducendo una serie di emendamenti. Ha eliminato le tasse sul pane e sull’olio vegetale e ha assicurato al pubblico che le "ecotasse" si sarebbero applicate soltanto ai beni di importazione finite col pretesto che il paese produce in proprio molti di questi prodotti. Ma è stato troppo poco e troppo tardi.

Le masse scese in piazza, dopo avere intuito la portata potenziale della loro forza, sono ora più sicure che mai. Sia la repressione che le concessioni sono servite solo ad alimentare ulteriormente il movimento.

Le tattiche del governo sono state inutili contro i giovani manifestanti che non hanno nulla o poco da perdere. I politici kenioti avevano dato per scontato che i giovani fossero apatici e poco propensi a mobilitarsi e una scadente letteratura li descriveva come individualisti ed egoisti dopo il crollo delle reti solidali retaggio delle relazione del Kenya che non aveva ancora conosciuto il capitalismo. A tenere in piedi questa narrazione di comodo il fatto che le giovani generazioni di proletari si tenessero lontane dagli stanchi riti della democrazia parlamentare. Ad esempio alle elezioni del 2022, quelle che hanno portato Ruto al potere, meno del 40% degli elettori registrati erano giovani, nonostante l’età media in Kenya fosse inferiore ai 20 anni e il 65% della popolazione avesse meno di 35 anni.

Queste vibranti azioni della giovane classe operaia keniota, anche se forse prive dell’educazione rivoluzionaria delle generazioni passate, riecheggiano lo spirito descritto a suo tempo Lenin: «Ma, inutile dirlo, le masse imparano dalla vita e non dai libri, e perciò certi individui o gruppi esagerano costantemente, elevano a teoria unilaterale, a sistema tattico unilaterale, ora una ora un’altra caratteristica dello sviluppo capitalistico, ora una ora un’altra “lezione” di questo sviluppo».

Questa "interazione tra tutte le classi" si manifesta nel momento in cui la classe operaia keniota si rivolta contro un moderno Golia. Tuttavia, i lavoratori consapevoli avranno sempre una collina contro cui combattere. Marx afferma nella “Ideologia tedesca” che: «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti: cioè, la classe che è la forza materiale dominante della società è allo stesso tempo la sua forza intellettuale dominante. La classe che ha a disposizione i mezzi di produzione materiale, di conseguenza, controlla anche i mezzi di produzione mentale, cosicché le idee di coloro che non hanno i mezzi di produzione mentale sono nel complesso soggette ad essa... per esempio, durante il periodo in cui l’aristocrazia era dominante, erano dominanti i concetti di fedeltà all’onore, eccetera, durante il dominio della borghesia i concetti di libertà, uguaglianza, eccetera».

La classe dirigente ha commesso un errore fatale, confondendo il distacco con l’apatia. Con un tasso di disoccupazione che raggiunge il 35% tra i 18 e i 35 anni, molti giovani kenioti hanno poche speranze per il futuro. Il messaggio dei manifestanti kenioti è chiaro: avendo poco da perdere, si rendono conto di avere tutto un mondo da conquistare.

L’anno scorso, Raila Odinga, un influente oligarca keniota, ha annullato l’opposizione di massa a Ruto sulla legge finanziaria per l’anno precedente, il 2023, quando il movimento ha rischiato di incrociarsi con le richieste di sciopero dei dipendenti pubblici. Odinga appartiene allo 0,1% più ricco della popolazione keniota, che possiede più ricchezza del restante 99,9% (oltre 48 milioni di kenioti). Il governo sostiene che le nuove misure fiscali sono necessarie per finanziare i programmi di sviluppo e ridurre il debito pubblico. Tuttavia, in tutto il Paese, centinaia di migliaia di insegnanti e operatori sanitari, che hanno scioperato ripetutamente negli ultimi cinque anni contro i bassi salari e i contratti di lavoro precari, esprimono il loro netto disaccordo.

