Partito Comunista Internazionale Indice studi africani


Si perpetua nel Congo “indipendente” lo sfruttamento coloniale

(Il Programma Comunista, N° 16 del 1968)


Gli avvenimenti della Nigeria hanno richiamato l’attenzione sull’Africa post-coloniale e sulle sue vicissitudini. Noi abbiamo scritto e ribadiamo che le vicende dei Continenti ex coloniali (ed ora più che mai dipendenti dal capitale finanziario internazionale) vanno viste e spiegate alla luce della teoria marxista dell’imperialismo. Ribadiamo anche la validità del marxismo nello svelare il carattere dell’imperialismo “moderno” e il ruolo storico dei Paesi sfruttati.

L’esportazione di capitale, la divisione del mondo in sfere di influenza, il dominio economico più brutale esercitato sui Paesi formalmente indipendenti (il Vietnam – i recenti fatti cecoslovacchi – San Domingo – ecc.) sono le caratteristiche più salienti dell’imperialismo; esse non si situano soltanto in Paesi “poveri”, anche se qui risultano più visibili, e sono presenti e vitali anche là dove la propaganda di Mosca e di Wall Street ciancia di diritti e indipendenza – princìpi che costituiscono solo la maschera dietro la quale l’imperialismo si nasconde in fasi di tranquillità e che è sempre pronto a togliersi quando occorra difendere sporchi ma realissimi interessi economici o strategici.

L’accesso delle ex colonie africane all’indipendenza pareva aver realizzato uno dei sogni più luminosi fra i tanti dei soliti difensori di “diritti” e di “princìpi”. Pochi anni dopo l’indipendenza si constata come in realtà la soggezione dei Paesi ex coloniali sia più dura e come la loro situazione sul mercato mondiale peggiori sempre più. Le tristi eredità del colonialismo – fra le tante, la guerra del Biafra e i problemi nazionali insoluti in numerosi Stati – straziano i nuovi Paesi, mentre per tutti l’indipendenza è solo un’illusione che accontenta esili gruppi collaborazionisti e sprofonda in una miseria senza pari i milioni di contadini poveri e le avanguardie di un proletariato locale miserrimo che vede dirigersi contro di sé la ingordigia di una nascente borghesia collegata all’imperialismo d’oltre mare.

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Una delle vicende più contrastate ed esplosive attraverso le quali un Paese africano sia giunto all’indipendenza è stata quella del Congo. Ed è sul Congo che vogliamo fornire alcune informazioni desunte dal bollettino settimanale della Kredietbank belga del 17 agosto 1968. Tale bollettino comunica con gioia come le società coloniali belghe abbiano ormai superato il difficile periodo successivo alla indipendenza del Congo e possano guardare al futuro dei loro bilanci con maggior tranquillità. Sulla situazione economica verificatasi dopo l’accesso all’indipendenza vi si legge: «Torbidi politici persistenti hanno provocato una disorganizzazione quasi costante nella vita economica. Il livello della produzione industriale, che registrò una flessione molto pronunciata soprattutto nei primi anni successivi all’accesso all’indipendenza, è tuttora a un livello inferiore a quello del 1958. I prezzi sono praticamente quadruplicati negli ultimi 8 anni». Di qui la situazione deficitaria del giovane Stato, che ha generato un’inflazione galoppante dando luogo a due svalutazioni della moneta nel 1963 e nel 1967. Tutte queste convulsioni affamarono un Paese che dovette constatare come libertà ed eguaglianza fossero pure frasi e sul mercato mondiale non se ne trovassero nemmeno l’ombra. I grandi Paesi imperialisti si disputarono la ghiotta preda cercando in ogni modo di garantirsi interessi pirateschi a scapito dell’economia e della popolazione “indipendente”.

Ma della popolazione congolese e della sua economia in quanto tale poco interessa alla Kredietbank e allo imperialismo, cui stanno solo a cuore le influenze sull’economia belga e gli interessi dei Paesi sfruttatori. Ecco come tale fatto è visto dalla Kredietbank: «Gli avvenimenti degli ultimi anni hanno esercitato una forte influenza sia sull’economia congolese che su un numero importante di società belghe, in considerazione degli stretti legami che esistevano fra il Belgio e il Congo». Sottolineiamo il brillante eufemismo sugli “stretti legami”, che sono, è chiaro, legami di sfruttamento coloniale.

Il problema che si presentava alla economia belga era di riuscire a mantenere il controllo economico sull’ex colonia e superare gli anni burrascosi successivi all’indipendenza. A tale problema diede soluzione la legge del 17 giugno 1960. Eccola descritta dal bollettino: «La legge del 17-6-1960 accordò alle Società congolesi aventi la loro sede amministrativa in Belgio la possibilità di trasformarsi in società di diritto belghe; se utilizzavano questa opzione, dovevano però trasferire le loro attività congolesi a una filiale di gestione congolese (eventualmente da costituire). Ciò implicava, per un certo numero di società congolesi, di diventare giuridicamente grazie a questa opzione, società finanziarie belghe in cui, almeno durante il periodo iniziale, gli interessi maggiori rimanevano incentrati sul Congo. Molte di queste società non avevano, almeno all’inizio, altre fonti di entrata che quelle della filiale congolese; tali fonti di entrata erano sia dirette, sotto forma di dividendi, sia indirette, sotto forma di remunerazioni per l’aiuto tecnico che la maggior parte delle Società belghe continuavano ad accordare alle loro filiali». In sostanza, era un cambio di etichetta che lasciava inalterati i preesistenti rapporti economici leonini: le vecchie società coloniali divenivano società finanziarie belghe con filiale in Congo.

