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Menzogne di guerra
La guerra e prima di tutto della borghesia contro il proletariato. In Ucraina lo schieramento di guerra contro la classe operaia e vasto: dai partiti apertamente borghesi alla miriade di formazioni opportuniste e staliniste, fino a parte degli anarchicie del trotskismo. Il risultato, cosciente o meno ha poca importanza, è portare il proletariato a schierarsi con uno dei fronti contrapposti,a versare il sangue per gli interessi dei propri padroni.
Per spingere il proletariato alla guerra sotto uno dei fronti borghesi sono utilizzati diversi pretesti, menzogne che i comunisti devono smascherare e combattere.
Difendere l’aggredito?
La prima è quella secondo la quale nella guerra in corso ci sarebbe un “aggressore”e un “aggredito”.
La questione non ha senso. Qualunque esercito abbia varcato per primo i confini altrui, ogni Stato capitalista e allo stesso tempo aggressore ed aggredito. Fatto è che tutte le borghesie si preparano alla guerra perche il sistema capitalista le alimenta, ha bisogno della guerra per sopravvivere, per uscire dalla crisi conomica che lo strangola. Nessuno ha saputo dire se Germania e Giappone nel 1939 furono aggressori o aggrediti. Il vittimismo dell’aggredito serve solo per giustificare la guerra imperialista,da una parte e dall’altra del fronte.
Da un punto di vista generale e storico il solo vero “aggressore” e il proletariato internazionale, portatore del modo di produzione comunista, maturo e pronto a sostituire il capitalismo abbattendone con la violenza tutte le marce strutture, economiche,sociali, ideali, politiche, militari. Giustamente la borghesia, ogni borghesia, si sente ed è aggredita, dal comunismo, dalla classe operaia, oltre che, come topi in gabbia, dalle borghesie concorrenti, tutte nellastessa agonica situazione.
In Ucraina contro l’aggressione russa sono oggi mobilitate tutte le classi in una difesa totale”, che per i proletari ucraini significa morte e distruzione.
Anche in Occidente i potenti mezzi di comunicazione di cui dispone la classe dominante divulgano la tesi dell’aggressore. Cio è funzionale ad individuare nei “russi”e nel loro “dittatore” la causa dell’aggravarsi delle condizioni di vita della popolazione europea e americana, cercando cosi di indirizzare l’inevitabile esplodere del malcontento sociale verso il “nemico” russo anziche contro l’ordine borghese.
Per contro in Russia porre a fondamento dell’intervento militare i crimini dei nazisti in Ucraina, colpevoli fin dal 2014 del genocidio delle popolazioni russofone del Donbass, tende a indurre la solidarieta popolare al proprio imperialismo e a far sopportare le conseguenze economiche della guerra e il tributo in sangue che richiede. In realta il presunto “aggredito” ucraino e l’“aggressore” russo, cosi come tutti gliStati borghesi in ogni guerra, sono accomunati e solidali nella lotta contro il loro comune nemico: il proletariato.
Difendere la democrazia?
L’altra menzogna e che ci troviamo di fronte a una guerra che vedrebbe contrapposte da una parte la “democrazia” delloStato ucraino, dall’altra la “dittatura” della Federazione Russa, il “mondo libero” controle “autocrazie”. Ma anche nella guerra in corso, come in tutte le guerre dell’imperialismo, si palesa il vero contenuto di qualunque formazione statale borghese, che abbandona ogni orpello democratico e faemergere metodi di governo dittatoriali.
Ne è esempio proprio l’Ucraina, per la quale i campioni dei diritti e della democrazia liberale in Europa vorrebbero, a parole, l’inclusione seduta stante nell’Unione. La democratica e “resistenziale” Ucraina, mentre alimenta e protegge gruppi di criminali neonazisti come il famigerato Battaglione Azov, mette fuorilegge i partiti di opposizione e arresta gli oppositori accusati di servire il nemico; incarcera i disertori e chi tenta di lasciare il paese e si avvia a varare una legge contro gli emigrati che non rientrano per essere arruolati; conduce una spietata caccia contro i “sabotatori” punendoli senza processo, di cui è esempio l’esecuzione sommaria di uno dei membri della commissione incaricata delle trattative con Mosca; proibisce l’uso della lingua russa, parlata da un terzo della popolazione; e imposta la censura sui mezzi d’informazionee anche sui socialmedia, pena il carcere, mettendo a tacere qualunque dissenso alla politica governativa.
La repressione e accompagnata da una situazione economica sempre piu disastrosa, bassissimi i salari, per chi un lavoro cel’ha ancora, di fronte a un aumento vertiginoso dei prezzi e senza che il governo sia intervenuto per assicurare i generi di primissima necessita: l’unica richiesta del governo ucraino ai paesi alleati e “armi, armie ancora armi”.L’attuale regime ucraino, del resto, non ha nulla di diverso da quello di Mosca, due Stati borghesi la cui prima funzione è mantenere la sottomissione del proletariato. Ovvio che non piangiamo sulla borghesia libera infranta e sulla democrazia violata. Che lo Stato borghese mantenga la maschera democratica o scopra il volto fascista, il suo contenuto resta immutato, la dittatura della borghesia sulla classe operaia.
Difendere
l’autodeterminazione?
Altro imbroglio proviene da “sinistra”:da una parte si santifica la “resistenza” di un popolo” all’invasore; dall’altra la lotta per l’indipendenza” del Donbass.
In realta per il proletariato sia di Ucraina sia del Donbass e del tutto indifferente che i loro padroni parlino il russo o l’ucrainoo, siano affiliati a una banda nazionale di capitalisti o all’altra. La merce forza lavoro,come tutte le merci, non ha patria. Come il capitale, del resto. Il quale, da entrambi i lati, vorrebbe asservire la classeo peraia in divisa militare a combattere “fino all’ultimo uomo”, per dissanguare in una lunga guerra, il socio ma concorrente nel commercio mondiale.
Al conflitto in Ucraina partecipano anche formazioni anarchiche, schierate contro l’aggressione russa, a ulteriore conferma del ruolo controrivoluzionario svolto dall’anarchismo che, del tutto incapace di decifrarele forze storiche, come nella Spagna della guerra civile, finisce sempre per sostenere un fronte borghese contro un altro. Sugli anarchici e definitivo il giudiziodi Trotski: estrema sinistra della borghesia. La stessa funzione svolgono le organizzazioni della Quarta Internazionale che sostengono la resistenza ucraina.
Questi marxisti mancati invocano il dovere dei comunisti di sottomettersi al fronte patriottico in nome dell’autodeterminazione nazionale dell’Ucraina, contro l’imperialismo grande-russo. Argomento analogo avanzano i sostenitori dei “diritti nazionali” dei russofoni del Donbass, con trotskisti e stalinisti uniti nel rivendicare il diritto all’autodeterminazione del Donbass. Tale posizione ha il solo risultato di seminare il veleno dell’ideologia nazionale tra la classe operaia,deviandola dalla via rivoluzionaria. Se per il marxismo le rivoluzioni nazionali hanno rappresentato un fattore storicodecisivo per lo sviluppo piu rapido del capitalismo,e di conseguenza della piena opposizione tra la borghesia e il proletariato, facendo quindi maturare le condizioni perla rivoluzione proletaria, ormai la diffusione del capitalismo in tutto il mondo ha creato un unico spazio di dominio borghesee a tutte le latitudini il proletariato non ha piu da appoggiare alcuna rivoluzione per la formazione di Stati nazionali, ma lotta direttamente per l’abbattimento del regime borghese e per la propria dittatura. Tutti i richiami al compimento di rivoluzioni nazionali, o difesa della indipendenza diStati, come oggi si rivendica per il Donbass sono reazionari.
Si spartiscono il mercato mondiale
Le menzogne sulla guerra in Ucraina nascondono i due fatti cruciali: che la guerra in corso e un episodio del conflitto fra i massimi imperialismi per spartirsi il mercato mondiale, in una guerra di tutte le borghesie unite contro il proletariato.
Le proporzioni reali e la cornice storica in cui si inserisce la guerra in corso inUcraina travalicano i confini di questo martoriato Paese. Lo scontro in corso non riguardal’assetto dell’Ucraina ma dell’intero mondo borghese. Anche se si arrivasse au na tregua, sul modello coreano, come si ipotizza, questa sarebbe presto rimessa indiscussione dall’aggravarsi dello scontro fra imperialismi.
"Corea è il mondo” scrivevamo allora,nel 1950. Quella guerra non era da considerare « un episodio contingente o locale,un caso, un deprecabile incidente», ma si trattava di «una fra le tante, e certo tra le più virulente manifestazioni di un conflitto imperialistico che non ha paralleli né meridiani, ma si svolge sul teatro di tutto il mondo, nei limiti di tempo internazionali dell’imperialismo» (“Prometeo” n.1).
La stessa valutazione vale oggi per la guerra in Ucraina. Anche se per ora si li combatte, gia coinvolge tutti gli imperialismi,schierati nella guerra con la massiccia fornitura di armi, la presenza sul campo di consiglieri militari, il via libera all’impiego di truppe mercenarie, le misure da guerra economica, e rappresenta solo l’inizio di uno scontro di vasta portata. Come allora i protagonisti non erano né i coreani del nord né quelli del sud, oggi non sono gli ucraini, i russi, i separatisti del Donbass, ma i massimi centri del capitale, che hanno dato inizio in territorio ucraino a una lotta per la ridefinizione degli assetti imperialistici europeie mondiali. La vera posta sono i rapporti di forza tra Stati Uniti, i loro alleati europei, e Russia, contro i capitalisti d’Europa,e sullo sfondo tra Stati Uniti e Cina inAsia. Siamo di fronte ad una guerra che e il frutto diretto delle contraddizioni dell’imperialismo,dei contrasti tra le maggiori potenze per una ripartizione dei mercati e delle sfere d’influenza che rispecchi i mutati rapporti di forza tra gli Stati.
Alla guerra combattuta in Ucraina si associa una generale preparazione della guerra nel mondo intero, con tutte le potenze imperialiste, di Oriente e d’Occidente, impegnate nella corsa al riarmo. La vecchia formula “burro o cannoni” e stata subito risolta in favore di ingenti investimenti in armamenti. La Germania si avvia a spendere100 miliardi in armamenti e l’Italia si impegna a raggiungere il 2% del PIL. Intanto la FAO quantifica nel 12,6% la crescita dei prezzi alimentari solo da febbraio a marzo.A milioni i proletari patiranno la fame mentre miliardi verranno spesi in armi per far strage di altri proletari!
«Dappertutto è schieramento di guerra e di difesa del regime internazionale disfruttamento del proletariato».
La propaganda di guerra oramai pervade tutta la societa borghese, e vede un vasto fronte compatto in favore della guerra composto da partiti di governo e di opposizione,da tutti i giornali e le televisioni, tutti arruolati nella mobilitazione del proletariato per il prossimo macello. La terza guerra mondiale ormai non e piu un tabù per i “generali” da salotto televisivo. Mentre in Ucraina gia si combatte nel resto del mondo si preparano i proletari alla inevitabile guerra che verrà.
Guerra alla guerra
Intanto i governi rafforzano l’apparatodi intervento economico e di repressione.Una sorta di economia di guerra si sta gi delineando per far fronte alle conseguenze della guerra economica in corso, tanto che in Europa si parla di razionamenti nei consumi energetici e di tagli alle spese sociali.
Di fronte al peggioramento delle condizionidi vita della classe operaia lo Stato borghese si fara trovare preparato con tutto il suo apparato repressivo, come gia si vede nelle proteste in Sri Lanka e in Peru, dovei governi hanno risposto con lo stato di emergenza, mentre in Iran hanno sparato e arrestato in risposta alle proteste causate dall’impennata dei prezzi alimentari.
Come gli ucraini sono i proletari di tutti i paesi le vittime predestinate del terzo macello. Mariupol, Kharkiv, Bucha, Kramatorsk,Severodonetsk e tutti gli altri nomi di localita diventate tristemente famose per le stragi e le distruzioni, di cui poco importa andare a scovare il responsabile perche il massacro della popolazione civile è inevitabile nella guerra imperialista, suonano a monito per i proletari del mondo intero. I proletari che vogliono vedere cosa il capitalismo vorrebbe riservare loro basta che volgano lo sguardo alle sorti dei propri fratelli di classe in Ucraina.
Sullo spazio ucraino, come fu su quello coreano, si condensa « l’arroventato potenziale esplosivo di un contrasto mondiale, e più che in qualsiasi precedente episodio di guerre localizzate», si proiettano «come su uno schermo tragico le forme che questo contrasto è destinato necessariamente ad assumere in tutto il mondo».
Anche oggi la guerra porta «all’esasperazione lo sfruttamento economico e politico delle masse lavoratrici, l’opera di spietata distruzione d ibeni e di forza-lavoro che è l’appannaggio storico inevitabile del capitalismo».
Ma se il capitalismo costringe i proletaria massacrarsi a vicenda, nello stesso tempo, per la logica stessa del suo sviluppo, li unifica involontariamente in un comune destino. Cosi, se l’imperialismo significa crisi e guerre, che si manifestano in tutta la loro violenza e brutalita come vediamo in Ucraina, esso apre anche alla possibilita della rivoluzione proletaria mondiale.
«La bomba atomica potrà essere o non essere usata dall’imperialismo, come strumento tecnico di guerra. Quella che l’imperialismo non potrà evitare di tirarsi addosso, per quanto grande possa apparire e sia oggi la sua strapotenza, è l’atomica della rivoluzione internazionale ed internazionalista della classe operaia».
Medvedev esprime un nazionalismo bellicista. Guarda alla “decadenza dell’Occidente”, ignorando che il mondo che afferma di combattere l’ha anche dentro casa, nella Santa Madre Russia, giunta al massimo stato di putrefazione borghese. La decadenza, la degenerazione e di ogni capitalismo, seppure coonestata dagli eroici valori patriottardi di ogni “cultura” e “civilta”.
La mobilitazione bellica si alimenta anche cosi: un capo abbrutito dal culto della patria, rilascia affermazioni paranoiche per convincere i russi che i nemici vogliono distruggerli. La scaltra eco dei media di qua della cortina di ferro ripete “l’orso (medved in russo) vuole uccidere tutti gli occidentali”!
Anche questo veleno propagandistico e frutto della collaborazione fra i capitalisti della Russia e della Nato per portare avanti la loro infame guerra contro i lavoratoridi ogni paese.
Dal marzo di quest’anno, lo Sri Lanka e sprofondato nella peggiore crisi economica e sociale dalla sua indipendenza, nel 1948, con la maggior parte della popolazione, piccola borghesia e proletariato, che ha ingaggiato una violenta lotta contro lo Stato borghese.
Il movimento di lotta, in assenza del partito comunista a influenzarlo e dirigerlo, ha individuato quale responsabile della crisi la famiglia Rajapaksa al potere, con annessi nepotismo e corruzione.
Ma naturalmente le cause vanno al di la di queste persone. La sostituzione dei governi e dei capi di Stato entro il quadro del regime borghese, ad esempio con l’insediamento di un governo di “potere popolare” - parola d’ordine di gran parte della sinistra borghese e dell’opportunismo della regione - non possono intaccare la vera causa della crisi, che risiede nel capitalismo entrato nella sua fase di decadenza e di agonia.
Solo l’azione rivoluzionaria del proletariato – possibile unicamente se guidato dal suo partito – volta a rovesciare lo Stato borghese e instaurare la dittatura proletaria, puo risolvere i problemi causati dal capitalismo, distruggendolo.
Invece gli economisti borghesi, l’opposizione borghese e l’opportunismo definiscono la crisi conseguenza non delle contraddizioni intrinseche del capitalismo ma della cattiva gestione della sua economia.
La crisi economica
Lo Stato dello Sri Lanka da anni si trova in una situazione precaria. Il suo debito tra il 2010 e il 2020 e raddoppiato ed entro fine anno dovra pagare 4 miliardi di dollari di interessi, in buona parte all’imperialismo cinese, che ha messo le mani sul paese, come mostrato dalla vicenda del porto di Hambantota, dato in concessione a Pechino per 99 anni.
Lo “tsunami pandemico” ha aggravato ulteriormente le condizioni dell’economia del paese, in particolare a causa del crollo del turismo, tra i piu importanti settori economici per l’isola, ma non solo.
Per cercare di limitare il prosciugamento delle riserve di valuta straniera, durante la pandemia il governo ha vietato ogni importazione di fertilizzanti. Cio ha concorso a determinare una drastica riduzione della produzione agricola, imponendo l’aumento delle importazioni, diminuendo cosi le riserve che si volevano preservare.
Tale decisione era stata parzialmente revocata nel novembre scorso, dopo proteste dei contadini, ma l’approvvigionamento di fertilizzanti, come di altre merci, procede con estrema lentezza, complice la scarsa disponibilita di carburante e il vertiginoso aumento dei prezzi. A meta aprile il regime di Colombo ha annunciato il default, ovvero di non riuscire a rimborsare quella parte del debito alla scadenza, sia obbligazioni sia prestiti bilaterali ottenuti da governi e istituzioni internazionali.
Lo Sri Lanka, per la sua posizione strategica sulle rotte nell’oceano indiano, e appetito dagli imperialismi regionali e mondiali. Tra i vari emergono – oltre alla Cina – India, Giappone e Stati Uniti.
L’India ha concesso a Colombo una linea di credito di oltre un miliardo di dollari, che verranno utilizzati per comprare carburante, alimenti e medicinali. Il governo cingalese ha dichiarato che i prestiti indiani non sarebbero soggetti a condizioni, ma è difficile crederlo. New Delhi si propone come uno degli attori principali in questa crisi, pronta a offrire un sostegno economico allo Stato cingalese pur di allentare il suo abbraccio con la Cina.
In compenso la democratica India condanna alla condizione di illegalita migliaia di emigrati che a bordo di pescherecci fuggono dall’isola approdando nel Tamil Nadu, la punta meridionale dell’India, che gia lo scorso anno ospitava oltre 100 campi profughi per i rifugiati srilankesi, quasi tutti di etnia tamil. Il governo dello Sri Lanka è anche in trattativa col Fondo Monetario Internazionale per la ristrutturazione del debito. L’accordo dovrebbe comprendere le consuete privatizzazioni, tagli allo Stato sociale e, anche se non scritto, l’allineamento agli interessi imperialistici degli Stati Uniti.
Il movimento popolare
Le classi inferiori dell’isola, proletaria e piccolo-borghesi, sono in movimento da inizio 2021, quando il governo istituì il coprifuoco e dispiego oltre 20.000 soldati nelle scuole, giustificandolo col confinamento sanitario per la tutela della salute pubblica dalla pandemia di Covid 19.
Secondo l’Unicef gia allora il reddito delle famiglie era diminuito del 37% nelle citta e del 30% nelle campagne.
L’opposizione borghese di sinistra, compresi i vertici dei sindacati di regime e i capi nazionalisti tamil, hanno appoggiato questa militarizzazione e l’imposizione del governo di continuare a lavorare nelle fabbriche e negli uffici, in nome della “ricostruzione dell’economia nazionale”, in patente contraddizione con le misure di confinamento sanitario. In risposta molti lavoratori scioperarono: scuola, ferrovie, abbigliamento, petrolifero e piantagioni di cocco. A novembre gli insegnanti erano in sciopero da 4 mesi contro la militarizzazione della scuola e per le proprie condizioni di lavoro.
Nello stesso mese iniziava ad aumentare il prezzo del gas.
Gli scioperi dei ferrovieri si sono intensificati e a dicembre si sono aggiunti quelli degli operatori sanitari, in quasi 1.500 strutture. Poco prima dell’inizio delle proteste, nel marzo di quest’anno, a febbraio c’è stata una seconda ondata di scioperi in oltre 500 strutture sanitarie. Il governo ha risposto dichiarando gli scioperi illegali, ma i lavoratori hanno ugualmente risposto con nuovi scioperi a marzo.
Peggiorato ulteriormente il quadro delle condizioni di vita per le conseguenze economiche della guerra in Ucraina, a marzo sono esplose le proteste.
L’incremento nei costi di importazione del petrolio ha portato a razionamenti nella vendita di beni alimentari, carburante e dell’erogazione di energia elettrica, interrotta sino a 7 ore al giorno.
Il 5 aprile il governo ha decretato lo stato di emergenza. Nonostante le spontanee lotte operaie, il primo mese di proteste è passato senza che le dirigenze dei sindacati, apertamente borghesi od opportuniste, abbiano chiamato i lavoratori a scioperare per i loro obiettivi, approfittando della volonta di lotta delle masse.
Il movimento quindi ha mantenuto un carattere interclassista, coi lavoratori mescolati alla piccola borghesia e – privi delle loro organizzazioni di lotta sindacale e politica – accodati alle confusionarie rivendicazioni delle mezze classi. Finalmente, il 28 aprile, una coalizione di un migliaio di sindacati ha convocato uno sciopero generale, ma di un solo giorno. In un contesto di tale sommovimento delle masse lo sciopero generale avrebbe dovuto essere convocato senza stabilirne anticipatamente la durata, precisando i suoi obiettivi e preparando i lavoratori allo scontro col regime borghese e le sue forze di sicurezza.