Il nostro partito ha già parlato degli scioperi del 2012 dei lavoratori della sanità keniota nel numero 352 di “Il Partito Comunista” «La lotta generale indetta dal sindacato Kenya Health Professionals Society, partita la domenica del 1° marzo, viene già boicottata dall’associazione di categoria il martedì. Dopo aver ricevuto dal tribunale l’ingiunzione alla ripresa del lavoro, una riunione interna della dirigenza sindacale decide di smettere lo sciopero in attesa della convocazione del Governo. Ma i lavoratori del Moi Teaching Hospital scendono immediatamente in lotta, e marciano lungo le vie della città protestando contro le pessime condizioni di lavoro e per l’applicazione dell’accordo. Via via tutti i lavoratori degli altri ospedali cittadini fraternizzano e proseguono la lotta. Lo sciopero si estende alla provincia sulla costa e di nuovo a tutto il paese, fuori dal controllo sindacale. I lavoratori, in maggioranza donne, denunciano il tradimento della direzione sindacale. Queste loro dirette dichiarazioni: “Non siamo stati consultati e nessuna questione è stata messa sul tappeto: hanno saputo fare solo promesse. Non torniamo indietro senza la sicurezza del mangiare in tavola. Nemmeno crediamo che l’accordo in realtà ci sia; le trattative non ci hanno fatto guadagnare nulla e ci sentiamo ingannate. Per questo continueremo con lo sciopero fino a quando tutte le nostre richieste saranno soddisfatte. Non vogliamo più promesse, vogliamo risultati immediati e tangibili”».

In questi giorni, nel porto di Mombasa, seimila lavoratori potrebbero bloccare i piani di privatizzazione di Ruto, portando la regione a una situazione di stallo. Migliaia di lavoratori dell’aviazione, compresi quelli della Kenya Airways, potrebbero bloccare lo spazio aereo del Kenya. Milioni di lavoratori del tè, del caffè e di altri settori agricoli nelle aree rurali potrebbero paralizzare la campagna in un Paese in cui il 60% delle entrate proviene dal settore agricolo.

Nonostante il movimento in corso, i sindacati stanno diventando il principale freno per i lavoratori che si uniscono alle proteste anti-austerity con le loro rivendicazioni. I sindacati si rifiutano di mobilitare le decine di migliaia di lavoratori impiegati nei settori manifatturiero, alimentare, chimico, plastico e metallurgico della zona industriale di Nairobi. L’Organizzazione centrale dei sindacati (COTU), che è composta da 36 sindacati e rappresenta più di 1,5 milioni di lavoratori, ha alle spalle una storia di scioperi, proteste e repressioni, tra cui quella di 4.000 medici all’inizio di quest’anno.

Francis Atwoli, il segretario generale del COTU, ha difeso la legge finanziaria, affermando che "la gente viene tassata ovunque e, in effetti, se paghiamo le tasse e il denaro viene utilizzato in modo corretto, eviteremo il debito.

L’atteggiamento "Lasciamoli mangiare la torta!" dei presunti rappresentanti dei lavoratori verso il governo non potrebbe essere più azzeccato.

Il Presidente Ruto si sta preparando a imporre ulteriori misure di stato di polizia, come l’ Assembly and Demonstration Bill del 2024, che limita i luoghi in cui possono avvenire le proteste e impone multe draconiane per le "violazioni" fino a 770 dollari, equivalenti a mezzo anno di stipendio medio.

Tuttavia, dopo le manifestazioni della scorsa settimana, il governo ha ammorbidito la sua posizione, con Ruto che ha appoggiato le raccomandazioni di eliminare alcune nuove tasse, tra cui quella sul possesso di automobili, sul pane e la tassa ecologica sui beni prodotti localmente. Il Ministero delle Finanze ha dichiarato che tali concessioni avrebbero causato un buco di 200 miliardi di scellini kenioti (1,56 miliardi di dollari) nel bilancio 2024/25 e avrebbero reso necessari tagli alla spesa.

I manifestanti e i partiti di opposizione hanno affermato che le concessioni sono insufficienti e vogliono che il disegno di legge venga abbandonato. E il governo borghese sta iniziando ad ascoltare il recente tumulto nazionale, con la stessa grazia con cui ha ucciso i lavoratori.

«Dopo aver riflettuto sulla conversazione in corso sul contenuto della legge finanziaria 2024 e dopo aver ascoltato con attenzione il popolo keniota, che ha dichiarato a gran voce di non voler avere nulla a che fare con questa legge finanziaria 2024, ammetto che non firmerò la legge finanziaria 2024", ha dichiarato il Presidente Ruto durante un discorso televisivo mercoledì. "Il popolo ha parlato", ha detto Ruto. "In seguito all’approvazione del disegno di legge, il Paese ha sperimentato un’ampia espressione di insoddisfazione nei confronti del disegno di legge così come è stato approvato, sfociata purtroppo nella perdita di vite umane, nella distruzione di proprietà e nella profanazione delle istituzioni costituzionali».