Per tali società si poneva ora il compito di superare la burrasca. Il governo congolese, con legge del 1961, aveva reso illegale l’esportazione di utili realizzati nel Paese; le società reagirono utilizzando fondi occulti creati a mezzo di giganteschi ammortamenti attuati negli esercizi anteriori all’indipendenza e realizzati con un incremento nello sfruttamento e depredamento delle risorse congolesi e con l’acquisto di interessi in altri settori economici onde diversificare il raggio degl’impegni. Così descrive la brillante manovra il bollettino citato: «È stato possibile finanziare nuovi investimenti grazie agli importanti ammortamenti che si erano potuti effettuare sulle partecipazioni congolesi soprattutto durante il periodo d’inizio».

È da notare, del resto, che le società interessate reagirono in modo diverso alla crisi. Le società elettriche, minerarie e industriali, quindi direttamente collegate alla metropoli, non subirono praticamente crisi e continuarono a rifornire di materie prime e semi-lavorati il mercato mondiale, mentre accusavano difficoltà serie le società che operavano sul mercato interno, a dimostrazione del deterioramento della situazione del Congo; di questa subivano le conseguenze gli indigeni mentre il mercato mondiale era sistematicamente alimentato, i profitti maturavano regolarmente e le società superavano la crisi senza gravi scossoni.

Il bollettino conclude con una nota di speranza, sottolineando la rinnovata possibilità di esportare gli utili realizzati in Congo grazie alla recente abrogazione della legge succitata e rassicurando i capitalisti belgi sull’avvenire. I loro utili infatti appaiono sicuri; i tagliatori di cedole possono dormire sogni d’oro: «L’abrogazione delle restrizioni sull’esportazione dei dividendi apre la via alle prospettive più favorevoli per un certo numero di società ex-coloniali, soprattutto quelle le cui principali attività si situano tuttora nel Congo: in questo caso le Società belghe trarranno diretto vantaggio dal miglioramento generale del clima economico. È certo importante, a questo riguardo, che la maggior parte delle società belghe abbiano ammortizzato una parte importante delle loro partecipazioni congolesi, conservandole malgrado tutto, cosicché potrebbe essere che gli ammortamenti siano stati esagerati e diano luogo alla costituzione di riserve occulte… Il miglioramento delle prospettive in materia di utili ha provocato in Borsa un interesse accresciuto per questi valori; tale interesse potrà aumentare d’intensità in un prossimo avvenire… Le quotazioni, dopo di allora (dopo la concessione dell’indipendenza e il successivo crollo dei valori), sono fortemente aumentate e alcuni degli stessi valori si possono oggi considerare come delle vedettes della Borsa».

Tutto è bene quel che finisce bene: la manovra del capitale belga si è conclusa e le società interessate hanno tratto vantaggio dalla disperata situazione del giovane Stato africano. Ma se per qualche società gli anni dal ’60 al ’65 hanno segnato una contrazione degli utili, per i congolesi essi hanno significato distruzione e rovina. Se per qualche società il futuro è ora più promettente che mai, per le masse sfruttate l’avvenire è sempre più gravido di insicurezza e di miseria. Che i sogni e i lussi dei capitalisti occidentali riposino sulla fame di milioni di “colorati” non importa: in diritto, gli uomini sono tutti eguali e un ben nutrito capitalista belga vale un bambino del Biafra che muore di stenti in un territorio immensamente ricco. A conferma dell’ottimismo belga, il ministro degli esteri congolese Justin Bomboko ha dichiarato a Bruxelles, che «finito il paternalismo belga nel Congo», fra i due Paesi «si è ristabilita la fiducia», tanto che è stata firmata una convenzione di assistenza tecnica e sono in preparazione un trattato di amicizia, un trattato di commercio, un trattato di garanzia degli investimenti belgi sul Congo e una convenzione intesa ad evitare le doppie imposizioni sugli utili realizzati nel Paese (“Le Monde”, 29 agosto).

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Ecco il destino di tutti i Paesi che in modo gesuitico si dicono indipendenti e sottosviluppati: essere dissanguati in mille forme dall’imperialismo. La loro situazione è sempre più terribile, le ragioni di scambio sul mercato mondiale si deteriorano sempre più (vale a dire, i prodotti industriali forniti dai Paesi imperialisti sono sempre più cari mentre le materie prime, unica loro fronte di entrata, valgono sempre meno) condannando la loro economia a una perpetua stagnazione e i loro popoli alla miseria cronica. Tale meccanismo è noto al marxismo e contro di esso il Partito nelle sue lotte gloriose si è più volte scagliato. Solo la vittoria del proletariato mondiale dei centri imperialisti, collegato ai suoi fratelli dei Paesi poveri, spezzando il ciclo sanguinoso dell’imperialismo e liberando il mondo dalla tirannia delle leggi dell’economia capitalistica, risolverà gli insolubili “problemi” delle nazioni meno progredite.

Ogni altra prospettiva è irreale. Né le omelie papali, né i discorsi di capi di Stato, né le “scoperte” di rivoluzionari dell’ultima ora, detteranno l’esito di questo immane scontro. L’ultima parola tocca alle armate della rivoluzione, guidate dalla lucida visione mondiale del Partito rivoluzionario di classe.