Lo sciopero ha avuto un’adesione massiccia, confermando la volonta dei lavoratori di lottare. Ma le dirigenze sindacali hanno cercato di deviare la lotta dai suoi binari rivendicando, invece che i bisogni economici immediati, aumenti salariali e salario ai lavoratori disoccupati, degli obiettivi politici che rientrano nel quadro delle alternative borghesi, quali le dimissioni del presidente e del primo ministro e la formazione di un governo di coalizione tra tutti i partiti politici.
Il 5 maggio il primo ministro ha rassegnato le dimissioni. Le manifestazioni e gli scontri hanno costretto lui e la sua famiglia ad abbandonare la residenza e la capitale. Il giorno successivo il governo ha nuovamente proclamato lo stato di emergenza.
Il 9 maggio – dopo due mesi di proteste e di scontri – il governo ha organizzato una massa di suoi sostenitori e di sottoproletari prezzolati per aggredire i manifestanti. Come sempre il regime borghese quando non riesce a reprimere le masse in rivolta coi metodi legali ricorre a metodi extra-legali.
Nonostante decine di vittime il movimento non si e ancora placato.
La classe operaia anche nello Sri Lanka – come in Iran, anch’essa in rivolta – deve ricostituire i propri organi di lotta sindacale di classe in modo che, quando si trovi in una crisi di questo tipo, possa difendersi, fino a prendere l’offensiva rivoluzionaria. Cio sara possibile solo col suo partito, il Partito Comunista Internazionale.
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Le violente proteste di massa in cui i proletari affrontano le forze di repressione del regime capitalista chiamato Repubblica Islamica, da tempo non sono piu episodiche in Iran, un paese con tassi di inflazione estremamente elevati in cui la maggior parte dei lavoratori vive gia in povertà.
Questa volta è stato l’aumento dei prezzi delle medicine, della benzina e soprattutto del grano a scatenare quella che e stata definita la protesta alimentare.
Queste agitazioni hanno un retroterra nei movimenti di protesta e di lotta operaia degli anni passati, cui il nostro partito ha prestato sempre molta attenzione: “Il comunismo e il proletariato in Iran non hanno alleati all’interno dei confini nazionali” (Il Partito Comunista n.336); “Dove il proletariato si ribella” (n.387); “La recente rivolta proletaria in Iran” (n.389); “Iraq-Iran-Giordania potrebbe esplodere il dopoguerra sociale” (n.390); “Situazione sociale in Iran” (n. 396); “Iraq e in Iran sommovimenti duramente repressi” (n.398); “Provocazioni militari per sviare la ribellione dei proletari iraniani” (n.399).
Lavoratori in prima linea
I movimenti di massa che hanno attraversato l’Iran nel 2018 e 2019 si sono distinti dal movimento del giugno-luglio 2009. Quello scaturi da presunti brogli elettorali e vide protagoniste le mezze classi, l’intelligenza, gli studenti, la cosiddetta societa civile, ebbe quale teatro principale il centro di Teheran e nuclei organizzativi le universita e le moschee. Non fu accompagnato da scioperi, coi lavoratori che rimasero a guardare.
Questi movimenti, pur conservando ancora un carattere interclassista –in ragione del fatto che il proletariato in Iran non e riuscito ancora a darsi organizzazioni sindacali di classe ne e collegato col suo partito –hanno visto la partecipazione delle masse proletarie delle periferie dei grandi centri urbani, fra cui molti giovani.
Conferma della decisiva partecipazione del proletariato a questi movimenti di lotta e stata data dalle ragioni delle proteste: i bisogni economici; dal teatro delle manifestazioni: le periferie urbane; dall’aver coinvolto un ampio numero di centri urbani, dai numerosi scioperi, dagli edifici presi di mira dalle sommosse quali commissariati di polizia, sedi delle milizie islamiche dei pasdaran e dei basiji, banche delle fondazioni islamiche.
Sono questi caratteri che hanno tenuto alla larga una parte degli strati sociali protagonisti del movimento del 2009 e che li hanno fatti ignorare dalla stampa borghese internazionale, tanto solerte nel trascurare quanto piu possibile ogni movimento che non sia espressione di una frazione della borghesia e a svalutare ogni espressione di bisogni economici non riconducibile nell’alveo delle logore idealita borghesi.
Nell’autunno del 2019 si ebbe l’apice di quelle proteste con la repressione statale del regime capitalista iraniano che uccise 1500 manifestanti.
L’estate del 2020 ha visto diversi settori del lavoro iraniani indire scioperi significativi per le loro condizioni di lavoro e di vita. I lavoratori dei comuni, degli ospedali, dei giacimenti di petrolio e gas, delle fabbriche di macchinari pesanti, delle acciaierie, delle centrali elettriche, degli zuccherifici e delle miniere sono stati tra coloro che hanno partecipato a questi significativi scioperi.
Il movimento si diffuse in circa 50 stabilimenti in tutto l’Iran, la piu grande ondata di scioperi degli ultimi tre decenni. Tuttavia non riuscì a durare e ottenne solo alcune piccole conquiste in alcuni luoghi di lavoro, per spegnersi con una serie di scioperi isolati durante l’autunno.
Nell’estate del 2021, i lavoratori del petrolifero e petrolchimico sono scesi in piazza da soli, ma in numero molto maggiore rispetto al passato. In meno di un mese, lo sciopero si è esteso a piu di 100 impianti e campi e vi ha partecipato la stragrande maggioranza dei lavoratori del settore. La repressione e i licenziamenti non sono stati sufficienti a porre fine allo sciopero.
Rifiutando di organizzarsi nei Consigli Islamici del Lavoro (Shora-ye Eslami) e in altre organizzazioni sindacali legate al regime, gli scioperanti hanno coordinato le loro attivita con un Consiglio Organizzativo dei lavoratori degli appalti petroliferi, composto da lavoratori combattivi e militanti sindacali. Sebbene abbiano cercato di portare avanti lo sciopero per mesi, non sono riusciti a evitare che il movimento subisse lo stesso destino di quello dell’anno precedente, senza ottenere alcun risultato significativo.
Coi loro limiti, le lotte del 2020 e del 2021 sono state importanti per la classe operaia iraniana e saranno ricordate per anni, se non decenni a venire, dai lavoratori combattivi di quel paese e non solo.
Le proteste del 2022
A febbraio, migliaia di insegnanti in tutto il paese hanno scioperato per un giorno, dopo tre giorni consecutivi di proteste. Il Primo Maggio quasi 40 di loro sono stati arrestati, molti del Coordinamento che guidava la mobilitazione. Anche gli autoferrotranvieri hanno scioperato. Lo stesso giorno, il governo iraniano ha interrotto il sostegno ai sussidi per diversi prodotti di base importati, soprattutto alimenti essenziali come olio da cucina, uova e latte.
Nonostante la promessa del Presidente Raisi che «i prezzi del grano, delle medicine e della benzina non aumenteranno in nessuna circostanza», a breve termine si sono moltiplicati per 5, fenomeno aggravato dall’aumento dei prezzi del grano causato dalla guerra in Ucraina, e il prezzo della farina e salito a 160.000 rial dalla media di 27.000 rial.
Le proteste sono iniziate nella provincia del Khuzestan, ricca di petrolio, dove in almeno un’occasione la polizia ha sparato sui manifestanti e i negozi di cereali sono stati saccheggiati.
Dal 12 maggio il movimento si e diffuso al di fuori della provincia. Sono seguite manifestazioni in grandi citta come Teheran, Tabriz e Isfahan, 19 citta e una decina delle 31 province. Le vittime della repressione statale per ora sarebbero sei.
I media borghesi si sono affrettati a riportare non solo gli slogan contro l’ayatollah Khamenei e il presidente Raisi, ma soprattutto quelli a favore di Reza Shah, il brutale monarca filo-occidentale dell’Iran che fu rovesciato nel 1979. Quest’ultimo slogan, insieme al fatto che strati sociali diversi dalla classe operaia sono colpiti dalla crisi alimentare in Iran, farebbe pensare che le attuali proteste abbiano ancora un carattere interclassista. Sicuramente, sia la borghese opposizione interna, sia soprattutto le sue numerose organizzazioni in esilio e fuorilegge cercheranno di utilizzare questo movimento per estendere la propria influenza nel Paese.
Tuttavia, il carattere interclassista del malessere non deve nascondere il fatto che e il proletariato iraniano, piu di tutti gli altri settori della societa, a subire gli effetti devastanti della crisi alimentare nel paese.
I lavoratori iraniani devono cogliere questa occasione per difendersi dalla crisi alimentare attraverso le loro azioni di lotta sindacali e costituendo a tal scopo apposite organizzazioni, i propri sindacati di classe, indipendenti dall’influenza dei partiti borghesi, e al di fuori e contro i sindacati del regime.
In questa lotta non potranno che collegarsi col loro partito, il Partito Comunista Internazionale, erede dell’Internazionale Comunista a cui apparteneva il primo Partito Comunista dell’Iran.
Domenica 5 giugno si e svolto in Kazakistan un referendum per riformare la costituzione per circa un terzo dei suoi articoli. L’operazione e stata presentata dal regime borghese kazako come volta a “modernizzare” il paese nonche a privare l’ex presidente Nursultan Nazarbayev dei poteri che si era assicurati. Degli 11 milioni di aventi diritto al voto, si e recato alle urne il 68%, e di questo –come previsto –il 77% ha approvato la riforma.
Si e trattato di una manovra di facciata con la quale la borghesia cerca di rifarsi una verginita e calmare le tensioni sociali, dopo che a inizio gennaio ha represso nel sangue la rivolta della masse –soprattutto proletarie –scaturita a seguito dell’innalzamento del prezzo del gas (vedi “Il Partito Comunista” 414) e diretta contro i privilegi delle classi dominanti. Le vittime della spietata repressione furono oltre 230, 4.600 i feriti e migliaia gli arrestati.
Leggiamo da “Domani” del 6 giugno: «La riforma non risolvera tutti i problemi del paese ma è un primo passo” dice Bulat Sarsenbayev, direttore del centro Nazarbaev per il dialogo fra fedi e civilizzazioni, un istituto parastatale (...) Dobbiamo partire da quanto di buono fatto finora: nei primi trent’anni il governo ha saputo garantire crescita economica e pace sociale».
Il massacro di 16 operai in sciopero della Ozenmunaigas, avvenuto nel 2011 nella citta di Zhanaozen, uccisi dal piombo della polizia, e gli ultimi di inizio anno evidentemente per questo bell’esempio di riformatore non sminuirebbero “quanto di buono” fatto dal regime borghese kazako nei suoi primi 30 anni.
La pace sociale – al di fuori della ristretta cerchia di potenze imperialiste dominanti il mondo, in cui e stato possibile per la borghesia ottenerla concedendo qualche briciola dei suoi extra profitti all’aristocrazia operaia – e fondata sul sangue dei proletari, di cui sono sporche le mani chi oggi scrive le riforme.
Lo stesso articolo afferma: «Le proteste di gennaio, iniziate per l’aumento del prezzo della benzina (…) si erano trasformate in una guerriglia di misteriose bande armate ». Si intende cosi dare affermare che il proletariato sarebbe incapace di rispondere alla repressione armata dello Stato borghese lo vuole solo vittima o strumento nelle mani di terroristi o banditi.
Invece, i video delle manifestazioni mostravano chiaramente che i manifestanti prendevano ai poliziotti scudi, manganelli e fucili, cercando in qualche modo di armarsi, come è stato confermato dal rapporto del Comitato per la sicurezza nazionale del Kazakistan, il quale poche settimane fa ha affermato di aver sequestrato appena armi, granate e munizioni. Evidentemente si è trattato di una rivolta spontanea e i proletari non hanno avuto la possibilita né il tempo di impossessarsi di un efficiente armamento.
Le condizioni di vita dei proletari kazaki non cambieranno certo con queste riforme di facciata. Solo la lotta, sindacale e politica, sara in grado di difenderli dall’aggravarsi della crisi economica del capitalismo mondiale e dalle conseguenze della guerra imperialista che si combatte in Ucraina, che si fanno sentire anche in Kazakistan e che gia hanno determinato movimenti di massa nello Sri Lanka e in Iran.
Il proletariato kazako che ha dato una esemplare prova di combattività e coraggio nelle giornate di gennaio, saprà ricostruire i suoi organismi sindacali di classe e ricollegarsi al suo partito, e combattere, assieme ai lavoratori degli altri paesi, per i suoi interessi economici e politici, facendo piazza pulita di tutte le false alternative della classe dominante!
La presidente della Bce Christine Lagarde si preoccupa per l’inflazione e annuncia che per il 2022 si prevede un aumento dell’indice medio dei prezzi del 6,8%. Poi aggiunge che prima della fine del 2024 non sara possibile tornare al tasso di inflazione programmato del 2%, l’unico compatibile con la cronicizzazione pluridecennale della crisi capitalistica e il solo che permetterebbe di evitare alla patologia di sfociare in fasi di particolare acuzie.
Allora ecco che la macchina della concertazione sociale composta dalla borghesia, dal suo Stato e dai sindacati collaborazionisti, propone con un baccano mediatico un diversivo per sopire le ansie dei lavoratori, che vedranno assottigliarsi il già magro potere d’acquisto della loro busta paga. Esce così la truffaldina proposta del cosiddetto “salario minimo” il cui scopo proclamato sarebbe cancellare i contratti piu sfavorevoli, con paghe orarie abbondantemente al di sotto degli otto euro, ma il cui scopo reale è quello di fuorviare l’attenzione dal fatto che anche i salari piu alti previsti dai contratti non saranno in grado di proteggere il potere d’acquisto dei lavoratori dai morsi dell’inflazione.
Infatti la proposta del salario minimo serve proprio a mettere in secondo piano quello che il governatore della Banca d’Italia Visco e il presidente del Consiglio Draghi hanno detto a chiare lettere: non si deve permettere ai salari di seguire l’andamento dell’indice dei prezzi.
E invece interesse dei lavoratori, non solo far recuperare pienamente a tutti i salari quanto perduto in termini di potere d’acquisto a causa dell’inflazione, ma che essi, attraverso la lotta di classe, crescano ulteriormente, al fine di riappropriarsi di almeno una parte del crescente plusvalore estorto dalla classe sfruttatrice.
Nella discussione concertata fra le parti sociali sul tema si affaccia anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, al quale non difetta la sicumera piu sfacciata nel pronunciare solenni bugie. Leggiamo nella sua intervista pubblicata sul Corriere della Sera dell’8 giugno: «Il salario minimo in genere c’e dove le paghe orarie sono basse. Non è il caso dei contratti nazionali firmati da Confindustria. Per il salario minimo si parla di 9 euro lordi l’ora, mentre in quelli firmati da Confindustria anche le qualifiche basse prevedono cifre superiori ».
Il presidente di Confindustria fa finta di non sapere che l’associazione degli industriali di cui è a capo ha firmato eccome contratti che prevedono paghe orarie sotto la soglia dei 9 euro lordi l’ora. Ad esempio quello delle imprese multisevizi di pulizie firmato il 21 luglio del 2021 dai sindacati di regime e dalle associazioni degli imprenditori prevede un salario minimo che arrivera a 7,53 euro l’ora lorde a regime nel 2024. Fra i firmatari ci sono l’Anip Confindustria, la Legacoop Produzione e Servizi, la Confcooperative Lavoro e Servizi, la Agci Servizi Lavoro e l’Unionservizi Confapi, fra i sindacati di categoria Filcams CGIL, Fisascat CISL e UILTrasporti. Da non trascurare che questo contratto infame e arrivato dopo ben otto anni di vacanza contrattuale.
NNel gioco delle parti per sfruttare meglio e per imbonire i lavoratori la Confindustria si mostra poco proclive ad adottare il salario minimo.
Poi se lo facessero (e noi crediamo che non lo faranno) il salario minimo penalizzerebbe il grosso della classe operaia, imponendo di fatto contratti di categoria di poco superiori al salario minimo, molto al di sotto del salario medio. Resta un fatto per ora certo: la discussione sul salario minimo fra le cosiddette “parti sociali” e una messinscena mediatica al fine di fare ingoiare ai proletari il boccone amaro di una drastica perdita del potere d’acquisto dei loro salari. Inutile dire che la loro democrazia accorda ai capitalisti il diritto alla menzogna sulla pelle dei lavoratori e concede alla borghesia il monopolio della macchina mediatica per imporla come verita assoluta e certificata.
Pagina di impostazione programmatica e di battaglia del Partito Comunista Internazionale |
Questo il volantino del partito distribuito dai nostri compagni a Roma, Firenze, Genova, Torino e Milano.
Lo sciopero nazionale e generale promosso da tutti i sindacati di base è un primo importante passo verso l’organizzazione della lotta della classe lavoratrice contro la guerra imperialista.
Questa guerra oggi si combatte per procura in Ucraina, come prima è stata combattuta in Iraq, nei Balcani, in Afghanistan, in Siria, e – in un futuro sempre più prossimo – finirà per coinvolgere i lavoratori di tutti i paesi, se non sarà la classe lavoratrice a impedirlo, l’unica che può farlo.
Questo sciopero è importante perché è la prima azione nazionale promossa da organizzazioni dei lavoratori che rompe col clima di disciplinamento sociale, imposto dal regime borghese in Italia e in tutti i paesi, al fine di imporre la guerra ai lavoratori, inondandoli con ideologie nazionaliste, patriottarde, militariste, resistenziali, partigiane.
Questo sciopero è un’azione contro la nuova guerra imperialista mondiale che i regimi borghesi stanno preparando sotto i nostri occhi, con cui vogliono salvare i profitti di industria e finanza, cioè il loro privilegio sociale e dominio politico, al prezzo di milioni vite.
Questo sciopero è importante perché è messo in atto mentre i sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil) tengono i lavoratori immobili, non indirizzando il loro istintivo rifiuto della guerra verso alcuna azione di lotta.
Questo sciopero è importante perché – nonostante i tentennamenti, i tatticismi, gli attendismi opportunistici di diverse dirigenze – ha visto infine aderire unitariamente tutti i sindacati di base. Esso può e deve essere il primo passo di una campagna unitaria – con manifestazioni e assemblee dentro e fuori i posti di lavoro – per la costruzione di un vero sciopero generale contro la guerra, che allarghi l’unità d’azione a tutto il sindacalismo conflittuale, coinvolgendo anche i gruppi di lavoratori combattivi ancora inquadrati nei sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil) e le aree conflittuali entro la Cgil.
Infine, questo sciopero è importante perché può e deve essere d’esempio per i lavoratori di tutti i paesi, affinché facciano lo stesso e si miri all’obiettivo di uno sciopero internazionale contro la guerra.
Le vittime della guerra in corso sono i lavoratori in Ucraina e i soldati ucraini e russi costretti a combattere – ad ammazzare e a farsi ammazzare – dai rispettivi regimi e fronti imperialisti. Ma la guerra sta colpendo anche i lavoratori di tutto il mondo, con l’aumento dei prezzi e delle spese militari.
Per frenare la crescita del prezzo del grano il governo borghese d’India – un paese di 1,4 miliardi di abitanti – ha bloccato le esportazioni di cereali. Ciò aggraverà l’aumento del loro prezzo sul mercato internazionale. Già sono in corso potenti rivolte in Sri Lanka e in Iran. I peggioramenti nelle condizioni di vita travolgeranno nei prossimi mesi i lavoratori di tutto il mondo come una valanga.
Questo mentre la guerra fa fare a industriali e finanza enormi profitti. In Italia i maggiori gruppi – Eni, Leonardo, Fincantieri – macinano enormi guadagni e sono tutti di proprietà statale. Lo Stato borghese italiano è il primo a guadagnare dalla guerra!
Per questo i lavoratori devono prepararsi a lottare in difesa delle loro condizioni di vita, per impedire che i costi della guerra borghese siano fatti pagare loro. Lottare per non pagarne i costi è per i lavoratori il primo atto del loro disfattismo nella guerra borghese, cioè del rifiuto a combattere, il solo mezzo per impedire di pagarla al prezzo della vita.
In tutti i paesi i lavoratori sono oppressi da regimi della classe capitalista, anche in quelli che hanno usurpato il nome “socialista” – Cina, Vietnam, Corea del Nord, Venezuela, Cuba – e in quelli cosiddetti democratici. I lavoratori non hanno nulla da difendere nel capitalismo, compreso la democrazia che serve solo a mascherare il regime dittatoriale del capitale. Per questo non hanno una patria da difendere – come spiega il marxismo fin dal Manifesto dei Comunisti del 1848 – ma da conquistare il potere politico con la loro rivoluzione internazionale seguendo la parola d’ordine: “Proletari di tutti i paesi unitevi!”
Lo sciopero generale “contro la guerra e l’economia di guerra” – come è stata titolata la giornata di lotta dalle organizzazioni sindacali promotrici – è stata una piccola quanto doverosa azione di condanna della guerra da parte della classe operaia, di fatto rappresentata in Italia esclusivamente dal sindacalismo conflittuale.
Ci risulta infatti essere, al momento, l’unica organizzata dai sindacati in Europa, e ciò ne accresce l’importanza, facendone un esempio per i lavoratori e per il sindacalismo di classe di tutti i paesi.
Non ha potuto essere un vero sciopero generale – cioè una mobilitazione di grande masse lavoratrici capace di bloccare la produzione e la circolazione delle merci e servizi – per la debolezza del sindacalismo conflittuale e per la forza d’inerzia di decenni di imposta passività delle masse lavoratrici.