Questo passo indietro arriva dopo che Ruto ha sostenuto la controversa riforma fiscale di fronte all’opposizione dell’opinione pubblica. Tuttavia, Rotu sembra aver dimenticato, o almeno non riconosciuto, che questo avviene dopo che le proteste di massa sono diventate violente il giorno prima, causando 23 morti.

Ora gli occhi del mondo sono puntati sul Kenya, dove la lotta tra la classe operaia e l’élite borghese al potere si svolge in tempo reale. Mentre il fervore rivoluzionario cresce, i lavoratori kenioti, in particolare i giovani, si trovano in un momento critico. Il messaggio dalle strade è chiaro: non avendo più nulla da perdere, sono pronti a lottare per un futuro libero dalle catene dell’austerità e del debito.

La battaglia per il futuro del Kenya è tutt’altro che conclusa e, man mano che la storia si dipana, il coraggio e la determinazione dei suoi lavoratori ispireranno senza dubbio i movimenti proletari di altre parti del mondo. Lo spettro che infesta il Kenya è un chiaro appello alla classe operaia internazionale: i proletari non hanno nulla da perdere se non le loro catene; hanno un mondo da conquistare.


Kenya - Qui e ora

Il Kenya rappresenta oggi uno dei paesi più avanzati nello sviluppo capitalistico dell’Africa. Dopo la crisi finanziaria globale del 2008, che ha visto la crescita del PIL del Kenya scendere all’1,6%, il Paese ha sperimentato una robusta ripresa economica, con una media di crescita annua del PIL del 5,4% dal 2015 al 2023. L’inflazione, salita al 14% nel 2011, si è stabilizzata negli ultimi anni, attestandosi in media intorno al 6% nel 2023. Questa relativa stabilità è dovuta a fattori interni e internazionali.

L’economia di esportazione del Kenya è incentrata sulla produzione agricola. Nel 2023, le principali voci di esportazione comprendono il tè (19%), i prodotti agricoli (18%), i manufatti (16%) e il caffè (5%). Il valore delle esportazioni di tè, un pilastro tradizionale, continua a crescere, anche se a un ritmo più moderato del 12% annuo. Inoltre, l’aumento delle esportazioni di fiori e prodotti freschi ha rafforzato il settore agricolo, contribuendo alla resistenza e allo sviluppo economico del Kenya.

Anche l’attenzione del governo keniota allo sviluppo delle infrastrutture, alla tecnologia e alle energie rinnovabili ha favorito la crescita economica. Gli investimenti nella ferrovia a scartamento normale e nell’espansione del porto di Mombasa hanno migliorato l’efficienza logistica e commerciale. Allo stesso tempo, il fiorente polo tecnologico di Nairobi, soprannominato "Silicon Savannah", ha posizionato il Kenya come leader dell’innovazione digitale in Africa.

Le iniziative di sviluppo cinesi, in particolare nell’ambito della Belt and Road Initiative, hanno avuto un impatto profondo sulle infrastrutture del Kenya. Tra i progetti più significativi c’è la costruzione della ferrovia a scartamento standard, che collega Nairobi alla città portuale di Mombasa, migliorando in modo significativo l’efficienza del commercio. Inoltre, le imprese cinesi stanno sviluppando reti stradali e progetti energetici di importanza cruciale, fornendo capitali e competenze indispensabili per promuovere i progressi infrastrutturali del Kenya.

Anche gli Stati Uniti sono stati un partner fondamentale per lo sviluppo del Kenya. Gli Stati Uniti hanno contribuito a vari settori, tra cui la sanità, l’istruzione e l’energia, attraverso programmi come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale e l’iniziativa Power Africa. Gli investimenti americani sono stati fondamentali per promuovere progetti di energia rinnovabile, in particolare geotermica ed eolica, in linea con l’obiettivo del Kenya di raggiungere l’accesso universale all’energia entro il 2030.