Questo conflitto – pur ancora una guerra imperialista per procura, come quelle del passato più o meno recente in Iraq, Balcani, Afghanistan, Siria – segna una tappa di avanzamento decisiva verso un terzo conflitto mondiale, nel quale le potenze imperialiste si confronteranno direttamente, coinvolgendo i lavoratori di tutti i paesi del mondo.
Questa terribile prospettiva è nascosta con cura ai lavoratori dai regimi politici della classe dominante, con l’obiettivo di farli arrivare alla guerra impreparati, illusi fino al giorno prima che non possa accadere. In questa azione la borghesia è coadiuvata, in modo per essa vitale, dai sindacati di regime (in Italia Cgil, Cisl e Uil) che tengono immobile la classe operaia, cullandola nella illusione che nulla di così tanto grave possa davvero arrivare.
Invece, gli effetti economici che la guerra sta producendo, e che già hanno iniziato a colpire i lavoratori, sono in marcia e arriveranno a dispiegare pienamente i loro effetti nei prossimi mesi.
In secondo luogo la propaganda del regime borghese italiano, schierato con l’imperialismo statunitense, si sforza di far credere ai lavoratori che la colpa della guerra sia l’aggressore di turno – in questo caso l’imperialismo russo – rimanendo così alla superficie del problema, non ravvisando in questo conflitto uno scontro fra imperialismi, che si combatte oggi sul territorio ucraino, a spese di quella popolazione, e nascondendo come la guerra maturi dal sottosuolo delle contraddizioni dell’economica capitalista e non sia provocata dallo Stato che per primo decide di passare all’azione militare.
Anche questa errata convinzione è puntellata fra i lavoratori dalla sinistra borghese e dall’opportunismo, che condividono la menzognera ideologia della classe dominante circa la possibile coesistenza pacifica fra gli Stati, secondo la quale il naturale incedere del capitalismo sarebbe quello della pace, sancito da regole di coesistenza fra i paesi, che solo politiche retrive e uomini folli verrebbero a interrompere. Quindi per “impedire la guerra” sarebbe necessario combatterla, e vincere quei paesi in cui tali politiche hanno prevalso.
Questa erronea convinzione accomuna tutti coloro che si schierano da una parte del fronte della guerra fra Stati capitalisti, siano antiamericani o antirussi: sarebbe sempre solo uno Stato o un fronte di Stati la causa della guerra, non il capitalismo in sé.
Infine, un terzo elemento che oggi frena i lavoratori dall’aderire a uno sciopero contro la guerra è la menzogna, diffusa da tutti i borghesi e opportunisti, di una sua presunta debolezza come classe nella contesa sociale, e in particolare di fronte ad un problema così grande.
Ciò premesso, anzi proprio per questo, era ed è necessario e doveroso da parte del sindacalismo conflittuale promuovere un’azione sindacale contro la guerra imperialista, per combattere tutti questi fattori che lasciano i lavoratori indifesi di fronte al suo maturare e avanzare, e per dare forza all’istintivo rifiuto della guerra da parte della classe lavoratrice, seguendo quella sua parte che già ha maturato la consapevolezza della gravità di questa guerra, di come il vero aggredito non sia lo Stato che subisce l’attacco, ma tutta la classe lavoratrice internazionale e di come solo la sua lotta potrà impedire o fermare la guerra imperialista.
Il fatto che tutto il sindacalismo di base si sia infine risolto ad aderire alla giornata di sciopero e di mobilitazione è stato perciò un risultato molto positivo.
Tuttavia, nella preparazione dello sciopero, alle difficoltà sopraindicate e già di per sé gravose, si sono aggiunte le manchevolezze prodotto dell’opportunismo delle dirigenze dei sindacati di base.
La prima azione pubblica per preparare lo sciopero è stata l’assemblea nazionale svoltasi a Milano il 9 aprile, promossa da Cub, Sgb, Adl Varese, Usi Cit, Unicobas. In essa aveva dichiarato l’adesione allo sciopero il SI Cobas, ma non l’Usb e nemmeno la Confederazione Cobas. La mancata completezza del sindacalismo di base nell’aderire allo sciopero si è ripercossa sulla sua preparazione.
Inoltre, da quella assemblea era scaturita la decisione di svolgere manifestazioni unitarie il Primo Maggio, incentrandole sulla propaganda dello sciopero del 20 maggio. Ma a Milano, la città in cui il sindacalismo di base è in grado di mobilitare più lavoratori, la dirigenza del SI Cobas ha fatto sfilare i propri iscritti in un corteo separato da quello promosso dalle altre organizzazioni sindacali di base. Oltre a ciò, alle diverse riunioni svoltesi per preparare lo sciopero, i dirigenti del SI Cobas non hanno mai partecipato.
Dall’altro lato, in queste riunioni un nostro compagno, intervenuto a nome del Coordinamento Lavoratori Autoconvocati (Cla), ha sostenuto la necessità di redigere una lettera di invito, pubblica e formale, a tutte gli organismi del sindacalismo conflittuale che non avevano ancora aderito allo sciopero. Quindi non solo i sindacati di base – quali Usb, Confederazione Cobas, Adl Cobas e altri – ma anche le aree conflittuali in Cgil – “Riconquistiamo tutto”, “Le giornate di marzo” e “Democrazia e lavoro” – e il Collettivo di fabbrica della ex Gkn. Questa azione non aveva un senso formale ma un significato eminentemente pratico. Sarebbe servito come argomento per condurre la battaglia a favore dell’adesione entro i sindacati che non avevano ancora aderito. Ma la maggior parte dei dirigenti delle organizzazioni sindacali promotrici dello sciopero si sono espressi contrariamente.
L’adesione dell’Usb è infine giunta, ma solo il 6 maggio. Quella della Confederazione Cobas l’11 maggio. Il 15 maggio l’area di opposizione in Cgil “Riconquistiamo tutto” ha emesso un comunicato di sostegno allo sciopero.
Queste divisioni e adesioni ritardatarie non hanno permesso una preparazione adeguata dello sciopero, seria, determinata e unitaria.
CConsiderati questi elementi – sia quelli oggettivi sia quelli frutto dell’opportunismo delle dirigenze sindacali – è stato un risultato apprezzabile la realizzazione dei piccoli cortei unitari svoltisi in diverse città – Roma, Firenze, Genova, Milano, Venezia – conferma della convinzione e determinazione di quei militanti sindacali e lavoratori che sentono la necessità di opporsi alla guerra imperialista.
Ora l’azione da condurre in seno al movimento sindacale conflittuale è battersi affinché tutte le organizzazioni sindacali che hanno partecipato a questa prima giornata di mobilitazione contro la guerra inizino un percorso per la costruzione seria e unitaria di un vero sciopero generale per le prime settimane dopo l’estate, con manifestazioni e assemblee dentro e fuori i posti di lavoro, che allarghi l’unità d’azione del sindacalismo conflittuale oltre al perimetro del sindacalismo di base, coinvolgendo i gruppi di lavoratori combattivi ancora inquadrati nei sindacati di regime e le aree conflittuali in Cgil, e permettendo una più larga partecipazione dei lavoratori, iscritti e non iscritti ai sindacati.
Firenze, domenica 15 maggio - Assemblea Gkn
Sindacalismo, classismo, interclassismo
Domenica 15 maggio si è svolta a Campi Bisenzio (Firenze) una nuova assemblea nazionale convocata dal Collettivo di fabbrica della ex Gkn. Ben organizzata, oltre trecento presenze, circa 45 gli interventi, molti quelli che non sono riusciti a parlare.
Il Coordinamento Lavoratori e Lavoratrici Autoconvocati per l’Unità della Classe – di cui i compagni del nostro partito che sono lavoratori fanno parte – è intervenuto, per ultimo, ribadendo la necessita di unire le lotte dei lavoratori e, a questo fine, del sindacalismo conflittuale, cioè dei sindacati di base, dei gruppi di operai combattivi ancora in seno ai sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil) e delle aree conflittuali in Cgil.
La linea d’azione seguita e proposta dal Collettivo di fabbrica ex Gkn, se pur afferma di voler portare un contributo anche in tal senso, va però in un’altra direzione: centrale per i suoi capi non è unire le lotte operaie e l’azione del sindacalismo conflittuale ma la lotta dei lavoratori con i movimenti “sociali”, cioè non operai e interclassisti.
Ciò è emerso, anche, dall’ordine e dalla proporzione degli interventi. Quelli sindacali hanno avuto lo stesso spazio di quelli di esponenti dei movimenti interclassisti: ecologisti, pacifisti, studenteschi, e di organizzazioni politiche, e tutti sono stati mescolati, senza una gerarchia.
L’assemblea ha quindi confermato il carattere che ha avuto la manifestazione del 26 marzo a Firenze, in cui i lavoratori, inquadrati in spezzoni sindacali o di fabbrica, erano una minoranza del corteo e mescolati in esso.
Invece, la manifestazione del 24 luglio dell’anno scorso a Campi Bisenzio – a quindici giorni dall’inizio della lotta contro la chiusura della fabbrica – aveva dato un ordine diverso, con la prima parte degli spezzoni della Cgil e dei sindacati di base, la seconda dei gruppi politici e dei movimenti interclassisti. Solo l’Usb – che aveva contribuito a quel corteo con lo spezzone più consistente del sindacalismo di base – aveva deciso di rompere quel corretto ordine, schierandosi nella seconda parte insieme allo spezzone del partito opportunista cui la dirigenza dell’Usb cerca di legare il sindacato.
Oltre che dalla voluta assenza di precedenza negli interventi nell’assemblea e fra gli spezzoni nei cortei, la priorità data all’obiettivo di mescolare le lotte operaie con i movimenti interclassisti è emersa dai contenuti degli interventi dei principali esponenti del Collettivo di fabbrica.
In quello introduttivo uno dei principali delegati ha affermato: “Classismo non e sindacalismo”. Dietro l’apparente correttezza nell’affermare che la lotta di classe non è solo quella economica ma è davvero completa quando diviene politica, si cela uno degli equivoci ricorrenti alimentati dall’opportunismo, che abbiamo tante volte visto ripetere dai dirigenti del SI Cobas.
Il passaggio dalla lotta sindacale alla lotta politica si compirebbe, secondo questo errore opportunista, passando dalla lotta sindacale difensiva in azienda direttamente –inevitabilmente in modo forzato – alla mobilitazione “per obiettivi politici”.
L’unione non avverrebbe fra le lotte dei lavoratori, in un movimento generale della classe salariata, assurgendo su questa base materiale, fisica, al superiore livello politico, bensì mescolando le lotte sindacali ai movimenti interclassisti, in un quadro di rivendicazioni “politiche”, giocoforza riformiste e opportuniste.
Se è vero che classismo non e solo sindacalismo, è certamente falso che classismo sia interclassismo! È invece corretto affermare che la lotta economica, sindacale, è il primo passo verso la lotta di classe politica, cui si giunge necessariamente anche attraverso un rafforzamento e generalizzazione della prima.
Allo scopo di portare le ancora sporadiche lotte operaie direttamente – e volontaristicamente – al superiore livello politico, il fronte fra partiti che dirige il SI Cobas promosse, insieme ad altre forze politiche, il cosiddetto Patto d’Azione, alle cui prime assemblee non a caso il delegato della ex Gkn che ha introdotto e concluso l’assemblea nazionale del 15 maggio, che qui commentiamo, partecipò, sottolineando come –secondo il suo modo di vedere –il problema prioritario era quello della costruzione di un fronte politico, foriero della formazione di un partito politico, e non di un fronte unico sindacale di classe.
Al Patto d’Azione dei dirigenti del SICobas poi il delegato della ex Gkn non aderì, crediamo perchè costituito su posizioni politiche diverse dalle sue. Per quanto nei suoi interventi introduttivo e conclusivo sembra aver voluto allontanare l’ipotesi di voler costruire –sulla scorta della vertenza contro la chiusura della ex Gkn –una forza politica, non vi è dubbio che il movimento che attorno alla vertenza è stato raccolto abbia contenuti politici ad egli più affini rispetto al Patto d’Azione.
Questa è una piccola conferma di come i fronti politici – fra gruppi e partiti operai, gli altri non ci interessano – non funzionino e siano destinati al fallimento. Dato confermato ulteriormente dal rapido epilogo dello stesso Patto d’Azione.
I diversi partiti operai necessariamente si scontrano, ed è bene lo facciano nella massima chiarezza, ma rispettando e tutelando l’unità del movimento di lotta economica, cioè sindacale, della classe lavoratrice. Questo scontro politico ha luogo in seno alla classe operaia, cioè ha per campo di battaglia il movimento sindacale. Il fronte unico sindacale di classe serve a dare forza al movimento di lotta operaia per i bisogni immediati, difensivi, sindacali, e i diversi partiti operai si devono scontrare per prendere la direzione di questo movimento.
Se per farlo, però, dividono il movimento sindacale, contando opportunisticamente di avvantaggiarsi sugli altri usando come un piccolo esercito privato il sindacato che dirigono, il risultato sarà di ritardare la rinascita e rallentare il rafforzarsi del movimento sindacale, il cui dispiegarsi in modo vigoroso e, per altro, l’unica condizione che offre la possibilita ai vari partiti operai di dimostrare sul piano pratico, nella lotta, di fronte ai lavoratori, la validità o meno dei loro assunti politici.
I problemi teorici, che – come esplicò Engels – non sono altro che i problemi pratici del domani, rimarranno invece problemi teorici se il movimento di lotta economica non matura e non si rafforza al punto dal giungere a porli sul terreno concreto.
Per cui il compito di ogni militante del sindacalismo di classe, quale che sia il suo partito politico, dovrebbe essere di adoperarsi per costruire l’unità al massimo grado del movimento di lotta difensiva, sindacale, e su questa base dimostrare ai lavoratori, nel corso dello sviluppo della loro lotta, la superiorità del proprio indirizzo politico.
L’equivoco opportunista, per cui l’elevarsi dalla lotta sindacale alla lotta politica si compirebbe passando dalla lotta sindacale in azienda direttamente alla mobilitazione per obiettivi politici, salta a piè pari tutto il fondamentale e necessario percorso di sviluppo della lotta di classe – che è quello suscettibile di elevarla davvero – che consiste nella unificazione delle lotte sindacali separate per aziende, categorie e territori in un movimento per obiettivi comuni, ancora a carattere economico, ma che, proprio in quanto il sindacale non e separabile da ciò che è politico, per la sua aumentata potenza, tende ad assurgere al superiore livello politico.
Questo errore opportunista genera almeno due danni al movimento di lotta immediata di classe.
- puntella l’idea propria del sindacalismo collaborazionista secondo cui l’azione sindacale debba svolgersi prettamente in ambito aziendale, giacché i gradini superiori da salire non sarebbero quelli di una lotta difensiva più generale e unificante la classe salariata, al di sopra delle sue fittizie divisioni, ma una lotta già non più sindacale e, abbiamo visto, non più classista, bensì popolare, cioè interclassista;
- dissipa le energie dei lavoratori più combattivi mettendole al servizio – invece che del lavoro per tessere l’unificazione delle lotte operaie – di una unificazione interclassista che non ha una base materiale –quale invece ha la lotta fra le classi – e non può che basarsi perciò su idealismi politici.
Leggiamo ancora dal documento proposto dal Collettivo ex Gkn quale base per la discussione dell’assemblea del 15 maggio: «È un patto di mutuo soccorso tra soggetti, movimenti, strutture, collettivi e realtà di base siano essi in fase di avanzamento o ripiegamento». Si conferma in pieno il terreno interclassista.
Nel movimento sindacale, di fronte a questi propositi, è da sostenere quanto di utile la lotta dei lavoratori ex Gkn e i suoi organismi – Collettivo, Rsu, assemblea – hanno fatto e faranno per la costruzione dell’unita d’azione dei lavoratori. Che non è stato poco, fino ad oggi, pur in mezzo a tanta confusione opportunista.
PAGINA 4
Il lavoro sindacale del partito in Italia da
febbraio a oggi si è concentrato prevalentemente nei seguenti rami di attivita:
- interventi diretti del partito in scioperi, manifestazioni e assemblee;
- attivita nel movimento sindacale attraverso il CLA, il Coordinamento Lavoratori
Autoconvocati, per promuovere l’unità d’azione dei lavoratori e del sindacalismo
conflittuale;
- attivita in seno all’Usb;
- analisi e commenti sul nostro
giornale di lotte operaie e del movimento sindacale, battagliando con le
correnti opportuniste in esso dominanti.
Partiamo da questo ultimo punto. Sul numero di febbraio è uscito un articolo che ha analizzato la rivolta occorsa in Kazakistan ai primi di gennaio, definendola genuinamente proletaria e salutandola entusiasticamente. Cio ha distinto il nostro partito da gran parte dei gruppi politici opportunisti e, per profondita di analisi degli accadimenti e conseguenti conclusioni, dai pochi che hanno preso posizione analoga. L’articolo è stato tradotto dai nostri compagni in varie lingue, fra cui il russo.
È stato poi redatto un articolo che ha polemizzato con le parole d’ordine delle nazionalizzazioni e di una legge contro le delocalizzazioni, entrambe avanzate dai capi del Collettivo della ex GKN, che, lottando contro la chiusura della fabbrica fiorentina, ha raccolto attorno a se un certo movimento, a carattere però piu interclassista che proletario.
A seguito di alcune manifestazioni studentesche, dovute alla morte di un giovane impiegato in una fabbrica metalmeccanica nel quadro della cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”, abbiamo affrontato il tema del rapporto fra giovani, scuola e lavoro, secondo le originali posizioni del comunismo rivoluzionario. Nostra intenzione era diffondere il testo alle manifestazioni studentesche, cosa che però non e stata possibile in quanto quel movimento è rapidamente rifluito.
Infine, sempre nel numero di febbraio, abbiamo commentato la condotta delle dirigenze del sindacalismo conflittuale, dall’indomani dello sciopero generale unitario dell’11 ottobre fino a gennaio, che aveva visto le proclamate intenzioni di proseguire il percorso unitario affondare nella consueta condotta ciascuno per se e tutti contro tutti, con cui le dirigenze opportuniste dividono il movimento di lotta sindacale.
Emblematica di cio è stata la decisione dell’Usb di allearsi, per le elezioni Rsu nel comparto Funzione Centrale del pubblico impiego, con un sindacato autonomo, corporativo, di destra, invece che con gli altri sindacati di base. Decisione, per altro, che non ha pagato in termini di voti, non avendo raggiunto l’Usb, unita con questo sindacato, la soglia della cosiddetta rappresentativita in quel comparto. Queste divisioni si sono riflesse nella condotta del sindacalismo di base di fronte all’esplodere della guerra in Ucraina, che non poteva non condizionare il corso del movimento sindacale nelle settimane successive.
Le divisioni fra i sindacati di base sono figlie in buona parte delle contrapposizioni fra i diversi gruppi politici opportunisti che dirigono queste organizzazioni. Di fronte alla guerra, nelle loro varie sfaccettature, hanno avuto non poche titubanze sull’atteggiamento da tenere, in certi casi capitolando nel tradimento aperto delle posizioni proletarie, indicando ai lavoratori di schierarsi sull’una o sull’altra parte del fronte.
Il partito, forte della dottrina marxista che ha saputo difendere in tutto l’arco storico controrivoluzionario fino ad oggi – tenendola viva col suo quotidiano lavoro teorico e pratico – ha potuto invece indicare fin dal primo giorno ai lavoratori la natura della guerra e la condotta che il movimento sindacale deve tenere di fronte ad essa.
Il 25 febbraio, secondo giorno di guerra, a Genova la Fiom provinciale indiceva in diverse fabbriche della città uno sciopero di due ore contro la guerra. Nel breve corteo, presenti circa 400 operai, i nostri compagni distribuivano un primo testo sulla guerra.
Quella sarebbe stata l’unica azione di sciopero contro la guerra promossa dalla Cgil, non solo a Genova ma in tutta Italia. La Fiom genovese, diretta da un gruppo politico che si proclama internazionalista, non solo non ha fatto niente di più, ma ha ignorato, di fatto sabotandolo, lo sciopero del sindacalismo di base del 20 maggio.
Le titubanze e le capitolazioni dell’opportunismo di fronte alla guerra imperialista – che per ora si combatte per procura in Ucraina – si sono riflesse nella condotta dei sindacati di base e del sindacalismo conflittuale nel suo complesso.
Il risultato è stato innanzitutto una mancanza di prontezza nel reagire alla guerra. La decisione di procedere alla mobilitazione dei lavoratori chiamandoli allo sciopero generale in modo unitario avrebbe dovuto essere stata presa nei giorni successivi l’inizio del conflitto. È stata invece formalizzata solo il 9 aprile, in un’assemblea a Milano, da una parte dei sindacati di base, fissando lo sciopero per il 20 maggio.
Lo sciopero è quindi giunto tre mesi dopo l’inizio del conflitto e questo – di fronte al corso della guerra e alle sue conseguenze economiche, per come si sono dispiegate sino ad oggi – è stato uno degli elementi che ha ostacolato una sua migliore riuscita.
La prima iniziativa sulla guerra da parte del sindacalismo di base è stata un’assemblea on-line promossa dal SI Cobas il 13 marzo. Con circa 150 partecipanti, ha però avuto un carattere più politico-partitico che politico-sindacale. Un nostro compagno è intervenuto indicando la necessità di una pronta azione unitaria del sindacalismo conflittuale ma è stato l’unico a esprimersi in tal senso, ad eccezione di una militante del Sindacato Generale di Base.
La dirigenza del SI Cobas ha invece indicato che avrebbe partecipato con un proprio spezzone al corteo della manifestazione nazionale del 26 marzo a Firenze, convocata dal Collettivo di fabbrica della ex GKN, e avrebbe organizzato una manifestazione del Primo Maggio incentrata sul tema della opposizione alla guerra. Tempi lunghi, quindi. Questo atteggiamento attendista e titubante di fronte a quella che è la massima forma di oppressione sulla classe operaia nel capitalismo, è stata criticata da alcuni militanti del SI Cobas.
Nel frattempo sul piano della attività in seno al Coordinamento Lavoratori Autoconvocati, è iniziata una collaborazione con un collettivo redazionale chiamato Union-net. Si sono svolte tre riunioni fra i membri più attivi del CLA e quelli di Union e ne è scaturita la prima azione comune consistita nella redazione e distribuzione di un volantino a firma congiunta nella manifestazione nazionale del 26 marzo a Firenze.
Il 21 marzo a Genova si è svolta un’assemblea organizzata dal Collettivo di
fabbrica ex GKN per propagandare la manifestazione nazionale del sabato
successivo a Firenze. Abbiamo distribuito insieme a una lavoratrice del CLA il
volantino a firma congiunta CLA-Union per la manifestazione del sabato e un
nostro compagno è intervenuto a nome del CLA:
- spiegando che la combattività
messa in campo dagli operai della GKN è stata frutto di una preparazione
sindacale di anni e di effetto moltiplicato perché volta alla costruzione
dell’unità delle lotte dei lavoratori;
- ha perciò criticato la ben scarsa
presenza dei militanti del sindacalismo di base all’assemblea, in particolar
modo dell’Usb, di cui il compagno è delegato;
- ha criticato ancora più
aspramente la completa assenza dei delegati della Fiom genovese, affermando che
essa è diretta da un gruppo politico che proclama di volersi battere per il “sindacato
europeo” ma che non presenzia coi suoi delegati sindacali nemmeno a un’assemblea
espressione di una delle principali lotte operaie in corso
organizzata da lavoratori del loro stesso sindacato;
- ha ribadito la necessità
che di fronte alla guerra tutto il sindacalismo di base e conflittuale
organizzi una mobilitazione unitaria dei lavoratori.
Sabato 26 marzo siamo intervenuti alla manifestazione nazionale a Firenze convocata dal Collettivo di fabbrica ex GKN, che ha raccolto oltre diecimila presenze, ma a carattere più interclassista che operaio, con un nostro volantino apposito.
Il giorno prima – venerdì 25 marzo – Cub e Sgb avevano inviato comunicazione alla Commissione di garanzia per uno sciopero generale il 20 maggio, volendo fissare una data onde evitare gli ostacoli posti dalla legge anti-sciopero nei cosiddetti servizi essenziali.
Il giorno dopo la manifestazione fiorentina, i cui caratteri abbiamo commentato sul nostro giornale di aprile, è stato pubblicato un comunicato da parte di Cub, Sgb, Unicobas, Usi Cit e Adl Varese per la convocazione di un’assemblea nazionale allo scopo di promuovere uno sciopero generale contro la guerra. Sono tutte piccole organizzazioni sindacali che, anche messe insieme, costituiscono una minoranza del sindacalismo di base, già di per sé debole. Tuttavia l’iniziativa andava finalmente nella direzione auspicata e invocata dal nostro partito e perciò l’abbiamo subito sostenuta entro il movimento sindacale.
Giovedì 31 marzo si è tenuto a Genova un presidio dinanzi a un varco portuale organizzato dai portuali dell’Usb, contro il traffico di armi nel porto. Ne è seguita un’assemblea, in cui i dirigenti nazionali di Usb hanno manifestato tutto il loro opportunismo e la loro falsa opposizione alla guerra. Abbiamo polemizzato con questi politicanti sul nostro ultimo giornale. Al presidio e all’assemblea abbiamo distribuito un volantino del CLA intitolato “Costruire una mobilitazione unitaria contro la guerra” in cui si affermava:
«Due importanti segnali vanno nella giusta direzione dell’unità d’azione dei lavoratori e del sindacalismo conflittuale: oggi la partecipazione del Si Cobas genovese alla giornata di lotta promossa dai portuali dell’Usb; il 9 aprile a Milano la convocazione di una assemblea nazionale unitaria, in presenza, per ora da parte di Cub, Sgb, Adl Varese, Unicobas, Cobas Sardegna, Usi Cit.
«Come CLA riteniamo che tutti gli organismi del sindacalismo conflittuale dovrebbero dare adesione e partecipare concretamente a questa assemblea e che sia dovere di tutti i lavoratori combattivi battersi affinché le proprie organizzazioni sindacali contribuiscano fattivamente a una mobilitazione unitaria contro la guerra, a cominciare dalla partecipazione all’assemblea del 9 aprile».
Il 9 aprile abbiamo partecipato all’assemblea a Milano, che ha promosso ufficialmente lo sciopero generale contro la guerra per il 20 maggio.
Un nostro compagno è intervenuto a nome del CLA sottolineando come si considerasse positiva la decisione intrapresa dall’assemblea e la volontà da essa espressa di lavorare per coinvolgere tutto il sindacalismo di base nello sciopero.
A tal proposito abbiamo sostenuto la necessità di procedere a un invito pubblico e formale a tutti gli organismi del sindacalismo conflittuale che ancora non avevano aderito allo sciopero, non solo i sindacati di base quali Usb e Confederazione Cobas ma anche le aree conflittuali in Cgil. Un invito pubblico e formale, infatti, avrebbe aiutato quei lavoratori che all’interno di quegli organismi sindacali vogliono battersi per una adesione allo sciopero, vincendo le resistenze in tal senso delle dirigenze.
Lo stesso si è fatto nelle successive tre riunioni, più ristrette, in cui abbiamo partecipato e siamo intervenuti, sempre a nome del CLA. Ma la maggioranza dei dirigenti che avevano promosso l’iniziativa dello sciopero, e che dicevano di auspicare l’adesione di tutti i sindacati di base, si è sempre opposta a questo passo formale, che in realtà è un’azione sostanziale. Quindi anche dal lato delle dirigenze promotrici dello sciopero sussistono opportunismi che ostacolano un’azione sindacale pienamente unitaria.
Lo stesso giorno, il 9 aprile, altri militanti sindacali del CLA sono intervenuti in un’assemblea regionale dell’Usb a Firenze, preparata da quel sindacato per promuovere una manifestazione nazionale che esso aveva indetto per il 22 aprile a Roma. Questa decisione era stata presa dalla dirigenza dell’Usb prima dell’inizio della guerra e senza coinvolgere nessun altro sindacato. Lo scoppio della guerra non ha cambiato il proposito della dirigenza Usb, che ha mantenuto l’impegno a promuovere la manifestazione da solo. Il CLA è intervenuto a questa assemblea regionale portandovi gli stessi contenuti espressi dal nostro compagno a Milano affermando che in ogni caso avrebbe partecipato alla manifestazione del 22 aprile, cosa che poi è stata effettivamente compiuta, unico organismo sindacale non dell’Usb a parteciparvi. Questa condotta del CLA ha dimostrato, oltre alla coerenza col principio dell’unità d’azione del sindacalismo conflittuale, anche una sua migliorata capacità d’intervento.
Il 14 aprile, a Firenze, si è svolta un’assemblea nazionale delle aree conflittuali in Cgil, che si sono accordate per presentare un documento alternativo al nuovo congresso del sindacato, il XIX, che inizierà fra poche settimane.
Le tre aree che si dicono conflittuali in Cgil sono: “Riconquistiamo tutto”, la più consistente; “Le giornate di marzo”, staccatasi dalla prima due anni fa e che di fatto è una frazione sindacale di un gruppo trozkista; “Democrazia e Lavoro”, che all’ultimo congresso non aveva presentato un documento di opposizione ma emendamenti al documento di maggioranza e che difficilmente può essere considerata davvero conflittuale.
In questa riunione sono emerse le divergenze rispetto al problema della guerra. Una minoranza dell’area “Riconquistiamo tutto”, frazione sindacale di un partito trozkista – il PCL – ha dichiarato il suo sostegno alla resistenza ucraina “qualunque sia la sua direzione politica”, in nome della “autodeterminazione dei popoli” elevata a principio assoluto, cui viene subordinata la lotta fra le classi.
Un altro gruppo trozkista, il più consistente in questa area, ha invece assunto una posizione più ambigua, dichiarandosi contro tutti gli imperialismi ma sostenendo il diritto del popolo ucraino a difendersi, appoggiando i gruppi politici di sinistra che colà si oppongono al governo.
Il gruppo trozkista che ha creato l’area “Le giornate di Marzo” definisce la guerra in Ucraina imperialista, ma senza giungere a indicare la via del disfattismo, oltre che ai proletari russi, anche a quelli ucraini.
Queste divisioni fra i gruppi politici opportunisti che dirigono le aree conflittuali in Cgil spiegano il sostanziale immobilismo dell’area “Riconquistiamo tutto” di fronte alla guerra. Quest’area dopo aver emesso un comunicato “Contro Putin, la NATO e l’invio di armi in Ucraina”, il 4 marzo, non ha più detto o fatto nulla, fino a un comunicato a sostegno dello sciopero del 20 maggio emesso il 15 maggio. Certo positivo, ma nel frattempo non ha mai partecipato alle iniziative per promuovere lo sciopero, né all’assemblea nazionale del 9 aprile né alle successive riunioni.
Queste divisioni offrono un interessante spaccato dello sgretolarsi dell’opportunismo di fronte al fatto della guerra, e alla insostenibilità dei suoi fondamenti politici.
Circa l’attività sindacale entro l’Usb, la dirigenza di questo che è il principale sindacato di base in Italia ha atteso sino al 6 maggio per dichiarare l’adesione allo sciopero contro la guerra del 20 maggio.
Pochi giorni dopo un comunicato del Coordinamento provinciale dei delegati dell’Usb Vigili del fuoco di Genova ha raccolto le posizioni internazionaliste e disfattiste della guerra borghese.
Il giorno dello sciopero contro la guerra, il 20 maggio, siamo intervenuti nelle piccole manifestazioni con un apposito volantino pubblicato in questo numero del giornale, a Roma, Firenze, Genova e Torino.
Giovedì 26 maggio, a seguito di un incidente mortale occorso all’aeroporto di Genova, l’Usb – che organizza parte dei dipendenti dell’aeroporto – ha convocato un presidio dinanzi all’aerostazione, per commemorare il lavoratore, che era un militante del sindacato, e denunciare le carenze nella sicurezza. Al molto partecipato presidio, con la presenza di delegati e iscritti dell’Usb anche di altre categorie, si è svolta una breve assemblea, con circa duecento presenti, in cui sono intervenuti dirigenti nazionali dell’Usb, il delegato Usb dell’aeroporto, uno studente dell’organizzazione giovanile dell’Usb e un dirigente locale del SI Cobas.
Un nostro compagno che lavora nell’aeroporto è intervenuto, spiegando come incidenti analoghi erano accaduti nell’aeroporto di Genova altre due volte, che la sicurezza per le aziende è un costo che riduce i profitti e che per il profitto il padronato mette in conto un certo numero di vittime operaie, oltre ai danni alla salute. Ha concluso affermando che per opporsi a questo stato di cose le denunce non bastano e che occorre invece la forza, dello sciopero, dell’organizzazione, della lotta. L’intervento è stato molto apprezzato.
Qui riportiamo il volantino pubblicato dal Coordinamento Usb Vigili del fuoco di Genova, alla cui redazione ha contribuito un compagno del partito, delegato del sindacato di quella categoria. Il volantino è stato poi firmato congiuntamente dall’Usb delle acciaierie di Cornigliano (Genova), l’ex ILVA, ora denominata Acciaierie d’Italia. Il testo riporta le corrette posizioni dell’internazionalismo proletario contro la guerra imperialista.
A Genova, nonostante la carente organizzazione dello sciopero da parte dell’Usb e della Confederazione Cobas, al quale hanno aderito all’ultimo momento senza organizzare assemblee sui posti di lavoro e nelle loro federazioni territoriali, si è riusciti a dispiegare un piccolo corteo di trecento lavoratori, che ha percorso le vie del centro cittadino. Lo spezzone piu consistente e stato del SI Cobas, che invece ha preparato la mobilitazione.
Diversi istituti scolastici hanno chiuso per lo sciopero, segno che una consistente minoranza di lavoratori della scuola sono gia avversi alla guerra borghese: con un adeguato lavoro di preparazione da parte dei sindacati e possibile costruire una mobilitazione piu ampia.
Il telegiornale regionale della RAI non ha dedicato nemmeno pochi secondi allo sciopero, come se il corteo che aveva attraversato il centro città fosse stato di fantasmi. Lo stesso è accaduto sette giorni dopo – giovedi 26 maggio – quando all’aeroporto, convocata dall’Usb, si è svolta un’assemblea di duecento lavoratori a seguito della morte in un incidente la notte precedente di un lavoratore, militante dell’Usb. L’assemblea si è poi mossa in corteo lungo un breve percorso di fronte l’aeroporto, forse per la prima volta nella storia dello scalo. Nemmeno questo è bastato perche la televisione di Stato ne accennasse sul notiziario regionale.
Il regime borghese teme l’opposizione dei lavoratori alla guerra e il loro organizzarsi nel sindacalismo conflittuale.
Usb Vvf Genova
- Usb Acciaierie d’Italia Genova
Scioperiamo
contro la guerra e l’economia di guerra
Le vittime della guerra in Ucraina – come in tutte le guerre fra potenze – sono principalmente le persone non agiate e di conseguenza i lavoratori, quelli nelle città e quelli costretti dai rispettivi governi a rimanere per combattere.
Ma questa guerra sta colpendo anche i lavoratori di tutti i paesi che già ne stanno pagando i costi, per l’inflazione nonchè per le decisioni dei governi di aumentare le spese militari.
Per anni i governi d’ogni colore hanno invocato e imposto l’austerità dettata dalle regole economiche, con la conseguenza che non ci sono più soldi per gli aumenti salariali! Non ci sono più soldi per le pensioni! Non ci sono soldi più per le assunzioni! Non ci sono soldi più per la sanita e per la scuola! ecc. ecc.
Ora nel giro di poche ore hanno trovato miliardi da spendere in armamenti.
Gli unici che possono fermare questa guerra e il coinvolgimento, come in un vortice, di tutti i paesi, compresa l’Italia, sono i lavoratori, col loro rifiuto collettivo a combattere e a pagare i costi di una guerra che giova solo alle tasche di industriali, finanza e dei loro governanti di turno.
I costi, che già abbiamo iniziato a vedere nelle bollette e nei prezzi,
diventeranno ancora piu pesanti nei prossimi mesi, peggiorando le nostre
condizioni di vita in modo sensibile. Per questo serve lo sciopero generale:
-
per impedire il coinvolgimento dell’Italia in guerra;
- per la revoca degli
aumenti delle spese militari;
- per aumentare i salari a tutti i lavoratori;
-
per dare un esempio ai lavoratori degli altri paesi affinché facciano lo stesso;
- per l’unità internazionale dei lavoratori.
Per lo sciopero generale unitario del sindacalismo di base venerdì 20 maggio
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Alla fine dello scorso febbraio la Federazione Russa è entrata in guerra contro l’Ucraina.
La particolarità di questo scontro bellico sta nel fatto che una delle potenze militari piu potenti, la Federazione Russa, è coinvolta direttamente in una guerra contro uno Stato, l’Ucraina, ai confini della Unione Europea, un centro del capitalismo mondiale, e ai confini della Nato, un’alleanza militare che ha gli Stati Uniti come socio di maggioranza.
Con la guerra la Russia intende allontanare la pressione della Nato al confine occidentale e allo stesso tempo riaffermare il suo status di potenza militare, presentando al mondo le sue Forze Armate e le sue armi e mettendole alla prova. In tutto il mondo infatti gli esperti guardano a questo nuovo massacro per valutare l’efficacia dei sistemi d’arma e delle innovazioni tecniche, per decidere i loro prossimi acquisti.
Gli Stati Uniti, usando l’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, intendono approfittare della mossa dello Stato russo per indebolirlo economicamente e militarmente, nell’intento di isolare successivamente il loro avversario strategico maggiore, la Cina. Per questo stanno fornendo all’Ucraina le fondamentali informazioni dei propri sistemi di controllo e acquisizione di dati sugli spostamenti delle forze russe e mandano a Kiev sistemi d’arma sempre piu pesanti e notevoli risorse finanziarie.
Un’accurata preparazione
La preparazione della guerra attuale va avanti da molti anni e ha trovato un punto di svolta con gli avvenimenti di Euromaidan del 2014. Da allora l’Ucraina e entrata definitivamente nell’orbita dell’egemonia statunitense e britannica, gia consolidatasi su molti paesi dell’Europa orientale appartenuti al disciolto Patto di Varsavia.
La vulgata occidentale vuole che la NATO e l’Unione Europea siano espressione di un mondo omogeneo all’interno del quale si manifestano interessi convergenti. Tale tesi e condivisa anche da ambienti di “estrema sinistra”, che cosi confessano la loro estraneita al marxismo. In realta la contesa interimperialistica e rovente anche all’interno della NATO e della stessa Unione Europea, che altro non è che un trattato fra Stati sovrani, come tutti i trattati destinato a essere sistematicamente violato dagli stessi contraenti.
Inoltre, a rendere particolarmente complessa ogni decisione politica e ogni nuova trasformazione della UE è il criterio dell’unanimita di tutti i 27 Stati membri che non mette al riparo da un’inazione e dall’assenza di una politica comune che non potra mai affermarsi. Solo la guerra infatti avrebbe potuto in passato portare ad una unificazione del decadente continente europeo.
La Brexit ha accentuato il divario fra le sue aree. Il Regno Unito, nel solco della sua secolare politica, ha utilizzato anche il contenitore della Nato per esaltare nella UE l’antagonismo fra la linea dello sviluppo delle relazioni e degli scambi con la Russia, propria dei paesi dell’Europa occidentale, fra cui Germania e Italia, e quella dei paesi est europei, capeggiati dalla Polonia, che si candidano a barriera dell’Occidente di fronte alle incursioni politiche ed economiche della Russia. Gli Stati Uniti hanno lavorato alacremente per suscitare in Ucraina, attraverso un nazionalismo che reinventa una tradizione storica e culturale fittizia, sentimenti di estraneita all’area geostorica russa. Allo stesso tempo gli USA hanno riempito il paese di armi e di istruttori militari per preparare l’esercito ucraino a uno scontro con la Russia.
Al di la della frontiera, la Russia ha seguito un percorso analogo. La tradizione, anch’essa fittizia, evocata da Putin intende ricollegarsi alle glorie passate della Santa Madre Russia, da Ivan il Terribile, a Pietro, a Caterina, che permisero al paese di risorgere dopo le invasioni e le dominazioni turco- mongole, poi di affermarsi in un contesto in cui l’espansionismo era il necessario antidoto alla disgregazione. In questa costruzione, fra le divinità minori, vendute sottobanco per ovvie ragioni, ci sono anche Stalin e Zhukov, artefici della vittoria nella “Grande Guerra Patriottica”.
Per Putin, interprete storico della nazione, l’Ucraina sarebbe sempre stata una parte della Russia. Solo Lenin ne avrebbe fatta una nazione a sè, “peggio di un errore”, un crimine. Una ricostruzione caricaturale della politica delle nazionalita dei rivoluzionari bolscevichi. Una rinuncia a comprendere i processi storici della Russia pre e post-staliniana e dell’impalcatura statale pre e post sovietica.
Sia in Russia sia in Occidente si è fatto di tutto per dare dei connotati ideologici a questo scontro: da un lato si e parlato di una “Operazione Militare Speciale” al fine di combattere “il nazismo” e di ristabilire i confini “naturali” della nazione russa, dall’altro si è parlato di una lotta tra il “mondo libero” delle democrazie occidentali e quello “autocratico” di Putin e alleati. Naturalmente, l’impalcatura ideologica eretta dalla borghesia per giustificare l’ennesimo massacro di lavoratori russi ed ucraini, nulla ha a che vedere con i processi in corso.
Per individuare le ragioni che hanno portato la Russia alla ”Operazione Militare Speciale” è necessario comprendere l’importanza geo-strategica ed economica che l’Ucraina riveste per la borghesia russa. Il controllo dell’Ucraina permette alla Russia di esportare il gas in Europa, mentre i porti ucraini del Mar Nero e della Crimea consentono di proiettare la sua influenza militare ed economica nel vicino oriente e nel Mediterraneo orientale. Una potenza ostile sul Mar Nero minaccerebbe direttamente quello che per la Russia e quasi un mare interno. Fondamentale per le esportazioni di idrocarburi, tramite i gasdotti Turk Stream e Blue Stream Pipeline, che attraversano il Mar Nero dal Caucaso alla Turchia, e per l’accesso a regioni strategiche, Turchia, Siria, Iran, con le quali la Russia ha stretto legami economici e militari.