A livello nazionale, il Kenya ha visto l’ascesa di una solida classe di capitalisti locali che guidano la crescita economica. Importanti imprenditori e aziende kenioti, in particolare nei settori bancario, delle telecomunicazioni e dell’agricoltura, hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo del Paese. Aziende come Safaricom, Equity Bank e KCB Group sono importanti datori di lavoro e attori fondamentali nel promuovere l’inclusione finanziaria e l’innovazione tecnologica. Questi capitalisti nazionali sono stati determinanti nel plasmare la traiettoria economica del Kenya, promuovendo un settore privato che integra gli investimenti stranieri e guida la crescita economica del 5% annuo.

Tuttavia, il proletariato keniota non partecipa ai dividendi del capitale. Al contrario, deve affrontare una riduzione del potere d’acquisto dei salari a causa dell’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Tra il 2020 e il 2022, i salari effettivi hanno subito un calo costante, con una diminuzione media del 2,7%. Questa tendenza è proseguita con l’impennata dei tassi d’inflazione nel 2022, con un’inflazione media dell’8,7% tra giugno 2022 e giugno 2023, con un picco del 9,6% nell’ottobre 2022, il livello più alto dal 2017. Uno sconcertante 77% dei lavoratori guadagna al di sotto del salario minimo, e i lavoratori medi spendono il 60% del loro reddito solo per il cibo.

I lavoratori sono costretti a impegnarsi in una lotta serrata per la sopravvivenza economica, acquisendo una preziosa esperienza nella lotta anticapitalista. Questa lotta, che inizia a livello locale e all’interno di settori specifici, deve evolvere in un fronte unico dal basso della classe operaia.

L’attuale ondata di proteste e scioperi testimonia la crescente disponibilità all’azione dei lavoratori kenioti. Si stanno sollevando contro le politiche oppressive di austerità e sfruttamento imposte dai capitalisti locali e internazionali. Questo movimento non si limita a opporsi a politiche specifiche, ma a questioni di ampio respiro: i movimenti internazionali si stanno avvicinando sempre di più a sfidare le fondamenta di un sistema che privilegia il profitto rispetto ai bisogni umani.


Non fidatevi di loro!

Questo governo capitalista, come tutti i suoi predecessori e tutti i suoi figli, ignora spudoratamente gli interessi della classe operaia, scaricando invece su di essa gli oneri del capitalismo. Ruba il prodotto del loro lavoro e poi li incolpa degli inevitabili fallimenti del sistema. Il peso colossale del capitale nazionale e internazionale grava sulle spalle dei lavoratori e questo non cambierà, indipendentemente da chi sia al potere. I cambiamenti economici a breve termine sono reazioni alla fiducia degli investitori nel modo in cui l’amministrazione serve l’élite capitalista.

L’inarrestabile crisi del capitalismo alimenta continui assalti alla classe operaia, che persisteranno a prescindere dalle vuote promesse del governo o dalle affiliazioni di partito. I membri del Parlamento non sono altro che guardiani degli interessi capitalistici, che si arricchiscono fintanto che non offuscano la facciata del sistema in modo troppo evidente. Nel frattempo, lo sfruttamento della classe operaia, la stragrande maggioranza della società, rimane incontrastato fino a quando il proletariato non entra in lotta.

La classe operaia incomincia a conoscere questa verità attraverso la sua azione di lotta, ma non ha ancora raggiunto un grado di organizzione sufficiente per prendere il potere. I lavoratori costruiscono e ricostruiscono il mondo ogni giorno, esercitando un potere immenso che ha il potenziale di immaginare e creare un mondo libero da sfruttamento, povertà, denaro, categorie mercantili, crisi economiche, Stato e guerre. Tuttavia, per realizzare questa visione è necessario rovesciare il capitalismo, instaurare la dittatura rivoluzionaria del proletariato e spianare la strada a una società comunista, in cui i contributi siano basati sulle capacità di ciascuno e siano soddisfatti i bisogni di tutti. Il comunismo sradicherà la sovrapproduzione dilagante, gli sprechi e la devastazione ecologica causati dal capitalismo, sostituendoli con una produzione razionale che serva veramente l’umanità senza la vuota retorica della sostenibilità "verde".

Il comunismo porrà fine alla povertà, alla divisione in classi della società e alla guerra, ma questo non potrà essere ottenuto votando per qualsiasi partito, specialmente quelli mascherati da comunisti o socialisti. Il cambiamento effettivo avverrà solo quando la classe operaia, guidata dal Partito Comunista Internazionale, prenderà il potere per via rivoluzionaria.