L’Ucraina vanta inoltre ricchi giacimenti di materie prime, carbone, minerale di ferro, gas, petrolio, argilla e metalli come il litio e il manganese, giacimenti su cui negli ultimi anni avevano tentato di mettere le mani multinazionali cinesi e occidentali. Lasciare all’Europa e agli Stati Uniti risorse come queste sarebbe una sconfitta devastante per la borghesia russa.
È dunque impossibile analizzare le cause della guerra d’Ucraina senza aver compreso che e parte di uno scontro imperialista molto piu ampio tra le diverse fazioni della borghesia il cui scopo e ritagliarsi sfere di influenza, conquistare mercati di sbocco per le proprie merci, assicurarsi plusvalore e scalzare gli avversari da regioni geograficamente vitali e ricche.
Non sappiamo se il Cremlino avesse gia deciso per l’intervento. Un paio di settimane prima dell’apertura delle ostilità sembrava quasi che Mosca potesse accontentarsi di denunciare le incongruenze occidentali, con una Germania ansiosa di inaugurare il gasdotto Northstream 2.
Ma l’amministrazione Biden era sempre piu decisa a impedirlo. In questo atteggiamento va vista la insofferenza per i risultati diplomatici raggiunti dalla Russia, assurta al ruolo di arbitro nel Medio Oriente, in un’alleanza politica e militare a geometria variabile con l’Iran, e allo stesso tempo a stringere legami economici con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti nella OPEC Plus. Questo mentre nello stesso tempo la Russia continua ad avere un rapporto interlocutorio con Israele, che insieme alla Turchia e fra gli alleati militari dell’Occidente che non hanno applicato le sanzioni. Un complesso gioco di equilibri che fa il paio con gli ottimi rapporti commerciali, ma in parte anche politici, con l’India, arcinemica della Cina, con la quale la Russia ha rapporti economici e diplomatici abbastanza stretti, al punto di prospettare un’alleanza in funzione antiamericana.
Vertici di guerra
La chiamata alle armi del fronte occidentale di Stati si è avuta quando, il 26 aprile, il segretario alla difesa statunitense Lloyd Austin ha convocato i ministri di 43 governi nella base militare di Ramstein, in Germania, per istituire “un gruppo di contatto permanente”, una “piattaforma tecnica” per il coordinamento gli aiuti militari all’Ucraina.
La scelta di quella base ha certamente mandato un messaggio alla Germania, reticente a tagliare i suoi legami economici e commerciali con la Russia: le è stato ribadito che la sua sovranita e limitata, che gli Stati Uniti in Germania hanno il loro secondo contingente militare all’estero: 38.500 soldati, dopo quello in Giappone, con oltre 56.000.
Al vertice sono stati convocati non solo i 29 Stati membri della Nato, ma anche 14 esterni: l’Ucraina per prima, ma anche Svezia e Finlandia, prossimi membri, gli asiatici Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda, Australia, poi i mediorientali Israele, Giordania, bastione Usa ai confini della Siria filorussa, e il Qatar, infine quattro africani: Kenya e Liberia, fidati alleati Usa, ma anche Marocco e Tunisia. Questi ultimi come a mettere pressione sull’Algeria, forte acquirente di armi russe che, proprio in questi giorni, ha rafforzato i legami con l’Italia con la firma di numerosi progetti di collaborazione economica.
Un fronte mondiale quindi, schierato contro non solo la Russia ma anche la Cina nella regione dell’Indo-Pacifico, dove la Nato potrebbe intervenire, secondo un bellicoso discorso di aprile del ministro britannico della difesa, e verso l’Africa sub sahariana, dove si sta rafforzando la presenza russa e cinese.
Al vertice è stato dichiarato apertamente che l’obbiettivo degli Stati Uniti non sarebbe tanto respingere l’aggressione all’Ucraina quanto “indebolire” la Russia per impedirle nuovi attacchi contro altri paesi.
Tutte le borghesie, strangolate da una crisi economica gravissima, si gettano nel grande affare: i “suv” non rendono più, ora è il momento dei carri armati! I rappresentanti delle grandi industrie e delle grandi banche di tutti i paesi – anche, dopo due secoli di neutralità, quelli di Svezia – si risolvono e si precipitano nella guerra, né potrebbero fare diversamente.
Propaganda per dividere i lavoratori
La ricostruzione dello svolgimento di una guerra in corso è sempre un’operazione rischiosa. Se la guerra sin dai tempi antichi, come spiegava Sun Tzu, è “l’arte della dissimulazione”, è comprensibile che i comandi degli eserciti in lotta non possano essere fonti attendibili. Per noi che ci avvaliamo del metodo scientifico marxista il lavoro di interpretazione della guerra viene facilitato dal continuo riferimento ai rapporti fra le classi e dall’analisi della base economica su cui le potenze borghesi poggiano la loro forza militare.
A complicare le cose si aggiunge l’assordante frastuono mediatico che, fingendo di informare il pubblico, in realtà fornisce un racconto di comodo degli avvenimenti per orientare l’opinione pubblica e spingerla ad arruolarsi ideologicamente ed emotivamente su uno dei fronti.
In occasione di questa guerra l’opera sistematica di mistificazione dei media ha confermato il perfetto funzionamento di una organizzazione centralizzata, come avviene in “pace”, che conferma la natura totalitaria, fascista, di ogni regime del capitale, sia pure perfettamente democratico nelle sue istituzioni formali, come in Italia.
Incredibili fandonie, oltre il limite dell’idiozia, sono diventate correnti strumenti di esplicito controllo sociale. In perfetta legalità sono banditi e oscurati determinati organi di stampa. Ogni Stato, come detiene il monopolio della forza, detiene anche quello ideologico e della informazione, e, nella sua fase di declino e decomposizione, della menzogna.
L’Unione Europea già dal 2015, evidentemente in vista della guerra attuale che andava già maturando e che aveva avuto un primo prologo con la presa della Crimea da parte dell’esercito russo e dei territori di Luhansk e Donetsk da parte delle milizie filorusse, aveva istituito una “task force” denominata East StratCom che nell’ambito del Servizio Europeo per l’Azione Interna risponde al “bisogno di sfidare le continue campagne di disinformazione della Russia”. Il Consiglio dell’Unione è arrivato il 2 marzo a sospendere le trasmissioni radio di Sputnik e di RT/Russia today. Evidentemente lo Stato russo procede nel modo esattamente simmetrico.
Per l’Unione si tratta anche di evitare che traspaia il carattere fittizio della pretesa unità sua e del cosiddetto “mondo libero” di fronte alla minaccia costituita dalle “autocrazie”.
Fin dalle prime 48 ore di guerra è stato impedito ai giornalisti degli organi di stampa di pubblicare notizie che non fossero passate al vaglio delle principali agenzie occidentali. Un’occhiuta vigilanza censura e “dosa” preventivamente i contenuti dei comunicati e dei documenti.
Noi, al contrario, non abbiamo alcun bisogno di convincere o muovere alcuna “opinione pubblica” e non ci poniamo il problema di ribattere sempre punto per punto alle fanfaluche borghesi. Del resto il 99% delle scemenze che propinano saranno i borghesi stessi in breve tempo a smentirle, con le scemenze opposte. A noi interessa analizzare i processi dal punto di vista della lotta della classe operaia, della rivoluzione, del comunismo. Altro che risse simulate da talk show.
Tre mesi di guerra
Prima dell’alba del 24 febbraio incomincia l’intervento militare russo in Ucraina. È contrassegnato da una Zeta in vernice bianca, e non marcia sotto la bandiera e i simboli nazionali. Bombardate istallazioni militari nelle principali città del paese, i primi sconfinamenti in pochi giorni penetrano su un fronte lungo oltre mille chilometri. Le direttrici di attacco a nord sono all’inizio due: una si dirige verso la provincia di Cernihiv, per poi puntare direttamente verso la capitale Kiev, l’altra verso l’oblast di Sumi. La zona di azione dell’esercito russo si estende rapidamente a tutte le regioni settentrionali a est della capitale, stretta su due lati senza che tuttavia si abbia l’impressione di un tentativo di conquistarla. La stessa cosa avviene nelle altre città del Nord con l’avanzata russa che tende ad aggirare i grandi centri urbani.
Il lavoro di colpire gli acquartieramenti dissimulati di soldati e mezzi ucraini è affidato all’aviazione che, come avviene in queste circostanze, distrugge scuole e ospedali, municipi, palazzine destinate a usi abitativi, con la morte di numerosi civili.
Sulle ragioni di questo impegno ingente di truppe nel quadrante Nord-Est la macchina propagandistica dell’occidente ha speculato a ruota libera affermando che si trattava di un’operazione concepita in partenza come una guerra lampo che avrebbe dovuto portare al rapido collasso dello Stato e dell’esercito ucraini. Un piano che sarebbe fallito data la decisione del valoroso presidente ucraino Zelensky di restare nel paese e non fuggire all’estero e alla determinazione dell’esercito ucraino di combattere per difendere “la patria e la libertà”.
Tralasciando la propaganda occidentale, si potrebbe ritenere fondato un tentativo iniziale di cambiare il regime a Kiev, soprattutto per la presenza in Ucraina di una fazione filorussa, o comunque non ostile alla Russia, che era al potere fino al 2014 e che attualmente è oggetto della repressione statale. D’altronde Putin il 25 febbraio si scagliava contro il governo di Kiev, denominato “banda di drogati e nazisti”, e si appellava all’esercito ucraino dicendo “prendete il potere a Kiev, sarebbe più facile negoziare con voi”.
Puntare su Kiev è risultato funzionale alla strategia russa di impegnare una porzione cospicua delle truppe ucraine a Nord e Nord-Est, rendendo più rapida l’avanzata a Sud procedendo dal Donbass e dalla Crimea. Questa parte della “Operazione Militare Speciale” ha raccolto i maggiori successi. Già a metà di marzo, a soli venti giorni dall’inizio della guerra, la fascia litoranea fino a Kherson era sotto il controllo russo. Dopo questo risultato le truppe russe hanno incominciato a ritirarsi dall’area a Nord di Kiev, rientrando dentro i confini o spostandosi verso Est, lasciando libero campo alla riconquista ucraina.
Attualmente le forze russe controllano un’area che corrisponde a un quinto del territorio dell’Ucraina, per il suo sottosuolo e per la localizzazione degli impianti industriali il più ricco. La guerra imperialista non può essere mai disgiunta dalla rapina.
Uno scontro fra mercanti
Sul piano economico e politico la Russia ha segnato punti a suo favore. L’alto prezzo di gas e petrolio ha permesso introiti che hanno compensato un certo calo nella loro esportazione. Le quotazioni del rublo hanno segnato un notevole recupero rispetto all’euro e al dollaro, grazie anche all’imposizione ai paesi che avevano votato le sanzioni contro la Russia di pagare i prodotti energetici nella valuta russa. Per limitare gli effetti indesiderati dell’eccessivo rialzo delle quotazioni del rublo la Banca Centrale russa il 26 maggio ha ridotto il tasso d’interesse dal 14 all’11%.
Per ora i paesi dell’Unione Europea non riescono a varare il sesto pacchetto di sanzioni, che dovrebbe includere il bando delle importazioni di petrolio. Molte borghesie europee ne hanno solo da perdere. Basti pensare al caso dell’Italia che dal 24 febbraio ha moltiplicato per quattro le proprie importazioni di petrolio dalla Russia. Ancora più difficile e a lunga scadenza l’estensione delle sanzioni sul gas, dal quale dipendono gli industrialismi europei, tedesco e italiano in particolare.
Per ironia di quella vera-finta guerra fra mercanti, come sono tutte le guerre imperialiste, una decisione di questo tipo danneggerebbe la stessa Ucraina, che per il passaggio sul suo territorio del gas russo continua regolarmente a riscuotere cospicue royalties, pagate in euro e in dollari, dal paese con cui è in guerra. La guerra è sempre una tragedia spaventosa per i proletari che sono costretti a combatterla e a subirla, mentre per la borghesia di tutti i fronti è un’ottima occasione per fare, da lontano o in sicuri rifugi, splendidi affari
Carne da cannone in vendita
La borghesia ucraina, in cambio di consistenti aiuti economici e militari occidentali, costringe al fronte il proprio proletariato, venduto come carne da cannone per fare la guerra dei capitalisti americani a quelli russi. Allo stesso modo il proletariato russo e mandato a morire nel nome della difesa della Grande Madre Russia, cioe per difendere gli interessi dei capitalisti e dei proprietari fondiari russi, ansiosi di salvaguardare le loro sfere di influenza economica e militare. Questa è la realta delle cose, al di sopra delle “idee” e dei pretesti etici e patriottici con i quali si cerca di spingere i proletari di entrambi gli Stati sul fronte della guerra.
Il 30 dicembre 1938, a pochi mesi dalla Seconda Guerra Mondiale che sarebbe scoppiata il primo settembre del 1939, Trotski avvertendone i preparativi, scriveva: «Dal 1871 al 1914 il capitalismo europeo, sulla base degli Stati-nazione, fiori sopravvivendo a sé stesso trasformandosi in monopolio o capitalismo imperialista. L’imperialismo e quella fase del capitalismo in cui quest’ultimo, dopo aver realizzato tutto cio che e in suo potere, comincia a declinare. La causa del declino risiede in questo: che le forze produttive sono incatenate dalla struttura della proprieta privata, cosi come dai confini degli Stati-nazione».
Questo declino, presente dunque gia nei primi anni del XX secolo, e stato rallentato da ben due guerre mondiali che, con il loro carico di distruzioni e di morte, hanno permesso al sistema imperialistico in un certo qual modo di ringiovanirsi, procrastinando cosi la sua fine.
I settant’anni che ci separano ormai dalla fine del secondo macello imperialista, definiti di pace dalla propaganda borghese, sono stati costellati da decine di guerre, in Medio Oriente, Asia centrale, Africa, America Latina, Balcani. Nel frattempo il capitalismo si è esteso alle regioni del mondo ancora arretrate, prima fra tutte alla Cina. Il tempo di vita per il capitalismo si è oggi ridotto ancora, e ha sempre piu bisogno di distruggere per sopravvivere, per allontanare di un poco la sua fine.
Torniamo a Trotski.
«L’imperialismo cerca di spartirsi e ripartirsi il mondo. Al posto delle guerre nazionali ci sono le guerre imperialiste. Esse sono di carattere completamente reazionario, e sono l’espressione dell’impasse, della stagnazione e dell’imputridimento del capitale monopolistico».
L’imperialismo maschera le proprie peculiari aspirazioni – la conquista delle colonie, dei mercati, delle fonti di materie prime, delle sfere d’influenza – con idee come “la salvaguardia della pace contro gli aggressori”, “la difesa della patria”, “la difesa della democrazia”, ecc. Queste idee sono false da cima a fondo. Compito di ogni socialista non e sostenerle ma, al contrario, smascherarle davanti al popolo.
«La questione di quale gruppo abbia sferrato il primo colpo militare o abbia per primo dichiarato guerra, scriveva Lenin nel marzo del 1915, non ha alcuna rilevanza sulla definizione della tattica socialista. Le frasi sulla difesa della patria, sulla resistenza contro l’invasione nemica, sulla conduzione di una guerra di difesa, ecc. sono da entrambi i lati un completo inganno per la popolazione. Per decenni, ha spiegato Lenin, tre banditi – le borghesie e i governi di Inghilterra, Russia e Francia – si sono armati per depredare la Germania. C’e da stupirsi che i due banditi – Germania e Austria- Ungheria – lancino un attacco prima che i tre banditi riescano ad ottenere i nuovi coltelli che hanno ordinato?» (“Lenin e la guerra imperialista”).
«È demolito cosi tutto l’apparato della propaganda borghese e opportunista che, in base a un inesistente “diritto internazionale”, distingue tra aggredito e aggressore, tra offesa e difesa, arrogandosi, contemporaneamente da ogni lato, il diritto di esportare “la democrazia” a cannonate.
«Da entrambi i lati, su entrambi i fronti – scrisse Lenin nel 1915 e ripete Trotski nel 1938 e ripetiamo noi oggi – le frasi sulla difesa della patria, sulla resistenza contro l’invasione nemica, sulla conduzione di una guerra di difesa sono solo formule vuote per ingannare il proletariato, per costringerlo alla guerra, a solo vantaggio delle classi dominanti».
Anche nell’attuale guerra in Ucraina i due fronti di Stati, Mosca e Kiev, sono entrambi di capitalismo maturo e affermato. Il proletariato neghi ad entrambi ogni solidarietà. Di più, deve preparare la sua opposizione di classe a questa guerra, la sua guerra di classe. Chiunque, stalinista, trotskista o anarchico, si sia fatto convincere dalla propaganda di uno dei due militarismi, ha dimostrato solo la sua incapacità ad interpretare i fatti, il suo tradimento pratico nel dirigere la battaglia della classe operaia.
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Seduta di venerdì |
Resoconti dell’attività di ogni sezione e di ogni gruppo di lavoro |
Seduta di sabato |
Riarmo degli Stati |
La guerra in Ucraina |
Le forze produttive si ribellano al capitale |
Questione Kurda (capitoli IV e V) |
Origini del PCdC, 2° congresso |
La rivoluzione Ungherese - Questione agraria |
Situazione in Venezuela |
Seduta di domenica |
Situazione economica in Pakistan |
La teoria marxista delle crisi - Le teorie sul Plusvalore |
Storia del Profintern |
Corso dell’Imperialismo |
Rapporto organizzativo del Centro |
Rapporto sull’attività sindacale |
Questione militare - In Russia |
Partito e cultura |
Si e tenuta in tele-conferenza la riunione generale del partito nei giorni da venerdi 27 a domenica 29 maggio, dalle 17 alle 23 in Italia, per adeguarci agli orari dei vari paesi.
Alla seduta organizzativa del venerdi, alla presenza dei soli compagni, nel numero di 43, abbiamo ascoltato i resoconti delle sezioni, tradotti all’impronta nelle tre lingue italiano, inglese e spagnolo. Al sabato e alla domenica – alla presenza di 60 fra compagni e candidati seriamente avviati alla milizia, 42 europei, 15 americani, 3 asiatici – abbiamo ascoltato 14 relazioni, della durata di 30 minuti circa ciascuna, esposte direttamente nella lingua preferita dal relatore. Il testo di tutti i rapporti era stato in precedenza tradotto nelle tre lingue e messo a disposizione dei compagni, metodo che abbiamo sperimentato e che consente di seguire meglio quanto illustrato, oltre che un utilizzo ottimale del tempo. Al termine di ogni rapporto i compagni possono inviare per iscritto al tavolo organizzativo eventuali domande di chiarimento, alle quali i relatori decidono se rispondere subito o successivamente, a riunione terminata.
Il rapporto organizzativo del Centro ha riferito del lavoro svolto dalla precedente riunione ed elencati i davvero numerosi impegni per i prossimi mesi nei vari settori di attivita del partito.
Tutto questo lavoro, veramente notevole date le nostre minime forze, si svolge gia con modalita non piu mercantili e capitalistiche, nessuno e costretto alla nostra rigorosa e centralizzata disciplina, nessuno riceve un compenso che non sia la propria soddisfazione di comunista e l’ammirazione e il riconoscimento dei compagni, e dei lavoratori piu coscienti per l’opera del partito. Sono questi atteggiamenti, naturalmente e spontaneamente assunti, che rendono possibile e potenziano il nostro lavorare e la nostra battaglia sociale di oggi e si svilupperanno nel partito in grande e combattente di domani, anticipazione di una societa finalmente libera dagli antagonismi, dalle miserie e dalle morbosità borghesi.
Qui diamo, per i compagni assenti e per i lettori, un primo riassunto delle relazioni.
Il testo completo dei rapporti sul riarmarsi degli Stati e quello sulla storia del Kurdistan sono in pubblicazione nel numero in uscita di “Comunismo”, i due rapporti sulla guerra in Ucraina appaiono su questo numero, quelli sull’attivita sindacale del partito nelle pagine di “Per il Sindacato di Classe”.
Le forze produttive si ribellano al capitale
La prima parte della relazione ha dimostrato la connessione nei testi di Marx ed Engels tra lo sviluppo delle forze produttive e quello dei bisogni della specie umana, con conseguente “contraddizione tra i rapporti di produzione e le forze produttive”.
Particolare attenzione e data al “Manifesto” del 1848. Viene ricordata, in suoi passaggi rilevanti, la breve descrizione dello sviluppo del capitalismo dal feudalesimo, dimostrando che e la crescita dei “bisogni dei nuovi mercati”, e l’incapacita di soddisfarli delle esistenti forme sociali della industria, che ha spinto lo sviluppo del nuovo modo di produzione, passando prima al sistema delle corporazioni, poi alla manifattura, infine alla grande industria capitalistica.
La connessione tra la struttura di classe della societa e il modo di produzione e affermata in modo netto, insieme che la crescita dei bisogni e una forza motrice nello sviluppo delle forze produttive.
Un’altra citazione dimostra che l’incapacita del presente modo di produzione di soddisfare i bisogni del proletariato costringe quest’ultimo a lottare in modo rivoluzionario contro il capitalismo.
Si afferma poi che i bisogni della specie non sono immutabili, ma prodotto di un lungo corso di sviluppo storico.
Progressivamente la societa, incatenata a dati rapporti di produzione, diventa incapace di utilizzare appieno gli accresciuti strumenti di lavoro, di utilizzare le forze produttive in modo tale da soddisfare i bisogni della specie. Lo sviluppo delle forze produttive e definito dalle nuove scoperte scientifiche o dalla introduzione di nuovi metodi di utilizzo di quelle forze.
Le crisi di sovrapproduzione sono una manifestazione di questa contraddizione. Le crisi della industria comportano l’incapacità della societa di soddisfare i propri bisogni in termini di consumo di prodotti materiali. In queste crisi i lavoratori vengono licenziati, le imprese chiuse, gli strumenti di lavoro messi fuori uso o distrutti.
Gli esempi storici della politica economica del nazismo in Germania – compreso il tentato sterminio degli ebrei, che è da definire una misura economica – e del governo americano di Roosevelt, dimostrano come lo Stato borghese interviene di fronte alle crisi di sovrapproduzione. Si è riportato un passo di un articolo di “Prometeo” del 1952 che afferma come anche la politica economica del New Deal fosse di tipo fascista. Citando Lenin abbiamo confermato che nell’epoca dell’imperialismo non c’e grande differenza nella politica economica tra governi fascisti e democratici.
Il rapporto ha quindi affiancato al bisogno sociale di articoli di consumo i bisogni dei proletari legati direttamente alla produzione: accorciamento della giornata lavorativa, diminuzione della sua intensita e fatica, superamento del dispotismo di fabbrica e necessita di una divisione del lavoro molto meno irrigidita. Il potenziale per la soddisfazione di tutti questi bisogni esiste nelle moderne forze produttive, ma la loro soddisfazione e impedita dalle forme capitalistiche di proprietà.
È dai bisogni del proletariato che nasce il programma comunista, e la sua corrispondente espressione come partito. Il partito comunista è il rappresentante sociale, politico e ideologico delle forze produttive moderne, di una rivoluzione storicamente, e scientificamente, inevitabile.
Origini del Partito Comunista di Cina
Il secondo Congresso
Il Secondo Congresso del Partito si tenne a Shanghai a partire dal 10 luglio del 1922. Presenti 9 delegati ufficiali, in rappresentanza dei 123 membri che il Partito contava allora.
I documenti congressuali approfondivano notevolmente la situazione internazionale e le vicende che avevano caratterizzato l’aggressione imperialistica verso la Cina, dando maggior risalto agli aspetti della lotta contro l’imperialismo, passati in secondo piano nel Manifesto del 10 giugno, che si era concentrato principalmente sulle condizioni politiche interne della Cina.
L’aggressione degli imperialisti si inseriva nella necessità del capitalismo mondiale di depredare le colonie e le semi-colonie delle loro risorse e sfruttarne la manodopera. La Cina era un paese ricco di materie prime e con una grandissima popolazione, che la rendeva campo di battaglia delle varie potenze. La situazione politica interna si caratterizza per la presenza dei signori della guerra, che gli imperialismi utilizzavano per controllare la politica e la vita economica cinese. Per undici anni, dalla nascita della Repubblica, la Cina era stata attraversata dalla guerra civile che aveva provocato una instabile divisione del paese. Senza il rovesciamento dell’oppressione militarista e dell’imperialismo la Cina non avrebbe mai raggiunto la sua unità e la guerra civile non sarebbe mai cessata.
Analizzando le forze sociali delle rivoluzione nazionale il rapporto metteva in evidenza come la borghesia cinese fosse nata come appendice del capitalismo straniero che, arrivato in Cina, non poteva operare indipendentemente, ma doveva chiedere l’aiuto dei mercanti cinesi. In questo modo si era formata la borghesia compradora, che operava come intermediaria per conto dei capitalisti stranieri e a questi si univa nello sfruttamento della Cina. In questo contesto fu possibile l’avvio del primo stadio dell’industrializzazione in Cina.
Una grande opportunita di sviluppo per la borghesia cinese si ebbe con la prima guerra mondiale che determinò un allentamento della penetrazione economica dei prodotti europei e americani e il boicottaggio delle merci giapponesi. Ma alla fine delle guerra un ulteriore sviluppo della borghesia cinese era ostacolato dall’aggressivo ritorno degli imperialisti che, in difesa dei loro affari, si appoggiavano ai signori delle guerra. Data questa situazione, secondo il Manifesto del 10 giugno, «la giovane borghesia cinese per prevenire l’oppressione economica dovrebbe insorgere e lottare contro l’imperialismo capitalistico internazionale». Il movimento antigiapponese del 1919 aveva dimostrato che la giovane borghesia cinese poteva unirsi contro l’imperialismo e il corrotto governo di Pechino, mentre il governo di Canton era considerato il mezzo della borghesia illuminata.
Al di la del giudizio sul ruolo delle borghesia cinese nella rivoluzione, veniva correttamente affermato che il piu importante fattore del movimento rivoluzionario era costituito dai trecento milioni di contadini cinesi, che vivevano in una condizione di miseria generale dovuta alla mancanza di terre, alle guerre civili, al banditismo, alla pressione dei prodotti stranieri. I contadini potevano essere divisi in tre gruppi: i grandi proprietari terrieri e i contadini ricchi; i contadini che coltivavano la propria terra e gli affittuari; i giornalieri. I piu miseri del secondo gruppo e quelli del terzo costituivano il 95% del totale. Solo la rivoluzione poteva tirarli fuori da questa condizione di miseria e la vittoria rivoluzionaria poteva realizzarsi solo attraverso la loro alleanza con la classe operaia.
A causa dell’invasione delle merci straniere erano caduti in miseria anche artigiani e piccoli commercianti e più il capitalismo nazionale si sviluppava più cresceva la loro miseria. La valutazione era che data questa condizione anche la piccola borghesia si sarebbe unita alla lotta rivoluzionaria. Poi c’era la classe operaia, che era in sviluppo. Il grande sciopero dei marittimi di Hong Kong e gli altri scioperi nel resto del paese dimostravano la forza del proletariato. Si stavano affermando anche le organizzazioni dei lavoratori.
Date le condizioni economiche e politiche della Cina fu deciso di affiancarsi al movimento nazional rivoluzionario, come al suo Secondo Congresso aveva stabilito l’Internazionale per i paesi arretrati.
In altro documento congressuale, quello sulla decisione di unirsi alla lotta rivoluzionaria nazionale, si evince come tale posizione traesse il suo fondamento sulla valutazione di trovarsi nel periodo tra il feudalesimo e il capitalismo (“democrazia” nel testo congressuale). La Cina era sotto il dominio di militaristi feudali e all’esterno era un paese semi-indipendente controllato dalle potenze imperialiste. In questo periodo, dice il documento, «e inevitabile per la borghesia lottare contro il feudalesimo». Non essendo il proletariato in grado di condurre la lotta rivoluzionaria da solo, avrebbe dovuto unirsi alla lotta antifeudale.
Gia nella rivoluzione russa i bolscevichi avevano dimostrato falsa la tesi menscevica che nella rivoluzione borghese il proletariato non avesse che da appoggiare la borghesia liberale, che tende a un compromesso con le classi e gli istituti feudali, ma avevano affermato, e con successo dimostrato nei fatti, che la parola d’ordine del proletariato era quello dell’alleanza con i contadini nella rivoluzione democratica, che avrebbe potuto trascendere in rivoluzione permanente, della sola classe operaia.
Tale prospettiva non era delineata con chiarezza dal PCdC, mancando nei documenti del secondo congresso del Partito una chiara concezione del ruolo delle classi nella rivoluzione democratica, come quella che attendeva la Cina.
In questa fase, però, le decisioni del secondo congresso del PCdC, seppur tratteggiando un impianto teorico che lasciava spazio a una possibile affermazione della tattica menscevica della rivoluzione per tappe, avevano lo scopo di recepire la corretta tattica rivoluzionaria così come era stata stabilita dal secondo congresso dell’Internazionale sull’unione della rivoluzione proletaria nei paesi a capitalismo maturo con le rivoluzioni nazionali nei paesi arretrati come la Cina.
Nonostante una certa debolezza dal punto di vista teorico, il Partito cinese aveva il merito di mantenersi fermo sulla necessita di preservare l’indipendenza politica del proletariato nella rivoluzione nazionale.
In seguito le teorie sul carattere antifeudale della rivoluzione cinese e sulla natura rivoluzionaria della borghesia nazionale nel suo insieme, saranno utilizzate per giustificare l’aperto tradimento della classe operaia e serviranno per far passare la tattica dell’alleanza con Kuomintang, che sara realizzata con la sottomissione del proletariato al partito della borghesia cinese, processo iniziato nel corso del ’22 e completamente realizzato nel ’24.
Ma al secondo congresso non fu nemmeno presa in considerazione la proposta di Maring dell’ingresso dei comunisti nel Kuomintang, facendo invece emergere una soluzione che si basava solo sulla cooperazione tra i due partiti. Ci si immaginava, in termini ancora vaghi, ma gia citando il Kuomintang, una cooperazione con la borghesia liberale, sostenendo “dall’esterno” il partito di Sun Yat-sen.
A cio si aggiunse la proposta di una cosiddetta “Alleanza Democratica”, che avrebbe dovuto coinvolgere gli operai sindacalizzati insieme ai membri delle organizzazioni dei contadini, commercianti, insegnanti, studenti, donne, e giornalisti, cosi come pure ai deputati parlamentari che simpatizzavano con il comunismo. In questo modo i comunisti sembravano voler dar vita ad un’ampia “alleanza democratica”, che in pratica avrebbe sostituito il fronte tra il PCdC e il Kuomintang, non considerato come l’unico partito rivoluzionario in Cina. Dal canto suo, il Kuomintang non sostenne questa iniziativa, che venne a cadere del tutto non appena, all’indomani del congresso del Partito, il ritorno di Maring in Cina fara prevalere la tattica di ingresso dei comunisti nel Kuomintang.
Il lavoro nel movimento operaio era ancora visto come l’obiettivo principale del PCdC, impegnato a promuovere un movimento di classe indipendente.
Anche se le condizioni cinesi determinavano la necessità della realizzazione di un fronte di tutte le forze rivoluzionarie, in particolare del movimento guidato da Sun Yat-sen, questo fronte era considerato come un’unione temporanea tra il proletariato e i contadini, da un lato, e la borghesia rivoluzionaria dall’altro. Ma era chiaro al giovane Partito che l’impegno per la emancipazione nazionale non significava capitolare dinanzi alla borghesia. Dai documenti congressuali: «Il proletariato non deve dimenticare la propria organizzazione indipendente durante questa lotta. E molto importante che i lavoratori si organizzino nel partito comunista e nei sindacati. Tutti i lavoratori dovrebbero sempre ricordare che sono una classe indipendente, dovrebbero disciplinarsi per prepararsi all’organizzazione e alla lotta, dovrebbero preparare i contadini a unirsi e organizzare i soviet per raggiungere la completa emancipazione».
La teoria marxista delle crisi
Le teorie sul Plusvalore - Adam Smith
Dopo aver affrontato nella passata riunione generale lo studio dei fisiocratici, il relatore ha esposto il capitolo riguardante Adam Smith, che può essere considerato solo con molta approssimazione il fondatore della scuola economica classica ma le cui idee liberiste e in particolare la teoria della “mano invisibile” ben si adattavano agli albori del capitalismo, anche se non manco di rilevare i possibili antagonismi fra interesse individuale e collettivo.
Marx scopre che Smith confonde e talora soppianta la determinazione, condivisa da Marx, del valore delle merci mediante la quantità del lavoro necessario per la loro riproduzione, col valore della quantità di merce con cui puo essere comprata quella quantita di lavoro. Che e sempre minore della prima.
Poiche Smith parte, giustamente, dalla merce e dallo scambio di merci, in cui i produttori si contrappongono originariamente solo come possessori di merci, appare che nello scambio tra capitale e lavoro salariato la legge generale venga immediatamente abolita e le merci non si scambino in rapporto alla quantita di lavoro che rappresentano. Da ciò egli conclude che il tempo di lavoro non è più la misura immanente che regola il valore di scambio delle merci, dal momento in cui le condizioni di lavoro si contrappongono al lavoratore salariato nella forma di proprieta fondiaria e capitale. Sente perciò la difficolta di dedurre dalla legge che presiede allo scambio delle merci lo scambio tra capitale e lavoro, scambio che, apparentemente, si fonda su principi opposti. La contraddizione pero non poteva essere chiarita, finche il capitale veniva contrapposto al lavoro invece che alla capacità lavorativa, alla forza lavoro.
In merito al rapporto di scambio tra possessori delle condizioni di lavoro e possessori della semplice capacità lavorativa afferma che «nello stato informe della societa che precede l’accumulazione dei capitali e la proprieta della terra, la quantita di lavoro necessaria per acquistare i diversi oggetti di scambio è [...] la sola circostanza che possa fornire qualche regola per gli scambi» (“La ricchezza delle nazioni”). Dunque il tempo di lavoro necessario alla produzione delle diverse merci determina la proporzione in cui esse si scambiano reciprocamente, ossia il loro valore di scambio. Ovvero, nell’ipotesi in cui il lavoratore sia un semplice venditore di merci, con la sua merce egli comanda tanto lavoro dell’altro quanto ne e contenuto nella propria merce, poiche essi si scambiano tra di loro unicamente come merci, e il valore di scambio delle merci e determinato dal tempo di lavoro.
«Non appena si sarà accumulato del capitale nelle mani di singole persone, qualcuno (...) lo impieghera (...) per dar lavoro a persone industriose, fornendole di materie prime e di mezzi di sussistenza, allo scopo di ritrarre un profitto dalla vendita del loro prodotto, ossia da ciò che il loro lavoro aggiunge al valore delle materie prime».
Smith si differenzia dai mercantilisti perchè correttamente non fa derivare il profitto dalla vendita, dal fatto che la merce viene venduta al di sopra del suo valore. Il valore, cioe la quantita di lavoro, che gli operai aggiungono alla materia prima, si divide invece in due parti, di cui una paga i loro salari e l’altra parte costituisce il profitto del capitalista; e cioè una quantita di lavoro che vende senza averla pagata.
Dunque, se il capitalista vende la merce al suo valore, cioe la scambia con altre merci secondo la legge del valore, il suo profitto deriva dal fatto che una parte del lavoro contenuto nella merce egli non l’ha pagata.
Smith ha perciò confutato l’opinione che la circostanza per cui non appartiene più al lavoratore l’intero prodotto del suo lavoro abolirebbe la legge secondo la quale la proporzione in cui le merci si scambiano tra loro, ossia il loro valore di scambio, è determinata dalla quantita del tempo di lavoro in esse materializzato. Tuttavia a questa determinazione del valore ne aggiungerà un’altra, errata, che mette sullo stesso piano lo scambio del prodotto finito contro denaro e quello contro lavoro.
Secondo la teoria di Smith la parte del capitale che è costituita da materie prime e mezzi di produzione non ha direttamente niente a che fare con la produzione del plusvalore; questo deriva esclusivamente dalla quantità addizionale di lavoro che l’operaio fornisce in eccedenza alla parte del suo lavoro che costituisce l’equivalente del suo salario. Dunque, è unicamente dalla parte del capitale anticipata come salario che scaturisce il plusvalore, poiche essa e l’unica parte del capitale che non solo si riproduce, ma che produce anche un sovrappiù.
Il profitto, invece, nascerebbe dalla somma totale del capitale anticipato.
Però, poichè Smith spiega si il plusvalore in modo esatto, ma non esplicitamente nella forma di una categoria determinata, distinta dalle sue forme particolari, lo confondera immediatamente, con il profitto. Questo errore permarra in Ricardo, e in modo piu marcato, per il fatto che la legge fondamentale del valore viene da lui elaborata con piu sistematica unita. Tale questione rientrera nel rapporto successivo.
La rivoluzione ungherese
La questione agraria - Conclusioni
A questa riunione abbiamo descritto come anche in Ungheria, come in Russia, la questione agraria risolutiva per la rivoluzione. Il rapporto ha menzionato lo scritto di Kun “Sulla Repubblica ungherese dei Consigli”: «Causa fondamentale del rovesciamento della Repubblica ungherese dei Consigli fu la mancanza di una soluzione del problema dei contadini, cioe della questione agraria. L’Ungheria [...] possiede un’industria sviluppata e un proletariato di operai pienamente formati, ma la maggioranza della sua popolazione e composta da operai agricoli e da piccoli proprietari [...] La repubblica dei Consigli ordinò che tutte le grandi e medie proprieta, con tutti i loro beni mobili e immobili, passassero senza alcuna indennita in proprieta dello Stato proletario. Un decreto apparso qualche giorno dopo esentava dall’espropriazione le proprieta inferiori a 57 ettari. Le terre cosi nazionalizzate avrebbero dovuto essere coltivate in cooperative, in realta la direzione di esse rimase nelle mani degli amministratori delle grandi proprietà, senza che i contadini interessati facessero valere la loro parola. Una parte degli operai agricoli si rese conto del fatto che la dittatura del proletariato li aveva liberati, ma i giornalieri senza terra, che non lavoravano fissi nelle grandi proprieta, non ricevendo alcun appezzamento, non ebbero alcun interesse a difendere la dittatura del proletariato».
In altro scritto del 1920, “La classe operaia ungherese sotto il terrore bianco”, sempre di Kun, leggiamo altri passi a riguardo: «La base sociale del terrore bianco era la piccola borghesia cittadina e la proprietà terriera e i contadini medi e grandi [...] Alla classe dei grandi proprietari terrieri, che erano passati all’economia capitalista solo parzialmente, e che si stavano nuovamente feudalizzando in seguito alla decadenza economica del paese, riusciva sempre piu facile attrarre i contadini al loro carro [...] Contro il proletariato industriale e agricolo le classi possidenti stavano strettamente unite dietro la dittatura militare bianca. La borghesia ebraica stessa copriva volentieri il terrore bianco, sebbene rinunziasse cosi al potere, perche in Ungheria era possibile soltanto la forma terroristica della difesa della proprieta privata [...] In Ungheria, durante la dittatura non ebbe luogo nessuna divisione di terre. La Repubblica dei Consigli socializzò la grande proprietà terriera e la mise sotto amministrazione sociale pel tramite delle cooperative del proletariato agricolo. All’espropriazione delle grandi aziende agricole, ad eccezione di poche regioni, manco l’attività rivoluzionaria del proletariato agricolo. Per la necessità di procedere con precauzione per assicurare la continuità della produzione agraria, l’esproprio fu prevalentemente giuridico e non ebbe il necessario carattere rivoluzionario. Ciò malgrado i proletari agricoli radunati nelle cooperative formatesi nelle grandi proprietà, erano un appoggio per la dittatura quasi altrettanto grande, anche armato, quanto gli operai industriali. La dittatura offri i maggiori vantaggi immediati e palpabili proprio agli operai agricoli. Per questo furono ricacciati addietro piu di tutti dopo la caduta della dittatura: la popolazione agricola proletaria e semiproletaria divenne allora e per parecchio tempo serva del contadiname possidente».
Il rapporto passava poi a descrivere il movimento segreto ed illegale comunista, che si era formato tardivamente per combattere gli elementi socialdemocratici che minavano e sabotavo dall’interno la dittatura del proletariato.
Iniziava infine il capitolo delle conclusioni. Riportava ampi passi dallo scritto di Bela Szanto “Le lotte di classe e la dittatura del proletariato in Ungheria”, nel capitolo “Con chi avevano avuto da fare i comunisti?”.
«L’unificazione degli eisenachiani e dei lassalliani era stata caratterizzata da Marx, nella sua lettera a Bracke, tra l’altro, nel modo seguente: “Noi sappiamo quanto il solo fatto dell’unificazione sia gradito ai lavoratori, ma essi sono in grave errore se credono di non aver pagato assai caro questo successo momentaneo”. Bela Kun citava questa proposizione di Marx nella sua lettera ad Ignazio Bogar. E purtroppo vero che la classe operaia realmente pagò assai cara l’unificazione.
«Kun si sbagliava solo nel ritenere che il fatto dell’unificazione avrebbe accontentato gli operai. No, mille volte no. Giacché l’unificazione era avvenuta solo sulla carta, ma nella massa continuo a dominare la completa diffidenza [...] Diffidenza non contro la unificazione, la restaurazione dell’unita del movimento operaio, ma contro i dirigenti socialdemocratici. La massa li aborriva, non aveva in loro alcuna fiducia. Essa aveva istintivamente la sensazione che coloro i quali con la loro politica anteriore alla rivoluzione d’Ottobre, ma specialmente dopo questa per quattro mesi e mezzo avevano combattuto a morte la rivoluzione proletaria, non avevano potuto acquistare genio rivoluzionario in una notte. E non si sbagliava! Tuttavia vi si rassegno, vedendo che non v’era altra scelta.
«La piattaforma di Bela Kun non prevedeva la fusione del partito socialdemocratico col comunista, ma solo la restaurazione dell’unità del movimento operaio. Quando egli la scrisse non pensava di compilare un programma di governo, ma una piattaforma – com’egli diceva – “per la chiarificazione delle nostre proprie vedute e di quelle dei nostri benevoli avversari”, e concretamente proponeva in primo luogo una conferenza comune degli elementi rivoluzionari per discutere la piattaforma».
Proseguendo Szanto sottolinea le insanabili divergenze fra i comunisti rivoluzionari e i socialdemocratici. «Là i metodi legalitari, la via costituzionale e i mezzi parlamentari, qui la lotta di classe senza quartiere, metodi rivoluzionari, la dittatura del proletariato: tra queste due direttive non esiste punto d’incontro, nessun confronto, un’unità e impossibile. Queste due direttive non sono compatibili in un’unica organizzazione. Non solo le differenze di principio, ma ancor piu i metodi di azione, derivanti dalle premesse teoretiche, sono talmente divergenti da doversi necessariamente separare gli uni dagli altri [...] Quanto piu recisamente, quanto piu aspramente si compie questo processo, tanto piu profonda e completa è la separazione tra le due tendenze, tanto piu rapidamente e in piu gran numero gli elementi rivoluzionari si separano dall’ala destra, e cresce e s’ingrossa l’ala sinistra. E così, nella lotta, insieme con l’educazione e la preparazione del proletariato alla rivoluzione, il proletariato stesso crea l’unita del movimento proletario, separando e purificando gli elementi proletari dagli intrusi elementi semiproletari inclini alla pace civile. Se il proletariato ha respinto da se tali elementi, puo esser capace di sfruttare le situazioni rivoluzionarie, e di partecipare alla rivoluzione internazionale».
Szanto nel concludere questa sincera disamina afferma:
«Davanti agli occhi dei comunisti si librava la causa della rivoluzione, la causa della rivoluzione mondiale. Al proletariato ungherese si offriva l’opportunità di afferrarla, e quindi di promuovere e ravvivare la rivoluzione mondiale; era suo dovere rivoluzionario quello di rafforzare il proletariato degli altri paesi nella sua rivoluzione, di svegliarlo, di incitarlo. Che a un tempo si intrufolassero nella direzione del moto anche coloro dai quali l’intera massa si era proprio allora staccata, non puo essere per una rivoluzione la sola circostanza decisiva, sebbene pero non secondaria [...]
«I comunisti sapevano gia d’aver a che fare non con rivoluzionari in buona fede, non con organizzatori e duci della rivoluzione, ma con gente che desiderava solo di partecipare alla spartizione del bottino [...]
«I capi socialdemocratici son diventati assai zelanti dopo la caduta della dittatura dei Consigli. Scrivono e si esprimono assai severamente nella stampa estera per procurarsi una giustificazione di fronte ai socialdemocratici d’altri paesi. Essi credevano che il terrore bianco in Ungheria avrebbe distrutto tutti gli stampati, in cui si possono leggere i loro scritti e i loro discorsi.
«Essi però non debbono dimenticare, che se anche il terrore bianco pervenisse ad avverare le loro speranze, pur tuttavia continuerà a vivere nei cuori dei proletari la convinzione che furono i socialdemocratici quelli che minarono e abbatterono il loro potere».
Storia del Profintern
Il 2° congresso
Il “Sindacato Rosso” del 1° luglio 1922 aveva annunciato la prossima apertura del 2° Congresso del Profintern, riportando le regole di rappresentanza delle Centrali nazionali e delle frazioni sindacali aderenti, nonché un ordine del giorno di massima, ma suscettibile di cambiamento.
Il Congresso si tenne in contemporanea con il 4° dell’Internazionale. Questa, nelle “Direttive per l’azione”, del dicembre, aveva affrontato in maniera esauriente e in tutti gli aspetti la questione sindacale. Di questo fondamentale documento, nella esposizione del rapporto, sono state lette ampie citazioni che saranno riportate nella pubblicazione estesa.
Nelle “Tesi e risoluzioni del secondo Congresso del Profintern” si denunciano le burocrazie sindacali le quali, per contrastare il sempre maggiore spostamento delle masse verso sinistra e ridurre l’opposizione al silenzio, ricorrevano indiscriminatamente «alla espulsione di individui e gruppi, fino a quella di diverse centinaia di migliaia di operai».
Per contrastare questa azione criminale della Internazionale di Amsterdam la ISR dava la direttiva che ad ogni riunione operaia, in ogni officina, in ogni fabbrica fosse posta la questione della riammissione degli espulsi e ponendo la questione al giudizio delle larghe masse.
Un’altra organizzazione, apparentemente rivoluzionaria ma che si prefiggeva lo scopo di sabotare l’unità sindacale, era quella degli anarco-sindacalisti che, in nome di una pretesa autonomia dai partiti, di fatto affiancavano i riformisti nell’opera scissionista.
Il 2° Congresso del Profintern si concentrò su obiettivi che accomunavano l’insieme del movimento internazionale, quindi soprattutto su questioni pratiche: Fronte unico, Unità sindacale, Organizzazione, Rapporto con gli anarco-sindacalisti.
I lavori del congresso iniziarono il 21 novembre con la partecipazione di 213 delegati, sensibilmente meno rispetto ai 380 del primo congresso, ma ciò non significava che l’influenza del Profintern fosse diminuita, anzi possiamo affermare che fosse addirittura aumentata.
Delle masse proletarie aderenti o influenzate dall’Internazionale sindacale rossa Lozovski valutò una cifra tra i 12 ed i 15 milioni, quindi non inferiore ad Amsterdam, per il fatto che un terzo dei loro membri simpatizzava per Mosca, mentre nel Profintern nessuno simpatizzava per Amsterdam.
L’argomento più spinoso che il congresso dovette affrontare e risolvere fu quello del rapporto organico tra Komintern e Profintern, rapporto che la componente anarco-sindacalista rifiutava di accettare. Unite in questo rifiuto, all’interno del movimento anarco-sindacalista si verificarono due correnti: da una parte gli anarchici “puri”, che vollero fondare una loro autonoma Internazionale, con uno spiccato indirizzo anticomunista e antisovietico; dalla parte opposta i sindacalisti rivoluzionari, tra i quali si ebbe una forte tendenza che, ponendosi interamente sulla stessa piattaforma dei comunisti e ammettendo la dittatura del proletariato, si dichiararono disposti a restare all’interno del Profintern qualora venisse sciolto lo stretto legame tra l’IC e l’ISR. Questa aspirazione aveva preso corpo soprattutto nelle risoluzioni del Congresso di Saint-Etienne e nelle richieste della delegazione francese.
Fu così che il 2° Congresso del Profintern, per evitare ulteriori scissioni, abolì l’articolo dello Statuto che, di fatto, legava e subordinava l’Internazionale sindacale a quella politica. Adottando quella subordinazione il congresso voleva porre fine al dibattito tra l’ISR e organizzazioni anarco-sindacaliste. Per maggiore chiarezza indirizzò un manifesto alle organizzazioni anarco-sindacaliste di tutti i paesi, invitandole ad aderire all’ISR e a lavorarvi assieme agli operai di tutti i paesi per la liberazione del proletariato.
Da parte loro i sindacalisti rivoluzionari di Francia ed Italia risposero registrando «la più grande soddisfazione il voto unanime del 2° congresso sulle reciproche relazioni tra le due Internazionali. [...] Questa intesa permette un maggiore sviluppo del movimento proletario mondiale e di abbreviare l’ora della liberazione dei lavoratori [...] Viva la dittatura del proletariato! Viva l’Internazionale sindacale rossa!»
Sentito il
Rapporto Morale dell’Ufficio Esecutivo il congresso approvava:
1) L’attività
svolta per la realizzazione del fronte unico proletario;
2) Le reiterate offerte
di azione comune rivolte all’Ufficio Esecutivo dell’Internazionale di
Amsterdam, naturalmente cadute nel vuoto;
3) Gli sforzi tentati per raggruppare
all’interno dell’ISR tutte le organizzazioni anarco-sindacaliste in vista della
comune lotta contro la borghesia ed il riformismo;
4) L’opposizione
al tentativo di costituzione di una nuova internazionale anarchica;
5) Il riconoscimento che si era costituito di un fronte unico riformista e anarchico in lotta tanto contro l’ISR quanto l’IC e la rivoluzione di Russia;
6) La necessita di rafforzare l’influenza ed il ruolo dei comitati internazionali di industria per la concentrazione di tutte le forze rivoluzionarie del movimento sindacale;
7) Si ammetteva un insufficiente legame tra le organizzazioni aderenti all’ISR ed il loro Centro, prospettando però la realizzazione di un collegamento permanente e sistematico tra tutte le organizzazioni in vista delle future battaglie.
Sulla parola del fronte unico non ci furono obiezioni di sorta, e per la sua realizzazione pratica veniva disposto che i sostenitori dell’ISR dovessero innanzi tutto:
1) Organizzare e condurre una energica resistenza all’offensiva del capitale;
2) Mai perdere di vista che il compito principale stava nell’organizzazione di movimenti comuni a tutti i gruppi operai;
3) Unita, disciplina, solidarietà nella azione di tutte le forze rivoluzionarie;
4) Intenso lavoro tra le masse proletarie e nei luoghi di lavoro e non frutto di accordi tra i vertici sindacali.
La difesa dagli attacchi del capitale doveva basarsi su obiettivi elementari e condivisibili da ogni operaio: parità salariale tra uomini e donne; lotta per il mantenimento delle otto ore; a favore delle rivendicazioni economiche della gioventù e resistenza al suo utilizzo come concorrente al proletariato adulto; mantenimento delle conquiste sindacali e loro estensione alle lavoratrici e alla maternita; indennita ai disoccupati per tutto il periodo della disoccupazione con pari indennità ad uomini e donne; lotta sistematica ed organizzata contro i gruppi paramilitari della borghesia e dello Stato, con armamento del proletariato; lotta per l’abrogazione dei trattati di pace imperialisti e contro gli attacchi alla Russia sovietica; contro lo sfruttamento e l’asservimento delle masse proletarie delle colonie, senza distinzione di razza.
Un aspetto degno di nota fu l’attenzione particolare che il congresso riservò ai movimenti sindacali dei paesi coloniali e semicoloniali, dove «lo spirito classista si fa sempre piu nettamente sentire in questo formidabile torrente rivoluzionario. E il dovere dell’ISR, come quello dell’IC, è di dare a questo movimento di classe una forma sempre piu precisa e profondamente rivoluzionaria, di penetrarlo di uno spirito comunista perche possa ottenere il massimo dei risultati nella lotta contro il capitale straniero e nazionale. I lavoratori di Europa, di Asia, di Africa e di Australia si avvicinano alla bandiera rossa del Profintern perche essi vi leggono: “Guerra a morte al capitalismo, in nome del potere della classe operaia!”».
Il 2° congresso fù soprattutto pratico, occupandosi principalmente di questioni di organizzazione e di attività. I principi generali erano gia stati stabiliti e quindi si limitò ad approvare il programma di azione elaborato al primo congresso, che riassumeva l’esperienza del movimento sindacale rivoluzionario di tutti i paesi.
Il congresso non evitò di prendere in seria considerazione le difficolta che il movimento sindacale rivoluzionario si sarebbe imposto di superare: decine di milioni di proletari seguivano ancora i riformisti; a milioni erano inquadrati in sindacati cattolici, democratici, protestanti, mentre altre decine e decine di milioni erano del tutto fuori da qualsiasi organizzazione.
In presenza di una classe operaia di cui una parte molto consistente era inserita in organizzazioni complici del capitalismo l’ISR avrebbe avuto la necessità di adottare un programma e una tattica adeguati. L’altro aspetto, ancora piu grave, era costituito dalle enormi masse proletarie non organizzate. «Cosi il compito piu importante del prossimo periodo –si stabilì –consiste nella lotta per il raggruppamento degli operai dispersi, per l’aumento della forza dei sindacati, per l’attrazione delle larghe masse nelle organizzazioni sindacali. La nostra parola d’ordine e: “Nessun operaio deve restare fuori dai sindacati”. E della massima importanza combattere la teoria che tende a giustificare l’abbandono dei sindacati in nome di considerazioni rivoluzionarie [...] La loro propaganda deve essere energicamente combattuta [...] perche la rivoluzione sociale e impossibile senza gli operai organizzati sindacalmente [...] Le larghe masse possono essere attratte nei sindacati solo attraverso un lavoro instancabile e sistematico per le rivendicazioni e i bisogni quotidiani e pratici degli operai».
Altro problema importante preso in esame fu quello finanziario.
Senza dubbio il Congresso portò a un consolidamento dell’Internazionale sindacale rossa la quale, a differenza di Amsterdam, radicata soltanto in Europa e limitatamente nell’America del Nord, fin dalla sua nascita aveva stabilito un gran numero di contatti nei paesi coloniali e semicoloniali e a questo secondo congresso fu in grado di dimostrare la sua presenza ed attività in ogni parte del mondo.
Dal nostro materialismo discende la nostra concezione di “cultura”, espressione a cui preferiamo quella di conoscenza, a cui riduciamo anche la parola “coscienza”. Su tale tema il partito comunista storico e stato chiaro fin dal suo sorgere, già Babeuf e Blanqui avevano compreso che la forza viene prima della ragione.
La Sinistra Comunista italiana, connotazione unicamente geografica che designa la Sinistra Comunista della Terza Internazionale, fin dalle origini ha mostrato, anche su tale tema, una chiara impostazione marxista. Nel congresso della Federazione giovanile socialista italiana, tenutosi a Bologna nel 1912, si scontrano due posizioni: quella della destra, detta “culturista”, e quella “anticulturista” della sinistra, poi approvata. Entrambe sono riportate da “L’Avanguardia”, giornale di tale federazione, sulle posizioni della sinistra.
La mozione di destra parla di «creare... buoni produttori, mediante un’opera di elevamento e perfezionamento tecnico professionale », e di «trasformare “L’Avanguardia” in organo prevalentemente di cultura». Già allora rifiutammo tale concezione, vedendo nei “buoni produttori” la tendenza alla collaborazione di classe, e nelle posizioni di Tasca la genesi dell’“ordinovismo”, la pretesa immediatista di costruire il socialismo all’interno della fabbrica e soprattutto all’interno dello Stato capitalista.
La mozione della sinistra dice che «in regime capitalista la scuola rappresenta un’arma potente di conservazione nelle mani della classe dominante, la quale tende a dare ai giovani un’educazione che li renda ligi e rassegnati al regime attuale», e che «nessuna fiducia sia da attribuirsi ad una riforma della scuola nel senso laico o democratico ». Si dice anche che «l’attenzione dei giovani socialisti debba piuttosto essere volta alla formazione del carattere e del sentimento socialisti».
In una successiva lettera a “L’Unita”, giornale di Salvemini, il rappresentante della sinistra scrive: «Noi non abbiamo dichiarato affatto la guerra alla cultura (...) Ma non possiamo consentire col Tasca e col suo articolista nel risolvere il vasto problema con la formula semplicistica “crisi di cultura” (...) Riteniamo che la cultura operaia possa figurare nei programmi della democrazia, ma abbia scarso valore nel campo dell’azione sovversiva del socialismo».
Su “L’Avanti!” del 5 aprile 1913 c’e un nostro articolo, “Il problema della cultura”: «Il socialismo vuole interessarsi dell’emancipazione intellettuale dell’operaio contemporaneamente a quella economica, sempre ritenendo che la prima e una conseguenza della seconda (...) Ma il “riformismo” e la “democrazia” vedono il problema della cultura da un punto di vista ben diverso, anzi esattamente capovolto. Nella cultura operaia essi scorgono, anziche la conseguenza parallela dell’emancipazione economica, il mezzo principale e la “condizione necessaria” di quella emancipazione (...) Non possiamo “aspettare” che la classe operaia sia “educata” per credere possibile la rivoluzione, perche ammetteremmo in pari tempo che la rivoluzione non avverra mai».
Concetti analoghi troviamo in Lenin, che l’8 ottobre 1920 scrive un progetto di risoluzione per il Proletkult, organizzazione per la cultura operaia, permeata di idealismo. In questa e in organizzazioni analoghe c’era l’idea di una loro autonomia dal partito e l’idea, di stampo futurista, che la vecchia cultura borghese andasse semplicemente gettata nella spazzatura. Lenin dice che «Il marxismo (...) invece di respingere le conquiste piu preziose dell’epoca borghese, ha al contrario assimilato e rielaborato quanto vi era di piu valido nello sviluppo piu che bimillenario della cultura e del pensiero umani (...) Il congresso panrusso del Proletkult respinge nella maniera piu energica (...) tutti i tentativi di inventare una propria cultura particolare, di rinchiudersi in proprie specifiche organizzazioni (...) di instaurare l’ “autonomia” del Proletkult in seno alle istituzioni del commissariato del popolo all’istruzione».
Per noi cultura, scienza e coscienza si risolvono nella conoscenza (che ha sempre una base materiale, è sempre conoscenza di), e non forme astratte che rispecchiano la divisione del lavoro e l’alienazione della societa capitalista.
Anche la scienza nelle società di classe borghese inevitabilmente mette capo a una forma di mistificazione ideologica che non ha nulla da invidiare al vecchio misticismo. Su “Il Programma Comunista” n. 12 del 1953 troviamo “Danza di fantocci: dalla Coscienza alla Cultura”: «Molto dopo la conquista del potere politico, allora per la prima volta si avrà un’attività cosciente degli uomini (...) in quanto non vi saranno piu classi (...) La coscienza verrà per la prima volta non come coscienza di classe, ma come coscienza della societa umana (...) La rivoluzione è il compito storico della classe proletaria chiamata all’azione da forze di cui e per ora inconsapevole. La consapevolezza dello sbocco non e nelle masse, ma solo nello specifico organo portatore della dottrina di classe: il partito».
La borghesia, a cui piace molto la cultura e a cui fa orrore la violenza (ragion per cui, in Italia, ha avuto grande successo il concetto gramsciano di “egemonia culturale”), ha condotto le proprie rivoluzioni con la dittatura e col terrore: a Cromwell e Robespierre non bastava l’ “egemonia culturale”. Ai nomi di Babeuf, Buonarroti e Blanqui, possiamo aggiungere anche quello di Carlo Pisacane, che abbiamo gia definito “un marxista che fece a tempo per leggere Marx”. In effetti la sostanza delle sue posizioni, socialiste, classiste e materialiste, e valida, e non avrebbe senso imputargli le manchevolezze e le imprecisioni che la storia, e la sua tragica fine, non gli hanno permesso di colmare.
Dai suoi Saggi storici-politici-militari: «Conchiudo con rammentare ai conservatori che la rivoluzione sociale non sarebbe affrettata neppur d’un’ora eziandio se tutto il mondo riconoscesse attuabile un nuovo ordinamento sociale». Evidentemente Pisacane non credeva all’ “egemonia culturale” di Gramsci. Nel suo “Testamento politico” Pisacane scrive: «Profonda mia convinzione di essere la propagazione dell’idea una chimera e l’istruzione popolare un’assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, e il popolo non sarà libero perche sara istrutto, ma sara ben tosto istrutto quando sara libero».
Il socialista e materialista Pisacane condivideva le nostre posizioni sulla cultura, sulla scienza, sulla filosofia, nonchè su altre “sacralita”, come la giustizia, che gia il sofista greco Trasimaco, tra V e IV secolo a.C. definiva “l’utile del piu forte”.
La Bibbia, nel libro del Qoelet, o Ecclesiaste, dice: «Chi accresce il sapere, aumenta il dolore». La conoscenza, la cultura (e anche scienza, filosofia, arte, coscienza) non sono un sapere astratto, che il proletariato fa proprio serenamente leggendo uno o piu libri, magari seduti su una comoda poltrona. Il sapere e un dolore concreto e sedimentato nei secoli, in quanto nasce dalle miserie, dalle sofferenze, dalle rivoluzioni che hanno caratterizzato tutta la storia della specie umana. Storia che da millenni e storia di lotta tra le classi, e che da oltre due secoli e lotta di classe tra borghesia e proletariato. La conoscenza non dimora presso gli eruditi, e ancor meno nelle scuole e nelle universita della borghesia. La conoscenza non appartiene neanche ai singoli militanti comunisti. La conoscenza è la storia della specie, che ad un certo momento si è condensata, dando luogo al programma e alla teoria comunista. La conoscenza, nella società capitalista, risiede solo nel partito comunista e non puo risiedere altrove: come gli dei greci prendevano dimora nelle statue scolpite appositamente per loro, cosi la conoscenza prende dimora nel Partito. La conoscenza è il partito.
FINE DEL RESOCONTO AL PROSSIMO NUMERO
PAGINA 8
Continuiamo a leggere da Lenin, “I compiti immediati del potere sovietico”, del marzo 1918. Si trova nel volume 27 delle Opere.
I tecnici borghesi
Lenin passa a dimostrare la necessita dell’utilizzo, nella Russia arretrata, dei tecnici e degli specialisti borghesi, per organizzare la produzione e per imparare da loro. Se necessario questi saranno retribuiti anche molto al di sopra del salario dei migliori operai.
Oggi, in tutto il mondo, questo problema ci e stato risolto dallo stesso capitalismo: i migliori tecnici e specialisti sono gia dei proletari e guadagnano forse meno del salario di un buon operaio manuale. La direzione tecnica e amministrativa della produzione e della distribuzione sociale e gia interamente nelle mani della classe operaia.
Ovviamente all’interno della dittatura del capitale e dei suoi interessi e leggi economiche.
Quel che alla classe oggi manca e deve apprendere e solo la tecnica della lotta di classe, della insurrezione e della guerra civile, della dittatura politica, della guerra rivoluzionaria, per le quali occorre la scienza del partito marxista.
Dal Capitolo VIII
«Il potere sovietico dovra attuare i principi del lavoro obbligatorio anche nei confronti della diretta attivita della borghesia e delle classi abbienti nel campo della direzione delle imprese e di ogni genere di lavoro sussidiario in queste imprese: lavoro di ragioneria, d’ufficio, di contabilita, tecnico, amministrativo, ecc. Sotto questo aspetto, anche il compito del potere sovietico si sposta ora dal campo della lotta immediata contro il sabotaggio al campo dell’impostazione organizzativa del lavoro in nuove condizioni, poiche, dopo le vittorie riportate dal potere sovietico nella guerra civile, dall’ottobre al febbraio, le forme passive di resistenza, e precisamente di sabotaggio, da parte della borghesia e degli intellettuali borghesi, sono state sostanzialmente spezzate.
«Non e un caso se ora osserviamo una svolta assai vasta, si puo dire di massa, nello stato d’animo e nel comportamento politico degli ex sabotatori, cioe dei capitalisti e degli intellettuali borghesi. Ora in tutti i settori della vita economica e politica un grandissimo numero di intellettuali borghesi e di specialisti dell’economia capitalistica offrono i loro servizi al potere sovietico. E il compito del nostro potere consiste ora nel sapersi avvalere di questi servizi che, soprattutto in un paese contadino come la Russia, sono assolutamente indispensabili per il passaggio al socialismo e debbono essere accettati mantenendo pienamente la supremazia, la direzione e il controllo del potere sovietico sui nuovi aiutanti e collaboratori, che assai spesso operano controvoglia e con la speranza segreta di abbattere questo stesso potere.
«Per mostrare quanto sia necessario al potere sovietico avvalersi dei servizi degli intellettuali borghesi proprio per il passaggio al socialismo, ci permetteremo di usare un’espressione che a prima vista sembrera un paradosso: bisogna imparare il socialismo in larga misura dai dirigenti dei trust, bisogna imparare il socialismo dai massimi organizzatori del capitalismo. Che non si tratti di un paradosso, se ne convincera facilmente chiunque rifletta che proprio le grandi fabbriche sono i centri di concentrazione di quella classe che e stata la sola capace di distruggere il dominio del capitale e di iniziare il passaggio al socialismo. Percio non deve sorprendere che per assolvere i compiti pratici del socialismo, quando si pone all’ordine del giorno l’aspetto organizzativo del socialismo, noi dobbiamo necessariamente attrarre in aiuto del potere sovietico un gran numero di intellettuali borghesi, particolarmente fra coloro che si erano occupati del lavoro pratico di organizzazione della grande produzione nell’ambito del capitalismo e, quindi, in primo luogo, dell’organizzazione dei sindacati, dei cartelli e dei trust.
«Per assolvere questo compito il potere sovietico avra, naturalmente, bisogno di una grande tensione di forze, dell’iniziativa delle larghe masse lavoratrici in tutti i settori dell’economia nazionale, poiche esso non offrira mai ai cosiddetti capitani d’industria la loro vecchia posizione, la posizione di capi e sfruttatori. I vecchi capitani d’industria, i vecchi capi e sfruttatori, debbono avere il posto di periti, tecnici, dirigenti, consulenti, consiglieri. Bisogna assolvere il compito difficile e nuovo, ma estremamente utile, di unire tutta l’esperienza e il sapere accumulati da questi rappresentanti delle classi sfruttatrici, all’iniziativa, all’energia, al lavoro di larghi strati delle masse lavoratrici. Poiche soltanto questa unione e in grado di creare il ponte che porta dalla vecchia societa capitalistica a quella nuova, socialista.
«Se la rivoluzione socialista avesse vinto contemporaneamente in tutto il mondo o, per lo meno, in una serie di paesi avanzati, il compito di far partecipare al processo di riorganizzazione della produzione i migliori specialisti e tecnici fra i dirigenti del vecchio capitalismo sarebbe stato assai piu facile. La Russia arretrata non dovrebbe allora pensare da sola a risolvere questo problema, perche ci verrebbero in aiuto gli operai avanzati dei paesi dell’Europa occidentale e ci scaricherebbero di una gran parte delle difficolta che presenta questo difficilissimo compito del passaggio al socialismo che si chiama compito organizzativo.
«Ora, in una situazione reale in cui l’of- fensiva della rivoluzione socialista in Occidente si e rallentata e ritarda, la Russia deve prendere al piu presto provvedimenti per la sua riorganizzazione, sia pure semplicemente per salvare la popolazione dalla fame e poi tutto il paese da una possibile aggressione militare; dobbiamo oggi prendere a prestito dai paesi avanzati non gia l’aiuto per l’organizzazione socialista e l’appoggio degli operai, ma l’aiuto della loro borghesia e degli intellettuali capitalistici. E le circostanze sono tali da permetterci di ottenere questo aiuto organizzando la collaborazione degli intellettuali borghesi alla soluzione dei nuovi problemi organizzativi del potere sovietico, collaborazione che si puo ottenere mediante un’alta retribuzione del lavoro dei migliori specialisti in ogni branca del sapere, sia degli specialisti del nostro Stato, sia di quelli presi dall’estero.
«Certo, dal punto di vista di una societa socialista gia sviluppata e assolutamente ingiusto e sbagliato che i rappresentanti degli intellettuali borghesi ricevano una retribuzione incomparabilmente piu elevata di quella dei migliori strati della classe operaia. Ma nelle condizioni di una realta concreta (...) dobbiamo assolutamente adempiere questo compito improrogabile mediante questa (ingiusta) retribuzione del lavoro degli specialisti borghesi secondo tariffe assai piu elevate».
Il “metodo Taylor”
«Il grande capitalismo ha creato sistemi di organizzazione del lavoro che, nelle condizioni di sfruttamento delle masse della popolazione, erano la forma peggiore per asservire e spremere una quantita supplementare di lavoro, di forza, di sangue e di nervi dai lavoratori ad opera della minoranza delle classi abbienti, ma che sono nello stesso tempo l’ultima parola dell’organizzazione scientifica della produzione e che debbono essere assimilati dalla Repubblica socialista sovietica, debbono essere rielaborati, da una parte, per realizzare il nostro inventario e controllo della produzione, poi, dall’altra parte, per elevare la produttivita del lavoro.
«Ad esempio, il famoso sistema Taylor, che ha avuto larga diffusione in America, e famoso proprio perche rappresenta l’ultima parola del piu sfrenato sfruttamento capitalistico. E quindi comprensibile che questo sistema abbia suscitato tra le masse lavoratrici tanto odio e tanto sdegno. Ma nello stesso tempo non si puo dimenticare neppure per un istante che nel sistema Taylor vi e un immenso progresso della scienza, che analizza sistematicamente il processo di produzione e apre la strada a un immenso aumento della produttivita del lavoro umano. Le ricerche scientifiche incominciate in America, quando si introdusse il sistema Taylor, e in particolare lo studio dei movimenti, come dicono gli americani, hanno fornito un immenso materiale che permette di insegnare alla popolazione lavoratrice metodi di lavoro, e in particolare di organizzazione del lavoro, infinitamente piu elevati.
«L’aspetto negativo del sistema Taylor era che esso veniva applicato nelle condizioni della schiavitu capitalistica e serviva come mezzo per spremere agli operai una quantita doppia e tripla di lavoro con la stessa retribuzione, senza tenere alcun conto della possibilita, per gli operai salariati, di fornire questa doppia o tripla quantita di lavoro per lo stesso numero di ore lavorative senza danno per l’organismo umano.
«Dinanzi alla Repubblica socialista sovietica sta un compito che possiamo cosi formulare in breve: dobbiamo introdurre in tutta la Russia il sistema Taylor e l’aumento scientifico americano della produttivita del lavoro, unendo questo sistema alla riduzione dell’orario di lavoro, alla utilizzazione di nuovi metodi di produzione e di organizzazione del lavoro senza alcun danno per la forza-lavoro della popolazione lavoratrice. Anzi, l’impiego del sistema Taylor, giustamente diretto dai lavoratori stessi, se essi saranno abbastanza coscienti, sara il mezzo piu sicuro per un’ulteriore e grandissima riduzione della giornata lavorativa obbligatoria per tutta la popolazione lavoratrice, sara il mezzo piu sicuro che ci permettera di realizzare, in un periodo di tempo relativamente breve, l’obiettivo che si puo esprimere all’incirca in questi termini: sei ore di lavoro fisico quotidiano e quattro ore di lavoro per l’amministrazione dello Stato per ogni cittadino adulto.
«Il passaggio a questo sistema richiedera moltissime nuove abitudini e esigera nuove istituzioni organizzative. Non c’e dubbio che esso ci creera non poche difficolta e che ponendo questo obiettivo susciteremo anche la perplessita, e forse addirittura l’opposizione, fra alcuni strati degli stessi lavoratori. Ma si puo essere certi che gli elementi piu avanzati della classe operaiaoperaia ne capiranno la necessita».
Il graduale risanamento delle masse lavoratrici
Capitolo X
«Nella vecchia societa capitalistica era il capitale che imponeva la disciplina ai lavoratori con la continua minaccia della fame. Poiche a questa minaccia della fame si univa un lavoro estremamente gravoso e la consapevolezza dei lavoratori di non lavorare per se, ma per il bene altrui, nell’ambiente di lavoro vi era una lotta costante della stragrande maggioranza dei lavoratori contro i dirigenti della produzione. Era inevitabile che su questo terreno si formasse una mentalita per cui l’opinione comune dei lavoratori non soltanto non condannava chi lavorava male o era uno scansafatiche, anzi vedeva in cio una protesta inevitabile e legittima o un modo di resistere alle pretese eccessive dello sfruttatore.
«Se oggi la stampa dei borghesi e i loro portavoce gridano tanto contro l’anarchia tra gli operai, contro la loro dissolutezza o le loro eccessive pretese, il carattere velenoso di questa critica e troppo evidente perche valga la pena di soffermarvisi a lungo. Si capisce che in un paese in cui la maggioranza della popolazione ha sofferto la fame e si e estenuata in modo inaudito, come la popolazione della Russia negli ultimi tre anni, era assolutamente inevitabile che vi fossero numerosi casi di completo abbattimento e di completa decadenza di ogni spirito organizzativo. Esigere a questo proposito un rapido passaggio o sperare che i cambiamenti si possano ottenere con alcuni decreti, sarebbe tanto assurdo quanto cercare, con appelli, di ridare vigore di spirito e capacita lavorativa a un uomo picchiato quasi a morte. «Soltanto il potere sovietico, creato dai lavoratori stessi e che tiene conto del graduale risanamento delle masse lavoratrici, sara in grado di compiere, sotto questo aspetto, mutamenti radicali».
Massima centralizzazione nella grande produzione
Del 2 giugno sono le osservazioni al progetto di “Tesi sulla gestione delle imprese nazionalizzate”.
«Il comunismo esige e presuppone la massima centralizzazione della grande produzione in tutto il paese. Percio bisogna concedere assolutamente al centro per tutta la Russia il diritto di subordinare direttamente a se tutte le imprese di una determinata branca. I centri regionali devono determinare le loro funzioni secondo le condizioni locali di vita, ecc., conformemente alle direttive e alle decisioni del centro per la produzione in generale. Togliere al centro per tutta la Russia il diritto di subordinare a se direttamente, in tutto il paese, le imprese di una determinata branca, come si deduce dal progetto della commissione, sarebbe anarco-sindacalismo regionalistico, e non comunismo».
Si presume che sia dello stesso periodo un appunto “Sul carattere democratico e socialista del potere sovietico”.
«Ogni legittimazione, diretta o indiretta, della proprieta degli operai di una singola fabbrica o di una singola categoria sulla loro produzione, o del loro diritto di attenuare od ostacolare le disposizioni del potere di tutto lo Stato e un grandissimo travisamento dei principi fondamentali del potere sovietico e un totale rifiuto del socialismo » (qui lo scritto si interrompe).
Con gli anarchici
Al corrispondente di un giornale svedese che intervista Lenin in questo periodo dice: «I provvedimenti presi contro gli anarchici erano dovuti al fatto che gli anarchici si erano armati e in parte uniti a elementi che erano palesemente dei banditi. Gli anarchici per ideologia sono gia stati rimessi in liberta e il loro grande quotidiano Anarkhia esce come prima».
Una guerra civile
Lenin scrive il 10 agosto 1918 ad A.D. Tsiurupa: «In ogni volost produttrice di grano prendere 25-30 ostaggi tra i ricchi, che risponderanno con la vita per l’ammasso e l’immagazzinamento di tutte le eccedenze».
Del 12 agosto, telegramma “A Penza. Comitato esecutivo provinciale. A Minkin”: «Ho ricevuto il vostro telegramma sulla repressione della rivolta dei kulak. Bisogna battere il ferro finche e caldo, e per questo bisogna utilizzare la repressione dei kulak per la simultanea implacabile repressione degli speculatori, per la confisca del grano presso i ricconi, per la mobilitazione di massa dei contadini poveri, tra cui viene spartito il grano. Telegrafate esecuzione. Bisogna consolidare definitivamente il potere dei contadini poveri nella zona del fronte».
Lettera del 21 dicembre, “A F.E. Dzer ginski. Alla Commissione straordinaria”: «Compagno Dzerginski, vi prego di ricercare immancabilmente il colpevole delle lungaggini burocratiche (nessuna risposta dal 3 al 20 dicembre!! E il decreto e del 21 novembre!!!) e di denunciarlo al tribunale. Non si puo lasciare impunita una simile mostruosita. E evidente che negli uffici ci sono dei sabotatori. E inoltre necessario che indichiate la persona responsabile a cui affidare il rapido, immediato trasferimento dei depositi. Comunicatemi che cosa avete fatto. Saluti».
Il 6 gennaio 1919 Lenin scrive un “Al commissario agli approvvigionamenti della provincia di Simbirsk»: «Il comitato eletto da 42 organizzazioni di operai affamati di Pietrogrado e Mosca si lamenta della vostra incapacita organizzativa. Esigo la massima energia da parte vostra, un atteggiamento non formale verso il problema e ogni possibile aiuto agli operai affamati. A causa della vostra lentezza saro costretto ad arrestare tutto il personale delle vostre istituzioni e a deferirlo al tribunale. Ho dato la disposizione urgente di aumentare il numero delle locomotive e dei vagoni. Telegrafate esecuzione. Siete tenuti a raccogliere il grano consegnato dai contadini giorno e notte. Se verra confermato che dopo le quattro vi siete rifiutati di ricevere il grano, costringendo i contadini ad aspettare sino al mattino successivo, sarete fucilati».
Conduzione delle imprese
Il 18 febbraio 1919 c’e un “Telegramma al Comitato esecutivo di Elatma”: «Mikhail Mitrofanovic Fedoseev di Azeev lamenta il fatto che gli avete nazionalizzato la tipografia, rifiutandogli il 6 febbraio, col foglio n.455, ogni compenso per la tipografia e ogni risarcimento per il licenziamento di due apprendiste e di una rilegatrice. Comunicate immediatamente se tali fatti rispondono a verita, se e vero che la tipografia si trova a Sasov in un magazzino ed e inoperosa. Vi invito a discutere se non sia possibile impiegare Fedoseev nel lavoro tipografico o autorizzarlo a creare una cooperativa di operai e a dargli sotto controllo la gestione della sua ex tipografia, alle dipendenze del soviet».
L’8 aprile c’e un “Telegramma alla sezione agraria di Kniaghinin”: «Qualsiasi provvedimento coercitivo per far passare i contadini alla coltivazione collettiva della terra e inammissibile. La non osservanza di questo principio sara punita con tutta la severita della legge rivoluzionaria».
Gli abusi dei funzionari
9 aprile 1919, “Telegramma al comitato esecutivo di Kazan, Al comitato esecutivo provinciale, copia al comitato militare rivoluzionario”: «Da Iadrin i cittadini Cernyscev, Sorokin, Semionov, Gherman lamentano di trovarsi da cinque mesi in carcere senza che vi sia stata un’istruttoria. Controllate immediatamente la cosa e datemi una spiegazione».
7 maggio, “Telegramma a Miezlauk, Kharkov, Al vicecommissario del popolo per gli affari militari Miezlauk”: «Ho ricevuto da Litvinov una nuova conferma che state giocando all’autonomia e alle repubbliche locali, rifiutandovi di inviare immediatamente nel Donbass tutte le forze militari e tutti gli operai mobilitati di Kharkov, trincerandovi dietro gli stolidi divieti di Podvoiski. Dichiaro che sarete denunciato al tribunale del partito ed espulso dalle sue file se non smetterete di giocare e non invierete subito tutte le forze militari di Kharkov e tutti gli operai mobilitati per soccorrere il Donbass. Rispondete immediatamente con telegramma cifrato, comunicando quante forze invierete e quando. Sarete responsabile di ogni ritardo».
20 maggio, “Telegramma al Comitato esecutivo di Novgorod, al Comitato esecutivo provinciale, Copia alla Commissione straordinaria, Copia al commissario provinciale degli approvvigionamenti”: «Evidentemente, Bulatov e stato arrestato per essersi lamentato con me. Vi avverto che per tale azione faro arrestare e poi fucilare i presidenti del comitato esecutivo provinciale e della Commissione straordinaria e i membri del comitato esecutivo. Perche non si e risposto subito alla mia richiesta?». In data 30 maggio Lenin scrive “All’ufficio di organizzazione del CC”: «Sono favorevole all’espulsione dal partito di coloro che partecipano alle cerimonie religiose».
Il 20 agosto abbiamo un “Telegramma ai consigli militari rivoluzionari della X e della IV armata”: «La raccolta del grano ad opera dei contadini e molto importante per la repubblica. Ordinate nel modo piu rigoroso di proteggere con ogni mezzo i contadini durante i lavori del raccolto e fucilare implacabilmente chiunque, nell’esercito, commetta ruberie, violenze, esazioni illegali. Comunicate esecuzione».
(continua)
La pesidente della Bce Christine Lagarde si preoccupa per l’inflazione e annuncia che per il 2022 si prevede un aumento dell’indice medio dei prezzi del 6,8%. Poi aggiunge che prima della fine del 2024 non sarà possibile tornare al tasso di inflazione programmato del 2%, l’unico compatibile con la cronicizzazione pluridecennale della crisi capitalistica e il solo che permetterebbe di evitare alla patologia di sfociare in fasi di particolare acuzie.
Allora ecco che la macchina della concertazione sociale composta dalla borghesia, dal suo Stato e dai sindacati collaborazionisti, propone con un baccano mediatico un diversivo per sopire le ansie dei lavoratori, che vedranno assottigliarsi il già magro potere d’acquisto della loro busta paga. Esce così la truffaldina proposta del cosiddetto “salario minimo” il cui scopo proclamato sarebbe cancellare i contratti più sfavorevoli, con paghe orarie abbondantemente al di sotto degli otto euro, ma il cui scopo reale è quello di fuorviare l’attenzione dal fatto che anche i salari più alti previsti dai contratti non saranno in grado di proteggere il potere d’acquisto dei lavoratori dai morsi dell’inflazione.
Infatti la proposta del salario minimo serve proprio a mettere in secondo piano quello che il governatore della Banca d’Italia Visco e il presidente del Consiglio Draghi hanno detto a chiare lettere: non si deve permettere ai salari di seguire l’andamento dell’indice dei prezzi.
È invece interesse dei lavoratori, non solo far recuperare pienamente a tutti i salari quanto perdono in termini di potere d’acquisto a causa dell’inflazione, ma che essi, attraverso la lotta di classe, crescano ulteriormente, al fine di riappropriarsi di almeno una parte del crescente plusvalore estorto dalla classe sfruttatrice.
Nella discussione concertata fra le parti sociali sul tema si affaccia anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, al quale non difetta la sicumera più sfacciata nel pronunciare solenni bugie. Leggiamo nella sua intervista pubblicata sul Corriere della Sera dell’8 giugno: «Il salario minimo in genere c’è dove le paghe orarie sono basse. Non è il caso dei contratti nazionali firmati da Confindustria. Per il salario minimo si parla di 9 euro lordi l’ora, mentre in quelli firmati da Confindustria anche le qualifiche basse prevedono cifre superiori».
Il presidente di Confindustria fa finta di non sapere che l’associazione degli industriali di cui è a capo ha firmato eccome contratti che prevedono paghe orarie sotto la soglia dei 9 euro lordi l’ora. Ad esempio quello delle imprese multiservizi di pulizie firmato il 21 luglio del 2021 dai sindacati di regime e dalle associazioni dei padroni prevede un salario minimo che arriverà a 7,53 euro l’ora lorde a regime nel 2024. Fra i firmatari ci sono l’Anip Confindustria, la Legacoop Produzione e Servizi, la Confcooperative Lavoro e Servizi, la Agci Servizi Lavoro e l’Unionservizi Confapi, fra i sindacati di categoria Filcams CGIL, Fisascat CISL e UILTrasporti. Da non trascurare che questo contratto infame è arrivato dopo ben otto anni di vacanza contrattuale.
Nel gioco delle parti per sfruttare meglio e per imbonire i lavoratori la Confindustria si mostra poco proclive ad adottare il salario minimo.
Resta un fatto per ora certo: la discussione sul salario minimo fra le cosiddette “parti sociali” è una messinscena mediatica al fine di fare ingoiare ai proletari il boccone amaro di una drastica perdita del potere d’acquisto dei loro salari. Inutile dire che la loro democrazia accorda ai capitalisti il diritto alla menzogna sulla pelle dei lavoratori e concede alla borghesia il monopolio della macchina mediatica per imporla come verità assoluta e certificata.